mercoledì 31 luglio 2019

Operai e contadini - Antonio Gramsci

Da:  "L'ordine nuovo ", 3 gennaio 1920 - https://www.marxists.org


La produzione industriale deve essere controllata direttamente dagli operai organizzati per azienda; l'attività di controllo deve essere unificata e coordinata attraverso organismi sindacali puramente operai; gli operai e i socialisti non possono concepire come utile ai loro interessi e alle loro aspirazioni un controllo sull'industria esercitato dai funzionari (corrotti, venali, non revocabili) dello Stato capitalista, una forma di controllo sull'industria che altro non può significare che un risorgere dei comitati di mobilitazione industriale utile solo al parassitismo capitalista. 

Il motto "la terra ai contadini" deve essere inteso nel senso che le aziende agricole e le fattorie moderne devono essere controllate dagli operai agricoli organizzati per azienda agricola e per fattoria, deve significare che le terre a cultura estensiva devono essere amministrate dai Consigli dei contadini poveri dei villaggi e delle borgate agricole; gli operai agricoli, i contadini poveri rivoluzionari, e i socialisti consapevoli non possono concepire come utili ai loro interessi e alle loro aspirazioni, non possono concepire come utile ai fini dell'educazione proletaria, indispensabile per una repubblica comunista, la propaganda per le "terre incolte o mal coltivate". Questa propaganda non può non avere per risultato che una mostruosa diffamazione del socialismo. 

Cosa ottiene un contadino povero invadendo una terra incolta o mal coltivata? Senza macchine, senza abitazione sul luogo del lavoro, senza credito per attendere il tempo del raccolto, senza istituzioni cooperative che acquistino il raccolto stesso (se il contadino arriva al raccolto senza prima essersi impiccato al più forte arbusto delle boscaglie, o al meno tisico fico selvatico, della terra incolta!) e lo salvino dalle grinfie degli usurai, cosa può ottenere un contadino povero dall'invasione? Egli soddisfa, in un primo momento, i suoi istinti di proprietario, sazia la sua primitiva avidità di terra; ma in un secondo momento, quando s'accorge che le braccia non bastano per scassare una terra che solo la dinamite può squarciare, quando s'accorge che sono necessarie le sementi e i concimi e gli strumenti di lavoro, e pensa che nessuno gli darà tutte queste cose indispensabili, e pensa alla serie futura dei giorni e delle notti da passare in una terra senza casa, senza acqua, con la malaria, il contadino sente la sua impotenza, la sua solitudine, la sua disperata condizione, e diventa un brigante, non un rivoluzionario, diventa un assassino dei "signori", non un lottatore per il comunismo.

lunedì 29 luglio 2019

IL TEOREMA DELLE BACCANTI - da Euripide a Pasolini - CARLO SINI

Da:  Dante Channel Carlo Sini è un filosofo italiano.- CarloSiniNoema 

                   "Che cos'è l'uomo?"
                                                                    

                                                                                                                ...a seguire la seconda parte. (https://www.youtube.com/watch?v=K0lpQYFT6nA)

domenica 28 luglio 2019

Il biennio rosso (1919-20) - Matteo Saudino

Da: Matteo Saudino - BarbaSophia - matteo-saudino insegna storia e filosofia presso il liceo “Giordano Bruno” di Torino.
Leggi anche: https://www.lacittafutura.it/unigramsci/dal-biennio-rosso-allo-squadrismo-fascista

                 In Germania, Austria e Ungheria:
                                                                        
                                                                                                           
                                                                                                                     ...e in Italia:                                                                                                                                                                                                                                                                                     

sabato 27 luglio 2019

Non sappiamo più ascoltare, quindi imparare! - Paolo Ercolani

Da: http://lurtodelpensiero.blogautore.espresso.repubblica.it - Paolo Ercolani (www.filosofiainmovimento.it) insegna filosofia all'Università  di Urbino Carlo Bo.

