Visualizzazione dei post in ordine di pertinenza per la query Lenin. Ordina per data Mostra tutti i post
Visualizzazione dei post in ordine di pertinenza per la query Lenin. Ordina per data Mostra tutti i post

venerdì 28 giugno 2019

Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché

Da: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206 - Vladimiro Giacché è un economista italiano.
                           Sulla NEP e sul capitalismo di Stato* - Lenin 


lI concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin (1)

Dopo sei mesi di rivoluzione socialista coloro che ragionano solo sulla base dei libri non capiscono nulla. 
LENIN, 5 luglio 1918 (2)


1. 1917-1918. Il capitalismo di Stato come «passo avanti» 

Le prime occorrenze significative del concetto di capitalismo di Stato negli scritti di Lenin del periodo postrivoluzionario risalgono alla primavera del 1918, e si situano nel contesto della dura contrapposizione ai «comunisti di sinistra», l’opposizione interna al Partito comunista allora guidata da Nikolaj Bucharin. Lo scontro, inizialmente infuriato sulla firma del trattato di pace con la Germania, non era meno duro sul terreno economico. Esso riguardava ora la gestione delle imprese e il rafforzamento della disciplina del lavoro al loro interno: alla necessità di questo rafforzamento, su cui Lenin insisteva, i «comunisti di sinistra» contrapponevano la gestione collettiva delle imprese, che finiva in pratica per tradursi nella paralisi e nell’ingovernabilità delle imprese nazionalizzate. Ma il tema centrale era un altro ancora: il ritmo e la direzione della trasformazione economica. In quei mesi Oppokov proponeva di «dichiarare la proprietà privata inammissibile sia nella città che nelle campagne», mentre un altro «comunista di sinistra», Osinskij, parlava di «liquidazione totale della proprietà privata» e di «immediata transizione al socialismo»(3).

Per Lenin le priorità sono diverse: «la ricostituzione delle forze produttive distrutte dalla guerra e dal malgoverno della borghesia; il risanamento delle ferite inferte dalla guerra, dalla sconfitta, dalla speculazione e dai tentativi della borghesia di restaurare il potere abbattuto degli sfruttatori; la ripresa economica del paese; la sicura tutela dell’ordine più elementare»(4) . Diventano quindi decisive da un lato «l’organizzazione di un inventario e di un controllo popolare rigorosissimo sulla produzione e sulla distribuzione dei prodotti», dall’altro «l’aumento su scala nazionale della produttività del lavoro». A questo fine, bisogna arrestare l’offensiva contro il capitale e «spostare il centro di gravità» della propria iniziativa: «Finora sono stati in primo piano i provvedimenti di immediata espropriazione degli espropriatori. Ora passa in primo piano l’organizzazione dell’inventario e del controllo nelle aziende in cui i capitalisti sono già stati espropriati». Ancora più chiaramente: «se volessimo ora continuare ad espropriare il capitale con lo stesso ritmo di prima, certamente subiremmo una sconfitta»(5) . Il passaggio al socialismo non è un salto ma una transizione. «Il problema fondamentale di creare un regime sociale superiore al capitalismo» consiste nell’«aumentare la produttività del lavoro, e in relazione con questo (e a questo scopo) creare una superiore organizzazione del lavoro»: e «se ci si può impadronire in pochi giorni di un potere statale centrale, […] una soluzione durevole del problema di elevare la produttività del lavoro richiede in ogni caso (e soprattutto dopo una guerra straordinariamente dolorosa e devastatrice), parecchi anni»(6).

domenica 10 maggio 2020

Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron

Da: http://www.rifondazione.it - Il testo è tratto da: https://www.elsiglo.cl/2020/04/23/atilio-boron-y-los-150-anos-de-lenin -
Atilio A. Boron è un intellettuale e sociologo argentino.
Leggi anche:  Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908) 
                         Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915) 
                         Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale*- Vladimir Lenin (1917) 
                         Better Fewer, But Better*- Vladimir Lenin (1923) 
                         Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923) 
                       Tutto il potere ai soviet’ - Lars T. Lih 
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                         La missione morale del Partito comunista - György Lukács 


22 Aprile 2020

Vladimir Illich Ulianov è nato in un giorno come oggi, del 1870, a Simbirsk, in Russia. Fu il fondatore del Partito Comunista Russo (bolscevico), il leader indiscusso della prima insurrezione operaia e contadina di successo a livello nazionale nella storia della umanità: la Rivoluzione d’ottobre in Russia (che portò a termine ciò che la eroica Comune di Parigi non potè fare) e architetto e costruttore dello Stato sovietico. Come se questo non fosse abbastanza, fu anche un notevole intellettuale, autore di numerosi scritti su argomenti diversi come filosofia, teoria economica, scienze politiche, sociologia e relazioni internazionali (1).

“Pratico della teoria e teorico della pratica” secondo la brillante definizione che György Lukács ha proposto, Lenin introdusse tre contributi decisivi al rinnovamento di una teoria vivente, il marxismo, che ha sempre inteso come una “guida all’azione” e non come un dogma o un insieme sclerotizzato di precetti astratti. 

