sabato 29 maggio 2021

Svolta classista nella scuola sottomessa al capitale - Paolo Massucci

Da: https://www.lacittafutura.it - Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni.

Leggi anche: La dura lotta intercapitalista - Paolo Massucci 

IDEOLOGIA CLASSISTA, SCUOLA CLASSISTA - Paolo Massucci 

LA START UP CHE FA ENTRARE NELLE FACOLTA’ A NUMERO CHIUSO” Paolo Massucci



Il capitalismo in crisi nel XXI secolo abbandona il pensiero liberaldemocratico, che aveva costituito l’ideologia prevalente nei paesi capitalistici più avanzati, per volgersi verso una ideologia elitaria in cui la vita di ciascuno è tenuta sempre più sotto controllo.



Nella mediocrità conformista dei nostri giornali, risalta un ottimo articolo di fondo sul “Corriere della Sera” del 4 maggio 2021 dal titolo Scuola: la nuova maturità con il curriculum sarà un po’ classista di Ernesto Galli della Loggia, stimato politologo e storico, di buon livello, ma da sempre considerato un conservatore, anzi, per l’esattezza, un liberale vicino alla destra economica. 

Nonostante la distanza ideologica con l’autore, questo articolo, che critica radicalmente l’introduzione del curriculum vitae dello studente come elemento di valutazione del diploma di maturità, si può profondamente condividere quasi in toto dal punto di vista culturale e della visione del mondo.

Pur concernendo un tema particolare, che può apparire minore, lo scrittore tratta in realtà una questione centrale e rappresentativa della visione della nostra società e del futuro che si prospetta. Insomma, ci si deve interrogare, come mai, leggendo l’articolo, ci si trovi sulla stessa lunghezza d’onda di un editorialista fondamentalmente di orientamento di destra.

venerdì 28 maggio 2021

Silenzio su Gaza e su noi stessi - Alberto Negri

Da: https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) e “l musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017)

Leggi anche: Cade la maschera di Israele e anche la nostra - Alberto Negri 

I morti palestinesi, la censura di Facebook e l'ipocrisia di tutti - Alberto Negri


Informazione italiana. L’atteggiamento nostrano è questo: “Se ne riparlerà alla prossima eruzione”, come se Gaza e la Palestina fossero un fenomeno naturale, come Stromboli. Eppure anche lì il vulcano non dorme mai. E tutti hanno paura di morire, gli stessi che pubblicano i miei articoli.


