sabato 12 gennaio 2019

Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  Maurizio Donato


Da: https://mrzodonato.wordpress.comhttps://pungolorosso.wordpress.comhttp://www.antiper.org -
maurizio donato è un economista italiano.

Trovate qui di seguito un articolo dell’economista Maurizio Donato dell’università di Teramo sull’impoverimento della popolazione lavoratrice e la questione dell’euro. Quest’articolo sferra un bel colpo alla tesi dei “sovranisti di sinistra” secondo cui è stato l’euro a far impoverire i lavoratori abbassando il potere d’acquisto dei salari. Dati alla mano, Donato mostra come il fatto dell’impoverimento relativo e assoluto di chi vive e lavora in Italia sia cominciato ben prima dell’introduzione dell’euro nel 1999. L’impoverimento è iniziato nella seconda metà degli anni Settanta ed è stato particolarmente forte proprio nel periodo che va dalla meta’ degli anni Settanta fino al 1999, con la lira come moneta. In altri termini, Donato mostra come additare l’euro come causa dell’impoverimento “serv[a] a nascondere l’aumento dello sfruttamento” da parte della classe capitalistica: questa è la causa del peggioramento delle condizioni di vita e lavoro,  non il cambio della moneta. Non all’euro bisogna guardare, ma alla necessità del capitale, italiano e globale, di contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto, e in particolare alla necessità dei capitalisti italiani di restare competitivi in un mercato mondiale in cui si è fatta insidiosa la concorrenza della Cina e altri colossi, puntando molto sulla riduzione dei salari. [Pungolorosso] 



L’impoverimento assoluto e relativo di chi vive e lavora in Italia è un fenomeno reale, evidenziabile da numerosi indicatori relativi alla dinamica del reddito pro-capite, dei salari nominali, dei salari reali in riferimento alla produttività del lavoro, della quota del lavoro sul PIL. Non emergono, al contrario, evidenze empiriche che possano mettere tali dinamiche in rapporto all’introduzione dell’euro, dal momento che la compressione dei redditi da lavoro è cominciata molto tempo prima del 1999. 

venerdì 11 gennaio 2019

Fare i conti con la sinistra latinoamericana del XXI secolo - Alessandra Ciattini


Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.


Leggi anche: Sul compromesso storico - Aldo Natoli

Solo l’analisi approfondita può farci comprendere a cosa veramente tende un’organizzazione politica, anche senza saperlo.


Fare i conti con la sinistra latinoamericana del XXI secolo e con il suo addentellato, il socialismo del o nello stesso, non è un vano esercizio, ma una riflessione utile anche a focalizzare meglio l’attuale congiuntura italiana, sempre che si voglia ragionare, dando pane al pane, e non schematizzare in grossolane opposizioni dicotomiche, del tipo chi critica Lula da Silva è uno scherano dello spietato imperialismo statunitense.
Riflessione anche opportuna per cercare di fare un po’ di luce nell’attuale confusione che domina i vari gruppuscoli comunisti italiani, che non riescono a trovare un denominatore comune per costituire un fronte aggregante in vista delle prossime elezioni europee, e per rilanciare l’arduo processo di ricostruzione della coscienza di classe dissolta da decenni di politiche liberiste sedicenti di sinistra e di ipocrita buonismo verso i cosiddetti ultimi. Del resto, la coscienza tende a rattrappirsi quando l’individuo si trova di fronte al costante ricatto di chi ti intima: se vuoi campare queste sono il salario (irrisorio) e le condizioni di lavoro (pessime), facendoci comprendere che il problema non è mai esclusivamente ideologico.
Aggiungo che con il fare i conti con la sinistra latinoamericana non intendo scaricare su di essa la causa del peggioramento della situazione politica di questa regione del mondo (sarebbe sciocco e semplicistico), ma individuare il suo contributo a tale processo che è ovviamente dovuto ad una molteplicità di fattori. Tuttavia, credo che la demoralizzazione delle masse provocata da promesse non mantenute, sia pure continuamente agitate, non sia un elemento da sottovalutare.

giovedì 10 gennaio 2019

mercoledì 9 gennaio 2019

Euro: dopo vent’anni, riforma cercasi disperatamente - Riccardo Bellofiore

Da: https://www.lindro.it - http://www.ilcorsaro.info - (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova
riccardo.bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo. 