Grazie a Lenin le basi teoriche stabilite da Karl Marx e Friedrich Engels furono arricchite con una teoria dell’imperialismo che fece luce sugli sviluppi più recenti del capitalismo nel primo decennio del ventesimo secolo; con una concezione della strategia e delle tattiche della conquista del potere o, in altre parole, con una rinnovata teoria della rivoluzione basata sull’alleanza “operaia-contadina” e sul ruolo degli intellettuali; e con le sue diverse teorie sul partito politico e i suoi compiti in diversi momenti della lotta sociale. Una straordinaria eredità teorica, come emerge dalla precedente enumerazione. 
 
In questo breve promemoria della nascita di una persona eccezionale come Lenin, vorrei attirare l’attenzione su uno di questi tre contributi: la “teoria” del partito in Lenin. 

mercoledì 28 giugno 2017

Un “ponte sull’abisso”. Lenin dopo l’Ottobre*- Alexander Höbel**

*Da:   https://www.lacittafutura.it 
**Università di Napoli "Federico II"
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/edward-hallett-carr-storia-e.html

In occasione del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre, si sta opportunamente riaprendo la discussione sul significato e il valore storico di quella straordinaria svolta che ha segnato di sé l’intero XX secolo e che si riflette, per alcuni aspetti, a partire dal mutamento dei rapporti di forza tra aree del mondo, sulla nostra stessa contemporaneità. In questo quadro è essenziale approfondire il significato ma anche i problemi di quella esperienza. Se l’obiettivo della Rivoluzione socialista era quello di sottomettere i meccanismi dell’economia alla volontà cosciente e organizzata delle masse, in vista del benessere collettivo, Lenin fu sempre consapevole della difficoltà di tale sfida, in particolare in un paese arretrato come la Russia del 1917. La consapevolezza di tale difficoltà andò crescendo nei mesi e negli anni successivi alla presa del potere, senza però trasformarsi mai in una diversa valutazione sulla svolta dell’Ottobre, anzi sempre ribadendo la giustezza della scelta fatta, l’opportunità di aver colto il momento, di aver sfruttato al meglio le possibilità offerte da una eccezionale contingenza storica. 

All’indomani dell’Ottobre, Lenin individua come “uno dei compiti più importanti” quello di “sviluppare il più largamente possibile questa libera iniziativa degli operai [...] e di tutti gli sfruttati [...] nel campo dell’organizzazione. Bisogna distruggere ad ogni costo – dice – il pregiudizio assurdo [...] secondo il quale soltanto le cosiddette ‘classi superiori’ [...] possono dirigere lo Stato [...]. No, gli operai non dimenticheranno nemmeno per un istante di aver bisogno della forza del sapere. [...] Ma il lavoro di organizzazione è anche alla portata di un comune operaio o contadino che sa leggere e scrivere, conosce gli uomini ed è provvisto di un’esperienza pratica”. E “ciò che precisamente fa la forza [...] della rivoluzione d’Ottobre [...] è che essa suscita queste qualità, abbatte tutte le vecchie barriere [...] fa entrare i lavoratori nella via dove creano essi stessi la nuova vita”, in modo diversificato e vario. “Dopo secoli di lavoro per altri [...] per la prima volta appare la possibilità di lavorare per sé [...] approfittando di tutte le conquiste della tecnica e della cultura moderne”[1]. 

venerdì 23 giugno 2017

LENIN: L'ESTREMISMO - Stefano Garroni

Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/lenin-opere-complete.html



Stefano Garroni: A me pare che, escluse tre o quattro opere di Lenin, la grandissima maggioranza di quello che lui ha scritto, riproduce lo schema compositivo di quest’opera qua. Voglio dire: l’opera del dirigente politico, che parla di questioni politiche, a militanti politici. Quindi una scrittura molto compatta, che può essere compresa da un qualunque militante che abbia curiosità e che abbia un’esperienza politica. In questo senso la grande maggioranza delle opere di Lenin, non fanno nascere nel lettore la richiesta di un intervento della teoria per risolvere punti, per chiarire aspetti. Il lettore ha sicuramente la possibilità di capire il discorso a prescindere dall’intervento del teorico. 

Siccome son passati diversi anni da quando lui ha scritto, quello che può essere utile è l’intervento di uno storico, che ricostruisca nei dettagli le situazioni, che ci consenta di metter carne a certe formule linguistiche che corrisponda un nome: Bordiga chi è? C’è lo storico che ce lo spiega ecc. Ma alla lettura del testo, nella grande maggioranza delle opere di Lenin, non segue il bisogno di un intervento del teorico che chiarisca, che aggiunga informazioni, riflessioni, per risolvere dei punti dubbi del testo di Lenin. Questo con l’eccezione di alcuni scritti come Materialismo ed empiriocriticismo, il Che fare?, la Critica agli amici del popolo, i Quaderni filosofici ecc.

Ora, questa descrizione della pagina di Lenin, in realtà è abbastanza equivoca, nel senso che un’opera così compatta, scritta da un politico, su temi politici, che il militante politico comprende, sembra delineare una struttura chiusa. Quasi che nasca e muoia dentro l’orizzonte politico. 

