- Capitalismo e dottrina sociale della Chiesa cattolica vanno d’accordo, nonostante questa agiti il tema della disuguaglianza e della povertà.
- La cultura politica e sociale della Chiesa cattolica è un vero e proprio calderone, contenente lo stesso secolare brodo continuamente rimestato e magari ripresentato con l’aggiunta di qualche “esotica spezia”.Ricavo questa osservazione dalla lettura della lunga intervista fatta dal quotidiano di Confindustria (Il Sole 24 ore del 10 marzo 2019) a suor Alessandra Smerilli, “una delle economiste più ascoltate dalla CEI (Conferenza episcopale italiana) e dal Vaticano al tempo di Bergoglio”. A ciò aggiungo che anche il sodalizio Chiesa-Confindustria, documentato dall’articolo, nel quale si prefigura un’economia dell’uguaglianza, non costituisce certo una novità, dato che quest’ultima tira di tanto in tanto in ballo la consunta dottrina sociale cattolica per attutire le asperità del mercato.
Oltre
ad essere economista e ovviamente donna, suor Alessandra fa parte
della Consulta femminile, segmento del Pontificio Consiglio
culturale, appartiene alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha due
prestigiosi dottorati e si occupa tra l’altro di disoccupazione
giovanile; o meglio – si potrebbe dire – si adopera per
diffondere e far penetrare il
pensiero economico dell’attuale papa,
il quale si è espresso contro “l’economia che uccide”,
auspicando un’economia che “include i poveri, che usa i profitti
per creare comunione”. Parole, il cui senso concreto resta
misterioso, che lasciano poveri i poveri, sia pure inclusi (ma non
fanno già parte del sistema capitalistico?), e i profitti indenni,
affidandosi come sempre alla buona volontà di chi li detiene.
Insomma, come dicevo, la dottrina sociale della Chiesa cattolica, le
cui radici stanno nell’Enciclica Rerum
Novarum emanata
da Leone XIII nel 1891, dottrina che auspica la stretta
collaborazione tra capitale e lavoro; la novità sta nel fatto (la
“spezia esotica”) che a proporla sia una donna, suora economista
quasi femminista, il che per la Chiesa cattolica contiene un pizzico
di sovversione.
Ulteriore
significato misterioso ha la critica ad “alcune forme inaccettabili
della realizzazione del mercato”, il quale dovrebbe essere invece
per Papa Ratzinger, citato nell’intervista, luogo di “incontro
tra le persone”.
L’intervista,
fatta da Paolo Bricco, ha un tono leggero: ci informa che suor
Alessandra non porta il velo (altra sovversione della tradizione), è
fortemente impegnata nel suo lavoro, ci descrive il luogo dove si
svolge il dialogo tra l’intervistatore e la suora (un ristorante
salutista in un quartiere borghese di Roma) e riferisce il cibo
consumato. Particolari irrilevanti – direte voi – che vogliono
dar colore all’evento, ma che hanno una funzione precisa: servono a
comunicarci che suor Alessandra, professore ordinario in
un’università cattolica e professore visitatore in un’università
statunitense, è una di noi, per di più vicina alle battaglie delle
donne (unica lotta oggi riconosciuta istituzionalmente e propagandata
a più non posso). Tuttavia, anche sulla questione
femminile le
parole dell’economista-suora sono fumose, giacché si limita ad
affermare che nella struttura e nella gerarchia ecclesiastiche c’è
poco spazio per le donne, senza rivendicare un loro ipotetico diritto
al sacerdozio, riconosciuto invece dalle Chiese protestanti. Spesso
le ideologie si avvalgono di queste forme espressive metaforiche che
sembrano promettere molto, ma che di fatto, non prefigurando una
precisa applicazione concreta delle loro formule, restano vaghe e
pronte ad essere rispolverate in tutte le occasioni.
L’intervista
comincia con una vera e propria falsità e con una lampante
contraddizione: “L’Occidente ha ridotto la povertà. La
globalizzazione trainata dall’Europa e dagli Stati Uniti ha creato
le condizioni per la crescita economica di pezzi interi del mondo.
Ora però l’Occidente deve diminuire le disuguaglianze”. Orbene,
mi pare, non si capisce come l’Occidente abbia potuto ridurre la
povertà, se – come si dice più avanti – “gli oligopoli
economici e reddituali, tecnologici e culturali hanno aumentato la
concentrazione di risorse, di potere e di influenza nella mani di
poche strutture e di poche persone”. Credo che sia molto più
adeguato il
concetto di sviluppo ineguale e combinato, impiegato
da molti economisti marxisti, per
spiegare quanto è successo a partire dalla colonizzazione, con il
quale si descrivono assai bene le contraddizioni emerse tra i paesi,
che Fidel Castro indicava come “sottosviluppati” e
“sottosviluppanti”.