Se non fosse per Michele Giorgio, inviato del manifesto a Gaza, sui media italiani sarebbe calato il silenzio più totale. L’atteggiamento nostrano è questo: “Se ne riparlerà alla prossima eruzione”, come se Gaza e la Palestina fossero un fenomeno naturale, come Stromboli. Eppure anche lì il vulcano non dorme mai. Ma le bombe e le loro vittime non sono fenomeni naturali: sono crimini di guerra. Ce lo dice Michelle Bachelet, alto commissario Onu per i diritti umani, secondo la quale i raid israeliani su Gaza possono costituire dei crimini di guerra e che pure Hamas ha violato le leggi umanitarie internazionali lanciando razzi su Israele.
Se c’è un inferno sulla terra è quello che ha investito le vite dei bambini palestinesi a Gaza, dice la signora Bachelet: i morti _ma il bilancio è ancora assai provvisorio _ sono stati 270 tra la Striscia, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, di questi 68 sono bambini. Nonostante le dichiarazioni israeliane, non c’è nessuna prova che gli edifici sgretolati dai missili e delle bombe dello stato ebraico ospitassero gruppi armati o fossero usati per scopi militari. In poche parole, secondo l’Onu, il governo israeliano del premier Netanyahu ha giustificato con delle menzogne la morte di centinaia di civili che nulla avevano a che fare con il conflitto. Per questo al consiglio Onu dei diritti umani è partita una richiesta, appoggiata dagli stati musulmani, di insediare una commissione d’inchiesta per investigare su possibili crimini di guerra e stabilire le responsabilità.
Una cosa è certa: le bombe “intelligenti” israeliane non esistono, e tanto meno a Gaza. Ci sono certamente negli arsenali e si possono usare con estrema precisione ma non è questo il caso: missili e ordigni sono stati puntati e scaricati consapevolmente sui civili perché questa è la guerra che combatte oggi lo stato ebraico, un conflitto dai contorni terroristici, speculare a quello di Hamas. L’obiettivo è soltanto in parte colpire i bersagli pregiati, come i capi di Hamas o del Jihad, oppure i famosi tunnel. In realtà, come hanno ammesso le stesse fonti delle forze israeliane (Idf) riportate da Haaretz nei giorni scorsi, a un certo punto “i bersagli militari erano finiti”.
Questo significa che non restavano che i civili da colpire, indiscriminatamente. Ed è esattamente quello che ci racconta Michele Giorgio nei suoi reportage: altro che tunnel, sono stati rasi al suolo palazzi dove si stanno ancora tirando fuori le vittime dalle macerie e sono state colpite persino le librerie.
Lo scopo della guerra oggi non è neutralizzare degli eserciti, questo accade solo in parte: il vero obiettivo è terrorizzare la popolazione, spingerla a fuggire, a vivere in condizioni disumane. Una sorta di pulizia etnica dall’alto che a volte, come è accaduto anche a Gaza, non prevede un’operazione di terra, che viene evocata soltanto per intorbidare le acque della propaganda. La strategia di questi governi israeliani di destra non è soltanto quella di essere contrari alla formula “due popoli, due stati”. Va ben oltre. Non si nega soltanto uno stato agli arabi ma anche la loro stessa esistenza come popolo.
Israele di oggi è interessato soltanto ad avere tra gli arabi dei sudditi o cittadini di seconda classe: la prova lampante è che nel 2018 la Knesset ha approvato una legge che proclama Israele “stato nazionale del popolo ebraico”. Non una sola parola fa riferimento agli arabi israeliani. Semplicemente non esistono e questa situazione ora, nelle città miste, è diventata esplosiva.
La maschera di Israele, citato come unico stato democratico della regione, non regge più: si tratta di un’entità segregazionista che pretende di prendersi dai palestinesi tutte ciò che vuole, in violazione di ogni legge internazionale, da Gerusalemme Est a pezzi della Cisgiordania dove insediare i coloni, confiscando case e terreni. E se non ti va Israele entra a casa tua e ti spara una bomba, intelligente naturalmente.
Israele è uno stato fuori legge ma nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente. Tanto meno l’amministrazione Biden. Nella sua visita a Gerusalemme il segretario di stato Antony Blinken non ha messo in discussione nulla con Netanyahu, dagli aiuti militari, al “diritto di Israele a difendersi” e tanto meno l’annessione di Gerusalemme e del Golan regalata da Trump. L’unica differenza tra Tel Aviv e Washington sta nel negoziato con l’Iran. Nel 2003 Bush junior, attaccando l’Iraq, disse che l’avrebbe riportato al Medioevo. Israele fa il suo Medioevo radendo al suolo Gaza e attuando leggi feudali. Il resto sono chiacchiere oppure uno studiato silenzio per addormentare le coscienze.

martedì 25 maggio 2021

Pandemia e Capitalismo del XXI secolo - Marco Antonio Pirrone e Alessandra Ciattini

Da: Università Popolare Antonio Gramsci
Marco A.Pirrone è ricercatore di sociologia generale presso il Dipartimento “culture e società” dell'Università degli studi di Palermo. 
Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) insegna Antropologia culturale alla Sapienza,


     Quarta lezione - Pandemia, liberismo e ristrutturazione delle forze produttive. 
     Dall’utopia capitalistica ad uno scenario apocalittico - M.A.Pirrone, A. Ciattini: 
 
     

lunedì 24 maggio 2021

Dante nei “Quaderni del carcere”: il canto decimo dell’Inferno di Antonio Gramsci. - Giorgio Gattei

Da: Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna. 


1. In epoca di celebrazioni dantesche commuove trovare nell’indice del primo Quaderno del carcere dell’8 febbraio1929 che Antonio Gramsci, fra gli argomenti privilegiati da trattare in prigionia per mantenere il cervello in attività, avesse messo al quinto posto «Cavalcante Cavalcanti: la sua posizione nella economia [corretto: struttura] e nell’arte della Divina Commedia» (vedine l’immagine sopra riportata). Al tempo degli studi universitari a Torino Gramsci era stato attratto dalle lezioni di Umberto Cosmo, incaricato di Letteratura italiana, con cui aveva instaurato un rapporto di amicizia, e forse per quel tramite gli era nata la passione per lo studio della Divina Commedia e sulla quale, entrando in carcere, riteneva di poter dire qualcosa di nuovo essendo convinto (come aveva scritto in una lettera alla cognata Tatiana il 26 agosto 1929) che sul canto decimo dell’Inferno «ho fatto una piccola scoperta che credo interessante e che verrebbe a correggere in parte una tesi troppo assoluta di Benedetto Croce. Non ti espongo l’argomento perché occuperebbe troppo spazio… ma nel decimo canto tutti sono tutti affascinati dalla figura di Farinata e si fermano solo a esaminare e a sublimare questa… Poi scriverò la mia “nota dantesca” e magari te la invierò in omaggio, scritta in bellissima calligrafia». 