In realtà è vero questo: se noi superiamo il punto di vista di chi, fate conto, si chiede: “Cosa pensava Lenin dei sindacati?”, e allora, ecco, questa opera ti dice che cosa Lenin pensava. “Cosa pensava dello Stato?”, quest’altra ti dice cosa pensava dello Stato ecc. Quindi, se evitiamo la mentalità evidentemente dogmatica delle opere scelte in due volumi – ovviamente non abbiamo bisogno di leggere tutti e 40 e rotti volumi dell’opera di Lenin -, però abbiamo bisogno senza meno di leggere varie opere, di vari periodi, in cui Lenin si confronta con vari problemi (ognuna di queste opere potremo capirla perfettamente, discuterla, farla operare dentro di noi), però se le leggiamo in una rappresentanza ampia, a quel punto viene fuori la necessità della chiarificazione teorica. Perché?

giovedì 30 ottobre 2014

RICERCHE MARXISTE - L’ambivalenza di Lenin - Stefano Garroni


 Pubblichiamo i risultati del lavoro condotto negli ultimissimi anni dal Collettivo di formazione marxista. Gli autori, di cui pubblichiamo gli scritti, non avrebbero potuto farlo, se non supportati dalla ricerca e dalla discussione dell’intero Collettivo, il quale –in questo senso- è l’autentico autore di questo lavoro.


In una lettera a M. Gorki del 13 novembre 1908, così Lenin si esprime: “La Neue Zeit (il giornale ufficiale del partito socialdemocratico tedesco, SPD) … è indifferente alla filosofia, ( il giornale) non è mai stato un accanito sostenitore del materialismo filosofico, e negli ultimi tempi ha pubblicato, senza fare alcuna riserva, gli empiriocriticisti … Tutte le correnti piccolo-borghesi della socialdemocrazia combattono soprattutto il materialismo filosofico, tendono a Kant, al neokantismo, alla filosofia critica. No, la piccola borghesia non ammette neppure sulla soglia di casa sua la filosofia di cui Engels ha gettato le basi nel suo Antidϋhring[-1] .
In una lettera, di poco precedente e sempre indirizzata a Gorki, si legge: “Il terzo argomento (di grande interesse per il giornale bolscevico Proletari) è la filosofia. So bene che la mia impreparazione in questo campo non mi permette di intervenire pubblicamente. Ma come semplice marxista leggo attentamente l’empiriomonista Bogdanov e gli empiriocritici Bazarov, Lunaciarski, ecc., ed essi spingono tutte le mie simpatie verso Plechanov! … In filosofia egli sostiene una causa giusta. Io sono per il materialismo, contro l’<empirio- …> ecc[-2] .”
Dunque, al termine del 1908 Lenin riconosceva l’improponibilità di un suo pubblico intervento in ambito filosofico a causa della sua impreparazione in materia; tuttavia –e con ‘apparente’ contraddizione- poco dopo lo stesso Lenin pubblicava Materialismo ed empiriocriticismo, dunque, non solo un testo dalle pretese filosofiche, ma addirittura con intenti di messa a punto in ambito di filosofia della scienza !

martedì 9 aprile 2024

Lenin, a cento anni dalla morte -


Jutta Scherrer m.13,47 - Luciano Canfora m.36,02 - Rita Di Leo m.50,57 - 
Etienne Balibar m.1,09,25 - Luciana Castellina m.1,34,13 - 
Giacomo Marramao m.2,03,41 - Stefano G. Azzarà m.2,24,51 -

                                                                          


giovedì 12 ottobre 2017

Goodbye Lenin?*- Susanna Bhome-Kuby

*da Ossietzky 15/2017, scritto da SUSANNA BÖHME-KUBYtrauzione dal tedesco di Giuliana Mandara  



 "Economia della rivoluzione" di Vladimiro Giacché raccoglie gli scritti economici dal 1917 al 1923 del leader della Rivoluzione d'Ottobre. Una lettura che apre interessanti visuali sul nostro mondo di oggi. 


Quasi niente è sembrato essere meno attuale in questa infuocata estate italiana dei testi di Lenin sulla rivoluzione, ormai centenari. Eppure, credo, dal saggio di ben 520 pagine che Vladimiro Giacché ha recentemente pubblicato (“Economia della rivoluzione”, Il Saggiatore), raccogliendo gli scritti economici di Lenin dal 1917 al 1923, si aprono interessanti visuali sul nostro mondo di oggi. Ciò potrebbe sorprendere alcuni, poiché, con la fine dell`Unione Sovietica, il suo fondatore e i suoi pensieri sono in gran parte scomparsi nell’oblio. L’implosione dell’ex-economia sovietica e la selvaggia degenerazione far west che la seguì immediatamente sono considerati dai più come fase già prevista nel contesto della vittoria globale del capitalismo – una semplificazione che manca di qualsiasi complessità storica.

Dopo quasi tre decenni la demonizzazione anti-sovietica continua e anche nelle prossime settimane potremo leggere qualcosa di simile al riguardo in più di un commento, a meno ché non si preferisca sottacere del tutto l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. E perché mai, quando di “cambio di sistema” non si parla più da tempo? O la storia non è ancora giunta alla sua “fine”?

Nell’intensificarsi della lotta globale delle potenze in campo per la spartizione delle risorse ancora restanti, il benessere della maggioranza dell`umanità è definitivamente scomparso dall`orizzonte. La minoranza che ancora possiede qualcosa si tiene stretti i suoi beni – con tutte le conseguenze sgradevoli che abbiamo quotidianamente davanti agli occhi, almeno se vogliamo percepirli.