Vedi anche: "IL VALORE D'USO CONOSCITIVO E POLITICO DEL CAPITALE DI MARX OGGI" - Riccardo Bellofiore


Lo scorso primo gennaio sono trascorsi vent’anni dall’introduzione dell’euro come valuta: un anniversario che arriva in un anno cruciale per l’Unione europea, con le elezioni del prossimo maggio, e impone un bilancio complessivo di un processo di integrazione monetaria europea, delle sue contraddizioni e del suo futuro possibile. Punto di arrivo di un tortuoso processo di integrazione dei mercati nel Continente e, secondo i suoi fautori, primo passo di una sempre maggiore integrazione politica, la moneta unica dell’Europa dopo la crisi dei debiti sovrani si pone oggi come problema primario per la tenuta e legittimità dell’intero progetto europeo e degli stessi Stati membri. Le ferite ancora parte della crisi e l’erosione di una solidarietà europea sotto la scure dell’austerità e dei vincoli fiscali legano sempre di più il destino dell’euro a quello delle democrazie e dei diritti sociali, rendendo urgente e necessario interrogarsi sulle promesse tradite della moneta unica e su quelle irrealizzabili. Quali sono state le ragioni che hanno portato all’introduzione della moneta unica? Quali i suoi limiti e le prospettive di una riforma dell’eurozona? Ne abbiamo parlato con Riccardo Bellofiore, Professore di Economia Politica all’Università di Bergamo. 
  
Intervista a Riccardo Bellofiore, professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo

 A vent’anni dall’adozione dell’euro come valuta, quale l’origine e le ragioni storiche dell’adozione dell’euro? 

martedì 8 gennaio 2019

I concetti fondamentali della filosofia di Hegel - Renato Caputo




Leggi anche: Il tragico destino del cristianesimo - Renato Caputo 


Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci


Affrontiamo i concetti fondamentali della filosofia di Hegel per avere gli strumenti necessari a comprendere le sue immortali opere filosofiche, liberandoci delle più comuni incomprensioni.


La realtà (Wirklichkeit) nel senso forte del termine, la realtà effettuale, è per Hegel una totalità organica e non indica dunque – come spesso avviene nel linguaggio quotidiano – un singolo essere determinato. Quest’ultimo è definito da Hegel come esistente ed è in quanto tale parte di tale totalità, è il finito che come tale non può che morire, non avendo in sé la propria verità ma nel suo altro. Al contrario l’assoluto o infinito è ab-solutus, ovvero privo di legami già nel significato etimologico del termine; ha in sé la propria ragione di essere, la propria verità e necessità e, perciò, è reale unicamente una totalità organica. Ciò che è invece finito, particolare, esistente è in quanto tale limitato. Non è vero, in quanto non è in sé razionale. Non ha in sé senso e necessità, ma li acquista solo nella relazione che lo lega a tutti gli altri finiti quali momenti dell’infinito, parti del tutto in cui soltanto assumono il loro vero significato. 

lunedì 7 gennaio 2019

Tempo di lavoro e salario - Carla Filosa

Da: http://www.consecutio.org/2018/11/indice-8/ - Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo.


