giovedì 5 marzo 2020

"Il pensiero di Ludwig Feuerbach come limite allo sviluppo teorico di Karl Marx" - Roberto Finelli

Da: AccademiaIISF -
Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (http://www.consecutio.org
Vedi anche: La linea e il circolo: Hegel nella mente di Marx - Roberto Finelli 

                                                                         

               L’idealismo tedesco nei suoi critici. 
                        Fratture e permanenze? 
                                     Schelling, Feuerbach, Marx, Schopenhauer, Nietzsche. 

(1/5) - Marco Ivaldo "Da Hegel a Nietzsche. Rileggendo Löwith"

(2/5) - "Lo Schelling post-hegeliano" - Paolo Vinci

(3/5) - Matteo d’Alfonso "Schopenhauer e la ragione pratica di Kant"

(4/5) - Roberto Finelli "Il pensiero di L. Feuerbach come limite allo sviluppo teorico di Karl Marx"

(5/5) - Marcello Musté "La volontà di potenza in Nietzsche: genesi, significato, conseguenze"

mercoledì 4 marzo 2020

Il salario sociale di classe - Carla Filosa

Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo. (https://rivistacontraddizione.wordpress.com


Nei nostri tempi di continua precarizzazione del lavoro, delle finte “autonomie lavorative”, dei lavori senza contratto, dei “lavoretti”, della mancanza di sicurezza sul lavoro, ecc., sembra prioritario fare chiarezza sulle cause delle modalità remunerative che tendono a cancellare il significato di salario, erroneamente identificato nella sola busta paga. Le ultime generazioni non conoscono a volte neppure l’uso di questo termine, al massimo si parla di stipendio, quando devono ricevere un pagamento per prestazioni effettuate.

Anche la comunicazione mediatica favorisce l’obliterazione concettuale del lavoro salariato usando prevalentemente le parole come “occupazione” o “disoccupazione” legate ad una ineluttabile fase di crisi economica, di cui non si menziona né l’origine né le dinamiche di una sua possibile risoluzione.

Riaffrontare i temi legati al salario ripropone quindi una necessaria riflessione critica sui temi sociali legati all’attualità sì dei processi inflattivi, dei fenomeni ambientali e migratori, delle innovazioni tecnologiche, ecc., ma soprattutto delle relazioni sociali che fanno capo alle “diseguaglianze” e alle “povertà assolute e relative”, su cui ormai si organizzano analisi e dibattiti diventati di moda. 

Per orientarsi pubblichiamo la presentazione del libro di Gianfranco Pala Propriamente SALARIO SOCIALE DI CLASSE. Critica delle mistificazioni del valore della forza-lavoro edito da La Città del Sole che sarà presentato venerdì 6 marzo 2020 alle ore 18.30 presso la Libreria Fahrenheit 451 Piazza Campo de’ Fiori 44 - Roma da Carla Filosa, Presidente dell’Università popolare A. Gramsci, che ne ha scritto l’introduzione che proponiamo ai nostri lettori. 

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Il “Salario sociale – La definizione di classe del valore della forza-lavoro” [ed. Laboratorio politico, la Città del Sole, Napoli 1995] focalizzava in tempi diversi dall’oggi – circa 21 anni fa – quella che comunemente si intende per remunerazione o compenso per tutto il tempo di un lavoro svolto. L’ampliamento conoscitivo della miseria di questo “senso comune” illusorio, in quanto indotto dalla falsificazione dominante, dettava allora come adesso la necessità di fornire la strumentazione concettuale storicamente corretta e completa, cioè insita nelle cose, necessaria alla formazione di una coscienza di classe che sia rimasta ancora restìa all’omologazione dell’esistente. Con l’obiettivo di rivolgersi a tutti, allora come adesso, deve essere chiaro che si è consapevoli di non poter sfuggire alla contraddizione reale di ricorrere alla parte pensante di quei tutti, in una fase in cui il pensiero è stato delegittimato ad affrontare i problemi della vita, a favore invece di fattori regressivi quali emotività, irrazionalità, fideismi, ecc. Tuttavia è una necessità collettiva l’impe­gno a riabilitare quella parte razionale che non in tutti ha avuto la possibilità di formarsi nella concretezza della propria vita, e che ci spinge a creare quelle condizioni mancate per maturare l’interesse a capire, quale priorità, le modalità di lotta attuabile per conquistare la sopravvivenza o se possibile il benessere, costantemente minacciati da un sistema nemico così velocemente proteiforme. 

