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Arrivo tardi, come al solito.
La
foto di destra l’avrete oramai vista tutti. Già la chiamano la
foto del secolo.
È la prima foto mai scattata di un buco nero.
È la prima foto mai scattata di un buco nero.
Più
o meno.
Più
o meno perché non è davvero una foto, ma un’elaborazione grafica
di dati radio. E più o meno perché il buco nero è letteralmente il
cerchietto nero al centro della ciambella, e quindi non si vede
davvero. Ma non si vede non per nostri limiti tecnologici, è che non
si può vedere: un buco nero è infatti una regione dello spazio
(spaziotempo, a fare i pignoli) in cui l’attrazione gravitazionale
di una massa risucchia tutto, luce compresa. Nulla sfugge né può
sfuggire (Hawking passamela questa, per il momento). Con “nulla”
intendiamo anche la luce che ci fa vedere le cose, trasportando
informazioni come un postino spaziale.
Il
buco nero che (non) vedete è quello di una galassia chiamata Messier
87, o M87, o Virgo A, o ancora NGC 4486. Questo perché a noi
astrocosi piace un sacco complicarci una vita già piena di disagi e
solitudine dando tanti nomi diversi e complicati alla stessa cosa,
manco fossimo un Cracco in Galleria Duomo a Milano.
-
Cameriere, mi scusi... cos’è di preciso questo “Trionfo
ghiacciato di nettare olmeco e centrifuga di latte in fantasia di
cialda dolce e pioggia di nocciolo” da 15 euro?
- Un cornetto Algida.
- Un cornetto Algida.
La
galassia M87 è una cosiddetta galassia ellittica supergigante. È
una delle galassie più massicce del nostro circondario, che
chiamiamo Universo locale. Si trova nell’ammasso della Vergine, a
53 milioni e mezzo di anni luce da noi. Vuol dire che il postino
luce, che pedala comunque a 300 mila chilometri al secondo ed è
imbattibile in velocità, ci mette 53 milioni e mezzo di anni a
consegnare la busta.
[A Poste Italiane piace questo elemento]
Al
centro di questa galassia c’è un buco nero supermassiccio, M87*: 6
miliardi e mezzo di volte la massa del Sole; 2 milioni di miliardi di
volte la massa della Terra; 140 miliardi di miliardi di miliardi di
miliardi di Perri. E poi continuate a dire che sono io, quello in
sovrappeso.
A dirla tutta lo smilzo non è proprio al centro
della galassia, è un po’ decentrato. Non sappiamo di preciso il
perché. Abbiamo un paio di idee, ma non è carino star qui a
discutere delle asimmetrie di galassie che hanno già problemi di
linea.
La
ciambella luminosa che vedete nell’immagine non è una ciambella e
non fa parte del buco nero. O meglio, non ancora. È materia –
principalmente gas e polveri – in caduta verso di esso. Materia che
ha una temperatura di miliardi di gradi e che ruota a formare un
disco, detto di accrescimento. Grazie al potere aspirante dell’enorme
Rumba che c’è al centro, su quel disco finiscono ogni giorno nuovi
gas e polveri. 90 masse terrestri di nuovi gas e polveri.
La
parte più brillante del disco è quella in cui il materiale in
rotazione è diretto verso noi osservatori. Ci viene incontro,
insomma. Il fenomeno si chiama effetto doppler relativistico, e non è
troppo diverso dall’effetto doppler per cui quando arriva
un’ambulanza non capiamo da dove viene e, nel dubbio, liberiamo la
strada gettandoci in un fossato con l’auto.
Ad un certo punto,
però, la materia si avvicina troppo al buco nero, superando il
cosiddetto Orizzonte degli Eventi. Il Punto di Non Ritorno. La soglia
della cioccolateria, passata la quale vi sarà impossibile tornare
indietro. E superata la quale nemmeno il postino luce può ripartire,
rimanendo a morire male con tutte le sue buste.
[Ogni riferimento agli uffici postali calabresi da cui ho spedito cartoline mai giunte durante l’infanzia è puramente casuale]
Immaginate una cascata: potete nuotare quanto volete nelle rapide in cima ma, se arrivate al punto del salto nel vuoto, oramai avete poco da dimenarvi.