  1. Forza-lavoro al tempo del salario

    Il concetto di «salario» è stato deliberatamente rimosso attraverso la stessa rarefazione del termine. Molti giovani del III millennio non ne hanno mai sentito parlare, e ricevono, per loro semplicemente, «denaro» – ovvero una «paga» (wage) – in cambio di lavoro, meglio “lavoretto” o “job” (posto di lavoro, incarico, compito) normalizzato, anche senza neppure un contratto, senza mansionario o orario, senza assunzione, senza neppure percepire, né sospettare di dover conoscere, quanto altro tempo di vita viene loro richiesto per ottenere quel compenso magari nemmeno pattuito, ma solo forzosamente accettato. Altri, giovani e non, sono costretti a erogare lavoro gratuito nella speranza di ottenerne uno retribuito in una prospettiva non definibile, ma ignorano di costituire, in diverse fasi, quella quota oscillante dell’«esercito di riserva» di cui Marx analizzò, già quasi due secoli fa, la necessità vitale per il sistema di capitale. Altri ancora, formalmente calcolati come occupati e per lo più stranieri, sono soggetti ai sistemi di caporalato con lavori stagionali, saltuari, intermittenti o a tempo parziale, se non proprio scomparsi dalle statistiche nel lavoro in nero, in base a cui la remunerazione dovuta evapora tra le mani dei mediatori e l’arbitrio padronale – insindacabile e quasi mai controllabile nella consueta elusione delle legislazioni vigenti – nel conteggio delle ore lavorate e nella quantità del denaro spettante. Il furto di lavoro, nella civiltà degli eguali su carta, riporta tutti nel passato della storia ove la disuguaglianza tra le classi era la norma e il lavoro era egualmente disprezzato nella forma svilita della schiavitù o della servitù. Se il capitale, cioè, non ha inventato lo sfruttamento lavorativo o pluslavoro, – ma solo il plusvalore poiché esso implica il valore – continua però a servirsene in quest’ultima forma, nella dicotomia salariata tra uso complementare sotterraneo a quello legalizzato e sua negazione giuridica e ideologica.

    Scientificamente rispondente all’aumento della composizione organica del capitale, e risparmio di capitale variabile, la persistenza nei nostri tempi di questa realtà mondiale ha avuto la possibilità di sviluppare, ormai senza ostacoli, un assoluto comando sul lavoro nella procurata disgregazione, atomizzazione e perdita coscienziale di chi è sempre costretto a vivere nella dipendenza di datori di lavoro casuali o transitori. L’incremento della cosiddetta disoccupazione, legata anche al lavoro umano sempre più subordinato o affiancato all’uso di macchine o robot (dalla parola slava robota = lavoro pesante, o rabota = servo) richiede, o comunque legittima, uno sforzo di chiarificazione in direzione di un’analisi relativa ai meccanismi di questo sistema. Il salario, infatti, è di questo una parte fondante e non può essere schiacciato su un presente insignificante nella sua apparente empiria, ma deve essere riconoscibile alla luce di categorie teoriche tratte dal reale. I nostri tempi sono inoltre caratterizzati da un lungo periodo di crisi irresolubile, da parte di questo sistema in fuga continua dalle proprie ineliminabili contraddizioni, il cui risultato è la combinazione sociale dell’accumulazione in recessione da un lato e la perdita progressiva dei diritti civili dall’altro. Se infatti alle contraddizioni si corre al riparo con i soliti mezzi di contrasto (espulsione di lavoro vivo, riduzione e conversione produttiva, accordi commerciali favorevoli o bilaterali, protezionismo, qualora permanga il formale multilateralismo, guerre per interposta persona, ecc.), alla eliminazione programmatica dei diritti collettivi concorre favorevolmente l’attuale e non proprio casuale migrazione mondiale, sulla cui apparente accidentalità e fondata importanza si dirà più avanti.

sabato 5 gennaio 2019

"Anima e corpo dell'algoritmo: intelligenze, umane e artificiali" - Mario Rasetti

Da: Digit Italia - mario-rasetti è scienziato e presidente dell'Isi Foundation.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/lalgoritmo-sovrano-renato-curcio_18.html