Dieci anni dopo l’esplosione della crisi economica mondiale nel 2007/8 persiste ancora la fase di depressione e le maggiori potenze non possiedono strumenti efficaci per superarla. Il mercato è stato in grado di recuperare parte dei profitti a scapito dei paesi più deboli (nell’UE, per esempio, la Germania a spese dell’Europa meridionale) soltanto con l`utilizzo massiccio di fondi pubblici per salvare le banche e l’intero sistema finanziario. Sul capitale finanziario vero e proprio tuttavia non è stata imposta restrizione alcuna.

domenica 13 novembre 2016

Lenin lettore di Hegel*- Stathis Kouvélakis

*Da:     https://traduzionimarxiste.wordpress.com/        Link all’articolo in francese Période

 
Come spiegare il fatto che al cospetto del disastro della Prima guerra mondiale Lenin si sia ritirato per dedicarsi allo studio della Logica di Hegel? Si tratta di un interrogativo che non ha cessato di turbare il marxismo del primo dopoguerra. Secondo Stathis Kouvelakis, svelare l’enigma dei Quaderni filosofici di Lenin, manoscritti frammentari ed eterogenei, equivale a pensare questo testo come una rettifica del pensiero del movimento operaio europeo. Vero e proprio presupposto alla sua riflessione strategica, la quale condurrà all’Ottobre 1917, il lavoro di Lenin segna un rigetto del positivismo, del meccanicismo e del materialismo volgare della Seconda internazionale. Tale ritorno a Hegel implica una rinnovata istanza rispetto alla dimensione pratica della conoscenza, alla dialettica di salti e inversioni, o ancora, all’attività in quanto processo sociale. Di fronte al crollo della socialdemocrazia, alla necessità di una ripresa, una deviazione nel campo della teoria si rende talvolta indispensabile al fine di poter ricominciare.


Il disastro

Irruzione del massacro di massa nel cuore dei paesi imperialisti dopo un secolo di relativa «pace» interna, il momento della prima guerra mondiale è anche quello del crollo del suo oppositore storico, il movimento operaio europeo, essenzialmente organizzato nella Seconda internazionale. In questo senso, appare adeguata la definizione di «disastro», termine utilizzato da Badiou per significare l’esaurimento della verità di una forma della politica emancipatrice testimoniata da un altro crollo, più recente, ossia quello dei regimi «comunisti» dell’Europa dell’est (1). Considerando che questo secondo disastro va a colpire quella stessa verità politica nata come risposta al primo, e nota come «Ottobre 1917», nonché: «Lenin», è stato allora il ciclo del «secolo breve» ad essersi chiuso su questa disastrosa ripetizione. Paradossalmente, quindi, non si tratta del momento sbagliato da scegliere, per ritornare là dove tutto ciò ha avuto inizio, nell’istante in cui, nel fango e nel sangue che sommergevano l’Europa in quell’estate del 1914, il secolo è sorto.

Catturate dal vortice del conflitto, le società europee e extra-europee (2) sperimentano per la prima volta la «guerra totale». L’insieme della società, combattenti e non combattenti, economia e politica, stato e «società civile» (sindacati, chiesa, media) partecipano integralmente a questa mobilitazione generale assolutamente straordinaria nell’intera storia mondiale. La dimensione traumatica dell’avvenimento non è comparabile con alcun confronto armato precedente. È la sensazione generalizzata della fine di un’intera «civilizzazione» ad emergere dalla carneficina delle trincee, vera e propria industria del massacro, altamente tecnologizzata, dispiegata nei campi di battaglia e ben al di là di questi ultimi (bombardamenti di civili, spostamenti di popolazione, distruzione mirata di aree situate al di fuori del fronte). L’industria della morte di massa stessa si aggroviglia strettamente ai dispositivi di controllo della vita sociale e delle popolazioni, direttamente o indirettamente esposte ai combattimenti. Una tale atmosfera apocalittica, la cui eco risuonerà con forza in tutta la cultura dell’immediato dopoguerra (la quale nasce nel conflitto stesso: Dada, poi il surrealismo e le altre avanguardie degli anni Venti e Tenta), permea tutti i contemporanei. È possibile, ancora oggi, farsene un’idea attraverso la lettura della Juniusbroschure di Rosa Luxemburg (3), uno dei testi più straordinari della letteratura socialista, ogni pagina del quale porta testimonianza del carattere inedito della barbarie in corso.

domenica 16 aprile 2017

SUL PARTITO* - Stefano Garroni

*passaggi tratti dalla discussione sul: DOCUMENTO DI S. GARRONI: ‘LENIN, LA RIFLESSIONE SUL PARTITO’. 12/99 - Qui l'audio dell'incontro:    https://www.youtube.com/playlist?list=PLAA23B4D87D6C9F26                    

