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martedì 1 marzo 2022

Cosa sono le scienze sociali ? (II parte) - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Approfondimenti teorici (Unigramsci) -
Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza,

Vedi anche: Epoca, fasi storiche, Capitalismi. ("Forme" e "figure" nella teoria della Storia di Marx)*- Roberto Fineschi 

Leggi anche: LA TEORIA MODERNA DELLA COLONIZZAZIONE - Karl Marx 

Sull'accumulazione originaria di Karl Marx , Il Capitale Libro I, Capitolo 24 - Ermanno Semprebene 

Epoca, fasi storiche, Capitalismi - Roberto Fineschi 




Come si costituiscono le scienze sociali? La loro nascita costituisce un complesso processo di transizione legato anche alle grandi trasformazioni sociali che segnano l’avvio della modernità 


Secondo incontro 

Prosegue da Parte I - Cosa sono le scienze sociali? - Alessandra Ciattini 

Proseguendo l’esposizione, ripeto che le scienze sociali nascono, certo sulla scia delle scienze naturali, nel momento in cui le istituzioni sociali non sono più considerate un fatto naturale immodificabile e fondate sul mandato divino. Nascono quindi sulla spinta dell’Umanesimo e del Rinascimento, in un momento in cui l’uomo si attribuisce il ruolo di attivo trasformatore della natura e della società, operando per la sua stessa emancipazione e autorealizzazione. E ciò è favorito dal superamento dello Stato assolutista e dall’emersione della borghesia che crea la società civile e innesca la graduale separazione di quest’ultima dalle istituzioni ecclesiastiche dopo 150 anni di guerre di religione, che avevano insanguinato l’Europa. In conseguenza di queste trasformazioni si costituisce uno nuovo “ceto ideologico”, per usare le parole di Marx, che osserva il mondo terreno, le attività umane, i problemi della convivenza sociale e prefigura l’avanzamento complessivo dell’umanità.

Secondo Eugenio Garin e secondo la prospettiva totalizzante, da me condivisa, l’attività scientifica deve essere studiata come parte importante di una comunità sociale, come del resto si deve fare per la politica, l’arte, la letteratura, la lingua, la tecnica etc. Garin ha anche messo l’accento sull’importanza della tradizione ermetica, legata alla figura di Ermete trismegisto (personaggio ignoto, l’aggettivo vuol dire tre volte grandissimo), e costituente un insieme di temi filosofici e mistici di epoca ellenistica, divenuta nota agli europei grazie alla traduzione dei testi neoplatonici fatta da Marsilio Ficino (1433-1499), che attraverso l’interesse per la magia naturalis contro quella cerimoniale avrebbe favorito l’emergere dello spirito scientifico e non l’avrebbe ostacolato, come si era ritenuto in precedenza. In analogia alle teorie antropologiche della magia (si pensi al famoso Ramo d’oro di George James Frazer), per la magia naturalis i fenomeni della natura anche straordinari sarebbero generati da cause puramente naturali e quindi non costituirebbero miracoli; tali cause sarebbero basate sulle relazioni di simpatia e di antipatia tra le cose. Una volta che gli esseri umani vengono a conoscenza di questi specifici rapporti, acquisiscono essi stessi la capacità di produrre eventi eccezionali. Si pensi per esempio alla famosa pietra filosofale, che grazie alle sue proprietà intrinseche sarebbe stata in grado di conferire l’immortalità, la sapienza e di trasformare tutti i metalli in oro, metallo presente in diverse quantità in tutte le forme naturali. Per dirla con Frazer, nella magia naturalis appare la concezione naturalistica della causa e l’idea di azione a distanza, che scalzeranno la forza determinante della Provvidenza, intesa come causa ultima.

sabato 20 aprile 2019

OFFICINA MARX

Da: https://vimeo.com/pois - http://marxdialecticalstudies.blogspot.com/ - Marx. Dialectical Studies


Ciclo di incontri in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx tenutosi nel 2018 presso le Stanze della Memoria a Siena.


Primo incontro: UN NUOVO MARX - https://vimeo.com/326331071
(Introduzione al ciclo di Roberto Fineschi)

Secondo incontro: IL SOGNO DI UNA COSA - https://vimeo.com/326285923
(Interventi: [0/18] Mario Pezzella, [18/35] Roberto Fineschi, [35/fine] Alberto Burgio.)

Terzo incontro: ATTUALITA' DI MARX - https://vimeo.com/325820213
(Interventi: [0/36] Alfonso Iacono, [36/fine] Alberto Petrucciani.)

Quarto incontro: TRADURRE MARX - https://vimeo.com/325846600
(Interventi: [0/44] Enrico Donaggio, [44/fine] Peter Krammerer.)



sabato 30 gennaio 2016

Mondializzazione, finanziarizzazione, nuova composizione di classe. Che uso fare del lascito marxiano per rilanciare una prospettiva comunista? Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi

*Da:     http://www.lacittafutura.it/dibattito/la-cassetta-degli-attrezzi-di-marx-intervista-a-roberto-fineschi-parte-ii.html
Vedi anche;   http://marxdialecticalstudies.jimdo.com/videos-1/roberto-fineschi/





Abbiamo spiegato cos'è la  MEGA2 e perché è importante (http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/01/la-marx-engels-gesamtausgabe-mega2.html). 
Vogliamo ora ragionare con Fineschi sull'attualità di Marx e sull'approfondimento teorico necessario per rilanciare una prospettiva comunista. 