L'intelligenza artificiale unita a 5G e IoT entro 4-5 anni cambierà lo scenario lavorativo e dunque sociale che ci circonda. Nei prossimi 10 anni Il 50% dei lavori che oggi conosciamo scomparirà. Dovremmo sostituirli con altri lavori se fossimo in un sistema razionale. Potrebbe essere una catastrofe ma anche una grande possibilità per il genere umano. 
Resta ferma una cosa però: l'intelligenza artificiale non è l'intelligenza umana. Un macchina, complessa quanto vi pare, svolge solo alcune delle funzioni (per giunta le meno complesse) del cervello umano, tipo memoria e classificazione; ma le più complesse come etica, estetica, autocoscienza, non può farle. Queste si chiamano infatti operazioni non-"turing compatibile" ossia: dammi un pc (macchina di turing) complesso e potente quanto ti pare che quelle operazioni non può farle. Inoltre il cervello svolge queste funzioni complesse consumando 20 w di potenza, un pc per fare le stesse funzioni consumerebbe 20 terawat. A questo importante risultato e giunto il prof.Rasetti ed il suo gruppo di ricerca. La questione è: usiamo il cervello e organizziamoci per un cambio radicale di modello sociale. (P. Vecchiarelli)  

                                                                         

venerdì 4 gennaio 2019

La falsa alternativa: la religione, secondo Hegel (e Marx) - Stefano Garroni

Da: Stefano Garroni, Dialettica riproposta, a cura di Alessandra Ciattini, la città del sole. - Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 



    Indice:


Nota dell’editore 











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Questo mio scritto vuol avere la funzione di presentare un bel libro recente, ovvero “Il tragico nel primo Hegel. Tragedia cristiana e destino della modernità”, che Renato Caputo ha pubblicato quest’anno presso l’editrice leccese Pensa Multimedia. Il fatto è, però, che il libro di Caputo appartiene certamente alla letteratura scientifica su Hegel e che, dunque, offre insormontabili difficoltà, quando si pretenda di trattalo, come si meriterebbe, da opera scientifica, ma di far ciò di fronte ad un pubblico non di specialisti del pensiero hegeliano o, almeno, di questioni filosofiche.

La scelta che faccio, di conseguenza, è tentare di mettere in luce il senso culturale e politico, che un libro come questo può avere per persone, comunque impegnate nel tentativo di comprendere il mondo in cui viviamo.

Da questa scelta derivano sia la mancanza di citazioni, sia il fatto che svolgo il discorso come se fosse semplicemente il mio discorso, mentre invece si tratta di ciò a cui conduce la ricerca di Caputo – posta, ovviamente, l’interpretazione, che ne do. 


Se indichiamo col termine «secolo moderno» l’epoca che inizia dall’Illuminismo e che continua almeno fino al termine del Novecento (ma, in realtà, fino ai nostri giorni), possiamo dire che in quest’arco di tempo la “politica” ha avuto più di un’occasione per provocare devastanti disillusioni, non solo nel senso di non riuscire ad offrire quanto prometteva, ma addirittura di dare il contrario di quanto lasciava immaginare e sperare. 

Basti considerare la vicenda della Rivoluzione francese – e non tanto per quella sua fase, che vien detta del Terrore, quanto perché il suo risultato positivo, storicamente controllabile e durevole, fu l’imporsi di un generale sistema di sfruttamento, tanto nuovo, quanto capace di espandersi in tutto il mondo, di piegare senza residuo quest’ultimo alle sue esigenze.  

mercoledì 2 gennaio 2019

La fame dell’oro dell’Occidente - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.

   Le banche occidentali fanno di tutto per tenersi l’oro altrui e per non restituirlo.


