sabato 25 luglio 2015

LE CONTRADDIZIONI DEL CAPITALISMO* Ernest Mandel

*Da "Trattato di economia marxista", Ernest Mandel, Capitolo V, Samonà e Savelli

  Tutte le contraddizioni del modo di produzione capitalistico possono riassumersi nella contraddizione generale e fondamentale: la contraddizione tra la socializzazione effettiva della produzione e la forma privata, capitalistica dell'appropriazione.

  La contraddizione tra socializzazione di fatto della produzione capitalistica e la forma privata dell'appropriazione si manifesta come contraddizione tra la tendenza allo sviluppo illimitato delle forze produttive e i limiti angusti entro cui resta compreso il consumo. Il modo di produzione capitalistico è così il primo in cui la produzione sembra staccarsi completamente dal consumo, in cui la produzione sembra divenire un fine in sé. Ma le crisi periodiche gli richiamano duramente che la produzione non può, alla lunga, staccarsi completamente dalle possibilità di consumo solvibile della società.

  Da quando esiste la divisione della società in classi, gli uomini non si sono rassegnati al dominio dell'ingiustizia sociale con il pretesto che tale ingiustizia poteva essere considerata come una fase inevitabile del progresso sociale. I produttori non hanno affatto accettato come normale o naturale che il sovrapprodotto del loro lavoro fosse accaparrato da classi possidenti che ottengono così un monopolio del tempo libero e della cultura. Sempre e senza soste si sono ribellati contro quest'ordine di cose. E senza soste anche gli spiriti più generosi delle classi possidenti si sono sforzati di condannare la diseguaglianza sociale e di unirsi alla lotta degli sfruttati contro lo sfruttamento. La storia dell'umanità non è che un lungo succedersi di lotte di classe. 

giovedì 23 luglio 2015

SUL PERTURBANTE, TRE BREVI SCRITTI* - Stefano Garroni

*Da "SUL PERTURBANTE", Stefano Garroni, Ed.  Kappa

 Ecco un campione del modo freudiano di procedere: la vicenda secentesca vien sottoposta ad analisi psicoanalitica sulla base di una 'mossa' pregiudiziale, di una 'decisione' (il patto col diavolo = fantasia nevrotica), di cui non si dà giustificazione, se non post festum, se non per i risultati cui perviene.
 Analogamente, abbiamo visto Freud assumere l'ipotesi che non solo le attuali affezioni nevrotiche si sarebbero presentate in epoche precedenti in forme diverse pur essendo le stesse affezioni, ma anche che tali forme sarebbero esattamente quelle del demoniaco.
 Abbiamo visto, inoltre, che da ciò consegue la tesi, per cui i demoni non sono che moti pulsionali respinti e rimossi.
 E' importante notare che questa tesi non è il risultato a cui si perviene analizzando la 'cultura' del demoniaco, ma sì il presupposto stesso del trattamento a cui Freud la sottopone.
 A questo punto si presenta un'alternativa: o è vero che la problematica nevrotica stabilisce una relazione reale, profonda con il modo di vivere - individuale e sociale - in contesti storici dati, ed allora la 'mossa' iniziale di Freud può destare qualche perplessità.
 Ovvero, col termine "attuali affezioni nevrotiche", Freud in realtà rimanda ad un tipo di conflittualità che, in qualche modo, si possa decontestualizzare, separare da un rapporto essenziale con modi di vita, storicamente mutevoli, con culture che cambiano.

 In definitiva è, anche, convinto che l'autentico terreno, su cui si gioca la partita della validità dell'ipotesi psicoanalitica, è quello terapeutico ed esplicativo delle nevrosi.

Corso su IL CAPITALE DI MARX (10) - Riccardo Bellofiore.



Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).

Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL

sabato 18 luglio 2015

Tu che straparli di Carlo Giuliani, conosci l’orrore di Piazza Alimonda? - Wu Ming


 "Uno degli aspetti che amo di più del mio mestiere è che mi porta sulla strada, in giro per l’Italia, a incontrare persone molto diverse tra loro. In questi undici anni ne ho conosciute tante, magari fredde rispetto ai motivi della protesta contro il G8 di Genova, che tuttavia considerano inaccettabile quanto è successo il 20 e il 21 luglio 2001. Alcune facce me le ricordo proprio, perché magari abbiamo parlato intorno al tavolo di una pizzeria, e ora le immagino a guardare questo video e mi dico che di sicuro sarebbero d’accordo – ancora più d’accordo – su alcuni punti fermi:

1. Che le forze dell’ordine scelsero in maniera fredda e immotivata di attaccare con una violenza inaudita soltanto alcuni soggetti della protesta.
2. Che uno di questi soggetti fu il corteo proveniente dalla Stadio Carlini, un corteo autorizzato, colpito a freddo, colpevole solo di avere in prima linea alcuni grandi scudi montati su ruote.
3. Che Carlo Giuliani brandì il famigerato estintore per lanciarlo contro un defender dei carabinieri, all’interno del quale un individuo, già da diversi secondi, puntava una pistola nella sua direzione.
4. Che le forze dell’ordine infierirono sul corpo di Carlo Giuliani prima dell’intervento di un medico e dunque prima che qualcuno lo dichiarasse morto.
5. Che fin dai primi attimi dopo la morte di Carlo Giuliani le forze dell’ordine tentarono di occultare le prove di quanto accaduto, di depistare le indagini, anche infierendo con violenza sul corpo della vittima.