Marx inizia il Capitale con l'analisi della merce come “cellula elementare” del modo di produzione capitalistico e, pian piano, da questo elevato livello di astrazione, introducendo ulteriori variabili, svolge la sua teoria in maniera sempre meno astratta. In diversi tuoi lavori parli diffusamente di 4 livelli di astrazione. Che poi si riferiscono solo al contenuto dei tre libri del Capitale noti, mentre il piano originario dell'opera, che Marx non ha avuto il tempo di sviluppare, era più vasto (comprendeva per esempio lo Stato e il Mercato mondiale). Immagino che per giungere a illustrare tali aspetti, e quindi per avvicinarsi ulteriormente alla complessità della realtà, fosse necessario scendere a livelli ancora meno astratti, e avvicinarsi così anche a una teoria meglio spendibile nella lotta politica. Condividi questa opinione e in che misura, secondo te, il marxismo è stato all'altezza di questo compito?

La domanda è molto complessa. Si può partire dai problemi storici della ricezione del Capitale. Soprattutto nella prospettiva politica, un punto chiave era la teoria dello sfruttamento. Dimostrando che nella teoria del capitale ci sono problemi strutturali insuperabili si distruggeva anche la teoria dello sfruttamento.

lunedì 6 aprile 2020

Chi critica la critica? Alla ricerca di soggetti storici - Roberto Fineschi

Da: http://www.ospiteingrato.unisi.it - http://marxdialecticalstudies.blogspot.com Marx. Dialectical Studies - Roberto Fineschi è un filosofo ed economista italiano. 
Vedi anche:     Roberto Fineschi: Marx “economista” 
                         Un nuovo Marx, conferenza inaugurale del ciclo “Officina Marx 2018” - Roberto Fineschi



“I filosofi hanno solo interpretato il mondo diversamente: importa cambiarlo” 
(Tesi su Feuerbach* - Karl Marx)



I. Per una definizione meno vaga del concetto di “critica” attraverso Marx

Nel mondo anglosassone e non solo, la popolarità del termine “critica” è tale che sulla “critical theory” si possono trovare in libreria dizionari, glossari, antologie.1 Sfogliando le pagine di queste pubblicazioni, tuttavia, talvolta si resta un po’ disorientati vedendo accostati autori assai lontani tra di loro, al punto che è difficile scovare un tratto comune, se non in un generico atteggiamento anti-mainstream. Che cosa sia mainstream resta del resto non chiaramente espresso. Ovviamente, non si intende qui liquidare il contributo di autori assai importanti; si tratta piuttosto di prendere atto che questo galassia pare riconducibile a una qualche unità solo per via negativa, un criterio di distinzione/identificazioni troppo generico e, da sempre, potenzialmente foriero di accostamenti pericolosi.2 

Un tentativo di ricostruzione della storia del termine andrebbe ovviamente molto al di là dei limiti di questo contributo, in questa prospettiva però si può forse fare qualche considerazione di carattere generale a partire dall’autore che meglio conosco, vale a dire Karl Marx. È noto, infatti, che molte delle sue opere contengono la parola “critica” addirittura nel titolo3 e che l’ambiente della “critica critica”, come sarcasticamente Marx la definisce nel sottotitolo della Sacra famiglia, rappresentò il contesto culturale nel quale avvenne la sua formazione e dal quale prese successivamente le distanze. 

La tesi da indagare, che qui si espone solo come spunto di ricerca da approfondire, è che il termine venga utilizzato in una maniera analoga a quella che si configura nell’ambito della metodologia storico-critica dell’esegesi biblica tedesca degli anni trenta e quaranta dell’ottocento grazie a interpreti come Strauss, Bruno Bauer, ecc. Esso ha quindi solo mediatamente a che fare con la critica kantiana e sembra piuttosto riguardare il processo di riconduzione dei fenomeni storici alle cause storico-politico-culturali che li hanno determinati; si tratta insomma di ricostruire e conoscere il contesto per cui essi si determinano in una certa maniera, contesto che sempre più si configurerà come “economico”.4 

Questo processo della conoscenza, illuministico in senso lato, è comprensione, chiarimento e quindi superamento del non conosciuto dentro la sfera del conosciuto. Nel contesto post-hegeliano in cui questa critica si sviluppa, tale processo viene facilmente riconfigurato come modalità di attuazione dell’autocoscienza che, nell’alterità, riconosce se stessa e, ancor di più, il processo per cui essa si scinde in sé e nel proprio altro per poi individuare in questa modalità nient’altro che la dinamica di autoattuazione dell’autocoscienza stessa. Il limite di questa “critica critica” consiste nell’accontentarsi di questa riconciliazione nel pensiero e di non comprendere la natura reale dell’alterità, che può essere superata solo dalla soppressione reale dei processi che la generano; in questo senso, l’alienazione non è altro che la versione filosofica di ciò che spiega assai più efficacemente l’economia politica inglese, ovvero la filosofia tedesca post-hegeliana non è che la versione speculativa la cui chiave reale è l’economia politica classica. In sostanza sono i – per adesso non meglio definiti – processi reali a determinare le ipostatizzazioni ideologiche, intellettuali, culturali, istituzionali e non viceversa; senza una “critica” reale che trasformi questi ultimi, gli altri continueranno a sussistere. 

giovedì 11 febbraio 2021

Abbozzo di riflessione sul PCI e sulla sua crisi - Roberto Fineschi

 Da: https://www.cumpanis.net - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels(Marx. Dialectical Studies)

Leggi anche: Per il comunismo. Il concetto di classe - Roberto Fineschi 

Epoca, fasi storiche, Capitalismi - Roberto Fineschi 

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni 

Nessuna opposizione entro le maglie del capitalismo, ma si opposizione al capitalismo...- Hans Heinz Holz

L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala 

Sul compromesso storico - Aldo Natoli

D’Alema e l’involuzione del PCI - Alessandra Ciattini

Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977)

"PRAGA '68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA" - Franco Astengo

LA "MARCIA DEI 40000": uno dei momenti di caduta. 