Nel suo celebre libro, Las venas abiertas de América Latina (2004), Eduardo Galeano riporta le parole di un testo nahuatl conservato nel Codice fiorentino [1], che qui traduco “Come se fossero scimmie gli spagnoli sollevavano l’oro, si sedevano soddisfatti, il loro cuore prendeva nuova forza e si illuminava. È certo che sentivano una straordinaria sete dell’oro, se ne inorgoglivano e mostrano di provare una furiosa fame di esso. Come porci affamati anelano l’oro” (p. 43).
A tutta prima si potrebbe pensare che tale fame sia stata provata da soldatesche ed avventurieri estenuati, ma entusiasmati dalle vicende della rapida Conquista del Nuovo Mondo, e che oggi essa costituisca un sentimento del tutto sconosciuto soprattutto tra gente di una certa cultura e di un certo rango sociale. Ma i recenti avvenimenti riguardanti paesi sotto attacco da parte delle potenze imperialistiche mostrano tutto il contrario, benché le informazioni su di esse siano alquanto scarse e contraddittorie.
Seguiamo l’ordine cronologico e cominciamo a parlare dell’oro libico depositato nella Banca centrale libica, una delle poche banche centrali di proprietà dello Stato [2], dove prima della “rivoluzione” del 2011 vi dovevano essere 143 tonnellate di oro (alcuni parlano di 150), mentre le riserve in valuta straniera ammontavano a 321 miliardi di dollari.
Sembra che una parte consistente di queste risorse fosse custodita nella filiale della Banca a Bengasi, dove i cosiddetti ribelli, nel giro di pochi giorni, fondarono il Transitional National Council, quale autentica espressione del popolo libico, rapidamente riconosciuta dall’ONU. Questo nuovo organismo ha costituito una nuova Banca centrale e la Lybian Oil Company, che avrebbe dovuto sovrintendere all’estrazione e alla vendita del petrolio. Ha nominato anche il Governatore della Banca e ha fatto scassinare le camere blindate in cui erano depositati i lingotti e le riserve monetarie. 

lunedì 31 dicembre 2018

Patologie del lavoro - Rahel Jaeggi

Da: http://www.consecutio.org -  Traduzione a cura di Roberto Finelli, da Rahel Jaeggi (2017), Pathologies of Work, in «Women’s Studies Quarterly», 45, 3-4: 59-76. - Rahel_Jaeggi is a professor of practical philosophy and social philosophy at the Humboldt University of Berlin. 
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/09/occupati-disoccupati-inattivi-giovanna.html 
                    https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/12/il-mercato-del-lavoro-e-la-piena.html


Il saggio si propone di considerare ciò che io definisco «patologie del lavoro» nel contesto di una ricostruzione storico-normativa del significato di lavoro quale cooperazione sociale. Coll’adottare questo approccio analitico, io mi propongo due scopi. Considerare da un lato gli sviluppi sociali aberranti del lavoro, al fine di chiarire, attraverso l’analisi di fenomeni negativi, il contenuto positivo del termine e del senso del lavoro nelle società moderne. Dall’altro riunire, sotto un unico tema, una serie di problemi diversi. Tali problemi comprendono l’esistenza permanente di sfruttamento e alienazione, la precarietà del lavoro, la disoccupazione strutturale a lungo termine, la minaccia posta alle condizioni di lavoro contemporanee da quella che si potrebbe chiamare la sottrazione di dignità (the «de-dignifying») al lavoro (per invertire una espressione usata da Robert Castel). 


Il titolo di questo mio saggio, Patologie del lavoro1, intende appunto indicare e stabilire una connessione tra questi diversi problemi, concependoli come diverse tipologie di deficit all’interno di una forma (mediata-dal-lavoro) di cooperazione sociale. Prendendo a prestito una frase di Hegel, possiamo dire che il lavoro equivale a condividere, partecipare o prender parte alle risorse generali della società. Il termine risorse è qui usato per indicare ciò che una determinata società ha raggiunto, e che sarà capace ulteriormente di sviluppare, in termini sia di ricchezza che di competenze. Il lavoro consente cioè ad ognuno di condividere le risorse della società, non semplicemente nel senso di essere un mezzo per acquisire ricchezza o entrare nella sfera delle relazioni intersoggettive, ma anche perché consente di condividere il sapere nel suo evolversi e il know-how di una società. 

Se questo è ciò che significa il lavoro, allora le patologie del lavoro possono essere intese come diversi modi di rifiutare o impedire la partecipazione a queste risorse universali. 

1. Il significato di «lavoro» 

Ovviamente è superfluo notare che il «lavoro» è un argomento carico di molte implicazioni socio-politiche. Per constatarlo, basta dare una rapida occhiata alle news. Ma anche con uno sguardo a più lungo termine sarebbe difficile per chiunque rimanere ignaro dell’urgenza dei problemi che si possono raggruppare sotto il termine generale di crisi della società orientata al lavoro (work-oriented society).

sabato 29 dicembre 2018

Sul compromesso storico - Aldo Natoli

Da: A. Natoli, Sul compromesso storico, Rivista di Storia Contemporanea, 1 aprile 1977. - Aldo_Natoli è stato un politico e antifascista italiano.