La promessa venne ribadita il 7 settembre 1931 («in una delle prossime lettere ti riassumerò la materia di un saggio sul canto decimo dell’inferno dantesco perché trasmetta il prospetto al prof. Cosmo, il quale come specialista in danteria, mi saprà dire se ho fatto una falsa scoperta o se in realtà meriti la pena di compilare un contributo, una briccica da aggiungere ai milioni e milioni di tali note che sono state già scritte») ed infine verrà adempiuta nella lettera del 20 settembre 1931 (vedi allegato 1) dove veniva riassunto con esattezza l’argomento di quel “saggio dantesco” di Gramsci che i posteri hanno potuto leggere solo dopo la prima pubblicazione dei Quaderni del carcere (vedilo in A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Einaudi 1952, che adesso è in rete e da cui l’abbiamo tratto) (vedi allegato 2) e a cui farà seguito il commento autentico gramsciano nella lettera a Tatiana del 21 marzo 1932 (vedi allegato 3).

Ma di che si trattava? In breve, a Gramsci non pareva esatto considerare, come da tradizione interpretativa si faceva, il decimo canto dell’Inferno come il “canto di Farinata degli Uberti”, pur essendo costui certamente il personaggio centrale, perché «io sostengo che nel decimo canto sono rappresentati due drammi, quello di Farinata e quello di Cavalcante e non solo il dramma di Farinata. E’ strano che l’ermeneutica dantesca, pur così minuziosa e bizantina, non abbia mai notato che Cavalcanti è il vero punito tra gli epicurei delle arche infuocate, e dico il punito per punizione immediata e personale», sebbene per l’interposta persona del figlio Guido che Dante aveva considerato nella Vita Nova come il «primo de li miei amici» e a cui aveva dedicato il celeberrimo sonetto «Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento e messi in un vasel ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio…». La differenza tra la reazione di Farinata, peraltro suocero di Guido che gli aveva sposato la figlia, e Cavalcante stava in questo: che «Farinata sentendo parlare fiorentino ridiventa l’uomo di parte, l’eroe ghibellino; Cavalcante invece non pensa che a Guido e al sentir parlare fiorentino si solleva per sapere se Guido è vivo o morto a quel momento».

domenica 23 maggio 2021

Lenin, Quaderni filosofici - Introduzione di R. Fineschi

Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels (Marx. Dialectical Studies).


 Introduzione §1

1. I testi apparsi con il titolo Quaderni filosofici non sono una “opera” di Lenin concepita a tavolino, si tratta bensì di una raccolta di annotazioni di lettura e di estratti da opere filosofiche di vari autori non per la pubblicazione ma a fini di studio; essi furono compilati in periodi diversi della sua vita e riuniti editorialmente dopo la sua morte sotto questo titolo. L’arco di tempo coperto va dalle prime note sulla Sacra famiglia di Marx ed Engels del 1895 fino alle annotazioni su uno scritto di Plenge del 1916. La parte più ampia, l’unica che Lenin stesso abbia effettivamente intitolato Quaderni filosofici, risale agli anni 1914-15, periodo in cui, a Berna, egli lesse ed annotò importanti opere riempiendo ben otto quaderni ordinatamente numerati e titolati. Di particolare rilievo è la lettura, celebre, della Scienza della logica di Hegel che da sola occupa tre degli otto quaderni.

In italiano sono apparse due edizioni intitolate Quaderni filosofici: la prima, a cura di Lucio Colletti, per Feltrinelli nel 1958; essa è basata sull’edizione russa del 1947. La seconda, a cura di Ignazio Ambrogio, è apparsa per Editori Riuniti/Progress in tre diverse pubblicazioni: come vol. 38 delle Opere (1969), come seconda parte del III volume delle Opere scelte in sei volumi (1973) e, infine, come volume a sé (1976). È basata sull’ultima edizione russa che aggiunge importanti testi rispetto a quella del 1947 ed è quindi più completa rispetto a quella di Colletti; per questa ragione si è deciso di utilizzarla per una ristampa anastatica. Se l’edizione di Ambrogio è da preferire, sono tuttavia necessarie delle precisazioni. Per quanto il curatore nell’avvertenza e nelle note dia tutte le necessarie informazioni relative a date di redazione e testi di riferimento, la struttura può forse causare, nella mani di un lettore poco avvertito, dei fraintendimenti per tre ragioni. La prima è che sotto il titolo generale Quaderni filosofici sono raccolti scritti diversi solo una parte dei quali è stata effettivamente così intitolata fa Lenin. Sarebbe forse stato meglio usare un titolo generale diverso per la raccolta e quello in questione solo per la rispettiva parte. Va detto che è questo un difetto di quasi tutte le edizioni in commercio, non solo in Italia. La seconda è che l’ordine di presentazione non è sempre cronologico e questo non è immediatamente visibile nel testo, ma ricostruibile solo attraverso le note; un lettore non troppo avvertito potrebbe fraintendere e credere che successione fattuale nel testo e ordine di stesura coincidano. La terza è che non è immediatamente visibile la discontinuità fra testo e testo; si potrebbe pensare che si tratti di un corpus unico. Essendo questa una ristampa anastatica e non potendo pertanto intervenire direttamente, reputo utile fornire uno schematico elenco cronologico. 