Non so a voi, ma a me succede sempre più spesso di accorgermi che le persone non ascoltano. Le nostre conversazioni assomigliano sempre più a un dialogo fra sordi...

Chi non sa ascoltare, non comprende né impara. 

Qualunque prodotto del nostro «Io», che si tratti di un’idea, uno scritto, un lavoro manuale o altro, deriva da un sapere precedente, da un’eredità di conoscenze con cui veniamo a contatto attraverso il dialogo, la lettura o semplicemente il confronto con chi ci ha preceduti in quell’attività o ne condivide la passione.

Siamo essenzialmente animali dialoganti, insomma, tanto che il nostro «logos» (il bagaglio di idee, parole e studi che portiamo con noi) risulta sempre essere il risultato di un «dia-logos», ossia del confronto con i bagagli sapienziali altrui.

Albert Einstein non sarebbe stato in grado di elaborare la sua celebre teoria della relatività, senza trarre conoscenza e ispirazione dal dialogo con le teorie di coloro che lo hanno preceduto come anche dei suoi contemporanei, e, del resto, la sua grande scoperta non avrebbe avuto alcun senso se non ci fossero state persone pronte ad ascoltarla, farla propria, elaborarla e, per molti versi, confermarla grazie alle ulteriori informazioni conseguite in epoche successive.

mercoledì 24 luglio 2019

Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia - Friedrich Engels (1876)

Da: https://www.marxists.org - Scritto nel maggio-giugno del 1876, come prima parte di un più lungo studio Sulle tre forme fondamentali della schiavitù, che Engels aveva promesso a W. Liebknecht per il giornale Volkstaat. Il saggio non fu mai condotto a termine, il presente scritto fu pubblicato per la prima volta nel 1896, sulla rivista Die Neue Zeit. - Trascritto da Ivan A., Dicembre 1999 -

  Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, dicono gli studiosi di economia politica. Lo è,accanto alla natura, che offre al lavoro la materia greggia che esso trasforma in ricchezza. Ma il lavoro è ancora infinitamente più di ciò. 

  E' la prima,fondamentale condizione di tutta la vita umana; e lo è invero a tal punto, che noi possiamo dire in un certo senso: il lavoro ha creato lo stesso uomo.

  Centinaia di migliaia di anni fa, in una fase ancora non precisabile di quell'era che i geologi chiamano terziaria, probabilmente verso la sua fine, viveva in una qualche parte della zona torrida - verosimilmente su di un grande continente ora sprofondato nell'Oceano Indiano una famiglia di scimmie antropomorfe giunta a uno stadio particolarmente alto di sviluppo. Darwin ci ha dato una descrizione approssimativa di questi nostri antenati. Erano estremamente pelosi, avevano la                                    barba, le orecchie appuntite, e vivevano in branchi sugli alberi.

A motivo anzitutto del loro modo di vivere (l'arrampicarsi porta a un impiego delle mani diverso da quello dei piedi) queste scimmie cominciarono a perdere l'abitudine di aiutarsi con le mani quando procedevano su terreno piano e ad assumere sempre più la posizione eretta. Con ciò era fatto il passo decisivo per il trapasso dalla scimmia all'uomo.

martedì 23 luglio 2019

"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano -
Angelo_D'Orsi, Università degli Studi di Torino - Guido Carpi (http://docenti.unior.it), Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"

                                                                           

lunedì 22 luglio 2019

Qual è il disegno dei paesi neoliberisti per l’educazione superiore? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 


 L’attribuzione di 85 milioni di euro a consorzi di università europee persegue la prospettiva liberista: università per l’élite e che per di più diano sostegno ideologico alla Unione europea. 