martedì 3 marzo 2020

Socialismo e rivoluzione nella concezione di Rosa Luxemburg - Lelio Basso

Da: http://www.rifondazione.it/formazione - Estratto dalla Introduzione al volume: ROSA LUXEMBURG, La rivoluzione tedesca 1918 -1919 -
Lelio Basso è stato un avvocato, giornalista, antifascista, politico e politologo italiano. [Tutti gli scritti di Lelio Basso li trovate su http://www.leliobasso.it/]
Vedi anche:  ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986) (Film completo)
                     "Rosa Luxeburg e Karl Liebknecht"



"Rosa sta dalla parte delle masse perché sono oppresse, e la funzione educatrice delle élite è per lei finalizzata alla loro rivolta, alla rivoluzione - non al potere delle stesse élites per conto delle masse, vicario del potere borghese e a esso speculare. E' una visione fino a oggi priva di sbocco politico, ma la sola dove la rivoluzione non sia destinata a divorare se stessa"      
(Edoarda Masi,"La persona Rosa, perché", p. 95)


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[…] 

Va osservato in primo luogo che Rosa non è stata mai una spontaneista nel senso di considerare che solo conti l’azione spontanea delle masse, senza bisogno di direzione politica.

Al contrario essa ha sempre rimproverato alla socialdemocrazia di non sapere svolgere proprio la funzione dirigente cui è chiamata (“Il periodo nuovo, quello dell’imperialismo, ci pone dinanzi dei problemi nuovi, che non possono essere risolti con i soli mezzi parlamentari, con il vecchio apparato e la vecchia routine. Il nostro partito deve imparare a scatenare, quando la situazione lo consente, delle azioni di massa e a dirigerle [corsivo nostro, L. B.]: non sa ancora farlo”), perché delle masse svuotate d’iniziativa politica e di capacità di lotta non saranno mai delle masse che potranno condurre a fondo un’azione rivoluzionaria (anche senza bisogno di attribuire a questa parola il significato insurrezionale). 

Non si tratta quindi di negare il ruolo dirigente del partito, ma di contestare il modo come viene svolto e che sottovaluta totalmente il ruolo e la capacità combattiva delle masse, facendo del partito il solo protagonista. “Storicamente, il partito socialdemocratico è chiamato a costituire l’avanguardia del proletariato; partito della classe operaia, deve aprire la marcia e assumere la direzione. Ma se la socialdemocrazia s’immagina che è essa chiamata a scrivere la storia, che la classe non è niente, e che deve esser trasformata in partito prima di poter agire, potrebbe darsi che la socialdemocrazia svolgesse il ruolo di freno nella lotta di classe”, come infatti l’ha svolto. 

E d’altra parte, se così fosse, se solo il partito fosse il titolare della azione politica della lotta di classe, come si spiegherebbe che la lotta di classe ha preceduto la nascita del partito, e anzi vi ha dato essa stessa vita, come si spiegherebbe che rivoluzioni socialiste, come a Parigi nel ‘48 e nel ‘71 e in Russia nel ‘905, sono scoppiate senza che un partito le avesse preparate e dirette? Come si spiegherebbe la partecipazione di vastissime masse non organizzate in tanti movimenti e il peso decisivo che vi hanno esercitato? “In occasione di grandi lotte, l’impeto delle masse non organizzate rappresenta, ai nostri occhi, un pericolo assai minore della debolezza dei capi”. Sarebbe quindi “un errore fatale immaginarsi che ormai l’organizzazione socialdemocratica è diventata la depositaria unica di tutta la capacità di azione storica del popolo, e che la massa non organizzata del proletariato è ridotta a un magma amorfo costituente per la storia un’inerte zavorra”. No, “la materia vivente della storia mondiale resta sempre, a dispetto della socialdemocrazia, la massa del popolo; e solo se si mantiene una viva circolazione sanguigna fra il nucleo dell’organizzazione e la massa popolare, solo quando il polso dell’una e dell’altro battono all’unisono la socialdemocrazia può dimostrarsi atta a grandi imprese storiche”. 