[...] la méra registrazione del tipo di figure proletarie, è vista prevalentemente a fini sindacali, non politici, perché ovviamente il problema del partito – e questo lo vediamo appunto in Lenin in modo chiarissimo -, è fondamentalmente il problema di uno strumento per realizzare certi fini, e allora il problema di fondo è stabilire quali sono i fini, quindi andare oltre la questione del partito
[...]la problematica del partito, nascendo all’interno di una problematica più vasta - che è l’analisi della situazione, le finalità del partito, il modo di concepire la teoria marxista -, inevitabilmente coinvolge la totalità del movimento marxista pensante, e quindi è immediatamente – anche la posizione di Lenin -, il risultato di un confronto critico, di uno scontro, di una pluralità di voci.
[...]E’ estremamente bello mi pare, come i grandi protagonisti del movimento comunista usino l’uno verso l’altro un linguaggio estremamente vigoroso, con accuse pesantissime. Lenin è – sappiamo – una figura enorme e sacramentale per tutto il movimento comunista, ed esistono documenti enormi di Trotskij, Bucharin, di Stalin stesso, che dicono cose terribili contro Lenin e viceversa, proprio perché c’è questo costume molto vigoroso e molto con i piedi per terra, per cui l’analisi non si ricava deduttivamente e dogmaticamente dalla teoria, ma si ricava dal confronto reale con i problemi e con tutta la molteplicità dei problemi che al movimento effettivamente si pongono.
[...]Ovviamente, questo sottolineare che Lenin filosofo lo si ricava ragionando sul suo far politica, come dire, è anche una presa di posizione sull’attuale. Voi lo sapete che verso la filosofia c’è un atteggiamento diffuso molto ambiguo. Solitamente si riserva un grande rispetto alla filosofia, nel senso che tutti se ne fregano: “Il filosofo è persona nobile che si occupa dei problemi dello spirito”, cioè è uno stronzo. Se invece andiamo a vedere in concreto, allora ci rendiamo conto che per esempio l’uomo politico Lenin, intanto fa l’uomo politico, in quanto non solo interviene su situazioni determinate proponendo soluzioni determinate, ma in quanto implica in questo una certa teoria, una filosofia, e allora scopriamo come l’intreccio filosofia-politica, stia nell’agire politico stesso. Donde l’indicazione che noi dobbiamo fare molta attenzione a noi stessi quando facciamo politica, nel senso che nel far politica, volendo o non volendo, portiamo avanti una teoria, e quando portiamo avanti una teoria non sapendolo, o non volendolo, stiamo sicuramente portando avanti la teoria peggiore, cioè quella non critica, non consapevole, non ragionata, e quindi vale la pena di nobilitare fino in fondo l’azione politica rendendoci conto che è l’applicazione di una teoria di cui dobbiamo prendere coscienza. Il che ovviamente non significa – come dire – né riproporre il mito del filosofo che fa politica o del politico che è ipso facto del filosofo. Ovviamente il filosofo professionale sarà una cosa diversa dal politico, però rendiamoci conto che né il filosofo professionale può esser sé stesso senza fare anche lui le ricerche politiche di cui deve essere consapevole, né il politico può esser sé stesso senza fare delle scelte teoriche di cui è bene che sia consapevole. 

giovedì 25 gennaio 2024

Il mondo di Lenin. Passaggio a Oriente - Luca Cangemi

Da: https://www.girodivite.it - Luca Antonio Cangemi Docente di Filosofia e Storia, dottore di ricerca in Scienze Politiche, fa parte della segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano. 

Leggi anche: Lenin - Opere complete 

Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923)

LENIN - CENTRALITA' DELLA TEORIA (1996) - Stefano Garroni 

LENIN: LA RIFLESSIONE SUL PARTITO. UN USO DELLA DIALETTICA* - Stefano Garroni

RICERCHE MARXISTE - L’ambivalenza di Lenin - Stefano Garroni 

RICERCHE MARXISTE - Lenin: teoria, ideologia, burocrazia - Aristide Bellacicco 

RICERCHE MARXISTE - Materialismo dialettico, materialismo non dialettico - Aristide Bellacicco

Un “ponte sull’abisso”. Lenin dopo l’Ottobre*- Alexander Höbel

l concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 

Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron 

Dialettica, oggettivismo e comprenetrazione degli opposti. Il pensiero di Lenin tra filosofia e politica*- Emiliano Alessandroni 

Il mito dell’imperialismo russo: in difesa dell’analisi di Lenin*- Renfrey Clarke, Roger Annis**

La luxemburg, Lenin e la democrazia. - Stefano Garroni. 14/06/2006 

Domenico Losurdo: Il fondamentalismo occidentale - Emiliano Alessandroni 

Esiste oggi un imperialismo europeo? - Domenico Losurdo

Il governo della guerra attacca la scuola - Luca Cangemi  

Un blocco imperialista digitale? - Luca Cangemi 

Vedi anche: Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo 

PENSARE LA RIVOLUZIONE RUSSA* - Luciano Canfora 

Cento anni dalla Rivoluzione d'Ottobre - Vladimiro Giacché - Domenico Losurdo 

L'idea di socialismo: ritornare all'utopia o completare il percorso che conduce dall'utopia alla scienza? - Domenico Losurdo


Il discorso di Lenin sull’Oriente è anche il discorso di un nuovo, necessario, rapporto tra il movimento operaio dei paesi capitalistici dell’occidente e i popoli in lotta per la liberazione dal giogo coloniale. La Rivoluzione russa viene vista come il ponte tra queste due realtà. La sconfitta del movimento operaio e del marxismo in occidente pongono ora problemi enormi. 