Ebbene, se questi cinque punti fossero di dominio pubblico sarebbe già un bel passo avanti, e pertanto il video va fatto circolare il più possibile.      

5. IL DEMONIACO - Stefano Garroni


 "...non esiste religione senza paura, come non esiste religione senza amore.
...non si tratta affatto di una tappa antica o recente dell'evoluzione, ma soltanto di un elemento inerente alla struttura stessa della mentalità religiosa; elemento che prevalse sovrano entro civiltà estranee e anteriori alla nostra, ma che perdura oggi fra noi, ancora vivo e vegeto."                                                                                     (G. Van der Leeuw, Fenomenologia della religione, Torino Boringhieri 1975)

 Dunque descrivendo l'esperienza religiosa vissuta, Van der Leeuw non documenta, solo, d'un tipo di mentalità arcaica, lontanissima dalla nostra, per quanto possa con questa coesistere. Fa molto di più: rende conto di un modo possibile di sperimentare il mondo e noi stessi nel mondo, che atemporalmente appartiene alla mente umana.

 Nulla di strano, quindi, che si tratti di un'esperienza presente in contesti storici  e culturali diversi e distanti. 

venerdì 17 luglio 2015

Il Governo segreto delle multinazionali - Lidia Undiemi



 E' il monopolio di sempre meno figure economiche, che però gestiscono capitali enormi (centralizzazione, concentrazione), a decidere dell'economia mondiale, a controllare stati e governi, a reprimere i lavoratori distruggendone i diritti eliminando le poche garanzie rimaste.
 E' lotta di classe...
http://www.byoblu.com/post/2015/07/16/il-governo-segreto-delle-multinazionali.aspx

giovedì 16 luglio 2015

4. PERTURBANTE E MONDO MAGICO - Stefano Garroni

 La convinzione che la portata del nostro conoscere è 'illimitata'. Non solo, si badi, nel senso che l'effettiva conoscenza si ha nel limite in cui certe regole sono rispettate; ma anche, e più ancora, nel senso che limitato, e addirittura da dio, è il campo, l'orizzonte del conoscere a noi possibile.                                                                                                           Senonché, l'esistenza di un tal limite s'accompagna alla tentazione di violarlo: esattamente nel senso che c'è un'irrequietezza della mente umana, una sua tendenza alla mancanza di misura che, potremmo dire, la sollecita a scagliarsi contro quel limite.

 "La curiosità umana di indagare i segreti ed il desiderio malsano di conoscerli e di afferrarli sono sentimenti riprovati dagli antichi con due esempi: Quello di Atteone e quello di Penteo. Atteone, poiché imprudentemente aveva visto per caso Diana nuda, fu cambiato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. Penteo, che aveva voluto essere spettatore dei sacrifici occulti d Bacco... fu punito con la pazzia... La prima favola sembra riferirsi ai segreti dei principi, la seconda ai misteri divini".          (F. BACONE, Della sapienza degli antichi )

 E' come se l'uomo, arrogantemente, volesse spogliarsi del suo esser 'creatura' e pretendesse, invece, d'entrare nel laboratorio divino; non limitarsi più all'universo consentitogli, ma sì cercare di 'gettare un occhio' nel mondo stesso di dio, nella natura così com'essa è in sé. Non si tratterebbe, dunque, della semplice violazione delle regole del gioco conoscitivo, ma sì della profanazione - del tentativo di profanazione - di un alto divieto, di un tapu quasi.

 Dunque risulta che l'effetto perturbante (seguendo la traduzione italiana del termine tedesco) è legato ad una particolare incertezza intellettuale: 'il familiare dell'esperienza è, forse, invece solo la maschera d'un qualche meccanismo all'uomo estraneo, cioè sottratto al suo controllo?'. L'effetto perturbante sembra il frutto di un sospetto che s'accompagna all'abituale esperienza, senza riuscire necessariamente ad interromperla, gravandola tuttavia d'una nuova atmosfera, che la rende misteriosa, straniera, ostile. E' per questo che l'esperienza perturbante può nascere improvvisamente, colpire, gelare momentaneamente - per l'affiorare d'un sospetto, che può dissolversi, così come si presenta, o può restare continuamente sullo sfondo, ai margini del comportamento abituale

mercoledì 15 luglio 2015

SUL PERTURBANTE (2-3) - Stefano Garroni


 2) L'EMOZIONALE EXTRA-ESTETICO

     "Moltissime manifestazioni della mimica e del linguaggio e molte forme di pensiero presenti sia fra la gente normale che fra i malati non sono state sinora oggetto della psicologia, perché in esse non si vedeva altro che l'esito di un disturbo organico  o di un abnorme venir meno delle funzioni proprie dell'apparato psichico." (FREUD, "L'interesse per la psicoanalisi, 1913)

     lapsus; atti mancati; azioni casuali; dimenticanze; eccessi convulsivi; deliri; idee o azioni ossessive. Tutti questi fenomeni hanno il loro modello nel sogno e nell'atto mancato;
i diversi fenomeni elencati da Freud semplificano due situazioni: o il fatto di perdere il controllo su qualcosa che tuttavia si possiede, ovvero di esser dominati da qualcosa che si sente tuttavia estraneo.