(U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968) 

Vedi anche: sullo scritto di Ernesto Che Guevara "L'uomo e il socialismo a Cuba" - Alessandra Ciattini

Centenario del PCI: dialogo con Aldo Giannuli, Antonio Carioti e Andrea Ricciardi (https://www.facebook.com/giannulialdo/videos/1408990496166312


Con molte riserve e ritrosie vergo queste note per il centenario della fondazione del Partito Comunista Italiano, non essendo io uno storico e tanto meno un esperto di questo tema specifico. Quanto segue sono riflessioni sviluppate soprattutto nella prospettiva di un conoscitore della teoria di Marx come teoria della processualità storica. Si tratta di commenti provvisori, schematici e quanto mai aperti a essere discussi. Sono riflessioni che hanno inevitabilmente sullo sfondo il presente e le sue problematiche. Il tema abbozzato è quello dello snodo degli anni settanta, la figura di Berlinguer e i cambiamenti storici allora intervenuti e probabilmente ancora irrisolti.


1. Gli anni settanta e Berlinguer come figura di un momento di svolta

Gli anni settanta sono segnati dalla strategia del “compromesso storico” che, nella mente dei suoi promotori, si reggeva su due fondamentali premesse teoriche, strategiche e di fatto:

1) la crisi del comunismo sovietico come modello di socialismo praticabile in occidente (in realtà iniziava a delinearsi l’idea della sua impraticabilità in generale): esso non funzionava in quanto autoritario (i freschi fatti cecoslovacchi del ‘68 lo avevano dimostrato) e in quanto non-europeo (impossibile realizzarlo nell’Europa occidentale con la sua complessa stratificazione sociale e le sue diffuse libertà formali);

2) il colpo di stato in Cile: una via parlamentare al socialismo non era possibile perché, anche in caso di vittoria elettorale, le forze dell’imperialismo mondiale avrebbero messo fine in forma violenta a tale esperienza.

venerdì 12 maggio 2017

Sul cosiddetto «Capitolo sesto inedito» di Karl Marx. Appunti di lettura e considerazioni critiche*- Giovanni Sgrò**

*Da: http://www.consecutio.org/ -- qui la rivista integrale:  http://www.consecutio.org/wp-content/uploads/2014/03/N.-5-rivista-integrale.pdf
**Università degli Studi eCampus. Scienze dell’Educazione e della Formazione, Facoltà di Psicologia.


1. Premessa 

Il cosiddetto Capitolo sesto inedito rappresenta ‒ insieme ai Grundrisse ‒ uno di quei manoscritti marxiani che nel corso degli anni Settanta del secolo scorso hanno avuto grande diffusione e notevole recezione in Francia, in Germania e anche in Italia, dove fu tradotto per la prima volta nel 1969 da Bruno Maffi per i tipi de La Nuova Italia1 e fu poi oggetto di una fortunata serie di lezioni di Claudio Napoleoni (Torino, Bollati Boringhieri, 1972). Nel presente contributo cercherò di offrire una sorta di “percorso di lettura” personale (§ 3) del denso testo del Capitolo sesto, al fine di mettere in luce alcune caratteristiche specifiche della sua trama teorica e alcuni suoi elementi di grande attualità politica (§ 4). Prima di passare all’analisi specifica dei contenuti del Capitolo sesto, mi sembra opportuno collocarlo brevemente nel progetto marxiano di critica dell’economia politica (§ 2).

2. Il ruolo e la posizione del Capitolo sesto inedito nel progetto marxiano di critica dell’economia politica 

I curatori del volume 4.1 della seconda sezione della MEGA2 hanno stabilito che il Capitolo sesto è stato scritto da Marx tra l’estate del 1863 e l’estate del 18642 : esso si colloca dunque all’altezza del terzo tentativo marxiano di esporre la sua critica dell’economia politica. Come è noto, il primo tentativo è rappresentato dai sette quaderni del 1857/58, noti con il nome redazionale di Grundrisse, che non costituiscono però, a ben vedere, il primo abbozzo de Il capitale, bensì il primo tentativo di una esposizione complessiva dell’ambizioso progetto marxiano di critica dell’economia politica3 . Nei Grundrisse si trova, infatti, una delle prime formulazioni del cosiddetto “piano dei sei libri”: 1) il capitale; 2) la proprietà fondiaria; 3) il salario; 4) lo Stato; 5) il commercio internazionale; 6) il mercato mondiale e le crisi4.

Il secondo tentativo compiuto da Marx per esporre il suo progetto di critica dell’economia politica è rappresentato dai 23 quaderni del manoscritto del 1861-63, la cui parte centrale è occupata dalle cosiddette Teorie sul plusvalore che, a loro volta, non costituiscono il “quarto libro” de Il capitale, in quanto è solo a partire dal Capitolo sesto che Marx inizia a parlare di un progetto in quattro libri (da pubblicare in tre volumi) e, quindi, di un quarto libro da dedicare alla storia delle teorie economiche, che viene separata dall’esposizione teoretica vera e propria, secondo la falsariga di Per la critica dell’economia politica (1859), in cui ai capitoli teorici seguiva un’ampia ricostruzione della storia delle categorie economiche.

lunedì 18 gennaio 2016

La Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2), Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi

*Da:     http://www.lacittafutura.it/
Vedi anche:    https://controinformazion.wordpress.com/2011/11/27/1493/

La Mega2

Roberto Fineschi, giovane filosofo senese, allievo del compianto Alessandro Mazzone, è uno dei pochissimi italiani che ha seguito da vicino i lavori della nuova edizione critica delle opere di Marx e di Engels. È autore di diversi saggi [1] che, partendo dall'illustrazione di questa novità editoriale, forniscono alcune indicazioni utili per sviluppare la ricerca sulle orme del lascito marxiano. Ha tradotto in italiano e curato la pubblicazione del primo libro del Capitale [2] che tiene di conto di tali novità. 