Lenin è tornato, o forse non se è n’è mai andato in questo secolo trascorso dalla sua morte, anche se nell’ultimo trentennio l’abbattimento delle sue statue è stato uno sport abbastanza diffuso. Oggi qui e lì qualche statua viene ripristinata ma soprattutto in modo abbastanza improvviso (specie per i più distratti) riemerge il valore fondativo della frattura politica e, diremmo, epistemologica operata da Vladimir Ilic.

Se la cifra di questi nostri anni convulsi è il tendenziale rovesciamento della ri-colonizzazione (americana) del mondo, più nota sotto il nome di globalizzazione, e persino il tramonto del dominio occidentale sul globo (esito tutt’altro che scontato ma possibile), allora è necessario tornare a studiare l’iniziativa leniniana poi sviluppatisi lungo assai tortuosi sentieri ben oltre la fine del Secolo Breve (che sembra pretendere di diventare molto lungo) che di questi sconvolgimenti è, indiscutibilmente, la matrice. È come se attraverso la faglia leniniana prorompesse una nuova ondata di materiale storico incandescente, che non si può comprendere se non si torna alle caratteristiche originarie di quella frattura.

Che di frattura decisiva si tratti fu chiaro subito ai protagonisti di questa lunga storia. Il carattere “sconvolgente” e “costituente” delle idee di Lenin e degli atti del governo sovietico (sin dai primi giorni) sull’autodeterminazione dei popoli sono rilevati con stupore praticamente da tutti gli esponenti che da posizioni assai diversificate (a volte lontanissime da quelle dei comunisti) si pongono il tema dell’emancipazione delle nazioni costrette dagli europei alla condizione di colonie o semicolonie.

A Canton Sun Yat Sen fece chiudere i teatri per tre giorni alla notizia della morte di Lenin. È notissima la lettera che (siamo già nel 1930) Nehru scrive da una prigione inglese alla figlia Indira Gandhi indicando come memorabile l’anno di nascita della ragazzina (il 1917!) grazie all’opera di “un grande uomo”, ma valutazioni e attenzioni simili le troviamo in nazionalisti turchi, intellettuali persiani persino in qualche principe afghano con volontà di emanciparsi dal controllo inglese. Senza parlare ovviamente di coloro per cui militanza comunista e militanza anticoloniale da subito si identificarono.

domenica 12 maggio 2019

‘Tutto il potere ai soviet’ - Lars T. Lih

Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com - Link al post originale in inglese John Riddell



                      Il seguente articolo è il primo di una serie di sette. 

  La terza parte: lettera-da-lontano-correzioni-da-vicino-censura-o-rimaneggiamento 

    La quarta parte: Tredici a due: i bolscevichi di Pietrogrado discutono le Tesi di aprile 

     La quinta parte: Una questione fondamentale’: le glosse di Lenin alle Tesi di aprile 

       La sesta parte: Il carattere della Rivoluzione russa: il Trotsky del 1917 contro quello del 1924 

          La settima parte: Esigiamo la pubblicazione dei trattati segreti’: biografia di uno slogan gemello


Un’appendice a questa stessa prima parte, “Mandato per le elezioni al soviet”
pubblicata separatamente nel caso dell’originale inglese, viene qui pubblicata in calce. 



Tutto il potere ai soviet!’, parte prima: biografia di uno slogan


Tutto il potere ai soviet!”, senza alcun dubbio uno dei più celebri slogan nella storia delle rivoluzioni. A giusto titolo a fianco di “Liberté, égalité, fraternité” quale simbolo di un’intera epoca rivoluzionaria. Nel presente saggio, e in altri che seguiranno, prenderò in esame la genesi di questo slogan nel suo contesto originario, quello della Russia del 1917.

Il nostro slogan consiste di tre parole: вся власть советам, vsya vlast’ sovetam. “Vsya” = “tutto”, “vlast’ “potere” e “sovetam” = “ai soviet”. La parola russa sovet significa semplicemente “consiglio” (anche nel senso di suggerimento) e, da questo, “consiglio” (nel senso di assemblea). Oramai siamo ben abituati a questo termine russo, poiché evoca tutta una serie di significati specifici derivanti dall’esperienza rivoluzionaria del 1917.

In questa serie di articoli, ricorrerò spesso all’originale russo di una delle parole presenti nello slogan in questione, vlast’ (che d’ora in poi verrà traslitterata senza segnalare il cosiddetto jer molle [Ь] con l’apostrofo). “Potere” non ne dà una traduzione del tutto adeguata; difatti, nel tentativo di coglierne le sfumature, vlast viene spesso tradotto con la locuzione “il potere” (ad esempio da John Reed in I dieci giorni che sconvolsero il mondo). Il russo vlast riguarda un ambito più specifico rispetto al termine “potere”, ovvero quello dell’autorità sovrana di un particolare paese. Perché un soggetto sia ritenuto in possesso del vlast, deve avere il diritto di assumere decisioni definitive, essere dunque in grado di prenderle e vederle eseguite. Il vlast, per essere effettivo, richiede un fermo controllo delle forze armate, un forte senso della legittimità e missione assunte, nonché una base sociale. L’espressione di Max Weber sul “monopolio della violenza legittima” va dritto al cuore della questione. 

sabato 25 ottobre 2014

RICERCHE MARXISTE - Lenin: teoria, ideologia, burocrazia - Aristide Bellacicco

 Pubblichiamo i risultati del lavoro condotto negli ultimissimi anni dal Collettivo di formazione marxista. Gli autori, di cui pubblichiamo gli scritti, non avrebbero potuto farlo, se non supportati dalla ricerca e dalla discussione dell’intero Collettivo, il quale –in questo senso- è l’autentico autore di questo lavoro.