In questo senso, ciò di cui direttamente la psicoanalisi si occupa è, appunto, das Unheimliche: il perturbante rovesciarsi dell'intimo in un inquietante estraneità; o viceversa.

Il fenomeno del doppiosenso entra profondamente nella costituzione della teoria psicoanalitica (direi in analogia col ruolo che ha nell'estetica rinascimentale), non solo come tema specifico, ma addirittura per la caratterizzazione della 'grammatica' dell'inconscio.

 3) PATOLOGIA/COAZIONE A RIPETERE

    "ogni azione naturale, ogni movimento o processo, non è altro che una caccia. Infatti le arti e le scienze vanno a caccia delle loro opere, le azioni degli uomini inseguono i loro fini, e tutte le cose della natura vanno alla ricerca di preda, che è il loro nutrimento, o di piaceri, che sono la loro ricreazione, e questa ricerca avviene nei modi più esperti e sagaci." (F. BACON, "Sapienza degli antichi", Opere,1 p 151)

L'analogia tra scienza e caccia è, dunque, assai pertinente; così come lo è sottolineare il carattere vigile dl pensiero conoscente.

Quando viene individuato uno stimolo che sembra degno d'interesse, il soggetto si focalizza su di esso  e la sua attenzione, che era prima generalizzata, diventa selettiva.

Fuor di metafora, il pensiero scientificamente adeguato deve esser disposto a 'mosse' e decisioni, richieste dalla 'monadicità' delle cose, pur quando implichino abbandonare schemi abituali o, almeno, riadattarli.

Questo è il senso della condizione del pensiero 'vigile'; per questo, suo avversario è l'automatismo meccanico, la coazione a ripetersi, l'assopimento mentale. 

lunedì 13 luglio 2015

LO SVILUPPO DEL CAPITALE* - Ernest Mandel

*Da "Trattato di economia marxista", Ernest Mandel, Capitolo IV, Samonà e Savelli

 "E' la penetrazione dell'economia monetaria nell'economia contadina in seguito alla trasformazione del sovrapprodotto agricolo da rendita in natura (o corvée) in rendita in denaro che permette un considerevole allargamento alla produzione di merci in Europa occidentale e crea così le condizioni di un dischiudersi  del capitalismo industriale.

 L'accumulazione del capitale monetario, del capitale usurario, del capitale mercantile e commerciale, si è realizzata in Europa occidentale dal X al XVIII secolo nelle mani di una classe borghese che si emancipava progressivamente dalla tutela delle classi feudali e dello Stato e con il farne uno strumento per accelerare l'accumulazione del capitale a proprio profitto.

 Successivamente fu l'intervento violento dell'Europa nell'economia di altre parti del mondo a distruggere gli elementi che avrebbero consentito un più rapido progresso economico, e a impedire  o a ritardare la loro crescita.

 Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico implica la generalizzazione della produzione di merci per la prima volta nella storia dell'umanità. Questa produzione non riguarda più solo i prodotti di lusso, i surplus di viveri o di beni di consumo correnti, i metalli, il sale e altri prodotti indispensabili al mantenimento e all'allargamento del sovrapprodotto sociale. Tutto ciò che è oggetto della vita economica, tutto ciò che viene prodotto, è d'ora innanzi merce: tutti i viveri, tutti i beni di consumo, tutte le materie prime, tutti i mezzi di produzione e così pure la stessa forza -lavoro. Non esistendo altra via d'uscita, la massa dei diseredati che non dispongono più dei loro strumenti di lavoro, sono obbligati a vendere la loro forza-lavoro per acquistare i mezzi di sussistenza. Tutta l'organizzazione della società è costruita in modo da assicurare ai proprietari del capitale un rifornimento regolare e costante di manodopera salariata per permettere l'impiego produttivo ininterrotto del capitale stesso.

 l'azione dissolvitrice dell'economia monetaria sulle comunità primitive  già messe a confronto con il modo di produzione capitalistico, diviene nelle colonie  la principale forza di reclutamento di un proletariato indigeno. (...)(essa) ha sradicato , in Africa e altrove, milioni di indigeni dai loro centri tradizionali e li ha costretti a vendere la loro forza-lavoro - sola risorsa che possiedono - per ottenere denaro.

 la libertà (diventa) libertà di acquisire ricchezze. Ma questa libertà non può venire affermata per una piccola parte della società se non a condizione di venire negata all'altra parte, che pure è maggioritaria." 

domenica 12 luglio 2015

SUL PERTURBANTE (1) - Stefano Garroni



 Il perturbante in questo, appunto, consiste: nella scoperta che l'uomo non sta, con se stesso, 'chez soi', 'a casa propria'; che l'uomo ospita dentro di sé un meccanismo, che lo rende estraneo a se stesso, proprio perché non si lascia ricondurre (se non in un certo modo parziale ed indiretto) ai problemi, difficoltà, conflitti, che sorgono dalle sue precisabili condizioni d'esistenza (somatiche, psicologiche, sociali).

