Il continente più povero del mondo ma paradossalmente il più ricco di risorse non è afflitto solo dall’attuale pandemia, ma anche da altre piaghe.
Si parla troppo poco dell’Africa, il continente povero e spogliato per secoli dalle potenze europee, privato anche di milioni dei suoi abitanti durante il periodo della tratta schiavile, che continuò anche dopo la sua proibizione sotto forma di contrabbando e che oggi si protrae in forme più o meno occulte a causa dell’alto numero di migranti disperati, che cercano scampo sulle nostre coste e che sono disposti a tutto pur di sopravvivere.
Secondo dati ufficiali, sappiamo che al 10 maggio 2021 gli africani contaminati ammontavano a 4.633.779, quelli ancora sottoposti a cure erano 360.141, i guariti 4.150.614, i deceduti 124.409, una situazione complessiva aggravata dalla compresenza di altre pericolose malattie infettive.
Secondo quanto ricaviamo dalla rivista francese “Jeune Afrique” Inizialmente l’Africa sembrava essere stata poco toccata dalla diffusione del coronavirus anche per la giovane età dei suoi abitanti, ma purtroppo durante l’inverno passato i contagi sono aumentati in modo consistente e si sono presentate diverse varianti del virus. Questa ondata ha riguardato soprattutto il Nord e il Sud del continente per rallentare lo scorso marzo.
In realtà la questione dei numeri ufficiali è alquanto problematica, giacché non sappiamo se essi corrispondono effettivamente a quanti si sono ammalati e a quanti sono morti. Possiamo affermare che oggi quasi nessun paese africano attua campagne per documentare i casi di SARS-CoV-2. Se qualcuno muore in un villaggio o in un quartiere di una città nessuno si pone il problema di indagare le ragioni del suo decesso. Pertanto, non è possibile individuare i focolai della malattia per evitare la sua propagazione che riguarda soprattutto le persone con altri problemi di salute o malnutrite, cosa assai diffusa nel continente nero (in questo senso la pandemia è anche una sindemia). Questo atteggiamento lassista fa sì che gli africani non prestino molta attenzione alle misure igieniche, finendo col negare la presenza del virus e col rifiutare i vaccini, che del resto non sono disponibili dato il loro accaparramento da parte dei paesi ricchi.
L’Africa ha denunciato il primo caso del nuovo coronavirus, che provoca il Covid-19, il 15 febbraio 2020, due mesi dopo essere stato identificato per la prima volta in Cina. Questa serie temporale mostra la crescente diffusione del numero di casi segnalati di Covid-19 in tutto il continente. Il virus è ora presente in ciascuno dei 54 paesi dell’Africa. I punti caldi sono emersi in Sud Africa, Nord Africa e Africa occidentale, in particolare a causa della diffusione più rapida causata dall’elevata densità di popolazione urbana, dalla scarsa disponibilità ed efficacia dello screening, dall’insufficiente censimento e dal livello di contatti internazionali, tra gli altri fattori.
Quanto a quest’ultimo fattore si tenga presente che, oltre al turismo internazionale, più di 60.000 studenti africani studiano in Cina, molti dei quali proprio a Wuhan. Naturalmente in seguito alla pandemia i voli da o per la Cina sono stati sensibilmente ridotti e gli ormai numerosi turisti cinesi non sono più andati a passare le loro vacanze in questa straordinaria regione del mondo, arrecando involontariamente anche un danno all’economia africana.
Poiché il numero di casi cresce a un tasso di circa il 6% al giorno, saranno necessarie nuove politiche e cambiamenti comportamentali se l’Africa vuole evitare i peggiori effetti della pandemia. Pur riconoscendo le ampie variazioni in tutto il continente, rallentare l’espansione esponenziale del virus in ogni paese richiederà l’identificazione e l’interruzione delle principali vie di trasmissione, ossia la nota questione dei tracciamenti che neppure in Europa si è potuta realizzare con successo.
È difficile valutare la gravità della minaccia rappresentata dalla diffusione del virus in Africa, perché permangono molte le incertezze sulla sua virulenza, sul tasso di mortalità e sulle modalità di trasmissione. Sembrerebbe che attualmente il tasso di mortalità di questo coronavirus si aggiri attorno al 2%. Se facciamo un parallelo, i focolai del virus Ebola, sviluppatisi recentemente, hanno avuto un tasso di mortalità superiore al 50%. Gli scienziati stanno anche cercando di valutare il “tasso di riproduzione” del SARS-CoV-2, per calcolare il numero di persone che potrebbero essere infettate da una singola persona contagiosa. Questo tasso sembrerebbe aggirarsi tra 1,4 e 3,5, mentre quello dell’Ebola sarebbe compreso tra 1,5 e 2, infine quello del morbillo starebbe tra 12 e 18. Al giorno d’oggi Ebola e morbillo sono ancora presenti nel continente nero; per esempio, le epidemie provocate da questi agenti patogeni si verificano ancora nella Repubblica Democratica del Congo: negli ultimi tempi la prima ha causato la morte di oltre 2.200 individui, la seconda 6.000.
