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«il capitalismo non produce calze per regine».
(Schumpeter 1971)
(Schumpeter 1971)
1. Tra la terza e la quarta sezione
Il cap. 10 del Libro I del Capitale definisce il concetto di «plusvalore relativo», ponendosi tra la terza sezione, dedicata a La produzione del plusvalore assoluto (capp. 5-9) e la quarta sezione, dedicata appunto a La produzione del plusvalore relativo (capp. 10-13). Queste sezioni rappresentano il cuore del Libro I, il nucleo essenziale della rivoluzione scientifica prodotta da Marx.
Il cap. 10 del Libro I del Capitale definisce il concetto di «plusvalore relativo», ponendosi tra la terza sezione, dedicata a La produzione del plusvalore assoluto (capp. 5-9) e la quarta sezione, dedicata appunto a La produzione del plusvalore relativo (capp. 10-13). Queste sezioni rappresentano il cuore del Libro I, il nucleo essenziale della rivoluzione scientifica prodotta da Marx.
La terza sezione ci ha condotti «nel segreto laboratorio della produzione sulla cui soglia sta scritto No admittance except on business» (Marx 1975, 212), dove finalmente si svela l’arcano della produzione di plusvalore, rimasto inaccessibile all’analisi degli economisti classici. Com’è noto, la distinzione cruciale introdotta da Marx è quella tra forza-lavoro, oggetto di acquisto nella sfera della circolazione al suo valore di scambio, e lavoro, ossia uso della forza-lavoro nel «processo di produzione immediato». Il processo di produzione immediato, indagato cioè «allo stato puro […] facendo astrazione da tutti i fenomeni che nascondono il giuoco interno del suo meccanismo» e in particolare dal «movimento mediatore della circolazione» (Marx 1975, 694), oggetto dell’intero Libro I (cfr. Marx 1975, 7), rappresenta, come scrive Louis Althusser (2006, 21), l’«enorme svista» degli economisti classici, la zona d’ombra che impedisce loro di riconoscere lo sfruttamento capitalistico. Non si tratta, ovviamente, come Althusser (2006, 21) sottolinea con grande efficacia, di non cogliere un dato, qualcosa che «tuttavia era sotto gli occhi, […] a portata di mano». Si tratta di un più delicato problema di costruzione dell’oggetto scientifico o del campo di indagine. Per gli economisti classici il processo di produzione è meramente tecnico, storicamente e socialmente indifferente[1], mentre per Marx ciò che conta sono le peculiarità che esso mostra «nel suo svolgersi come processo di consumo della forza-lavoro da parte del capitalista» (Marx 1975, 224), analizzando le quali è possibile individuare l’appropriazione di plusvalore come lavoro altrui non pagato, in prima istanza come plusvalore assoluto, ossia come semplice prolungamento della giornata lavorativa oltre al tempo di lavoro necessario a riprodurre il valore della forza-lavoro (assumendo come date l’intensità e la forza produttiva del lavoro) .
Se la terza sezione e il concetto di «plusvalore assoluto» rappresentano una solida acquisizione per tutto il marxismo successivo a Marx – si tratta del resto dell’esplicitazione dello sfruttamento e dell’insanabile conflitto che oppone classe capitalistica e classe operaia – non si può dire altrettanto per la quarta sezione introdotta dal cap. 10, che pure ha un ruolo essenziale nell’inquadrare la specificità del capitalismo come produzione di massa di tipo industriale. La riscoperta di questi capitoli del Libro I è tarda, databile agli anni ’60 e ’70 del secolo scorso[2]. La voce più autorevole è forse quella di Harry Braverman, che analizza taylorismo e fordismo con gli strumenti tratti dai capitoli marxiani su cooperazione, divisione del lavoro e grande industria, aprendo una nuova stagione di studi dell’organizzazione capitalistica del lavoro[3]. Il marxismo precedente – specie quello ortodosso delle accademie sovietiche – sembra invece riproporre l’«enorme svista» degli economisti classici, trattando la produzione in termini meramente tecnici: socialismo «in costruzione» e capitalismo «maturo» venivano infatti contrapposti sul piano della circolazione (la pianificazione contro l’anarchia del mercato) e della distribuzione (la «proprietà di tutto il popolo» e l’equità dei redditi contro la proprietà privata e l’ingiusta ricchezza di pochi), mentre sul piano della tecnica e dell’organizzazione del lavoro il capitalismo veniva emulato («taylorismo ed elettrificazione» fu lo slogan della NEP)[4].
C’è stata dunque, al volgere del secolo scorso, una certa messe di studi sull’organizzazione capitalistica del lavoro ispirati alla quarta sezione del Libro I del Capitale e soprattutto ai capp. 11-13: studi molto interessanti, pur con alcuni limiti (come a suo tempo ho sostenuto, un certo “automobilocentrismo”, ossia un’attenzione forse eccessiva alle novità introdotte nel vecchio settore trainante della meccanica leggera e, per contro, una scarsa capacità critica nel valutare le promesse millantate dalle nuove tecnologie basate sull’informatica e sull’elettronica)[5]. Dati questi limiti, non sarà forse inutile focalizzare l’attenzione proprio sul cap. 10, che dei capitoli successivi – davvero splendidi – costituisce la premessa teorica.