 ...per Freud, è come se la vita umana si svolgesse tra due poli, due orizzonti (tra i quali c'è 'stacco', non continuità, per quanto complessa): quello dell'esperienza unheimlich e quello del dinamico, plastico equilibrio mentale - che è l''imbrigliamento' pulsionale, ovvero la condizione della sanità o maturità psichica. (S. Garroni)

 1) Presentazione di Adriano Ossicini* 
   2) Il tema della ricerca di Stefano Garroni** 

Capire Podemos – Pablo Iglesias

 Molte delle battaglie degli ultimi decenni possono essere viste come lotte di difesa contro il continuo logoramento della sovranità nazionale. In questo contesto di sconfitta delle sinistre esistenti, il pensiero critico fu in gran parte separato dalla prassi politica – in forte contrasto con i legami organici esistenti tra produzione teorica e strategia rivoluzionaria che caratterizzarono gli inizi del Ventesimo secolo. Diventò l’opera di professori universitari piuttosto che di leader politici radicali. Eppure, i temi del pensiero critico contemporaneo sono intimamente collegati con la sconfitta storica.

 Anche senza la minaccia dell’antico spettro, l’ordine mondiale è entrato in un periodo di transizione geopolitica nel corso degli ultimi quindici anni, un risultato in parte frutto dello spostamento dell’equilibrio industriale tra Nord Atlantico ed Estremo Oriente. Il predominio unilaterale di Washington è stato moderato dall’emergere di grandi potenze, vecchie e nuove, i cui interessi non si possono racchiudere facilmente in quelli degli USA. Le riforme di Deng Xiaoping hanno dimostrato la fattibilità di un ultra-capitalismo pianificato di Stato, che ha trasformato la terra della Rivoluzione Culturale nella prima area produttiva del mondo e in un potente attore internazionale. Nella regione ‘pivot’ dell’Eurasia, la Russia semi-democratica di Putin continua a dimostrare che Mosca è tornata sulla scena globale.

 La crisi del 2008 ha ora prodotto degli spiragli politici inattesi, in particolare in Europa del Sud, in forme che pochi avrebbero predetto. I salvataggi statali di istituzioni finanziarie in bancarotta hanno portato all’esplosione dei debiti nazionali e degli spread sui tassi d’interesse. Le politiche di emergenza per ‘salvare l’euro’ imposte – e presto normalizzate – dal blocco a guida tedesca hanno avuto effetti disastrosi in Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, dove milioni di persone hanno perso il proprio lavoro, decine di migliaia sono stati sfrattati dalle proprie case e sono stati accelerati lo smantellamento e la privatizzazione dei sistemi pubblici di sanità e istruzione, mentre l’onere del debito è stato passato dalle banche ai cittadini.

 In Spagna, come in altri paesi dell’Eurozona, il collasso economico e le misure imposte per “salvare la moneta unica” hanno evocato lo spettro di una crisi organica, che ha condotto a quella che, in termini politici, chiamiamo una crisi di regime: ossia, lo sfibramento del sistema politico e sociale emerso dalla transizione post-franchista. La principale espressione sociale di questa crisi di regime è stato il movimento 15-M, l’ampia mobilitazione degli indignados che, iniziata il 15 maggio 2011, ha occupato le piazze cittadine in tutta la Spagna per molte settimane. La sua principale espressione politica è stata Podemos. 

mercoledì 8 luglio 2015

Karl Marx, "Il Capitale" - Roberto Finelli

“Ho sempre
pensato che se non riesci a spiegare le grandi questioni economiche in un
linguaggio comprensibile anche agli adolescenti, vuol dire semplicemente che
non le hai capite”
 
(Yanis Varoufakis)



Parte finale:
https://www.youtube.com/watch?v=A8fcByMD9zw

Per una ulteriore chiarificazione...
https://www.youtube.com/watch?v=OMg7fFhVEkk

lunedì 6 luglio 2015

La “buona università” e la società dell'ignoranza - Alessandra Ciattini

 Non si può dire che i fautori delle politiche neo-liberali non abbiano avuto pazienza: hanno smontato pezzo per pezzo il cosiddetto Stato sociale, affermatosi in Europa dopo la seconda guerra mondiale in un contesto mondiale diviso in due blocchi antagonistici, anche per effetto del protagonismo di una parte importante della popolazione, che aveva partecipato alla sconfitta del nazi-fascismo.