Non accusatemi di risalire troppo indietro nel tempo, ma vi assicuro che la trasformazione dell’università è cominciata almeno 50 anni fa’, quando sembrava che gli atenei si sarebbero aperti anche ai giovani delle classi popolari, e quando gli studenti cominciarono la stagione della contestazione, cui alcuni posero fine con un cinico allineamento.
Già nel 1968 Zbigniew Brzezinski profilava la possibilità che gli studenti della Columbia University e quelli dell’Università di Teheran (non so perché proprio questa) avrebbero potuto un giorno ascoltare nello stesso momento la lezione di uno stesso docente, senza specificare se americano o persiano. Questa possibilità non costituisce un mero sogno, ma il disegno di rimodellare l’università nell’epoca del dominio globale degli Stati Uniti ormai in acuta discussione.
Come ha cercato di mostrare un’eminente storica francese, Annie Lacroix Riz, l’Europa costituisce una creazione statunitense in funzione antisovietica e con l’appoggio alla Germania, che al dissolversi del blocco socialista, è stata premiata con l’assorbimento non solo della Repubblica democratica tedesca, ma anche con quella dei paesi del defunto Patto di Varsavia. Insomma, è stata trattata come se fosse stata una dei vincitori della guerra, essendogli stati anche condonati di fatto i debiti di guerra [1].

domenica 14 luglio 2019

La Grande Russia di Putin - Sergio Romano

Da: èStoria - Sergio Romano è uno storico, scrittore, giornalista e diplomatico italiano.
Vedi anche: Trump e la fine dell’American dream - Sergio Romano

                                                                       

sabato 13 luglio 2019

"Poiesis " e "Praxis" nella cultura occidentale - Felice Renda

Da: Università Popolare Antonio Gramsci - Felice Renda insegna Storia e filosofia.


Primo incontro: L’ambiguità della tecnica presso i Greci -
(il tema sarà sviluppato attraverso il commento di alcuni passi tratti dal Prometeo incatenato di Eschilo).
                                                                         

Secondo incontro: L’ambiguità della tecnica presso i Greci - https://www.youtube.com/watch?v=KNl_dz8M0rQ
(la lezione si articolerà in base alle riflessioni suggerite dalla lettura del primo stasimo dell’Antigone di Sofocle).

Terzo incontro: Fare produttivo, poesia, azione politica in Platone - https://www.youtube.com/watch?v=5s7gD5kTeuQ
(in cui saranno visitati alcuni brani del Protagora, della Repubblica, del Politico). -

Quarto incontro: Poiesis e Praxis in Aristotele (testo di riferimento: Fisica, Etica Nicomachea, Politica);
Contemplazione e azione nella cultura rinascimentale - (i pensatori guida saranno: Pico della Mirandola e Giordano Bruno).
https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=92r1S2iXSCo

sabato 6 luglio 2019

Il socialismo e l'uomo a Cuba - Ernesto Che Guevara (1965)

Da: «El socialismo y el hombre a Cuba», in Marcha (Montevideo) 12 marzo 1965, e in Verde Olivo, aprile 1965. L'articolo, in forma di lettera, è indirizzato al giornalista Carlos Quijano direttore del settimanale uruguaiano Morena. - Ora in Ernesto Che Guevara, Scritti scelti, a cura di Roberto Massari, Erre Emme, 1993, trascrizione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare in occasione dell'anniversario della morte di Guevara (09/10/1967) - https://www.resistenze.org 

Stimato compagno,
termino queste note mentre viaggio per l'Africa, animato dal desiderio di mantenere la mia promessa, sia pure con ritardo. Vorrei farlo affrontando il tema del titolo. Credo che possa essere interessante per i lettori uruguaiani.

Si ascolta spesso dalla bocca dei portavoce capitalistici, come argomento della lotta ideologica contro il socialismo, l'affermazione secondo cui questo sistema sociale, o il periodo di costruzione del socialismo nel quale siamo impegnati, sarebbe caratterizzato dalla negazione dell'individuo, sacrificato sull'altare dello Stato. Non cercherò di confutare questa affermazione su una base puramente teorica, ma di descrivere la realtà che oggi si vive a Cuba, aggiungendo qualche commento di carattere generale. In primo luogo, traccerò a grandi linee la storia della nostra lotta rivoluzionaria prima e dopo la presa del potere.