... Mi interessa l'ipotesi che "fra la strategia del 'compromesso storico' [...] e quella del partito comunista delle origini non vi sia un rapporto evolutivo, bensì un cambiamento qualitativo, che implica il passaggio da una concezione generale del mutamento sociale ad un'altra". E' ciò su cui anch'io vado riflettendo da qualche tempo, non tanto sul piano della teoria quanto su quello della storia, e in relazione a problemi e scelte politiche di attualità. Per intendersi, è stato proprio questo tipo di riflessione a farmi scartare come inattendibile la prospettiva del "governo delle sinistre", avanzata in occasione delle elezioni del 20 giugno 1976 dalla cosidetta "nuova" sinistra. Se il PCI ha veramente mutato la propria "concezione del mutamento sociale", come credo, l'ipotesi di una sinistra unita allora formulata non poggiava su alcuna base. [...]

1-- Farò due osservazioni che costituiscono, in sostanza, l'ipotesi di lavoro che cercherò di verificare nello scritto che segue:

1) ci fu indiscutibilmente continuità ma non parentesi. Si trattò piuttosto della compresenza di due varianti, ora dominanti, ora recessive di un'unica linea generale di lungo periodo, per cui, più che di "ambiguità" come da qualcuno è stato fatto, si dovrebbe più esattamente parlare di una organica doppiezza.

2) la formazione di questa linea generale, più esattamente, la sua matrice deve essere fatta risalire alla fine degli anni Venti. Essa essenzialmente coincide con la vittoria di Stalin nella lotta per il controllo di tutto il potere nell'URSS e nella III internazionale; coincide anche con modificazioni profonde intervenute nell'assetto della struttura e del regime del capitalismo, per cui è possibile affermare che in quell'epoca si verificò il passaggio ad una fase storica successiva e diversa rispetto a quella, densa di fermenti rivoluzionari, che aveva fatto seguito alla rivoluzione d'Ottobre e alla fine della prima guerra mondiale. Ciò che mi preme sottolineare, nell'ambito dell'ipotesi che vorrei sostenere, è che quello fu il punto critico in cui anche nel movimento comunista dell'Europa occidentale si verificò una rottura soggettiva globale con gli orientamenti che in precedenza nell'URSS e nell'Internazionale comunista erano stati ispirati da Lenin, e nel Partito comunista d'Italia, tra il 1923 e il 1926, da Antonio Gramsci. 

venerdì 28 dicembre 2018

I "regali" occidentali ai cristiani d’Oriente - Alberto Negri


Da: https://ilmanifesto.italberto-negri è un giornalista italiano. Has been special and war correspondent for “Il Sole 24 Ore” for the Middle East, Africa, Central Asia and the Balkans from 1987 to 2017. - https://www.facebook.com/alberto.negri.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/06/medio-oriente-alberto-negri-marco.html                                                                                                                                               https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/12/in-viaggio-in-medio-oriente.html


Oriente e Occidente. Pur di far fuori il regime di Assad, Usa e occidentali hanno sostenuto la Turchia e le monarchie del Golfo che appoggiavano i ribelli facendoli passare per “moderati” 

Pur di far fuori il regime di Assad, Usa e occidentali hanno sostenuto la Turchia e le monarchie del Golfo che appoggiavano i ribelli facendoli passare per “moderati”. E Trump se ne lava le mani in Iraq lasciando a Israele il ruolo di poliziotto della regione.

A Natale i cristiani d’Occidente festeggiano, quelli d’Oriente anche, ma non se ne ricorda quasi nessuno tranne qualche diretta tv da Betlemme. I cristiani del Libano, della Siria, dell’Iraq e dell’Egitto, vengono generalmente ignorati, come se il cristianesimo non fosse nato qui ma nei grandi magazzini con gli alberi di Natale americani ed europei che grondano consumismo. Per loro il regalo di quest’anno del presidente americano Donald Trump è stato trasferire l’ambasciata Usa a Gerusalemme, riconoscendola come capitale dello stato di Israele, invece di lasciarla, come raccomandano le risoluzioni dell’Onu e il buon senso, capitale delle tre religioni monoteiste.