Questo dunque è il punto essenziale: la funzione dirigente del partito deve esplicarsi non attraverso ordini e direttive, non con i metodi burocratici dell’apparato, non mediante le famose “cinghie di trasmissione”, ma attraverso un’interazione continua che faccia appunto scorrere permanentemente il sangue fra vertici e base, fra partito e classe, fra organizzazione e movimento, essendo chiaro che una grande azione politica, un importante compito storico non potranno essere svolti da una massa abituata soltanto a obbedire. 

lunedì 2 marzo 2020

Il debito perpetuo e odioso - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it/ Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 
Leggi anche: L'annullamento del debito nell'antichità*- Eric Toussaint** 
                       L'uomo e il denaro*- Carlo Sini** 
                       Semiotica e Moneta*- Carlo Sini**



Siamo davvero obbligati a pagare i debiti esteri contratti da governi antipopolari senza consultare i cittadini? 


Ho scoperto una nuova nozione, certo nota agli economisti: “il debito perpetuo”, il quale non scade mai e né il debitore è obbligato a ripagarlo. Ovviamente, tuttavia, poiché questi non restituisce il denaro prestato, nel frattempo dovrà pagare gli interessi, che saranno superiori a quelli del mercato, perché l’operazione è altamente rischiosa per il creditore. Inoltre, nel caso in cui il debitore fallisca, il detentore del debito perpetuo sarà l’ultimo ad avere diritto al rimborso del denaro prestato. Tale tipo di prestito è accessibile solo agli Stati ed alle grandi corporazioni, che a tutta prima appaiono più sicuri.

Tra i paesi che si trovano intrappolati nel debito perpetuo risalta l’Argentina, il cui ex presidente Mauricio Macri ha chiesto 57 miliardi di dollari dal FMI, che intendeva garantire con un sostanzioso finanziamento la sua rielezione e mantenere il paese in uno stato di disastrosa sudditanza. Il Dr. Héctor Giuliano, specializzato in debito pubblico, affermava nel 2018 che quell’anno l’Argentina aveva in scadenza 67 miliardi di dollari, dei quali non era in grado di restituire nemmeno un centesimo, vedendosi costretta a rifinanziare tutto il debito. A suo parere siamo qui dinanzi alla logica dell’usura, secondo la quale l’usuraio non vuole la restituzione del capitale, preferendo ricevere interessi che si fanno di anno in anno più corposi. L’Argentina è arrivata a pagare il 60%/70% di interessi. 

venerdì 28 febbraio 2020

Hegel: Fenomenologia dello spirito. Dialettica "servo/padrone" - Remo Bodei

Da: Festivalfilosofia - Remo Bodei (Cagliari, 3 agosto 1938 – Pisa, 7 novembre 2019) è stato un filosofo e accademico italiano.
                       Hegel: "Fenomenologia dello spirito" - Antonio Gargano 
"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/)

                                                                           

giovedì 27 febbraio 2020

Un dialogo sull’imperialismo: David Harvey e Utsa e Prabhat Patnaik. - Alessandro Visalli

Da: https://tempofertile.blogspot.com - 
Alessandro Visalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili. https://www.facebook.com/alessandro.visalli. 
Leggi anche: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2019/07/08/intervista-a-utsa-patnaik-storia-agraria-e-imperialismo
                      La migrazione come rivolta contro il capitale*- Prabhat Patnaik** 
                       "Il Vero Debito Estero" - Guaicaipuro Cuatemoc 


Nel libro che Utsa Patnaik e Prabhat Patnaik, scrivono nel 2017 sull’imperialismo[1] c’è un’ultima parte nella quale è riportato un dialogo a distanza con David Harvey. Il notissimo geografo marxista americano svolge diverse critiche molto serrate ai due economisti indiani e questi replicano in modo altrettanto deciso. Si tratta di un confronto tra discipline e tra culture, ma anche tra posizioni interiorizzate. Sembra di leggere tra le righe il fantasma dell’oggetto stesso della contesa, la dualità centro-periferia e quella occidente-oriente e la memoria del colonialismo. L’uno scrive da britannico e da New York, gli altri da indiani e da Nuova Delhi. Ma soprattutto, pur essendo tutti critici del capitalismo e quasi coetanei, a separarli ci sono le tracce della storia. In fondo, e la lettura del libro lo mostra molto bene, i due marxisti indiani si sentono parte di una storia di oppressione e hanno qualcosa da chiedere come risarcimento.