Secondo
questa linea si può comprendere a fondo il legame dialettico tra la
prosperità dei paesi capitalistici (sempre con settori interni assai
poveri) [1], e la miseria dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo e di
intere regioni – come prima dicevo – appartenenti ai primi. Ed è
proprio su questa base che la stessa nozione di globalizzazione,
fenomeno in realtà apportatore di un acuirsi estremo delle
differenze economiche e sociali, viene rigettata da molti studiosi,
tra i quali mi limito a menzionare Noam Chomsky.
Per
risolvere queste drammatiche contraddizioni, dalle quali scaturisce
anche l’inarrestabile fenomeno della migrazione, e per ridurre le
disuguaglianze, suor Alessandra ripropone la solita visione
moralistica dell’economia ripresa dall’Enciclica Laudato
Sii di
papa Bergoglio (2015), che sottolinea la responsabilità sociale dei
consumatori. Trasferendo un problema relativo al funzionamento della
struttura sociale sul piano del comportamento morale individuale
(procedimento che garantisce l’immutabilità della stessa
struttura), egli afferma: “Acquistare è sempre un atto morale,
oltre che economico”. Cercando di scaricare la colpa del gravissimo
problema ecologico contemporaneo sui consumatori (come se noi
potessimo scegliere liberamente cosa consumare), la suora-economista
commenta: “il tema del degrado ambientale chiama in causa i
comportamenti di ognuno di noi”.
Unificando
economia ed ecologia, che sono sicuramente interconnesse (ma il
problema è vedere come), suor Alessandra ha la possibilità di
scivolare nella retorica: “Non si può ascoltare il grido dei
poveri, e dei giovani tra i poveri, senza ascoltare il grido della
terra, perché sono lo stesso grido”. Se tutto si riduce al
prospettato cambiamento dei comportamenti individuali, non ci si
focalizza sullo sfruttamento inarrestabile delle risorse naturali,
sulle guerre con le loro pratiche inquinanti, sulla progettazione di
investimenti senza verificare la loro sostenibilità ambientale; e
soprattutto non si mette in evidenza che questi sono tutti aspetti
prodotti da uno specifico sistema sociale nel quale gli individui si
trovano ad operare come chiusi in una gabbia. Pertanto, porsi il
problema della relazione tra ecologia ed economia a livello
individuale non ha alcun senso, dato esso deve essere impostato al
livello della struttura sociale. Solo la trasformazione di
quest’ultima apre nuove opportunità di comportamento agli
individui, i quali non godono mai in nessun sistema sociale di una
libertà astratta e totale, ma sempre di una libertà
condizionata dovuta
alle limitate scelte possibili che ogni sistema sociale offre loro.
Questa
condizione dell’individuo nella vita sociale è stata spesso
descritta con la metafora della partita
a scacchi:
nella nostra vita quotidiana noi ci troviamo di fronte una scacchiera
già predisposta dall’insieme delle mosse fatte in precedenza dagli
altri in quanto incarnazione delle forze politico-sociali esistenti e
operanti anche nel passato, e non possiamo fare altro che scegliere
certe mosse per vincere. Tra queste, però, data la natura
contraddittoria del sistema capitalistico che oppone interessi e
classi differenti, è presente la possibilità almeno teorica di un
suo sovvertimento, il quale non può che realisticamente basarsi su
queste forze già presenti e embrionalmente oppositive.
Altro
elemento che si ricava dall’intervista è che suor Alessandra
conosce solo l’economia neoclassica, alla quale rivolge le sue
critiche, in particolare all’idea dell’individuo inteso come “una
monade che pensa a sé” e ai suoi vantaggi, cui contrappone
“l’economia della comunione” e “l’economia civile”. A suo
parere, ponendo l’accento sulla comunità invece che
sull’individuo, queste ultime, se adottate, ci permetterebbero di
risolvere i gravi problemi incombenti, in
primis quelli
della povertà e della disuguaglianza, ovviamente senza modificare in
nulla le strutture esistenti (ciò è implicito).
Consapevole
di essere la portavoce del pensiero economico dei papi, la
suora-innovatrice osserva che, del resto, essi non sono degli
economisti veri e propri, piuttosto sono dei pastori, i quali
comunicano la loro visione del mondo e le loro preoccupazioni per il
bene dell’umanità, riciclando così l’eterno paternalismo sotto
l’egida del quale la Chiesa vuole orientare le masse.
Note
[1]
Si pensi per esempio ai territori dell’antica Germania dell’est
impoveriti e depredati dalla brutale annessione alla Repubblica
federale, che da questa ha tratto un grande vantaggio. A questo
proposito si veda il bel libro di V. Giacché, Anschluss.
L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro
dell’Europa,
Imprimatur 2013).
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