sabato 22 maggio 2021

Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info)


IL LAVORO NELLA RIFLESSIONE ECONOMICO-POLITICA 
Ciclo di lezioni aperte al pubblico del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società. promosso da Casa della cultura e Università degli Studi Milano-Bicocca 


                                               Seconda lezione:
                                                                           

Per una lettura di Marx - Stefano Garroni 


venerdì 21 maggio 2021

La Comune di Parigi (1871) - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

MARX E LA RIVOLUZIONE DEL 1848 - Irene Viparelli* 

La Comune di Parigi e gli intellettuali contemporanei - Alessandra Ciattini


"All’alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un colpo di tuono: 'Vive la Commune!'. Che cos’è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi? “I proletari di Parigi,” diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari… Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo"               (Karl Marx)

                                                                            

La Comune di Parigi durò settantuno giorni, dal 18 marzo al 28 maggio 1871. Fu il più bell’esperimento politico della storia contemporanea: finì malissimo, dopo aver illuminato cuori e menti di coloro che lo conducevano e avere acceso scintille di speranza in coloro che lo seguivano a distanza. Si trattò sicuramente del più grande avvenimento rivoluzionario della seconda metà del XIX secolo, o forse dell'intero secolo. I proletari parigini presero il potere e diedero vita ad uno Stato nello Stato, secondo i caratteri essenziali della società comunista. Il suo fallimento fu lievito teorico e pratico per la storia del movimento operaio mondiale. 

giovedì 20 maggio 2021

"Spirito e tempo" - Paolo Vinci

Da: AccademiaIISF - Paolo Vinci è docente di Filosofia pratica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. - http://www.rivistapolemos.it - http://www.iisfscuoladiroma.it -


La storia compresa da Hegel: 

1° Lezione: "Maniera di trattare la storia e compito dello spirito" - Marco Ivaldo (Università di Napoli Federico II, IISF) 

2° Lezione: "Popoli e spazi geografici nella storia universale" - Massimiliano Biscuso (IISF) 

3° Lezione: "Spirito e tempo" - Paolo Vinci (Sapienza Università di Roma, IISF) 

                                                                         

4° Lezione: "La storia fra politica e assoluto" - Geminello Preterossi (Università di Salerno, IISF) 

mercoledì 19 maggio 2021

In Africa quanto colpisce la pandemia? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) insegna Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.lacittafutura.it - https://www.unigramsci.it 



 Il continente più povero del mondo ma paradossalmente il più ricco di risorse non è afflitto solo dall’attuale pandemia, ma anche da altre piaghe. 




Si parla troppo poco dell’Africa, il continente povero e spogliato per secoli dalle potenze europee, privato anche di milioni dei suoi abitanti durante il periodo della tratta schiavile, che continuò anche dopo la sua proibizione sotto forma di contrabbando e che oggi si protrae in forme più o meno occulte a causa dell’alto numero di migranti disperati, che cercano scampo sulle nostre coste e che sono disposti a tutto pur di sopravvivere.

Secondo dati ufficiali, sappiamo che al 10 maggio 2021 gli africani contaminati ammontavano a 4.633.779, quelli ancora sottoposti a cure erano 360.141, i guariti 4.150.614, i deceduti 124.409, una situazione complessiva aggravata dalla compresenza di altre pericolose malattie infettive.

martedì 18 maggio 2021

Cade la maschera di Israele e anche la nostra - Alberto Negri

Da: https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Articolo apparso su "Il Manifesto", 15/05/2021. - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) e “l musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017)

Leggi anche: PALESTINA. Economia e occupazione: dal Protocollo di Parigi ad oggi. - Francesca Merz 

Chiarezza - Shlomo Sand 

Israele/Palestina. Alle radici del conflitto - Joseph Halevi 

Antisemitismo e antisionismo sono collegati tra loro? - Alessandra Ciattini 

https://invictapalestina.wordpress.com/2016/07/12/stato-attuale-ed-origine-del-conflitto-tra-israele-e-la-palestina-breve-riassunto-per-le-scuole-medie/ 

Quattro ore a Chatila - Jean Genet

Vedi anche: La Nakba - Joseph Halevi


Le proteste degli arabi minacciati di espulsione dal quartiere di Sheik Jarrah vengono viste come il casus belli di questa guerra. In realtà prima del 1948, della sconfitta araba e della Nakba ricordata ieri, il 77% delle proprietà nel lato Ovest di Gerusalemme appartenevano ai palestinesi, sia cristiani che musulmani. 