È vero, l’India è una potenza regionale con grande proiezione di potenza economica, commerciale, tecnologica e persino militare, e Harvey di passaggio lo ricorderà. È un paese di oltre un miliardo e trecento milioni di persone e la dodicesima potenza economica mondiale. Ma è anche un paese nel quale permangono enormi differenze tra i diversi gruppi sociali, le regioni, le aree rurali ed urbane. Un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà, secondo i canoni indiani, mentre secondo quelli internazionali è oltre la metà.

In india il governo Modi è sfidato dalla mobilitazione dei contadini che impegna a fondo il Partito Comunista Indiano chiedendo la cancellazione dei debiti, la possibilità di accedere alla proprietà delle terre e l’aumento del prezzo dei prodotti agricoli. Del resto era una promessa elettorale disattesa dello stesso Bharatiya Janata Party al potere: raddoppiare il reddito degli agricoltori entro il 2022. Oggi il settore copre il 17 per cento del Pil a causa della crescita del settore dei servizi, ma tra il 50 ed il 70 per cento della popolazione dipende dal settore agricolo. E questa situazione pone, appunto, oltre la metà della popolazione in condizioni di povertà, in quanto i prezzi al consumo dei prodotti agricoli continuano a scendere e in venticinque anni si sono suicidati oltre trecentomila contadini a causa dell’endemica condizione di estrema povertà.

La All India Kisan Sangharsh Coordination Committee (AIKSCC)[2], organizzazione che unisce duecento organizzazioni contadine in tutto il paese lamenta il mancato rispetto delle indicazioni della Swaminathan Commission (aumentare della remunerazione agricola oltre il costo di produzione) ma soprattutto denuncia il degrado delle condizioni degli agricoltori da quando, negli anni novanta, furono introdotte le riforme neoliberali. Dal 2014, infatti, una tenaglia strangola le famiglie contadine, da una parte gli aumenti del prezzo del carburante e dei fertilizzanti, dall’altro la riduzione dei prezzi agricoli. Inoltre sta calando la terra adibita all’agricoltura, a causa della competizione delle sempre maggiori infrastrutture e ormai il 40 per cento dei contadini sono senza terra; si parla di circa sessanta milioni di persone che sono state espropriate, spesso senza nessun risarcimento, da società internazionali concessionarie dello stato.

Tutto questo mostra la rilevanza della sovrappopolazione relativa (ovvero dell’esercito di riserva) nel settore: circa duecentocinquanta milioni direttamente impiegati nei lavori della terra e, appunto, altri cinquecento milioni comunque connessi e dipendenti dal settore.

David Harvey è una notissima e rispettabile personalità, uno studioso di grande valore e sensibilità, una guida per molta parte del pensiero critico occidentale. Ma è britannico, laureato a Cambridge in geografia, sin dagli anni settanta si converte al materialismo dialettico ed al marxismo, se pur letto in chiave autonoma ed originale.

Utsa Patnaik e suo marito, Prabhat Patnaik, sono due economisti che hanno studiato in India, e che hanno lavorato per lo più al Center of Economic Studies and Planning nella School of Social Sciences dell’Università Jawaharlal Nehru di Nuova Delhi, dall’inizio degli anni settanta. Il loro perfezionamento è tuttavia avvenuto in Inghilterra, entrambi ad Oxford ma Utsa in economia e Prabhat in filosofia, da cui ha passato un periodo a Cambridge.

Per quando David Harvey abbia dieci anni più di loro si tratta di studiosi esperti e stimati, con decine di libri e centinaia di articoli alle spalle. Ma questo confronto, riportato in calce al libro dei Patnaik, è insolitamente aspro. L’uno parla di leggerezza, imprecisione e infondatezza e di “ossessione”, gli altri di subalternità ad una cultura che oscura la verità perché scomoda, quasi di complicità.