Come è noto, la data esatta in cui iniziarono le azioni rivoluzionarie, che dovevano culminare nel primo gennaio del 1959, fu il 26 luglio 1953. All'alba di quel giorno, un gruppo di uomini, guidati da Fidel Castro, attaccò la caserma Moncada nella provincia d'Oriente. L'azione fu un fallimento che si trasformò in disastro e i sopravvissuti finirono in carcere, per poi ricominciare, dopo essere stati amnistiati, la lotta rivoluzionaria.

Durante questa fase, nella quale esistevano soltanto dei germi di socialismo, l'uomo era il fattore fondamentale. Si faceva affidamento su di lui, come individuo, dotato di una sua specificità, con tanto di nome e cognome; e dalla sua capacità d'agire dipendeva il trionfo o il fallimento dell'azione intrapresa. 


giovedì 4 luglio 2019

La costituzione cubana e italiana a confronto - Leila Cienfuegos e Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Sapienza – Università di Roma) - 
Leggi anche: Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 


La repubblica di Cuba si è dotata quest’anno di una nuova costituzione. Leggerla comparandola con la nostra potrebbe risultare particolarmente arduo per un motivo molto semplice: Cuba è un paese socialista che si è ribellato al giogo dello sfruttamento coloniale e imperialista attraverso un processo rivoluzionario sostenuto dal popolo e che, nell’ostilità dell’intero mondo occidentale, porta avanti da 60 anni tale tentativo di rinnovamento sociale; l’Italia, al contrario, appartiene alla schiera dei paesi - numericamente piuttosto esigua - che condividono una scelta di campo politico-economica di matrice opposta a quella cubana e che, attraverso il proprio complesso apparato organizzativo, militare ed ideologico, risultano in grado di influire sulle (e spesso determinare fattivamente le) sorti di interi popoli, sulle dinamiche di varia natura a livello mondiale. 
Tanto più distanti appaiono, oggi, le strutture e le scelte dei due Paesi, tanto meno c’è da illudersi che la legge di un Paese ne contenga e ne esprima in modo completo le effettive dinamiche interne e le tendenze di sviluppo. La legge è la fotografia, parziale in quanto soggiacente ai rapporti di forza, di un dato momento storico. Vi è, nell’Italia di oggi, un anelito all’attuazione effettiva e completa del dettato costituzionale del 1948 in una fase in cui esso appare sempre più quale un mero involucro vuoto, privo di effettività; e vi è, a Cuba, una necessità di misurarsi con le condizioni concrete che sono maturate attorno dal 1959 ad oggi, giacché, per quanto Cuba sia un’isola sotto embargo, la vita di un Paese non può esaurirsi a quella interna ma deve tenere in debito conto numerose dinamiche esterne.
Per tale ragione, e con tale dovuta premessa, tale comparazione si limiterà sostanzialmente agli aspetti maggiormente rilevanti.
Elaborazione
Il testo costituzionale cubano è frutto di un lavoro che risale almeno al 2011 quando, con i lineamenti di politica economica del partito, si poneva all’ordine del giorno il tema della riforma costituzionale. Un tema che, a differenza di quanto avviene in Italia, non rimane chiuso nelle aule parlamentari e, quando va bene, nei circoli dei partiti e coinvolge il popolo solo quando, eventualmente, è chiamato ad approvare o respingere il testo licenziato dal parlamento senza la maggioranza dei ⅔ (quando questa maggioranza si ottiene in seconda lettura non c’è bisogno del referendum, come successo con la riforma varata dal governo Monti). La costituzione cubana, infatti, non solo ha dovuto passare il vaglio referendario ma è stata redatta con la partecipazione stessa del popolo, tanto che oltre il 60% degli articoli hanno subito modifiche provenienti dalle oltre 783.000 proposte scaturite da 133.000 riunioni. 

lunedì 1 luglio 2019

"Lo Schelling post-hegeliano" - Paolo Vinci

Da: AccademiaIISF - Paolo Vinci (Sapienza Università di Roma - IISF)
Vedi anche: La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci                                                                                                                                                                                                                                              
                                             Secondo incontro: 


               L’idealismo tedesco nei suoi critici. 
                        Fratture e permanenze? 
                                     Schelling, Feuerbach, Marx, Schopenhauer, Nietzsche. 