MA ORMAI È NOTO: non c’è niente di più incomprensibile del cristianesimo americano, se non che gli evangelici sono una delle principale basi elettorali del presidente Usa. E che Israele è uno dei maggiori sostenitori del presidente, il quale per fare un favore allo stato ebraico e ai sauditi ha deciso di uscire dal trattato sul nucleare del 2015 con l’Iran di imporre nuove sanzioni a Teheran cui si debbono piegare tutti, anche gli stati europei che vorrebbero rispettare l’accordo.

Un messaggio confortante per il principe Mohammed bin Salman mandante, secondo la Cia, dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, ed esponente del quella monarchia wahabita che rappresenta una delle versioni più retrograde dell’islam che ha ispirato per decenni i jihadisti. Gli Usa, con la complicità degli europei, foraggiano di armi il peggiore nemico dei cristiani, quello che ha sostenuto insieme alle altre monarchie del Golfo gli estremisti islamici che hanno sgozzato per anni oltre ai musulmani anche i cristiani dell’Iraq e della Siria.

C’è proprio da essere fieri di essere cristiani in Occidente: con l’appoggio agli emiri e per i soldi del loro petrolio hanno contribuito ad assottigliare la già esigua minoranza dei cristiani d’Oriente. 

mercoledì 26 dicembre 2018

La terra della rivoluzione d'Ottobre: un paese di donne in cammino verso l'emancipazione - Armağan Tulunay

Da: https://prospettivaoperaia.wordpress.com - Terza parte dell’articolo pubblicato su World Revolution no.1 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2014/08/la-questione-di-classe-e-una-questione.html                                                                                                                                    https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/09/la-donna-la-nuova-morale-sessuale-e-la.html 


Link della prima parte: 


Link della seconda parte: 


Terza parte: Le conquiste della rivoluzione 


I passi e gli effetti del potere sovietico fino al sorgere del dominio della burocrazia

 Il governo sovietico, fin dai suoi primi giorni, subito promulgò delle misure che annichilirono l’ingiusta legislazione che teneva sotto controllo le donne. Tuttavia, non solo il governo garantì alle donne i diritti precedentemente concessi agli uomini, ma ha preso decisioni e promulgato leggi che rimossero le regole sessiste maschili che hanno scosso le donne e gli uomini, tagliato i legami reazionari e aperto la strada alla costruzione di una nuova società.

Matrimonio e divorzio.

Solo due mesi dopo la rivoluzione d’Ottobre, nel dicembre del 1917, vennero pubblicate due promulgazioni sul divorzio, sul matrimonio e il decreto riguardo i figli di uomini e donne.

Sia il matrimonio che il divorzio divennero totalmente volontari. Il matrimonio in chiesa non venne proibito, ma era invalidato nei termini del sistema legale: infatti solo il matrimonio civile era legalmente riconosciuto. Le registrazioni dei matrimoni celebrati in chiesa prima della Rivoluzione divennero fondamentali per essere riconosciuti legalmente. In questo modo il governo sovietico provò a rompere l’influenza della chiesa nel condizionare la vita sociale delle persone e portò avanti questa battaglia attentamente, senza ferire le credenze della gente. Vennero rimossi alcuni obblighi delle donne sposate, come l’assunzione del cognome del marito, la necessità del permesso del marito per cercare lavoro.

Il  cambiamento più grande apportato da questi emendamenti fu il riconoscimento di uguaglianza davanti alla legge sia ai figli nati durante il matrimonio che a quelli nati al di fuori. Prima della rivoluzione d’ Ottobre, le donne non avevano il diritto di chiedere il mantenimento per i bambini nati fuori dal matrimonio, ma questa nuova legge riconobbe questo diritto sia alle donne che ai loro figli.