Difendiamo con la stessa maschera dei governi israeliani la nostra insostenibile ipocrisia e disonestà intellettuale. 


La rivolta arabo-palestinese è quella di tutti noi, per la giustizia e la vera pace, contro ogni doppio standard che da decenni avvelena Gerusalemme, la Palestina e tutto il Medio Oriente. Israele vive, da noi pienamente tollerato, nella condizione di uno Stato fuorilegge, i palestinesi, a causa anche della sua dirigenza e di Hamas, sono perpetuamente nella lista nera dei popoli criminali, non degli stati criminali semplicemente perché i palestinesi hanno diritto a uno Stato solo nella retorica occidentale che si lava le mani della questione. 

La posizione mediana assunta dai politici e dalla maggior parte dei media occidentali in realtà è la più ipocrita di tutte le sanzioni architettate in Medio Oriente. Quella che pagheremo forse in un prossimo futuro: le guerre altrui entreranno in casa nostra, come è già accaduto un decennio fa quando le primavere arabe si trasformarono, come in Siria, in guerre per procura e nel jihadismo. Finora Israele, nelle mente degli europei, ha fatto da antemurale alle rivolte e alla diffusione del estremismo islamico: in realtà ha alimentato l’incendio – Hamas sin dalla sua fondazione negli anni Ottanta serviva a mettere sotto scacco Al Fatah e i laici – e incoraggiato ogni degenerazione perché lo stato di guerra perpetuo giustifica la sua impunità e il non rispetto assoluto dei diritti degli arabi, delle leggi internazionali e delle Risoluzioni delle Nazioni unite. 

Ma la maschera israeliana, come pure la nostra, sta per cadere. È scattata la sirena d’allarme, non soltanto quella per i razzi di Hamas, ma dei linciaggi e delle rivolte nelle città israeliane abitate «anche» dagli arabi. Il venti per cento della popolazione di un Paese che si dichiara lo Stato degli ebrei ignorando tutti gli altri. 

Come scriveva questa settimana su il manifesto Tommaso Di Francesco non basta dire che entrambi i popoli hanno diritto a vivere in pace, di questa frasette inutili ne abbiamo piene le tasche e molto più di noi i palestinesi. E persino una parte consistente dell’opinione pubblica arabo-musulmana, anche di quei Paesi entrati nel Patto di Abramo, nella sostanza un’intesa che non è un accordo di pace, come è stato venduto dalla propaganda, ma di fatto un via libera a Israele per fare quello che vuole.
Come fai a vivere in pace quando confiscano le tue terre, la tua casa viene demolita, i coloni moltiplicano gli insediamenti e ogni giorno viene eretto, oltre al Muro, un reticolato di divieti di cemento difesi con il mitra spianato? La terra viene divorata, i monumenti della tua cultura sono vietati e si cambia la faccia del mondo che conoscevi: tutto questo avviene sotto occupazione militare, cioè contro il diritto internazionale. E noi qui vorremmo che gli arabi rispettassero leggi di cui noi stessi ci facciamo beffe? 

Gerusalemme è diventato il simbolo di tutte queste ingiustizie, di tutte le violazioni del diritto internazionale. Questa storica e magica città non è per niente la capitale delle tre religioni monoteiste come viene ripetuto fino alla noia: è la capitale soltanto dello Stato di Israele, come ha sancito Trump nel 2018 trasferendo l’ambasciata americana da Tel Aviv. In questa città Israele decide quello che vuole non solo per gli ebrei ma anche per musulmani e cristiani. Anche questa è una violazione del diritto internazionale, delle Risoluzioni Onu e degli Accordi di Oslo: non solo non abbiamo fatto niente per evitarlo ma lo abbiamo accettato senza reagire. Tollerando che avvenga pure senza testimoni con il bombardamento del centro stampa internazionale di Gaza e l’uccisione di una collega palestinese Reema Saad, incinta al quarto mese, polverizzata da una bomba insieme alla sua famiglia. 

Oggi le proteste della famiglie arabe minacciate di espulsione dal quartiere di Sheik Jarrah vengono viste come il casus belli di questa ultima guerra. In realtà prima del 1948, della sconfitta araba e della Nakba ricordata ieri, il 77% delle proprietà nel lato Ovest di Gerusalemme appartenevano ai palestinesi, sia cristiani che musulmani. Ma i loro beni, una volta cacciati via e i proprietari classificati come «assenti» sono stati espropriati e venduti allo Stato o al Fondo nazionale ebraico. Così si costruisce con l’ordine «liberale» del «diritto di proprietà» ogni ingiustizia. Non solo: gli ebrei possono reclamare le case che possedevano a Gerusalemme prima del 1948 ma questo diritto non è previsto per i palestinesi. Una beffa. Queste le chiamate leggi, questa la possiamo chiamare giustizia? Si tratta soltanto di un sopruso accompagnato quotidianamente dall’uso della forza militare. 