(1/5) - Marco Ivaldo "Da Hegel a Nietzsche. Rileggendo Löwith"

(2/5) - Paolo Vinci - "Lo Schelling post-hegeliano"

(3/5) - Matteo d’Alfonso "Schopenhauer e la ragione pratica di Kant"

(4/5) - Roberto Finelli "Il pensiero di L. Feuerbach come limite allo sviluppo teorico di Karl Marx"

(5/5) - Marcello Musté "La volontà di potenza in Nietzsche: genesi, significato, conseguenze"


venerdì 28 giugno 2019

Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché

Da: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206 - Vladimiro Giacché è un economista italiano.
                           Sulla NEP e sul capitalismo di Stato* - Lenin 


lI concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin (1)

Dopo sei mesi di rivoluzione socialista coloro che ragionano solo sulla base dei libri non capiscono nulla. 
LENIN, 5 luglio 1918 (2)


1. 1917-1918. Il capitalismo di Stato come «passo avanti» 

Le prime occorrenze significative del concetto di capitalismo di Stato negli scritti di Lenin del periodo postrivoluzionario risalgono alla primavera del 1918, e si situano nel contesto della dura contrapposizione ai «comunisti di sinistra», l’opposizione interna al Partito comunista allora guidata da Nikolaj Bucharin. Lo scontro, inizialmente infuriato sulla firma del trattato di pace con la Germania, non era meno duro sul terreno economico. Esso riguardava ora la gestione delle imprese e il rafforzamento della disciplina del lavoro al loro interno: alla necessità di questo rafforzamento, su cui Lenin insisteva, i «comunisti di sinistra» contrapponevano la gestione collettiva delle imprese, che finiva in pratica per tradursi nella paralisi e nell’ingovernabilità delle imprese nazionalizzate. Ma il tema centrale era un altro ancora: il ritmo e la direzione della trasformazione economica. In quei mesi Oppokov proponeva di «dichiarare la proprietà privata inammissibile sia nella città che nelle campagne», mentre un altro «comunista di sinistra», Osinskij, parlava di «liquidazione totale della proprietà privata» e di «immediata transizione al socialismo»(3).

Per Lenin le priorità sono diverse: «la ricostituzione delle forze produttive distrutte dalla guerra e dal malgoverno della borghesia; il risanamento delle ferite inferte dalla guerra, dalla sconfitta, dalla speculazione e dai tentativi della borghesia di restaurare il potere abbattuto degli sfruttatori; la ripresa economica del paese; la sicura tutela dell’ordine più elementare»(4) . Diventano quindi decisive da un lato «l’organizzazione di un inventario e di un controllo popolare rigorosissimo sulla produzione e sulla distribuzione dei prodotti», dall’altro «l’aumento su scala nazionale della produttività del lavoro». A questo fine, bisogna arrestare l’offensiva contro il capitale e «spostare il centro di gravità» della propria iniziativa: «Finora sono stati in primo piano i provvedimenti di immediata espropriazione degli espropriatori. Ora passa in primo piano l’organizzazione dell’inventario e del controllo nelle aziende in cui i capitalisti sono già stati espropriati». Ancora più chiaramente: «se volessimo ora continuare ad espropriare il capitale con lo stesso ritmo di prima, certamente subiremmo una sconfitta»(5) . Il passaggio al socialismo non è un salto ma una transizione. «Il problema fondamentale di creare un regime sociale superiore al capitalismo» consiste nell’«aumentare la produttività del lavoro, e in relazione con questo (e a questo scopo) creare una superiore organizzazione del lavoro»: e «se ci si può impadronire in pochi giorni di un potere statale centrale, […] una soluzione durevole del problema di elevare la produttività del lavoro richiede in ogni caso (e soprattutto dopo una guerra straordinariamente dolorosa e devastatrice), parecchi anni»(6).