“E’ il peggio che possa capitare al capo di un partito il venir costretto ad assumere il potere quando il movimento non è ancora maturo per il dominio della classe che esso rappresenta…quel che esso può fare contrasta con tutta la sua condotta precedente…ciò che esso deve fare non è attuabile.”
F.Engels, “La guerra dei contadini”.

1.
“Con le sue sole forze” scriveva Lenin nella “Lettera di commiato agli operai svizzeri” (26 marzo 1917) “ il proletariato russo non può condurre vittoriosamente a termine la rivoluzione socialista”.
Poco prima, nel medesimo testo, troviamo quest’altra affermazione: “un particolare concorso di circostanze storiche ha fatto del proletariato russo per un certo tempo, forse brevissimo, il combattente d’avanguardia del proletariato rivoluzionario di tutto il mondo…la Russia è un paese contadino. Il socialismo non vi può vincere direttamente ed immediatamente.”
Nonostante questa acuta consapevolezza delle condizioni specifiche della Russia all’indomani della caduta dello zarismo, non più di sei mesi dopo, nell’ottobre, Lenin, in disaccordo con importanti dirigenti del Partito operaio socialdemocratico russo (Kamenev e Zinoviev fra gli altri), spinse risolutamente perché i bolscevichi prendessero senza indugio nelle loro mani il potere statale. 

domenica 7 maggio 2017

Dialettica, oggettivismo e comprenetrazione degli opposti. Il pensiero di Lenin tra filosofia e politica*- Emiliano Alessandroni

*Da:   http://www.giornalecritico.it/
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html



1. L'oggettivismo di Lenin e «la favola sciocca del libero arbitrio»

In uno dei suoi scritti giovanili più noti Lenin pone l'attenzione sulla prospettiva non-volontarista ed anticoscienzialista di Marx. Il fondatore del materialismo storico, egli afferma,

considera il movimento sociale, come un processo di storia naturale, retto da leggi che non solo non dipendono dalla volontà, dalla coscienza e dalle intuizioni degli uomini, ma che anzi determinano la loro volontà, la loro coscienza, le loro intenzioni.1

Lenin tende ad evidenziare, in questo come in altri passi, la natura circostanziale della volontà umana, il suo essere, ovvero, ontologicamente inscritta all'interno di reticoli e quadri combinatori, non meramente accidentali, che ne determinano la nascita e ne scandiscono lo sviluppo. Non sembra esser dunque sull'opposizione determinismo/volontarismo che si sia prodotta, sul piano filosofico, la rottura con la II Internazionale2 . La prospettiva deterministica, invero, non viene mai respinta o esecrata dal futuro dirigente bolscevico: al contrario, essa costituirà l'unico punto di partenza dal quale egli, senza minimizzare la dimensione coscienziale del Für sich, riterrà possibile contrastare quei sedimenti di misticismo presenti all'interno del senso comune e coincidenti con la favola sciocca del libero arbitrio:

L'idea del determinismo, stabilendo la necessità delle azioni umane, rigettando la favola sciocca del libero arbitrio, non sopprime affatto la ragione o la coscienza dell'uomo, né l'apprezzamento delle sue azioni. Allo opposto, soltanto dal punto di vista del determinismo è possibile dare un apprezzamento rigoroso e giusto, invece di attribuire tutto ciò che si vuole al libero arbitrio.3

Si tratta di una critica radicale al soggettivismo, la quale, prima ancora che da Marx, Lenin desume da Hegel, la cui Scienza della Logica, descrive il Volere come Necessità inscritta nell'immanenza della Soggettività, come autoimpulso esternante dell'Oggetto, mediato entro se stesso, che si riflette in sé attraverso le proprie interne differenziazioni. La Volontà è volontà degli Esistenti, che costituiscono la concretezza e la determinazione dell'Essere. Ma gli Esistenti non sono autonomi in modo unilaterale ed esclusivo: essi sono invero unità di Autonomia ed Eteronomia, e accrescono la prima con l'aumento delle mediazioni di cui si compone seconda.

giovedì 21 maggio 2020

Nei Quaderni filosofici di Lenin: lo studio della Logica e la lettura del proprio tempo - Emiliano Alessandroni

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n°1/2018, Nei Quaderni filosofici di Lenin: lo studio della Logica e la lettura del proprio tempo, a cura di Emiliano Alessandroni, pp. 74/88, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 - http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1832/1640
Emiliano Alessandroni Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Leggi anche: Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron 