Roberto, puoi dirci in cosa consistono i lavori della MEGA2 e perché sono importanti?

Si tratta della nuova edizione critica delle opere di Marx ed Engels iniziata nel 1975. Prevede la pubblicazione di oltre un centinaio di volumi, tant'è vero che è stata definita scherzosamente “megalomane”. Si articola in 4 sezioni. La prima contiene tutte opere pubblicate e i manoscritti, escluso Il Capitale; la seconda comprende Il Capitale e i relativi lavori preparatori a partire dai manoscritti del 1857-58, i cosiddettiGrundrisse; la terza sezione è dedicata al carteggio e la quarta alle note di lettura e gli estratti dei due autori.
È importante perché Marx in vita non ha pubblicato molto e quindi la stragrande maggioranza delle sue opere che conosciamo sono pubblicazioni postume di manoscritti editati e curati da varie persone in maniera più o meno filologicamente corretta. Quindi la nuova edizione offre per la prima volta i veri testi di Marx. Si tratta di opere non marginali, ma capitali, sulla base delle quali si sono sviluppate le varie interpretazioni. Per esempio, i cosiddetti Manoscritti economici-filosofici del '44, nella forma in cui li conosciamo, non sono un'opera unitaria. Allo stesso modo l'Ideologia tedesca non è una “opera”; soprattutto il primo capitolo su Feuerbach è un insieme di manoscritti o articoli incollati e messi lì in maniera in parte arbitraria dai curatori (include perfino un testo di Hess!).

A proposito del capolavoro Marxiano, Il Capitale, cosa c'è di nuovo o si annuncia nei lavori della Mega2?

domenica 23 maggio 2021

Lenin, Quaderni filosofici - Introduzione di R. Fineschi

Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels (Marx. Dialectical Studies).


 Introduzione §1

1. I testi apparsi con il titolo Quaderni filosofici non sono una “opera” di Lenin concepita a tavolino, si tratta bensì di una raccolta di annotazioni di lettura e di estratti da opere filosofiche di vari autori non per la pubblicazione ma a fini di studio; essi furono compilati in periodi diversi della sua vita e riuniti editorialmente dopo la sua morte sotto questo titolo. L’arco di tempo coperto va dalle prime note sulla Sacra famiglia di Marx ed Engels del 1895 fino alle annotazioni su uno scritto di Plenge del 1916. La parte più ampia, l’unica che Lenin stesso abbia effettivamente intitolato Quaderni filosofici, risale agli anni 1914-15, periodo in cui, a Berna, egli lesse ed annotò importanti opere riempiendo ben otto quaderni ordinatamente numerati e titolati. Di particolare rilievo è la lettura, celebre, della Scienza della logica di Hegel che da sola occupa tre degli otto quaderni.

In italiano sono apparse due edizioni intitolate Quaderni filosofici: la prima, a cura di Lucio Colletti, per Feltrinelli nel 1958; essa è basata sull’edizione russa del 1947. La seconda, a cura di Ignazio Ambrogio, è apparsa per Editori Riuniti/Progress in tre diverse pubblicazioni: come vol. 38 delle Opere (1969), come seconda parte del III volume delle Opere scelte in sei volumi (1973) e, infine, come volume a sé (1976). È basata sull’ultima edizione russa che aggiunge importanti testi rispetto a quella del 1947 ed è quindi più completa rispetto a quella di Colletti; per questa ragione si è deciso di utilizzarla per una ristampa anastatica. Se l’edizione di Ambrogio è da preferire, sono tuttavia necessarie delle precisazioni. Per quanto il curatore nell’avvertenza e nelle note dia tutte le necessarie informazioni relative a date di redazione e testi di riferimento, la struttura può forse causare, nella mani di un lettore poco avvertito, dei fraintendimenti per tre ragioni. La prima è che sotto il titolo generale Quaderni filosofici sono raccolti scritti diversi solo una parte dei quali è stata effettivamente così intitolata fa Lenin. Sarebbe forse stato meglio usare un titolo generale diverso per la raccolta e quello in questione solo per la rispettiva parte. Va detto che è questo un difetto di quasi tutte le edizioni in commercio, non solo in Italia. La seconda è che l’ordine di presentazione non è sempre cronologico e questo non è immediatamente visibile nel testo, ma ricostruibile solo attraverso le note; un lettore non troppo avvertito potrebbe fraintendere e credere che successione fattuale nel testo e ordine di stesura coincidano. La terza è che non è immediatamente visibile la discontinuità fra testo e testo; si potrebbe pensare che si tratti di un corpus unico. Essendo questa una ristampa anastatica e non potendo pertanto intervenire direttamente, reputo utile fornire uno schematico elenco cronologico. 

martedì 22 giugno 2021

“Je ne suis pas marxiste”? Ovvero Marx citato a sproposito - Roberto Fineschi

Da: https://www.lacittafutura.it
Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels. 


La frase sovracitata di Marx si riferiva a Lafargue e ai “collettivisti”, a quel tempo tacciati col termine dispregiativo di “marxisti”, non certo al sistema teorico a cui Marx, insieme a Engels, diede il massimo contributo.

Sempre di nuovo si sente ripetere la celebre affermazione attribuita a Marx che suona “io non sono marxista”. Con essa si intende porre una distanza tra il vecchio Moro e le filiazioni politiche che a lui si richiamano, oggi come ieri. Si tratta però di un uso fuorviante e fuori contesto quindi, nella sostanza, sbagliato; cercherò di spiegarne il perché partendo dai dati.