sabato 22 giugno 2019

"Immanuel Kant. Progetto per una pace perpetua" - Antonio Gargano

Da: AccademiaIISF - Antonio Gargano è un filosofo italiano. Docente presso l'Università degli studi "Suor Orsola Benincasa", Scienze della Formazione. 
Vedi anche: Kant: "Critica della ragion pura"- Antonio Gargano 
                       Kant: "Critica della ragion pratica" - Antonio Gargano

                                                                             

mercoledì 19 giugno 2019

- Note sulla polisemia di «dialettica»: dal quotidiano alla riflessione formale - Stefano Garroni

Da: Dialettica riproposta - Stefano Garroni - lacittadelsole a cura di Alessandra Ciattini - Stefano Garroni  è stato un filosofo italiano.  



    Indice:


Nota dell’editore
                                                                                                                                             Stefano Garroni: Dialettica riproposta - Presentazione di Paolo Vinci 









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Una contraddizione, ben bizzarra, del nostro tempo è che l’impegno (l’apparente e sempre proclamato impegno) ad una cultura, che sappia finalmente liberarci da schemi e punti vista, nati e sviluppatisi in contesti storici ormai superati, di fatto si riduce a critica del marxismo e della dialettica, cioè di due momenti della riflessione moderna particolarmente ignorati o fraintesi. Quello che cerco di fare, con queste mie brevi note, è mostrare quanto sia ricca la problematicità della dialettica e come sia sicuramente vero che la sua critica – ovviamente sempre possibile – supponga però una conoscenza larga e profonda della dinamica del movimento storico, sotto tutti i suoi aspetti, notoriamente interconnessi e diversi in contesti diversi.

Un momento di particolare importanza, nella storia del pensiero scientifico, si ha con l’affermarsi del leibniziano «principio di continuità»1. Non è difficile comprendere che questo principio fa parte di una visione del mondo (Weltbild), che nega la possibilità di eventi isolati, i quali non trovino in serie di accadimenti passati, presenti e, perfino, futuri, la spiegazione e il senso del loro esserci attuale. In questa prospettiva non esistono eventi ineffabili, perché al contrario va riconosciuto al «nuovo» la proprietà di essere una combinazione particolare del già noto e, dunque, va altrettanto riconosciuta al linguaggio una plasticità combinatoria, che lo mette in condizione di comunicare novità, servendosi di segni già noti, o di inventare nuovi segni, ma a partire dalla struttura linguistica tradizionale2.

Se questa concezione attribuisce al pensiero ed al linguaggio una capacità inventiva, capace di fare dell’immaginazione scientifica qualcosa di ben più ricco e “imprevedibile” di qualunque coattiva costruzione del mero sentimento (inconscio compreso), dà luogo tuttavia a una difficoltà.

Posto il principio di continuità, va forse affermato che in effetti nulla di nuovo sorge sotto il sole, ovvero, che non esistono fenomeni, anche sociali, in radicale rottura con quelli della tradizione?

Se nella realtà non esiste il gratuito, il casuale, il zufällig, ciò comporta, forse, il pieno dominio del predeterminismo e, di conseguenza, far scienza non significherà che ritrovare nel nuovo, nel sorprendente, nell’inedito, il déjà vu?3

Proseguendo nella nostra ricerca, le sorprese aumentano.

lunedì 17 giugno 2019

Antonio Gramsci. Ritratto di un rivoluzionario - Angelo D'Orsi

Da: Laboratorio Lapsus - Angelo D'Orsi, allievo di Norberto Bobbio, è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino.

                                                                         

«Carissima mamma, vorrei per essere proprio tranquillo, che tu non ti spaventassi o ti turbassi troppo, qualunque condanna stiano per darmi.
Che tu comprendessi bene anche col sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e avrò mai da vergognarmi di questa situazione.
Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perchè non ho mai voluto mutare le mie opinioni per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione.
Che perciò io non posso che essere tranquillo e contento di me stesso.
Cara mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché tu sentissi quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente.
La vita é così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini. Ti abbraccio teneramente».