Nel corso degli anni ‘50 e ‘60 del Novecento, collocandosi lungo la scia tracciata da Galvano Della Volpe, Lucio Colletti sviluppa in Italia una requisitoria contro Hegel e segnatamente contro quegli elementi della filosofia hegeliana che, in modo più o meno volontario, erano penetrati all’interno del marxismo, inficiandone, a suo avviso, la consistenza scientifica. Tre i vizi speculativi tramandati, secondo lo studioso italiano, dalla Scienza della logica e dalla Fenomenologia dello Spirito

1) l’assorbimento del quadro storico nel quadro ontologico, vale a dire il complessivo disinteresse verso la «molteplicità del reale», portata a vanificarsi entro «una genericità o un’idea che non rimanda né si riferisce a questo o a quell’aspetto del reale, ma si presenta al contrario essa stessa come la sola e intera realtà»1; 

2) lo «scambio», per usare la terminologia aristotelica, «del genere con la specie»2; 

3) la tendenza a cedere reiteratamente alle lusinghe delle «ipostasi», categorie incapaci «di servire come ipotesi e criteri per l’esperienza» in quanto non desunte da scrupolose osservazioni dell’Oggetto, ma apparse come «un’introduzione surrettizia di contenuti immediati, non controllati»3. 

Sarebbe alquanto facile replicare a Colletti come simili forme di dogmatismo, che costituiscono alcune delle configurazioni che assume il concetto di ideologia in Marx4 , siano in ultima analisi anche alcune delle configurazioni che assume il concetto di intelletto astratto in Hegel – ripartito a sua volta tra l’astrattezza del particolare e l’astrattezza dell’universale. Ma altri sono gli aspetti che qui preme evidenziare: partendo dalle convinzioni di cui sopra, l’allievo di Della Volpe rimprovera a Lenin la tendenza ad allinearsi «nella sostanza» sempre più «alla logica hegeliana»5 . Si tratterebbe di un allineamento a concezioni teologiche, coscienzialiste e mistiche, quali erano quelle che, a suo avviso, la filosofia classica tedesca promuoveva, inclini a contaminare la coscienza del dirigente russo verso forme di speculazione deteriore. È un punto che viene ribadito con fermezza: la «logica» e la «dialettica hegeliana» avevano posto tra gli occhi di Lenin e il mondo un’insidiosa «lente deformante»6. 

Come giudicare queste accuse? Lo studio della filosofia di Hegel concorre realmente a indebolire la comprensione che Lenin maturerà del mondo? Per rispondere a queste domande occorre tornare indietro fino al 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale. Guerra che vedrà un altissimo numero di vite falcidiate, in massima parte appartenenti agli strati sociali meno abbienti. In quel mentre, nei parlamenti inglese, francese, austriaco e tedesco, i deputati socialisti che pur si ergevano a portavoci delle masse popolari, votavano favorevolmente ai crediti di guerra. È una vicenda che suscita l’indignazione di Rosa Luxemburg: «l’immortale appello del Manifesto comunista» di Marx ed Engels (“proletari di tutti i paesi unitevi”) «subisce» ora, «un completamento essenziale...secondo la correzione apportatavi da Kautsky...: “Proletari di tutti i paesi unitevi in pace e sgozzatevi in guerra!”»7. 

martedì 28 ottobre 2014

RICERCHE MARXISTE - Materialismo dialettico, materialismo non dialettico - Aristide Bellacicco


Pubblichiamo i risultati del lavoro condotto negli ultimissimi anni dal Collettivo di formazione marxista. Gli autori, di cui pubblichiamo gli scritti, non avrebbero potuto farlo, se non supportati dalla ricerca e dalla discussione dell’intero Collettivo, il quale –in questo senso- è l’autentico autore di questo lavoro


“Non abbiamo alcuna prova assolutamente conclusiva né della realtà del mondo esterno né dell’esistenza di noi stessi, ma abbiamo buone prove induttive per entrambe le  assunzioni” 
(Hans Reichenbach, La nascita delle filosofia scientifica)

“Lo spazio assoluto, vale a dire il paletto al quale sarebbe necessario che la terra faccia riferimento per sapere se si muove davvero, non ha esistenza oggettiva” (Henri Poincaré).

“L’unica proprietà della materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza” (Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo.)


Ecco tre affermazioni fatte a varia distanza di tempo l’una dall’altra ma soprattutto, ciò che più ci interessa, a partire da visioni del mondo completamente diverse e forse opposte.
Le prime due sono da ricondursi al progressivo venire alla luce del punto di vista della scienza contemporanea, di cui Poincarè e Reichenbach – quest’ultimo, almeno per un certo periodo, vicino al neopositivismo e al Circolo di Vienna – costituiscono due importanti punti di riferimento; la terza, di Lenin, è contenuta in un suo famoso scritto filosofico: Materialismo ed empiriocriticismo, edito in Russia nel 1908.

Questo libro, scritto nel vivo di una polemica che opponeva Lenin ad importanti esponenti del Partito (in particolare Bogdanov e Lunatcharsky) acquistò nel tempo una decisiva importanza fino a rappresentare, nell’ambito della Terza Internazionale, la principale fonte di ortodossia ideologica, per i Partiti comunisti europei, riguardo al giudizio sulla scienza “borghese” che, in quegli anni, si apriva a teorie come quella della relatività di Einstein e alle nuove vedute sulle particelle atomiche e subatomiche.