La durezza dello scontro dice qualcosa. Parla del portato degli scontri di classe e di radicamento che attraversano i secoli per riproporsi. Sono di fronte, in effetti, colonizzatori e colonizzati. I secondi non lo hanno dimenticato.

mercoledì 26 febbraio 2020

Da Wittgenstein a Marx via Rossi-Landi - Roberto Fineschi

Da: http://www.ilsileno.it/filosofiesemiotiche - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. (Marx. Dialectical Studies) -
Leggi anche   Wittgenstein e la filosofia del linguaggio – Piergiorgio Odifreddi 
                            TEMI WITTGENSTEINIANI - Stefano Garroni 
                             L. WITTGENSTEIN - LA CULTURA MEDIA CONTEMPORANEA - NOTE AL RAMO D'ORO DI FRAZER - Stefano Garroni - 09-01-97


Introduzione 

Quando sono stato invitato a scrivere un contributo sul rapporto Marx-Wittgenstein sono stato un po’ esitante. In primo luogo non sono certo un esperto di Wittgenstein, anzi, sono un modesto lettore delle sue opere più importanti e non ho molto di significativo da dire in proposito. In secondo luogo, come esperto di Marx, solo tangenzialmente mi sono occupato di temi legati alla filosofia del linguaggio o alla semiotica. Ho però cominciato a leggere un po’ di letteratura ed ho trovato diversi spunti interessanti, soprattutto nel semiologo marxista italiano Ferruccio Rossi-Landi (ROSSI-LANDI 1968, 1977, 1983) e in altri interpreti (ABREU 2008; GAKIS 2015; KITCHING & PLEASANTS 2002; READ 2000; RUBINSTEIN 1981). Alla luce di questi studi ho forse inteso meglio come trattare il tema e deciso di contribuire. 

La prima parte di questo saggio è dedicata alla lettura di Wittgenstein proposta da Rossi-Landi, la seconda all’analisi di come Rossi-Landi cerchi di risolvere attraverso Marx quelle che reputa aporie di Wittgenstein, la terza, infine, a una valutazione critica della questione e al senso di un possibile rapporto Marx-Wittgenstein. 


1. Il Wittgenstein di Rossi-Landi 

La lettura di Wittgenstein da parte di Rossi-Landi è chiaramente influenzata dalla sua intenzione di sviluppare una teoria marxista della linguistica. Il suo scopo non è una ricostruzione critica del suo pensiero, ma fornire un solido fondamento al suo progetto nella stessa tradizione della filosofia del linguaggio (la stessa cosa che cerca di fare nel suo dialogo con Saussure). 

Quello di Rossi-Landi è un approccio marxista(1), in cui la componente storico-sociale è assolutamente decisiva; da questo presupposto, la sua valutazione del Tractatus non può che essere estremamente critica, in quanto lo si considera addirittura «pre-kantiano» proprio per l’assenza dell’elemento storico-sociale (ROSSI-LANDI 1968: 22). Questo Wittgenstein è sostanzialmente ignorato e considerato inadeguato non solo per un confronto con Marx, ma come contributo al pensiero occidentale moderno. Tutta cambia invece con le Ricerche, dove invece si percepisce il «flusso della vita» (ROSSI-LANDI 1968: 23). 

Sulla base della nota 583 delle Ricerche(2), Rossi-Landi può affermare che, secondo Wittgenstein, l’ambiente [Umgebung] dà rilevanza al significato. Il significato di una parola è dato dal suo uso nel linguaggio, dice Wittgenstein nella nota 43(3), e Rossi-Landi commenta che il linguaggio acquisisce significato in un contesto, vale a dire quello pubblico nel quale impariamo a parlare (ROSSI-LANDI 1968: 24). Il gioco linguistico come tale non si riferisce solo all’uso linguistico, ma include elementi extra-linguistici, una prassi sociale che implica un uso linguistico dell’azione extralinguistica. Secondo Rossi-Landi si può derivare questa conclusione dalla nota 7 delle Ricerche(4). 