Antonio Gramsci, lettera alla madre, 10 maggio 1928

giovedì 13 giugno 2019

Critica del Programma di Gotha - Karl Marx

Da: /www.marxists.org - Il seguente scritto fu realizzato da Marx nel 1875 e pubblicato da Engels nel 1891. Le lettere scritte a Bebel e a Kautsky sono di Engels.
- La traduzione è conforme a quella delle Edizioni in lingue estere di Mosca. Trascritto da Ivan , Luglio 1999


    Indice:
                 Prefazione di Friedrich Engels
                  Lettera a Wilhelm Brake
                    Lettera ad August Bebel
                     Lettera a Karl Kautsky



Note in margine al programma del Partito operaio tedesco

I

l. "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, e poichè un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società"
Prima parte del paragrafo. "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà."
Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che esso stesso, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana. Quella frase si trova in tutti i sillabari, e intanto è giusta in quanto è sottinteso che il lavoro si esplica con i mezzi e con gli oggetti che si convengono. Ma un programma socialista non deve indulgere a tali espressioni borghesi tacendo le condizioni che solo danno loro un senso. E il lavoro dell'uomo diventa fonte di valori d'uso, e quindi anche di ricchezze, in quanto l'uomo entra preventivamente in rapporto, come proprietario, con la natura, fonte prima di tutti i mezzi e oggetti di lavoro, e la tratta come cosa che gli appartiene. I borghesi hanno i loro buoni motivi per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perchè dalle condizioni naturali del lavoro ne consegue che l'uomo, il quale non ha altra proprietà all'infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di società e di civiltà, lo schiavo di quegli uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col loro permesso, e quindi può vivere solo col loro permesso.
Lasciamo ora la proposizione come essa è e scorre, o piuttosto come essa zoppica. Che cosa se ne sarebbe atteso come conseguenza? Evidentemente questo:
"Poichè il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, anche nella società nessuno si può appropriare ricchezza se non come prodotto del lavoro. Se dunque un membro della società non lavora egli stesso, vuol dire che egli vive di lavoro altrui e che si appropria anche della propria cultura a spese di lavoro altrui."
Invece di questo, col giro di parole: "e poichè" viene aggiunta una seconda proposizione per trarre una conclusione da essa e non dalla prima.
Seconda parte del paragrafo: "Un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società."
Secondo la prima proposizione il lavoro era la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, e quindi nessuna società era possibile senza lavoro. Ora veniamo a sapere, viceversa, che nessun lavoro "utile" è possibile senza società.
Si sarebbe potuto dire ugualmente bene che solo nella società un lavoro inutile, e persino dannoso alla società stessa, può diventare una fonte di guadagno, che solo nella società si può vivere di ozio, ecc., ecc., - si sarebbe potuto, in breve, trascrivere tutto Rousseau.
E che cosa è lavoro "utile"? Solo il lavoro che porta l'effetto utile voluto. Un selvaggio - e l'uomo è un selvaggio, dopo che ha cessato di essere una scimmia - che abbatte un animale con un sasso, che raccoglie frutti, ecc., compie un lavoro "utile."
In terzo luogo: la conclusione: "E poichè un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società."
Bella conclusione! Se il lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene alla società - e al singolo lavoratore ne tocca solo quel tanto che non è necessario per mantenere la "condizione" del lavoro, la società.
In realtà questa proposizione è stata sostenuta in ogni tempo dai difensori del regime sociale esistente. In prima linea vengono le pretese del governo, con tutto ciò che vi sta attaccato, perchè esso è l'organo della società per il mantenimento dell'ordine sociale; indi vengono le pretese delle diverse specie di proprietà privata, poichè le diverse specie di proprietà privata sono le basi della società, e così via. Si vede che queste frasi vuote si possono girare e rigirare come si vuole.
La prima e la seconda parte del paragrafo hanno un costrutto intelligibile solo in questa redazione:
"Il lavoro diventa fonte della ricchezza e della civiltà solo come lavoro sociale" o, ciò che è lo stesso, "nella società e mediante la società."
Questa proposizione è indiscutibilmente esatta, perchè se anche il lavoro isolato (premesse le sue condizioni oggettive) può creare valori d'uso, esso non può creare né ricchezze né civiltà.
Ma ugualmente inoppugnabile è l'altra proposizione:
"Nella misura in cui il lavoro si sviluppa socialmente e in questo modo diviene fonte di ricchezza e di civiltà, si sviluppano povertà e indigenza dal lato dell'operaio, ricchezza e civiltà dal lato di chi non lavora."
Questa è la legge di tutta la storia sinora vissuta. Quindi, invece di fare delle frasi generiche sul "lavoro" e sulla "società," bisognava dimostrare concretamente come nella odierna società capitalistica si sono finalmente costituite le condizioni materiali, ecc., che abilitano e obbligano gli operai a spezzare quella maledizione sociale.
Ma in realtà l'intero paragrafo, sbagliato nella forma e nel contenuto, è stato inserito soltanto per poter scrivere come rivendicazione sulla bandiera del partito la formula di Lassalle sul "frutto integrale del lavoro." Tornerò in seguito sul "frutto del lavoro," sull'"ugual diritto," ecc., poichè la stessa cosa ritorna in forma alquanto diversa.