«Le vite palestinesi contano», ammonisce il leader democratico Bernie Sanders. Ma il presidente americano Biden che ieri ha mandato un inviato per verificare le possibilità di una tregua deve uscire dall’ambiguità: se concede a Israele di violare tutte le leggi e i principi più elementari di giustizia diventa complice di Trump e delle sue scellerate decisioni. In ballo non c’è soltanto un cessate il fuoco ma un’esecuzione mortale: quella che viene perpetrata ogni giorno al popolo palestinese messo al muro dalla nostra insipienza. E con le spalle al muro ci siamo pure noi che difendiamo con la stessa maschera dei governi israeliani la nostra insostenibile ipocrisia e disonestà intellettuale. 

lunedì 17 maggio 2021

La grande migrazione online: costi e opportunità - Juan Carlos De Martin

Da: Politecnico di Torino - Juan Carlos De Martin è professore ordinario di ingegneria informatica al Politecnico di Torino e Vice Rettore per la cultura e la comunicazione. È titolare del corso "Tecnologie digitali e società" e co-dirige, con Marco Ricolfi (Università di Torino), il Centro Nexa su Internet e Società. Dal 2011 è associato al Berkman Klein Center della Harvard University. E' membro del consiglio scientifico dell’Enciclopedia Treccani e del comitato d'indirizzo di Biennale Democrazia. Dal 2014 al 2018 è stato membro della Commissione per i diritti e i doveri in internet istituita dalla Presidente della Camera dei Deputati. E' membro dell'IEEE - Institute of Electrical and Electronic Engineers ed è autore di oltre 120 articoli scientifici, capitoli di libri e brevetti internazionali. De Martin è stato - insieme a Luca De Biase - il curatore scientifico del Festival della Tecnologia del 2019 e della prima edizione di Biennale Tecnologia (2020). E' autore del libro Università futura – tra democrazia e bit e ha curato, insieme a Dulong de Rosnay, il libro The Digital Public Domain: Foundations for an Open Culture



Da circa trent’anni molte attività di una parte considerevole dell’umanità hanno iniziato a migrare – in tutto o in parte – online. Altre attività sono rimaste inevitabilmente fisiche, ma sono state innervate, o sono addirittura governate, dal digitale. In altri casi ancora le attività sono rimaste fisiche, ma hanno acquisito un’estensione digitale, creando configurazioni ed esperienze inedite. Un processo graduale, come tutti i processi sociali, con grandi successi e con non trascurabili fallimenti, un processo che ha rivoluzionato non solo le nostre vite, ma anche l’assetto stesso del potere mondiale. Nel marzo 2020, col primo confinamento sanitario, però, è successo qualcosa senza precedenti: nel giro di pochissimo tempo, infatti, molti milioni di italiani hanno dovuto trasferire – in tutto o in parte – su Internet, attività, anche molto importanti per le loro vite, che fino a quel momento avevano svolto prevalentemente, o anche esclusivamente, nel mondo fisico. Che cosa è successo di preciso? Chi è riuscito ad andare online, e per fare cosa, e chi invece è rimasto nel mondo fisico, e perché? Quali sono state le conseguenze - e per chi? Che cosa abbiamo imparato? Guardando avanti: a distanza di 14 mesi dall’inizio della Grande Migrazione Online, che forma vogliamo dare al futuro?  
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

domenica 16 maggio 2021

Luciano Canfora, "Fermare l'odio"

Da: AccademiaIISF - Intervista di Alessia Araneo a Luciano Canfora, a proposito del volume "Fermare l'odio" (Laterza 2019) - 
Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
 

                                                                                       

sabato 15 maggio 2021

Liberismo xenofobo: la dottrina delle nuove alleanze politiche è priva di basi scientifiche.

Da: https://www.econopoly.ilsole24ore.com - Post di Emiliano Brancaccio, docente di politica economica presso l’Università del Sannio; Andrea Califano, ricercatore presso l’Università di Milano; Fabiana De Cristofaro, ricercatrice presso il Ministero dell’Economia –

Leggi anche: Movimenti di capitale https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro


Porto Empedocle, 
Luglio 2020, i migranti trasferiti da Lampedusa con le motovedette vengono spostati nella tensostruttura accanto al porto.  


Tutti riconoscono che una crisi della globalizzazione è in atto, ma quasi nessuno nota che questa crisi è marcatamente asimmetrica. Le restrizioni alla libertà di movimento internazionale, attuate in questi anni da moltissimi paesi, hanno infatti riguardato le merci e soprattutto le persone mentre non hanno quasi mai toccato gli spostamenti di capitali. 