Se il significato sta nell’uso di una parola, in una prassi che ha luogo in un contesto pubblico, Rossi-Landi assume, traendo queste conclusioni dalle note 199(5) e 242(6), che ci sono regole in ciò implicate. Queste regole vanno pensate come condivise, debbono corrispondere a comportamenti sociali determinati e accettati, a una prassi sociale. Questa ulteriore conclusione è implicita nelle note 200-202(7) (ROSSI-LANDI 1968: 25 s.). 

Rossi-Landi cerca di mostrare come per Wittgenstein almeno implicitamente, il linguaggio, con i suoi presupposti sociali, sia una prassi condivisa. A questo proposito, passando dal Trattato alle Ricerche, egli fa qualcosa di molto simile a quanto Marx e Feuerbach avevano fatto con Hegel: avevano individuato la chiave dell’alienazione intellettuale e filosofica (un uso distorto del linguaggio) nella prassi sociale. L’incoerenza del linguaggio filosofico è una conseguenza di una prassi determinata e ha origine in una prassi linguistica sbagliata. 

lunedì 24 febbraio 2020

IRAN / USA. Un futuro incerto - Orazio Di Mauro

Da: https://www.lacittafutura.it - Orazio Di Mauro insegna Storia e Filosofia.
Vedi anche: Perchè l'uccisione di Soleimani è un "omicidio di stato"? - Intervista a Alberto Bradanini

L’ascesa iraniana da potenza regionale a potenza sovraregionale.

Qualche giorno fa la CNN ha aggiornato il bilancio ufficiale" dei feriti causati dell'attacco missilistico dell'Iran sulla base americana di Ein Al Assad, in Iraq il 9 gennaio 2020 portandolo a 64 [0]. Come tutti ricorderete l’attacco fu effettuato come risposta al proditorio assassinio di Suleiman Qassem
La notizia sarebbe poco significativa se non fosse che dal primo momento si negò che vi fossero stati feriti e poi il comando americano ammise man mano 11, 16,37, 50 ed ora 64 feriti. Se si pensa che gli iraniani al momento degli attacchi dissero di aver causato 80 feriti [1], le due cifre sono significativamente molto vicine e non è escluso che in futuro coincideranno. Si aggiunga che questi attacchi missilistici sono stati preannunciati dagli iraniani tramite i canali ufficiali dell’ambasciata svizzera di Berna che cura gli interessi degli USA in Iran. Non è escluso che si siano seguiti altri canali non ufficiali, ma più rapidi ed efficaci. 

La risposta iraniana ci dice però due cose. La prima che la missilistica iraniana è molto avanzata. La precisione del tiro iraniano non è una vanteria del paese mediorientale, ma un timore, non infondato degli occidentali, in primis gli USA [2]. Specialmente se l’accuratezza deriva da un sistema russo molto temuto in occidente denominato Glonass. [3] Ciò spiega la proposta di Trump di un negoziato con l’Iran che oltre al nucleare iraniano dovrebbe interessare anche la potenza missilistica di Teheran, con l’ovvia risposta negativa iraniana. Nelle università scientifiche di Teheran da sempre si sviluppa una formidabile conoscenza della Fisica applicata. Si ricordi che l’ex presidente Amadinejad era docente di Fisica all’università di Teheran [5]. 

Appare chiaro che il confronto tra la superpotenza, (sia pur declinante, con modi e velocità di difficile comprensione), e il paese governato dagli Ayatollah si sia incanalato, dopo l’uccisione del Generale Suleiman Qassem,[5] verso nuovi rapporti e non tutti chiari. Cercheremo di coglierne almeno le linee essenziali.

mercoledì 19 febbraio 2020

"I nomi e le cose" - Carlo Sini

Da: Festivalfilosofia - Carlo Sini è un filosofo italiano.- CarloSiniNoema 
Vedi anche:   LA SCRITTURA - Carlo Sini 
                       Il linguaggio nel pensiero di Aristotele - Enrico Berti 
                       CONOSCENZA,SAPIENZA,SAGGEZZA: il triangolo che non c'è più - Silvano Tagliagambe 
                       Il relativismo - Carlo Sini
Ascolta anche: https://www.raiplayradio.it/audio/2020/02/RADIO3-SCIENZA---La-rivincita-del-pensiero

"Tutti i filosofi hanno il comune difetto di partire dall’uomo attuale e di credere di giungere allo scopo attraverso un’analisi dello stesso. Inavvertitamente «l’Uomo» si configura alla loro mente come una æterna veritatis, come un’identità fissa in ogni vortice, come una misura certa delle cose. Ma tutto ciò che il filosofo enuncia sull’uomo, non è in fondo altro che una testimonianza sull’uomo di un periodo molto limitato.