[Ogni riferimento agli uffici postali calabresi da cui ho spedito cartoline mai giunte durante l’infanzia è puramente casuale]
Immaginate una cascata: potete nuotare quanto volete nelle rapide in cima ma, se arrivate al punto del salto nel vuoto, oramai avete poco da dimenarvi.
Da
lì comincia il buco nero. Che, si diceva, è nero su nero, quindi
non lo vediamo. La cosa molto bella, però, è che se ci fate caso
non è perfettamente circolare: è ovale. La forma non è dovuta ad
un effetto ottico dovuto al nostro punto di vista, ma ci dice che con
ogni probabilità quel buco nero ruota su se stesso come una trottola
bella veloce.
Insomma,
se ci pensate non è male, come foto che non è una foto.
E che
per giunta è arrivata inattesa, perché ci si aspettava l’immagine
di un altro buco nero: Sagittarius A*, quello al centro della nostra
Galassia, la Via Lattea. Decisamente più vicino, a soli 26 mila anni
luce. M87* è circa duemila volte più lontano. Però è anche circa
duemila volte più massivo, per cui “a occhio” hanno le stesse –
minuscole – dimensioni nel cielo. Inoltre, osservandolo da lontano,
non si ha un sacco di materia della nostra galassia a dare noia
durante l’osservazione. Insomma, era il buco nero di scorta, ma è
risultato essere il più fotogenico. Per una bella immagine di
Sagittarius A*, invece, sapremo aspettare.
C’è
però gente che passa volentieri settimane a discutere dell’immagine
di un fuorigioco ma che in queste ore sbuffa annoiata, chiedendosi
cosa mai ce ne possa fregare dell’immagine dell’Occhio di Sauron,
o di una Alpenliebe infuocata.
Una
prima risposta la fornisce l’immagine di sinistra. È la
simulazione che avevamo dell’oggetto in questione, a partire dalle
equazioni della fisica che conosciamo. Fra le altre quelle di
Einstein della Relatività Generale, vecchie di oltre un secolo.
Quelle che, tra le altre cose, ci consentono di avere i satelliti del
GPS che usiamo ogni giorno. Ed il risultato è impressionante, per il
vecchino coi baffi a cui negli ultimi anni stiamo regalando sempre
più soddisfazioni con le osservazioni a favore della sua teoria.
Non
sono però sicuro che la risposta possa convincervi tutti, sbuffatori
seriali, quindi vi racconterò brevemente di come è stata raccolta
l’immagine.
10 radiotelescopi in giro per il mondo,
sincronizzati con orologi atomici ultraprecisi, sono stati raccolti
in una rete chiamata Event Horizon Telescope, a formare un unico
telescopio virtuale del diametro pari a quello terrestre (poco meno
di 13 mila chilometri). 120 ore di osservazione in due anni hanno
prodotto 10 mila terabyte di dati, che sono stati dati in pasto ai
più potenti supercomputer esistenti, affinché li analizzassero.
Centinaia di ricercatori di 40 Paesi hanno lavorato con un unico –
pacifico – obiettivo: spostare l’asticella della conoscenza un
po’ più in alto. Per giungere ad osservare l’inosservabile. Per
renderci conto che non siamo solo bravi (o almeno non sempre) a farci
le guerre sventolando bandiere che hanno un senso solo nella nostra
testa. Per capire quanto piccoli e sperduti siamo nel cosmo. E quanto
siamo fortunati, sulla nostra oasi blu di cui sembra importarci poco
o nulla.
E
se lo stimolo per questa consapevolezza arriva da una foto che foto
non è, di un soggetto che non si può vedere, ricevendo la
comunicazione da un postino che percorre 500 miliardi di miliardi di
chilometri in 53 milioni e mezzo di anni, allora ben vengano le
Alpenliebe infuocate. Perché il tempo per tornare a parlare di
conflitti, porti e confini, purtroppo, lo ritroveremo sempre troppo
velocemente.
Nel
frattempo, Maria, con emozione e meraviglia, io apro la busta.
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