Con il nuovo secolo, soprattutto dopo lo scoppio della grande recessione del 2008, sempre più voci si sono unite al medesimo grido d’allarme: un’emergenza migratoria è in atto. Nel vasto arcipelago delle destre nazionaliste, il monito si tinge spesso di espliciti connotati razzisti. Ma in generale, il convincimento che il fenomeno sia di enorme portata e dalle conseguenze economiche negative, sembra ormai largamente diffuso in quasi tutto lo spettro politico dei paesi occidentali, anche tra partiti di orientamento moderato e liberale. 

L’implicazione politica di questo sentimento generale è sotto i nostri occhi: tra alti e bassi temporanei, c’è una tendenza di fondo ad adottare misure sempre più stringenti per bloccare i flussi migratori. L’indice DEMIG, a cura dell’International Migration Institute di Amsterdam, segnala in tal senso brusche oscillazioni delle politiche migratorie, con sempre più ricorrenti misure restrittive attuate da ben 32 dei 36 paesi OCSE dal 2008 ad oggi. Al contrario, nulla di tutto questo è avvenuto dal lato dei flussi finanziari. Nonostante le frequenti turbolenze nei movimenti internazionali di capitali e le crisi economiche concomitanti, rarissimi e solo contingenti sono stati gli interventi volti a ripristinare controlli sulla libera circolazione dei capitali. Lo testimonia l’indice KAOPEN, che misura le restrizioni nella circolazione globale dei capitali calcolate su dati del Fondo Monetario Internazionale: a partire dalla metà degli anni duemila questo indicatore si è stabilmente situato intorno allo zero, a denotare una sostanziale piena mobilità internazionale dei flussi finanziari. Un dato confermato dal fatto che dal 2008, su 36 paesi OCSE soltanto due hanno adottato rilevanti restrizioni sui capitali, peraltro temporanee. 

venerdì 14 maggio 2021

Perché la mente non coincide con il cervello - Felice Cimatti

Da: Festa Scienza Filosofia - Felice Cimatti è un filosofo italiano. Insegna Filosofia del Linguaggio e Filosofia italiana contemporanea all'Università della Calabria ad Arcavacata di Rende. Ha condotto e conduce, per Rai Radio 3[2], i programmi radiofonici Fahrenheit, dedicato ai libri e alle idee, e Uomini e Profeti (https://www.raiplayradio.it/programmi/uominieprofeti).
                                                                             


giovedì 13 maggio 2021

"Jürgen Habermas" - Antonio Gargano

Da: AccademiaIISF - Antonio Gargano è un filosofo italiano. Docente presso l'Università degli studi "Suor Orsola Benincasa", Scienze della Formazione.

                                                                               

                                                                                  A seguire la seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=rhpIn67YTTs 

mercoledì 12 maggio 2021

I morti palestinesi, la censura di Facebook e l'ipocrisia di tutti - Alberto Negri

Da: https://www.lantidiplomatico.it - Articolo apparso su "Il Manifesto", 11 maggio 2021

Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) e “l musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017)


Immagini forti e violente: la censura di Facebook è l'ipocrisia di tutti


Posto un video in cui si vedono i morti in Palestina e Facebook censura il video. Per 40 anni ho fatto l'inviato di guerra cercando come tanti altri giornalisti di raccontare la violenza della guerra, in ogni parte del mondo. Le immagini forti infastidiscono, lo posso capire. Ma l'ipocrisia della censura credo che sia vera pornografia. 

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Sì, la storia siamo noi. Come questa nuova Intifada. Ci eravamo dimenticati dei palestinesi? Eccoli, con le braccia al cielo davanti alla polizia. Il nostro corrispondente Michele Giorgio riferisce di 20 morti. Tra cui 9 bambini, nei raid israeliani seguiti al lancio di razzi verso Gerusalemme. Non abbiamo paura di morire, dicono, perché siamo morti e risorti mille volte. Il messaggio è duro, tragico vista la disparità delle forze, ma inequivocabile: non ci arrendiamo. Viene dai tempi dei tempi che vi piaccia o no, noi non alziamo le braccia verso questo mondo iniquo e ingiusto. Siamo masse e individui che non si arrendono…

Gli scontri nel «miglio sacro» di Gerusalemme, dove già iniziarono negli anni Ottanta e Duemila la prima e la seconda Intifada, rilanciano una terza rivolta innescata dagli sfratti nel quartiere arabo di Sheikh Jarrah.