1) Noi conosciamo la frase grazie a… Engels, sì, proprio colui che secondo alcuni sarebbe addirittura l’inventore del marxismo. La riferisce in una lettera a Bernstein, affermando che Marx l’avrebbe usata con Lafargue per prendere le distanze dal gruppo francese dei “collettivisti” che facevano capo allo stesso Lafargue e Guesde [1].

Dunque la fonte è Engels, il contesto è quello del dibattito francese dei primi anni Ottanta dell’Ottocento.

2) Bisogna avere ben chiaro che in quel momento il senso odierno della parola marxismo non esisteva. Che cosa significava allora? Una cosa ben specifica e, sostanzialmente, dispregiativa. Pare che l’espressione abbia subito lo stesso destino di altre parole poi divenute “normali”, come per esempio “gotico”, “barocco”, cioè di termini nati originariamente con un significato negativo. Già Bakunin aveva introdotto l’uso di “marxiano” e “marxista” in questo senso ai tempi delle polemiche scoppiate in seno alla prima Internazionale. Analogamente, all’interno del dibattito francese all’inizio degli anni Ottanta, il gruppo “vicino” alle posizioni di Marx, attivo intorno al giornale “L’égalité”, veniva etichettato dagli avversari come “marxista”: “la cricca di Marx” per intenderci. Marx stesso menziona questa discussione come un dibattito tra “marxisti” e “anti-marxisti” [2].

Dunque, marxismo era in quel momento un termine denigratorio con cui gli avversari dei collettivisti additavano i loro nemici considerandoli vicini alle posizioni di Marx.

3) Perché il gruppo veniva “apostrofato” così? Semplice, perché Marx ed Engels avevano effettivamente contribuito addirittura alla stesura del programma politico, economico e sociale presentato da quella parte del partito nella sua attività politica. Insomma: era vero. Marx era marxista anche in questo senso ristretto [3].

4) Perché allora Engels e Marx prendono le distanze dal termine? Se evidentemente il gruppo francese era vicino a Marx, certo non rappresentava le sue idee e la sua teoria in maniera completa o adeguata. Con quel termine infatti non si intendeva una visione del mondo complessiva, ma semplicemente un orientamento e una ispirazione alla quale Marx non si sentiva di associare addirittura il proprio nome, in particolare perché essa aveva assunto la forma di una guerra intestina locale, di beghe particolaristiche, in cui del resto il nome aveva connotazione denigratoria.

Per concludere: ammesso che sia stata effettivamente pronunciata, la frase di Marx significa semplicemente che egli, per quanto effettivamente fosse loro vicino e avesse direttamente influenzato le loro idee e i loro programmi, non voleva che il gruppo francese di Guesde e Lagargue, sempre più localistico, fosse identificato con un epiteto (denigratorio) ispirato al suo nome. Questo in sintesi il significato della frase.

Come nasce un senso positivo del termine? Solo dopo la morte di Marx, Engels finì con scarsa convinzione per accettare l’uso dell’espressione in senso positivo avallando l’organizzazione di un “congresso di marxisti” in cui cercava di riunire tutti coloro che, tra i vari gruppi socialisti e comunisti, riteneva più fedeli al pensiero di Marx, proprio per contrastare quelle forze centrifughe e settarie che reputava fossero emerse nei vari schieramenti in vari paesi. Qui il termine cambia decisamente di significato e va a indicare una concezione più generale del mondo basata sul “socialismo scientifico”, alla costruzione della quale Engels evidentemente mirava consapevolmente, come è del resto dimostrato dalla sua instancabile attività negli ultimi anni di vita. Chi comunque spinse più drasticamente, rompendo con le reticenze engelsiane, verso un uso positivo del termine come elemento identificativo di uno schieramento fu sicuramente Kautsky. Al di là delle origini contingenti, è dunque quest’ultimo, ancor più di Engels, che ha incoraggiato l’utilizzo della categoria marxismo nei termini comunemente intesi [4].

Se, in termini estremamente generali, chiamiamo “marxismo” un movimento basato sulla teoria di Marx che abbia l’intento di costruire un’organizzazione internazionale dei lavoratori capace di trasformare la società presente - e che quindi questi lavoratori maturino una consapevolezza del proprio ruolo storico -, Marx era decisamente marxista. La sua vita intera di attivista politico lo dimostra senza ombra di dubbio. Che si voglia chiamare questa prassi politica marxismo o in qualunque altro modo non cambia il contenuto. Non solo: il tentativo di realizzare questo progetto era già stato intrapreso da lui stesso, insieme a Engels, nel corso della sua vita. Pensare che Marx non approvasse l’Anti-Dühring (al quale tra l’altro ha contribuito), non conoscesse e approvasse i libercoli engelsiani sul passaggio del socialismo dall’utopia alla scienza, ecc. pare onestamente anti-storico.

Marx e il marxismo, anzi i marxismi, non sono la stessa cosa, questo è quasi una ovvietà. Ma non è vero che non siano reciprocamente connessi; il vero tema è, a mio avviso, la ricostruzione di sviluppi, mediazioni, ma anche distanze o contraddizioni tra la galassia dei marxismi storici e la teoria del capitale del vecchio Moro; non certo immaginare un Marx lontano o addirittura sarcastico rispetto alla prospettiva di un’azione politica organizzata connessa alla sua teoria.

Note:

[1] Lettera di Engels a Bernstein del 2/3 novembre 1882: “Ora, ciò che in Francia va sotto il nome di «marxismo» è in effetti un prodotto del tutto particolare, tanto che una volta Marx ha detto a Laf[argue]: «ce qu’il a de certain c’est que moi, je ne suis pas marxiste» [quel che è certo è che io non sono marxista]” (K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883 (Marzo), Milano, Edizioni Lotta Comunista, 2008, p. 279). La frase di Marx è riportata in francese nell’originale.