 Ovviamente mi limiterò a descrivere per sommi capi come questo processo di smantellamento abbia riguardato anche l'università pubblica italiana, il cui compito avrebbe dovuto essere quello di contribuire, insieme alla scuola, alla formazione di un cittadino consapevole delle proprie scelte politiche e in grado valutare criticamente i diversi punti di vista, che si scontrano nella dialettica sociale. Avrebbe anche dovuto favorire l'ascesa di almeno alcuni appartenenti alle classi popolari, allo scopo di attutire le forti differenze sociali e culturali presenti in Italia e di rafforzare le basi democratiche del paese. Non per caso ho usato il condizionale, perché di fatto tali compiti non sono mai stati assolti dall'università italiana prima delle cosiddette “riforme”, ma certamente dopo di esse tali obiettivi vengono completamente abbandonati ed etichettati come “ideologici”.

DENARO, CAPITALE, PLUSVALORE* - Ernest Mandel

*Da "Trattato di economia marxista", Ernest Mandel, Capitolo III, Samonà e Savelli

 "La differenza tra la circolazione delle merci 
M/1 - D - M/2 
e la circolazione del denaro
D - M - D/1 
consiste dunque in questo: nella circolazione delle merci, l'equivalenza delle merci M/1 e M/2 che si trovano ai due poli della circolazione, è la condizione necessaria perché le due operazioni possano effettuarsi. Nessun produttore semplice di merci può acquistare merci di un valore superiore a quello delle merci che, per parte sua, ha prodotto e venduto. 
Nella circolazione del denaro, invece, la comparsa di un plusvalore (D/1-D) è la condizione necessaria perché la circolazione possa effettuarsi; nessun proprietario di capitale monetario farà 'circolare', 'lavorare', 'rendere' il suo denaro per vedersi ritornare in tasca esattamente lo stesso ammontare che ne era uscito! 

... Il capitale ed il plusvalore fanno la loro comparsa solo con lo sviluppo degli scambi e del denaro, e con l'impiego di una maggiore produttività media del lavoro, non più per consentire a tutta la società di realizzare una economia di tempo di lavoro, ma per assicurare a una parte della società i prodotti di questa accresciuta produttività, sottoponendo a uno sforzo di lavoro sempre più duro l'altra parte della società. Il capitale è il punto d'arrivo della storia dell'appropriazione del sovrapprodotto sociale ad opera di una parte della società a spese di un'altra, e non il punto d'arrivo della storia dell'economia del lavoro umano effettuata a profitto della società umana nel suo insieme.

 L'appropriazione del plusvalore prodotto durante il processo di produzione presuppone un'economia mercantile, la vendita di merci prodotte da produttori non proprietari dei prodotti del lavoro."  Il plusvalore è, in questo senso, la forma monetaria del sovrapprodotto sociale." 



domenica 28 giugno 2015

SCAMBIO, MERCE, VALORE* - Ernest Mandel

*Da "Trattato di economia marxista", Ernest Mandel, Capitolo II, Samonà e Savelli

"Il sistema di scambio generalizzato coincide con gli inizi dell'artigianato professionale all'interno del villaggio o della tribù. Ma questa specializzazione è una specializzazione in seno a una comunità di villaggio. Gli artigiani che abbandonano sempre più il lavoro agricolo ricevono la sussistenza come ricompensa dei loro servizi. Lo scambio all'interno del villaggio o della tribù resta dunque rudimentale.
 Il produttore di merci non vive più direttamente dei prodotti del suo lavoro; al contrario, non può sostentarsi che a condizione di disfarsi di questi prodotti. Vive, come dice Glotz degli artigiani greci dell'epoca omerica, esclusivamente del suo lavoro.
 L'incremento del sovrapprodotto al di là di un limite ristretto (riserva di viveri) non è il risultato di uno sviluppo autonomo dell'economia. E' il risultato dell'intervento di pressioni esterne, economiche (scambio) o sociali (appropriazione del surplus da parte di un potere centrale o di una classe dominante.
 Lo sviluppo di una classe dominante presuppone l'esistenza di un sovrapprodotto sociale. Mentre un primo sviluppo del sovrapprodotto  precede effettivamente qualsiasi costituzione di una classe dominante, quest'ultima  assicura poi un'espansione maggiore di questo sovrapprodotto e un nuovo sviluppo delle forze produttive.

 ...Un rapporto d'equivalenza tra due prodotti, tra due merci, esige una misura comune, una quantità commensurabile comune. Il valore d'uso di una merce dipende dall'insieme delle sue qualità fisiche, che ne determinano l'utilità. L'esistenza di questo valore d'uso è una condizione indispensabile per la comparsa del valore di scambio: nessuno, infatti, accetterebbe in cambio del suo prodotto una merce senza utilità, senza valore d'uso per nessuno. Ma il valore d'uso di due merci, espresso nelle qualità fisiche , è incommensurabile; non si può misurare con un'unità comune il peso del grano, la lunghezza di una tela, il volume dei vasi, il colore dei fiori. Per consentire uno scambio reciproco tra questi prodotti, bisogna cercare una qualità comune a tutti che possa al tempo stesso essere misurata e quantitativamente espressa, e che dev'essere una qualità sociale, accettabile per tutti i membri della società.
 Ma se le merci sono il prodotto di un lavoro specifico determinato, queste merci sono inoltre il prodotto del lavoro umano sociale, cioè di una parte del tempo globale disponibile per una determinata società, e sulla cui economia la società è basata, come abbiamo appena indicato. E' questo fatto che rende le merci commensurabili; è il lavoro umano generale - definito astratto perché viene fatta astrazione dal suo carattere specifico ... -  che è la base del valore di scambio.