Bisogna anche aggiungere che il rallentamento dei contagi verificatosi negli ultimi tempi ha indotto molti paesi a non aggiornare più in modo regolare i dati statistici, soprattutto non monitorando i casi delle persone in cura. Un caso eclatante è quello della Tanzania dove il deceduto presidente John Magufuli (la morte è avvenuta due mesi fa) aveva bloccato la raccolta e la diffusione dei dati sui casi di coronavirus, sostenendo che quelli prima forniti erano falsi e occultando così l’autentica portata della diffusione della malattia. Fino al momento della pubblicazione dei dati, ossia circa un anno fa, la Tanzania, con una popolazione di quasi sessanta milioni di persone, avrebbe avuto solo 509 casi di covid-19, di cui 21 letali. Invece di invitare i tanzaniani a indossare le mascherine e a adottare tutte le precauzioni necessarie, Magufuli sosteneva che per volere di Dio la Tanzania sarebbe rimasta immune dal virus. Ha anche deciso di non somministrare i vaccini, nonostante i paesi vicini avessero già incominciato a farlo, perché metteva in questione la loro efficacia.
Alla sua morte, forse dovuta al coronavirus, gli è succeduto Samia Suluhu Hassan, sostenuto dai lavoratori informali che costituiscono la maggior parte della forza-lavoro tanzaniana, il quale ha dichiarato che intende combattere con vigore la pandemia. Ha costituito un comitato di esperti per monitorare lo stato della diffusione del Covid-19 nel paese e per approntare le misure necessarie al contenimento della malattia. Ha persino sollecitato la popolazione a indossare la mascherina e a rispettare il distanziamento sociale. Nonostante ciò non sono stati rilevati cambiamenti sostanziali e ancora non è chiaro come il paese africano affronterà la questione delle vaccinazioni indispensabili per una popolazione che in maggioranza non gode di un lavoro stabile.
Purtroppo il continente africano non si trova soltanto a combattere il coronavirus, giacché è afflitta – come si è detto – da altre gravissime patologie che stanno producendo una più ampia perdita di vite umane. Nel 2018 sono stati segnalati 96 nuovi focolai di malattie infettive in 36 paesi africani, tra cui il colera, la febbre gialla, il morbillo e il virus Ebola. Inoltre, sempre nello stesso anno, nell’Africa subsahariana sono morte 470.000 a causa dell’Aids. In varie forme la lotta contro queste malattie è stata supportata da risorse internazionali (in particolare per l’Hiv/Aids). Il virus Ebola è stato finalmente indicato come emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale nell’agosto 2019. Ma, benché costituiscano gravi rischi per la salute, queste malattie mortali non suscitano uno stato di panico simile a quello acceso dal coronavirus in alcuni ambienti. L’attenzione universale è focalizzata su quest’ultimo forse perché la sua diffusione tramite goccioline di saliva nell’aria induce a pensare che la sua trasmissione sia più facile tra le persone rispetto a quella di altre malattie infettive.
Quanto all’impatto economico di una malattia, esso non è necessariamente correlato alla mortalità che produce o ai tassi di trasmissione tra le persone. L’epidemia di Sars del 2003 è costata all’economia globale circa 40 miliardi di dollari, invece Il numero di casi di questo nuovo coronavirus, che ha già consistentemente oltrepassato quello della Sars, si prevede provocherà un deterioramento economico più pesante di quello prodotto dalla precedente pandemia. Tuttavia, secondo alcuni studiosi la recessione ha colpito meno l’Africa che gli altri continenti: per esempio ha perso il 2,6% del Pil, mentre al livello mondiale la perdita complessiva è stimata al 4,4%.
Ciò nonostante, la crisi economica si presenta severa: 40 paesi africani sono in recessione, i prezzi delle materie prime (petrolio, carbone, zinco etc.) sono in calo, le esportazioni si sono ridotte. Come si è già detto, il turismo, settore chiave in molti paesi africani, si è bloccato, le rimesse degli emigranti sono diminuite, gli africani non sono stati sostenuti in questo delicato frangente dai governi per l’assenza di reti sociali nel continente. In conclusione, è abbastanza scontato prevedere una significativa riduzione del reddito pro capite che getterà 43 milioni di individui nell’estrema povertà, tra i quali molti bambini, in un paese già povero e dilaniato da conflitti di varia natura. È dunque facile immaginare ulteriori ondate migratorie che accresceranno le tensioni in un mondo ormai assai vicino all’esplosione.
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