[2] Lettera di Marx a Engels del 30 settembre 1882, in K. Marx, F. Engels, Lettere, cit. p. 266.

[3] Cfr. nota 43 in K. Marx, F. Engels, Werke, Band 35: Briefe Januar 1881 - März 1883, Berlin, Dietz, 1985, pp. 505 s.

[4] Per una ricostruzione complessiva si vedano i classici G. Haupt, Marx e il Marxismo, in Storia del Marxismo Einaudi, vol. 1: Il marxismo ai tempi di Marx, Torino, Einaudi, 1978, pp. 292-314 e M. Manale in “Economie et société”, Aux origines du concept de «marxisme», Octobre 1974, pp. 1397-1430; La constitution du «Marxisme», Avril-Mai 1976, pp. 813-839; L’édification d’une doctrine marxiste, Janvier-Février 1978, pp. 163-215. 

domenica 10 marzo 2019

Una storia complessa. La teoria dell’accumulazione in Marx - Roberto Fineschi

Da: http://www.consecutio.org/ - Roberto_Fineschi è un filosofo ed economista italiano.- Siena School for Liberal Arts - r.fineschi@sienaschool.com 
1. Introduzione 

L’accumulazione nella struttura teorica del capitale costituisce uno snodo fondamentale, senza il quale l’intero sistema non starebbe in piedi. Non a caso è una delle parti che è stata soggetta ai rimaneggiamenti più consistenti man mano che l’intelaiatura andava definendosi, seconda in questo forse solo alla forma di valore. Rispetto a questa, tuttavia, sempre collocata all’inizio dell’opera, l’accumulazione ha via via cambiato posizione, si è articolata in più passaggi e sezioni nei tre libri, fino a diventare la vera cifra dello sviluppo della teoria di Marx e dei suoi cambiamenti tra le varie redazioni.
La ragione per cui questa parte della teoria è così importante è legata alla metodologia marxiana, in questo eminentemente dialettica. In tale prospettiva, nella propria articolazione interna essa deve produrre come propri risultati quelli che inizialmente erano dei presupposti da essa stessa non posti. Realizzare ciò significa produrre dei “presupposti-posti”: solo grazie a questo il capitale può effettivamente essere un processo, ovvero muovere da se stesso per porre se stesso. Questo modo di procedere per cui la teoria, come dire, ritorna su se stessa autofondandosi è, nell’ottica di Marx, connesso a un’altra tematica che potrebbe sembrare muovere in direzione opposta; vale a dire esso solleva il tema dei “limiti della dialettica” e, più in generale, della concezione materialistica della storia. Infatti, Marx intende mostrare come il modo di produzione capitalistico abbia un punto di partenza non posto da esso stesso, per sostenere come non sia possibile un corso storico universale a priori; le leggi della dialettica teorizzano i rapporti di produzione via via correnti in virtù della loro logica intrinseca che è storicamente determinata e non è generalizzabile in astratto: non la si può estendere come tale ad altri modi di produzione, i quali vanno invece ricostruiti sulla base della logica loro propria. Se questo pone in termini radicali la discontinuità, d’altra parte presenta il rischio teorico di avere una teoria sempre deficitaria in quanto dipendente da elementi esogeni per cui in ogni istante la sua coerenza potrebbe venir meno venendo a mancare tale elemento esogeno.
Il presupposto-posto di cui sopra ovvia a questo problema: grazie a esso la teoria può muoversi sulle proprie gambe. La posta in gioco, dunque, oltre che strutturale nel contesto della teoria del modo di produzione capitalistico, investe un valore metodologico non indifferente. Non a caso è quella che ha subito più rimaneggiamenti e sviluppi in questa doppia ottica. 

mercoledì 4 gennaio 2023

"Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam!". Ratzinger, a Roma via Friburgo - Roberto Fineschi

Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi - https://marxdialecticalstudies.blogspot.com/ - 
Originariamente apparso su "Marxismo oggi", 2005/2 (https://www.marxismo-oggi.it) - 

Roberto Fineschi è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni: Marx e Hegel (Roma 2006), Un nuovo Marx (Roma 2008) e il profilo introduttivo Marx (Brescia 2021). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere complete di Marx ed Engels, dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. (http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Marx. Dialectical Studies - laboratoriocritico.org!).

Leggi anche: Come Ratzinger ha annientato la chiesa del popolo in America Latina - Marc Vandepitte 
“La logica del capitale. Ripartire da Marx” - Roberto Fineschi


Nel remoto 2005 scrissi questo articolo per "Marxismo oggi" sull'elezione al soglio pontificio di Joseph Ratzinger. Il preambolo è il seguente: trovai in una libreria dell'usato un suo testo per ben €2 (Einführung in das Christentum) e lo comprai immediatamente. A casa, con sorpresa, mi accorsi che sul retro di copertina si trovava una dedica autografa dell'autore e all'interno un suo biglietto da visita, nonché vari articoli giornalistici su suoi interventi successivi contro la Teologia della liberazione raccolti probabilmente da chi il libro aveva ricevuto. Da tutto questo nacque l'idea dell'articolo che risente degli ardori giovanili ma che nel complesso mi pare ancora di un qualche interesse filosofico. Rintracciavo nel testo di Ratzinger alcune affinità con la riflessione di Heidegger (suggerite dall'autore stesso). (R.F.) 