 ...Sul mercato in cui si incontrano i prodotti del lavoro di villaggi diversi, se non di diverse regioni , i valori di scambio si stabilizzano d'ora innanzi secondo medie sociali. Non è il numero di ore di lavoro effettivamente spese per la fabbricazione di un oggetto a determinarne il valore, ma il numero di ore di lavoro necessarie per fabbricarlo nelle condizioni medie  di produttività della società dell'epoca.

...Il lavoro umano nelle società primitive era un lavoro direttamente sociale. Nella piccola società mercantile il lavoro individuale acquista il carattere di lavoro sociale solo indirettamente, attraverso il meccanismo dello scambio, il gioco della legge del valore.

 Con la piccola produzione mercantile non raggiungiamo che una fase transitoria tra una società retta coscientemente dalla cooperazione del lavoro e una società in cui la completa dissoluzione dei legami comunitari non lascia più posto se non a leggi 'obbiettive', cioè cieche, 'naturali', indipendenti dalla volontà degli uomini, per reggere e governare le attività economiche." 

LE LEZIONI DELLA GRECIA E LE PROSPETTIVE, Michele Nobile - SE I GRECI TRAGGONO IL DADO..., Emiliano Brancaccio



" Amici greci,
da sei mesi il governo greco combatte una battaglia in condizioni di soffocamento economico senza precedenti, per implementare il mandato che ci avete dato il 25 gennaio.
Il mandato che stavamo negoziando coi nostri partner chiedeva di mettere fine all'austerità e permettere alla prosperità ed alla giustizia sociale di tornare nel nostro paese.
Era un mandato per un accordo sostenibile che rispettasse la democrazia e le regoli comuni europee, per condurre all'uscita finale dalla crisi.
Durante questo periodo di negoziazioni, ci è stato chiesto di mettere in atto gli accordi fatti col precedente governo nel "memorandum", nonostante questi fossero stati categoricamente condannati dal popolo greco nelle recenti elezioni.
Comunque, nemmeno per un momento abbiamo pensato di arrenderci, cioè di tradire la vostra fiducia.
dopo cinque mesi di dure contrattazioni, i nostri partner, sfortunatamente, hanno rilanciato all'eurogruppo di due giorni fa un ultimatum alla democrazia greca ed al popolo greco.
Un ultimatum che è contrario ai principi fondanti ed ai valori dell'europa, i valori del progetto comune europeo.
Hanno chiesto al governo greco di accettare una proposta che accumula un nuovo insostenibile peso sul popolo ellenico e colpisce profondamente le possibilità di recupero dell'economia e della società greche. Una proposta che non soltanto perpetua lo stato di incertezza ma accentua persino le disuguaglianze sociali.
La proposta delle istituzioni include: misure per un'ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, ulteriori riduzioni nel salario minimo del settore pubblico e incremento dell'IVA su cibo, ristorazione e turismo, eliminando inoltre le agevolazioni fiscali per le isole greche.
Queste proposte violano direttamente fondamentali diritti europei, mostrano che riguardo a lavoro, uguaglianza e dignità, lo scopo di alcuni partners e istituzioni non è il raggiungimento di un buon accordo per tutte le parti, ma l'umiliazione dell'intero popolo greco.
Queste proposte sottolineano in particolare l'insistenza del Fondo Monetario Internazionale in una dura e punitiva austerity, e sottolineano più che mai la necessità per i grandi poteri europei di prendere iniziative che conducano al termine della crisi del debito sovrano ellenico. Una crisi che colpisce altri paesi europei e che sta minacciando il futuro prossimo dell'integrazione continentale.
 Amici greci,
in questo momento pesa sulle nostre spalle, attraverso le lotte ed i sacrifici, la responsabilità storica del popolo greco per il consolidamento della democrazia e della sovranità nazionale. La nostra responsabilità per il futuro del nostro paese.
E la nostra responsabilità ci richiede di rispondere all'ultimatum sulla base del mandato del popolo greco.
Pochi minuti fa alla riunione di gabinetto ho proposto l'organizzazione di un referendum, perché il popolo greco possa decidere in maniera sovrana.
Questa proposta è stata accettata all'unanimità.
Domani la la camera dei rappresentanti sarà convocata d'urgenza per ratificare la proposta del gabinetto per un referendum la prossima domenica, 5 luglio, sull'accettazione o il rigetto della proposta delle istituzioni.
Ho già informato della mia decisione il presidente francese e la cancelliera tedesca, il presidente della BCE e domani una mia lettera chiederà formalmente ai leader della UE ed alle istituzioni di estendere per pochi giorni il programma attuale in modo da permettere al popolo greco di decidere, libero da ogni pressione e ricatto, come richiesto dalla costituzione del nostro paese e dalla tradizione democratica europea.
 Amici greci,
al ricatto dell'ultimatum che ci chiede di accettare una severe e degradante austerità senza fine e senza prospettive di ripresa economica, vi chiedo di risponde in maniera sovrana e orgogliosa, come la nostra storia ci chiede.
Ad una austerità autoritaria e violenta, risponderemo con la democrazia, con calma e decisione.
La Grecia, il luogo di nascita della democrazia, manderà una forte e sonora risposta all'Europa ed al mondo.
Mi impegno personalmente al rispetto dei risultati della vostra scelta democratica, qualsiasi essi siano.
Sono assolutamente fiducioso che la vostra scelta onorerà la storia del nostro paese e manderà un messaggio di dignità al mondo.
In questi momenti critici dobbiamo tutti ricordare che l'europa è la casa comune dei popoli. Che in europa non ci sono proprietari ed ospiti.
La Grecia è e rimarrà una parte fondamentale dell'europa, e l'europa è una parte della Grecia. Ma senza democrazia, l'europa sarebbe un'europa senza identità e senza bussola.
Vi invito a mostrare unità nazionale e calma e fare la scelta giusta.
Per noi, per le generazioni future, per la storia dei greci.