La mancanza di senso storico è il difetto ereditario di tutti i filosofi; molti addirittura pendono di punto in bianco la più recente configurazione dell’uomo, quale essa si è venuta delineando sotto la pressione di determinate religioni, anzi di determinati avvenimenti politici, come la forma fissa dalla quale si debba partire. Non vogliono capire che l’uomo è divenuto e che anche la facoltà di conoscere è divenuta; mentre alcuni di loro si fanno addirittura fabbricare, da questa facoltà di conoscere, l’intero mondo. 

Ora tutto l’essenziale dell’evoluzione umana è avvenuto in tempi remotissimi, assai prima di quei quattromila anni che all’incirca conosciamo e durante i quali l’uomo non può essere gran che cambiato. Ma nell’uomo attuale il filosofo vede «istinti» suppone che essi appartengano ai fatti immutabili dell’uomo e possano quindi fornire una chiave alla comprensione del mondo in generale: tutta la teologia è basata sul fatto che dell’uomo degli ultimi quattro millenni si parla come di un uomo eterno, al quale tendono naturalmente tutte le cose del mondo. Ma tutto è divenuto; non ci sono fatti eterni: così come non ci sono verità assolute. 

Per conseguenza il filosofare storico è da ora in poi necessario, e con esso la virtù della modestia."
Friedrich Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches Umano troppo umano, Adelphi, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. I, parte prima, § 2                                                                                                             

lunedì 17 febbraio 2020

"Quid deinde fit?" - Alessandro Barbero

Da: nimal4 - https://www.logosfest.org/ - https://www.facebook.com/logosfest.org/ -
Alessandro_Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare.
Vedi anche: Democrazia - Alessandro Barbero
                        Marc Bloch - Alessandro Barbero 


                                   Quid deinde fit? (Cic.) “Che accade poi?”  

                                                                             

giovedì 13 febbraio 2020

L’occupazione italiana nei Balcani - Angelo Del Boca

Da: https://volerelaluna.it - Angelo_Del_Boca è uno storico, giornalista e scrittore italiano, considerato il maggiore storico del colonialismo italiano.
Leggi anche: Jugoslavia, memorie del Paese che non c’è più. - Angelo D’Orsi

                   E allora, le foibe?!” - Angelo D’Orsi

                       https://cambiailmondo.org/2019/02/22/sulle-foibe-2-sergio-bologna-von-banditen-erschossen-su-mattarella-e-le-foibe/?
                        https://ilmanifesto.it/monsieur-le-president-lettera-a-sergio-mattarella/?
Vedi anche: Alessandra Kersevan su fascismo e foibe (Prima parte: https://www.youtube.com/watch?v=5l59zDt3VmY) -
                                                                                       (Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=5l59zDt3VmY) -             

- Dedichiamo queste pagine tratte dal libro di un grande storico, Angelo Del Boca, Italiani brava gente, al presidente Mattarella – che nel giorno del ricordo, nell’escludere ogni nesso, fosse anche di contesto, tra l’orrore delle foibe e i “torti del fascismo” ha insinuato l’accusa di “negazionismo” e “riduzionismo” verso gli storici che quel nesso invece hanno indagato –  con l’augurio che gli possano in futuro evitare simili scivoloni storiografici.  Qui sono documentate le atroci sofferenze inflitte  dall’esercito fascista e dagli italiani alla popolazione slovena all’inizio degli anni ’40, senza considerare le quali  i successivi orrori delle foibe – che pur colpirono anche degli innocenti – non troverebbero altra spiegazione che la naturale barbarie slava e il delirante odio ideologico. Rimuovere le “nostre” colpe (le colpe dell’Italia fascista) come a suo tempo furono rimosse le responsabilità penali dei criminali di guerra che le ordinarono e compirono, significa attizzare nuovi odii tra popoli che invece dovrebbero e potrebbero convivere nel rispetto reciproco. https://volerelaluna.it -