1. Il “pastore tedesco”

L'evento è stato mondiale, oggi più che in passato. L'esposizione mediatica cui la Chiesa Cattolica (d'ora in poi CC) è stata sottoposta sotto Giovanni Paolo II ha reso l'elezione pontificia un fatto più internazionale che mai. Chi gode della parabola o delle fibre ottiche sarà ammirato in varie lingue – dall'inglese al francese, passando per il tedesco – agonia e funerali del fu regnante, preparativi ed elezione del nuovo: una vera e propria ubriacatura eterea.

Della concezione politico-sociale di fondo – o della Dottrina Sociale che dir si voglia – della CC si è già detto in passato (vedi Contraddizione, n. 77), vediamo che riflessioni si possono fare oggi a proposito del nuovo pontefice: Joseph Ratzinger. Il “pastore tedesco”, come è stato beffardamente ma efficacemente battezzato dal quotidiano “Il manifesto”, ha sfatato la consuetudine per cui chi entra papa esce cardinale; dato per vincente dai bookmaker, ha pagato poco chi ha scommesso su di lui: entrato papa è uscito papa col nome di Benedetto XVI.

sabato 26 dicembre 2020

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

 Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Trascrizione leggermente rivista della conferenza tenutasi online il 3 maggio 2020 organizzata dalla Rete dei Comunisti ("Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.). - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzoneha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.

Leggi anche: La Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2), Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone 


Lo sforzo di questo intervento è iniziare a pensare le dinamiche di classe, la configurazione dei soggetti che agiscono storicamente e politicamente in quella sottofase dello sviluppo del modo di produzione capitalistico che chiamo “capitalismo crepuscolare”; si vedrà come il nodo della violenza nasca intrinsecamente in seno a queste dinamiche e come la violenza ed il suo inasprimento siano un portato necessario dello sviluppo di strutturazioni sociali complesse. 


Uno dei punti chiave di questa fase è la “crisi” del concetto di persona. Il concetto di persona è la chiave logica, istituzionale, giuridica del mondo borghese e per un largo periodo di tempo la sua rivendicazione è stata una lotta progressista; se si pensa al periodo rivoluzionario, conflittuale della classe borghese contro le forze dell'ancien régime, è proprio l'affermazione dell'universalità della persona, dell’uomo in generale come principio che ha carattere assolutamente positivo. Qui già emerge un punto chiave: la storicità di queste categorie; questa storicità implica che una categoria come quella di persona abbia una funzione storicamente progressiva in un determinato momento di sviluppo dei rapporti di forza e che possa averne una negativa, o diversa, in altre fasi. Perché nella teoria di Marx, che fa da orizzonte di riferimento in queste considerazioni, un concetto chiave è quello della storicità dei soggetti e dei modi di produzione; nel caso specifico ciò significa che, secondo Marx, l’uomo in generale non esiste, la persona astratta non esiste come dato naturale, è piuttosto essa stessa risultato di processi storici, di modificazioni dei modi di produzione che implicano esattamente che questo stesso concetto di uomo in generale si produca storicamente. Si tratta di un punto veramente chiave, perché tutta l’ideologia borghese si basa sul naturalismo della persona, cioè sul ritenere che uomo e persona siano la stessa cosa. Questa è la grande funzione storica della filosofia di John Locke per esempio, che teorizza come i diritti naturali, l’uguaglianza, la libertà e ovviamente la proprietà, facciano parte dello stesso pacchetto.

Se noi pensiamo in termini di persona l’uomo come tale, se riduciamo le nostre rivendicazioni politiche alla personalità, questo ahimè ci vincola a un contesto di senso borghese che non riusciamo a spezzare. Qui il discorso si fa di nuovo complicato: nelle condizioni attuali, per esempio, la rivendicazione dei diritti personali è nuovamente diventata un elemento progressista, perché a molti esseri umani è negata la personalità, quindi rivendicare per loro il diritto a essere persone è chiaramente positivo; non è tanto negare la rivendicazione della personalità il problema, ma credere che questo sia sufficiente, cioè che ristabilire i diritti della persona come tale a livello universale ci liberi dal modo di produzione capitalistico e dallo sfruttamento. Infatti, è proprio il modo di produzione capitalistico a imporre la persona come struttura universale di senso. Di nuovo, Marx ci insegna nei primi capitoli del Capitale ma prima ancora nei Grundrisse, che la persona è la forma di soggettività che ci viene imposta dalla circolazione delle merci: libertà, uguaglianza sono le precondizioni del mercato. Solo in quanto libero e uguale e titolare di proprietà io posso essere uno scambiante ed è proprio il modo di produzione capitalistico che universalizza questo concetto a tutta la specie umana. Ciò ha la sua dimensione progressiva, ma se ci riduciamo a rivendicare libertà e uguaglianza a livello personale ricadiamo in Prudhomme, siamo utopisti, vale a dire che vorremmo gli aspetti positivi del modo di produzione capitalistico, ma senza capire che tali concetti sono il frutto del modo di produzione capitalistico stesso. Molti movimenti libertari, rivendicando la libertà individuale, sono in certe fasi progressisti, ma, se questa posizione si radicalizza, di nuovo si ricade dalla padella nella brace, cioè in una ideologia individualistica che è veramente il fondamento concettuale del modo di produzione capitalistico e della borghesia stessa. 

sabato 26 settembre 2020

Marx e la MEGA nel dibattito anglofono - Tommaso Redolfi Riva

Da: https://www.marxismo-oggi.it/images/mega-2/Fineschi-Ridolfi_Riva-Sgro2008.pdf - Tommaso Redolfi Riva ha studiato filosofia e storia del pensiero economico presso le università di Pisa e Firenze. Attualmente impegnato in una ricerca su marxismo ed economia politica in Italia negli anni Settanta, si occupa di temi afferenti al pensiero marxiano e alla teoria critica. Ha pubblicato saggi e articoli su riviste italiane e straniere.