Per la sovranità e la dignità del nostro popolo."                             (Alexis Tsipras)

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venerdì 26 giugno 2015

LAVORO, PRODOTTO NECESSARIO, SOVRAPPRODOTTO* - Ernest Mandel

 *Da "Trattato di economia marxista", Ernest Mandel, Capitolo I, Samonà e Savelli


 "...né l'agricoltura né l'allevamento procurano istantaneamente il cibo necessario al mantenimento della tribù e occorre una riserva di viveri per coprire il periodo che separa la semina dal raccolto. Per queste ragioni, né l'agricoltura né l'allevamento hanno potuto essere adottati sulle prime come principale sistema di produzione di un popolo, ma fanno la loro comparsa a tappe, sono anzitutto considerati come attività secondaria rispetto alla caccia e alla raccolta di frutta, e per lunghissimo tempo continuano a essere integrati da queste attività, anche quando costituiscono già la base della sussistenza popolare.

 ...La 'rivoluzione neolitica', per la prima volta dagli albori dell'umanità, sottopone la produzione dei mezzi di sussistenza al controllo diretto dell'uomo: ecco la sua importanza capitale. La raccolta di frutta, la caccia e la pesca sono metodi 'passivi' di rifornimento. Riducono o, nel migliore dei casi, mantengono a un livello dato la somma delle risorse che la natura mette a disposizione dell'uomo su un territorio determinato. L'agricoltura e l'allevamento, viceversa, sono metodi 'attivi' di rifornimento, perché accrescono le risorse naturali disponibili per l'umanità e ne creano di nuove. 

 Con l'impiego dello stesso lavoro, la quantità di viveri a disposizione degli uomini può essere decuplicata. Questi metodi rappresentano dunque un accrescimento enorme della produttività sociale del lavoro umano." 

mercoledì 24 giugno 2015

Gli stereotipi sulle migrazioni - Cesare Grazioli

 Come certamente sapete, un luogo comune è una frase fatta, un argomento banale e non motivato. Sapete anche che cos’è uno stereotipo? Le definizioni che ne danno due dizionari della lingua italiana sono: “Opinione precostituita, non acquisita sulla base di un’esperienza diretta, e scarsamente suscettibile di modifica” (Garzanti); “Percezione o concetto rigido e semplificato o distorto di un aspetto della realtà, in particolare di persone o gruppi sociali” (Zingarelli). Anche se non ce ne rendiamo conto, viviamo in mezzo a luoghi comuni e stereotipi che seguiamo senza rendercene conto, semplicemente perché sono comodi. Ci consentono infatti di avere opinioni su tante cose, anche senza conoscerle. Capita che, anche quando facciamo un’esperienza diretta, questa venga falsata dagli stereotipi che abbiamo già in mente (e che diventano perciò pregiudizi). Gli stereotipi riguardano gli argomenti più diversi: le donne e gli uomini, le categorie sociali (ad esempio i carabinieri, bersagli di tante barzellette…), le popolazioni di determinate regioni (l’avarizia dei genovesi…), paesi e popoli (l’ordine e la disciplina dei tedeschi…). Luoghi comuni, stereotipi, pregiudizi, in un certo senso sono altrettanti gradini di una scala che ci allontana da una conoscenza corretta e scientifica. La storia – come tutte le altre scienze, sia quelle sociali che quelle della natura, ciascuna nei suoi campi di pertinenza –può e deve servire anche a riconoscere e a rimuovere gli stereotipi, un po’ come fal’anticalcare contro le incrostazioni in bagno e in cucina. In entrambi i casi, ovviamente, l’efficacia dipende anche dalla durezza delle incrostazioni!