Oltre che sulle regioni dell’intero Corno d’Africa e sulla Libia, Vittorio Emanuele III regnava sull’Egeo, l’Albania, il Kosovo, il Dibrano, lo Struga, la provincia slovena di Lubiana, la Dalmazia, parte della provincia di Fiume … Ma truppe italiane presidiavano anche il Montenegro, parte della Bosnia e della Croazia, la Grecia, parte della Francia meridionale e la Corsica, alcune zone dell’Unione Sovietica. Alla fine del 1942, quando l’Africa Orientale Italiana era ormai persa, erano dislocati sui vari fronti all’estero oltre 1.200.000 uomini. Nei soli Balcani, sui quali si appunta maggiormente la nostra attenzione, erano presenti 650.000 soldati, suddivisi in dieci corpi d’armata, mediocremente equipaggiati (Posizione 3636). 

Militari e funzionari civili miravano anzitutto a una fascistizzazione accelerata della regione, anche se, in cambio, non offrivano alla popolazione neppure la cittadinanza italiana a pieno titolo, ma soltanto l’ambigua qualifica di «cittadino per annessione» . E quando in Slovenia, come del resto in Dalmazia, in Montenegro, in Croazia, cominciavano ad accendersi i primi fuochi della rivolta, la repressione era immediata e inesorabile . D’altronde molti dei militari e dei funzionari impiegati nei Balcani si erano già fatti le ossa in Libia, in Etiopia, in Spagna. Essi consideravano le popolazioni slave appena un gradino più in su di quelle africane. Uno di essi, il generale Alessandro Pirzio Biroli, era riuscito, in qualità di governatore dell’Amhara, a riscuotere l’ammirazione dello stesso Graziani per aver ordinato l’impiccagione di 20 paesani di Quoratà e la fucilazione di quattro preti. Il 27 luglio 1937, il viceré così lo elogiava : «Ben ha fatto Sua Eccellenza Pirzio Biroli ad imitare l’esempio di Debrà Libanòs, che per il clero dell’ex Scioa è stato assai salutare, perché preti e monaci adesso filano che è una bellezza». Pirzio Biroli aveva anche coperto l’eliminazione segreta di alcuni capi villaggio, che erano stati gettati, con una pietra al collo, nelle acque del lago Tana (Posizione 3646).

Un bilancio terribile 

mercoledì 12 febbraio 2020

Antisemitismo e antisionismo sono collegati tra loro? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - (Unigramsci) - https://www.facebook.com/unigramsci/ - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 
Leggi anche: La definizione di antisemitismo dell’IHRA - Ugo Giannangeli
                        PALESTINA. Economia e occupazione: dal Protocollo di Parigi ad oggi. - Francesca  Merz 
                      Chiarezza - Shlomo Sand 







Secondo la vulgata, chi condanna la politica dello Stato di Israele è equiparato ai fascisti e ai nazisti; si macchia dunque del crimine dell’antisemitismo e non è autorizzato a muovere nessuna critica. 



Siamo in un’epoca in cui la storia la fanno i politici [1] e gli storici con i loro polverosi archivi e le loro sottili ricerche sono bruscamente accantonati. Naturalmente questa storia è eminentemente politica ed ha semplicemente lo scopo di legittimare obiettivi che, dal punto di vista storico, non hanno alcun fondamento e che sono anche il risultato di un atteggiamento aggressivo e arrogante volto a misconoscere i diritti degli avversari. Qualcuno potrebbe dire che è sempre stato così, dato che per evidenti motivi, come dice un antico proverbio africano: “la storia della caccia, come attività entusiasmante, l’hanno fatta sempre i cacciatori”. 

Lo scorso 23 gennaio a Gerusalemme, alla presenza di molti grandi della terra (Putin, Macron, Mike Pence, il Principe Carlo, rappresentanti del Vaticano etc.) è stato celebrato The Fifth World Holocaust Forum con il titolo Remembering Holocaust: Fighting Anti-Semitism, in collaborazione con l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah e con il patrocinio del presidente dello Stato d’Israele Reuven Rivlin.