mercoledì 12 giugno 2019

Colpendo Trotsky Netflix attacca la Rivoluzione di Ottobre - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza


Non è sufficiente calunniare la Rivoluzione di Ottobre, bisogna trasformare una delle sue maggiori figure in oggetto di consumo giovanile, come è già avvenuto al Che.


Tra i vari gruppi comunisti nel mondo serpeggia l’idea di tentare di ricostruire un fronte comune, la cui basi – a mio modesto parere – non possono che essere la riflessione articolata e approfondita sulla nostra drammatica e dolorosa storia, punteggiata da sconfitte disastrose, da effimere vittorie, che hanno fortemente danneggiato la nostra immagine e la nostra stessa possibilità di dialogare con le masse. Tale riflessione deve assolutamente basarsi sull’abbandono di consunti stereotipi e luoghi comuni e implica riprendere veramente in mano lo studio della nostra storia e delle nostre laceranti controversie. Oltreché ovviamente il problema sempre aperto della dissoluzione dell’Unione Sovietica e dei paesi ad essa connessi.
Riflettendo con preoccupazione su questo tema, ho pensato fosse utile scrivere un articolo su una vicenda, di cui in Italia hanno parlato a fondo le voci alternative e per lo più vicine al trotskismo, mentre a livello internazionale essa ha coinvolto organizzazioni e pensatori marxisti ma non tutti strettamente legati al rivoluzionario fatto assassinare da Stalin a Coyocán nel 1940. Mi limito a citare Fredric Jameson, Michel Löwy, Srecko Horvat, Florian Wilde, sottolineando la massiccia presenza di autori latinoamericani e quella di italiani come Antonio Moscato e Dario Giacchetti. In particolare, anche se si è fatto riferimento al cyberpunk Trotsky, [1] vestito di lucida pelle nera e con una vita sessuale “bollente”, non mi pare si sia dedicato spazio alla reazione internazionale che tale falsa e obbrobriosa immagine ha generato. D’altra parte, lo stesso treno blindato, che sbuffa fumo nero e da cui l’organizzatore dell’Armata rossa impartisce i suoi ordini spietati contro i controrivoluzionari e non solo, appare un simbolo fallico che solca la sterminata campagna russa.
In breve, ecco la vicenda che ha spinto il nipote di León Trotsky, Esteban Volkov e il Centro di studi, ricerche e pubblicazioni dell’Argentina e del Messico a prendere una vigorosa posizione di protesta.