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Nota dell’editore
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È facile comprendere come, quali che siano le tesi, che vengono sostenute a proposito del rapporto scienza – politica, a loro fondamento ci debba essere un certo modo di pensare il rapporto ragione – comportamento pratico. Sappiamo, anche, che la storia filosofica presenta tesi diverse e perfino incompatibili in proposito. Probabilmente è vero anche, però, che, in epoca moderna (dunque, in questo ambito, mi disinteresso del pensiero classico), le due posizioni possibili ed auto-esclusive, circa il rapporto ragione – comportamento pratico, sono state assunte e sviluppate rispettivamente da Kant e da Hegel.
Chiunque, dunque, voglia (o abbia voluto) porsi il primo problema (del rapporto scienza – politica), sul piano logico, deve aver affrontato dapprima l’altra questione, quella del rapporto fra ragione e comportamento pratico: lo scopo di questo scritto è esattamente ricostruire – assai schematicamente in vero – il pensiero in proposito dei due classici citati, che sono ancora una volta Kant ed Hegel.
I – Una curiosa contraddizione in cui viviamo (ma, forse, curiosa non è l’aggettivo esatto, dati i guasti che ne derivano dal punto di vista sia politico, che morale), è quella di scambiare ciò che è nuovo per noi, – nel senso che capita per la prima volta nella nostra esperienza, con ciò che è oggettivamente nuovo, – nel senso che si presenta per la prima volta (nella misura in cui ciò sia di fatto possibile) all’esperienza storica o obiettiva.
La medicina contro tale errore, la terapia contro l’ideologia del novismo, ovviamente è lo studio della storia, attraverso cui possiamo scoprire la piena attualità di certi testi, scritti secoli addietro.
Dico “attualità”, nel senso che quei testi sanno chiarirci i termini di problemi odierni molto meglio di quanto non faccia tanta parte della letteratura contemporanea (che generalmente non è scientifica, ma sì ideologica). Veniamo al punto.