Il dibattito “aperto” dell’International Symposium on Marxian Theory

Introduzione 

L’International Symposium on Marxian Theory (ISMT) è un gruppo di ricerca nato da un’idea di Fred Moseley, economista del Mount Holyoke College (USA). Verso la fine degli anni Ottanta, poco soddisfatto degli esiti della ricerca su Marx, Moseley decise di dare vita a un convegno al quale invitò alcuni economisti e filosofi studiosi dell’opera di Marx, con l’obiettivo di dar vita ad un progetto teorico che sviluppasse produttivamente i temi specificamente marxiani in un’ottica alternativa rispetto a quella egemone nei paesi anglosassoni nonché di mettere in comunicazione due categorie – filosofi ed economisti – che, pur occupandosi dello stesso soggetto, raramente avevano modo di dialogare. Il gruppo era inizialmente formato da quattro professori di filosofia (Chris Arthur, Paul Mattick jr., Patrick Murray e Tony Smith) e da quattro professori di economia (Martha Campbell, Guglielmo Carchedi, Fred Moseley e Geert Reuten). In seguito al primo convegno, il gruppo ha continuato ad incontrarsi con cadenza annuale. Nel corso degli anni Guglielmo Carchedi e Paul Mattick jr. lo hanno lasciato e sono stati sostituiti da Riccardo Bellofiore e Roberto Fineschi. Ne ha fatto parte per alcuni anni anche Nicola Taylor e vi si è aggiunto recentemente Andrew Brown. 

L’attività di ricerca dell’ISMT ha mostrato la propria fecondità scientifica attraverso una serie di volumi collettanei1 in cui ha trovato realizzazione il continuo dialogo intellettuale che i membri hanno sviluppato tra loro e con la comunità scientifica. 

Una considerazione preliminare è necessaria. Diversi membri dell’ISMT hanno prestato molta attenzione alla stratificazione del testo marxiano. Attraverso la pubblicazione dei manoscritti marxiani degli anni 1861-1863 e 1863-1865, utilizzati e rimaneggiati da Engels per l’edizione del Terzo libro del Capitale, si è visto che è oggi possibile avere sotto mano l’iter teorico completo che ha portato Marx alla pubblicazione della sua opera. Questi materiali, apparsi nella seconda sezione della Marx-Engels-Gesamtausgabe, sono stati utilizzati in alcune ricerche fra quelle di seguito presentate. 

lunedì 26 ottobre 2020

Fratelli di tutto il mondo, affratellatevi! Brevi note sul “papa comunista” - Roberto Fineschi

Da: https://www.lacittafutura.it Roberto Fineschi è un filosofo italiano (Marx. Dialectical Studies)

Leggi anche: Un commento a margine dell'enciclica "Fratelli tutti" di Papa Francesco - Francesco Fistetti 


L’enciclica di Francesco caldeggia nella sostanza la versione più soft dello stato corporativo ed è coerente con la dottrina sociale della chiesa. I comunisti devono invece porsi il problema di trasformare la struttura sociale.


Fratelli tutti, l’ultima enciclica di papa Francesco, ha suscitato reazioni diverse ed è stata salutata (o deprecata) per le sue “aperture”. Vediamo i contenuti per capire quanto questo papa sia quel pericoloso “comunista” che viene dipinto dalle fazioni più retrive del mondo cattolico.

1) Critica del presente

L’enciclica prende di petto alcune delle questioni più scottanti dell’attualità sociale e politica, assumendo posizioni chiare. Critica alcuni punti chiave colpendo su due fronti: da una parte le modalità e le istituzioni della gestione neoliberista; dall’altra gli atteggiamenti più duri e intransigenti riconducibili a schieramenti cosiddetti populisti. Ne ha in sostanza per tutti; vediamo in che termini.

1.1) Critica del neoliberismo

Il papa non le manda a dire: l’economia finanziaria e le sue speculazioni sono una delle principali cause dell’attuale crisi mondiale (§§ 12, 52, 53 ,75, 109, 144); i suoi effetti perversi determinano rapporti squilibrati con i paesi più poveri e quindi il loro sfruttamento (§§ 122, 125, 126); causano la vuota e omologante cultura globalistica (§ 100) e il paradossale individualismo che gli fa specchio (§§ 12, 105, 144).

Non basta: il problema di fondo è il mercato! È mera illusione pensare che possa autoregolarsi (§§ 33, 109), questo è un dogma neoliberale (§ 168)! È addirittura necessario pensare a istituzioni che lo regolino, a una sua gestione mondiale (§ 138). Senza questo tipo di regolazione, libertà e giustizia restano irrealizzabili (§§ 103, 108, 170-172).

E ora viene l’affondo finale: la proprietà non è sacra! È un diritto secondario (§ 120) e deve avere una funzione sociale (§ 118).

Botte da orbi alle élites finanziarie dunque e a quei partiti che guardano in quella direzione cercando un nume tutelare o un ideale regolativo al grido di meno Stato e più mercato (e qui per fare la lista di tutti quelli che ci rientrano non basterebbero le pagine).

1.2) Critica del populismo

Sarà mica populista allora? Non scherziamo. Il papa stigmatizza la politica di chiusura nei confronti dei migranti (§ 39), condanna la schiavitù cui sono condannati dallo stesso sistema di cui sopra (§§ 86, 130-132), cerca di distinguere tra legittime rivendicazioni popolari e populismo (§§ 157 ss.), critica la pseudocomunicazione legata al mondo dei social (§ 42) e l’orrore di violenza e aggressività che essa produce (§ 44).

Anche qui non è difficile trovare nomi e cognomi di personaggi vari colpiti dagli strali di queste critiche.

2) Svolta epocale?