Ci sono le coincidenze e anche alcuni elementi di fondo per andare in questa direzione. Nelle prime rientrano le proteste cominciate mentre gli israeliani celebravano l’annessione di Gerusalemme nel 1967 e gli arabi si preparavano alla fine del Ramadan. Ma anche il quadro politico è agitato, da una parte e dell’altra. In Israele è in corso il tentativo di Lapid di formare un nuovo governo che significherebbe la fine dell’attuale premier Netanyahu, un evento che scuote la destra israeliana e anche il movimento dei coloni, più agguerrito che mai. Nel campo arabo c’è stata la decisione di del presidente dell’Anp Abu Mazen di rinviare le elezioni palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme, esacerbando così gli animi dei palestinesi, inferociti con una leadership accusata di essere sempre più succube di Israele.

Davanti all’esplosione degli scontri sulla spianata delle Moschee, vicino al Muro del Pianto e non lontano dal Santo Sepolcro – luoghi sacri a musulmani, ebrei e cristiani – le autorità israeliane hanno preferito rinviare ogni decisione sugli sfratti. La Corte Suprema israeliana ieri avrebbe dovuto emettere il suo verdetto in merito a un tentativo di espulsione di tredici famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah, ma la decisione è stata rinviata a causa delle violenze degli ultimi giorni.

Questa non è l’unica causa delle tensioni ma ne è il detonatore. Gli argomenti di scontro sono tanti. In pieno Ramadan c’è prima di tutto l’accesso alla moschea Al Aqsa e alla Cupola della roccia, luoghi sacri dell’islam dove il 7 maggio ci sono stati violenti incidenti. Poi c’è la pressione costante delle autorità israeliane per separare il problema di Gerusalemme dal resto della questione palestinese.

In Israele operano forze politiche di estrema destra legate a Netanyahu e decise a espellere i palestinesi da Gerusalemme. Il mese scorso abbiamo assistito a una serie di cacce all’uomo condotte da estremisti religiosi israeliani al grido di “morte agli arabi” nella più totale impunità.

Questi incidenti mettono in luce che lo status quo è fragile mentre sbaglia chi ritiene ineluttabile la perdita di «centralità» della questione palestinese nei rapporti tra Israele e il mondo arabo. E forse si sbaglia ancora di più se pensa che il problema svanirà da sé. In più adesso c’è il fattore Biden. Il nuovo presidente non ha messo in discussione la decisione di Trump di riconoscere nel 2018 Gerusalemme capitale di Israele e di trasferire l’ambasciata da Tel Aviv, ma l’amministrazione democratica ha qualche idea diversa sul Medio Oriente rispetto a quella repubblicana.

C’è voluto un po’ di tempo prima che le cancellerie internazionali si accorgessero che a Gerusalemme stava accadendo qualcosa. Una realtà che, agli occhi esterni, appare congelata, è invece in involuzione ed evoluzione.

Invece no: Gerusalemme è il cuore del conflitto internazionale, non solo mediorientale. Quella che sembrava una confisca come un’altra – le case palestinesi di Sheikh Jarrah a favore del movimento dei coloni – è diventata adesso un fattore assai preoccupante. L’espansione della protesta palestinese al cuore della città santa e ad altre città, sta svegliando dal torpore i governi arabi. A interessare di più però non è soltanto la reazione giordana, iraniana o tunisina ma quella che arriva dagli Usa. Mentre l’I’talia e l’Ue o tacciono o raccontano il mantra bugiardo del «no alla violenza da una parte e dall’altra», dimenticando che lì c’è una occupazione militare, quella d’Israele sui Territori palestinesi.

Biden finora non ha preso una posizione precisa e non ha messo in discussione nessuna delle decisioni incendiarie del predecessore Trump (da Gerusalemme capitale israeliana alla sovranità sul Golan siriano occupato) ma ha cominciato ad agitare il premier Netanyahu iniziando il dialogo con l’Iran per il rientro degli Usa nell’accordo sul nucleare.

Ma sugli scontri di Gerusalemme si è fatto sentire il Dipartimento di Stato che ha usato parole, come sottolinea Chiara Cruciati sul manifesto, che di solito l’amministrazione americana non utilizza. Nessun comunicato ufficiale ma la portavoce del segretario di Stato Blinken ha espresso «grande preoccupazione» per le azioni israeliane e per «l’eventuale sgombero di famiglie palestinesi dai quartieri di Silwan e Sheikh Jarrah, molte delle quali vivono in quelle case da generazioni». Mentre una lettera di deputati indirizzata a Blinken ha chiesto di esercitare pressione diplomatiche per impedire gli sgomberi e ribadire quello che il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu già prevedono: «Gerusalemme est è parte della Cisgiordania ed è sotto occupazione militare israeliana», realtà che rende «illegale la sua annessione da parte di Tel Aviv». Un linguaggio esplicito e diretto come forse non era mai venuto dai deputati americani. E noi?