 Tra i molti temi sui quali gli stereotipi abbondano, vi è quello delle migrazioni: tema che nell’Italia di oggi significa soprattutto l’immigrazione dalla sponda opposta del Mediterraneo, oltre che da altre parti del mondo.

 Nel mondo del XXI secolo è ormai comune l’idea che le grandi migrazioni non siano un motore primario della società, ma piuttosto una componente anarchica del cambiamento sociale, la tessera deformata di un mosaico che non trova la sua appropriata collocazione, un “rumore” di fondo che disturba il regolare ronzio della vita sociale. In realtà le migrazioni hanno sempre assolto un ruolo fondamentale nella storia.

 L’ultimo secolo, dalla prima guerra mondiale a oggi, è stato segnato da un percorso irregolare, da politiche contradditorie, dall’impatto dei grandi shock bellici sui trasferimenti di persone, dalla separazione dell’oriente europeo dal resto del continente (durante la guerra fredda), dall’inversione del ciclo migratorio – con l’Europa che da esportatrice diventa nuovamente importatrice di risorse umane – e dall’impatto profondo del ciclo demografico. Negli ultimi decenni, dagli anni 70 del Novecento, le politiche migratorie si sono fatte più restrittive e più selettive, mentre le pressioni aumentano per ragioni sia demografiche che economiche generate dai divari Nord-Sud.

 La demografia depressa del continente rende dunque inevitabile un forte aumento dell’immigrazione, che ha sia una funzione di rimpiazzo generazionale, sia una funzione di risposta alle esigenze del mercato del lavoro. Nonostante l’attuale crisi economica, infatti, c’è una domanda del mercato per le qualifiche più modeste, poco remunerate (edilizia, lavori stagionali agricoli, lavoro manuale nell’industria e nei servizi, come le pulizie, assistenza agli anziani, ecc.) e scarsamente appetite dalla manodopera nazionale.

 In questo contesto, senza una rilevante immigrazione, le forze di lavoro scenderebbero dal 226 milioni nel 2005 a 160 nel 2050. Anche riassorbendo l’attuale disoccupazione e aumentando i tassi di occupazione femminile, bisognerebbe alzare di 10 anni l’età del pensionamento, in modo che alla metà del XXI secolo dovrebbero essere al lavoro tre persone su quattro tra i 60 e i 75 anni (oggi, in quella classe di età è attiva solo una persona su sette).

 Come il Novecento è stato il secolo della grande crescita della popolazione mondiale, il Duemila sarà quello del suo invecchiamento, con tempi diversi nelle differenti parti del mondo. Forse dal prossimo secolo si avrà una decrescita generalizzata, ma nel futuro prossimo la decrescita, se non corretta da immigrazioni, porterà problemi che saranno tanto maggiori nei paesi (come l’Italia) ove essa è più intensa. 



martedì 23 giugno 2015

PERCHÈ LA GUERRA? - Carteggio Albert Einstein - Sigmund Freud.


Lettera di Einstein a Freud.

Gaputh (Potsdam), 30 luglio 1932

Caro signor Freud,
la proposta, fattami dalla Società delle Nazioni e dal suo “Istituto internazionale di cooperazione intellettuale” di Parigi, di invitare una persona di mio gradimento a un franco scambio d’opinioni su un problema qualsiasi da me scelto, mi offre la gradita occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare, nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà. La domanda è: C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? E’ ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta, eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa.
Penso anche che coloro cui spetta affrontare il problema professionalmente e praticamente divengano di giorno in giorno più consapevoli della loro impotenza in proposito, e abbiano oggi un vivo desiderio di conoscere le opinioni di persone assorbite dalla ricerca scientifica, le quali per ciò stesso siano in grado di osservare i problemi del mondo con sufficiente distacco. Quanto a me, l’obiettivo cui si rivolge abitualmente il mio pensiero non m’aiuta a discernere gli oscuri recessi della volontà e del sentimento umano. Pertanto, riguardo a tale inchiesta, dovrò limitarmi a cercare di porre il problema nei giusti termini, consentendoLe così, su un terreno sbarazzato dalle soluzioni più ovvie, di avvalersi della Sua vasta conoscenza della vita istintiva umana per far qualche luce sul problema. Vi sono determinati ostacoli psicologici di cui chi non conosce le scienze mentali ha un vago sentore, e di cui tuttavia non riesce a esplorare le correlazioni e i confini; sono convinto che Lei potrà suggerire metodi educativi, più o meno estranei all’ambito politico, che elimineranno questi ostacoli.

«Laudato si’» - Jorge Mario Bergoglio


 Insomma, Bergoglio-Francesco ha la sua originaria ed onesta ispirazione gesuitico-francescana, abbastanza sociale, la Chiesa cattolica cerca il riposizionamento in un mondo che cambia con estrema rapidación, come dice Francesco stesso e in termini di marketing della evangelizzazione i protestanti usano gli scandali sessuali dei cattolici ed i cattolici censurano il loro smodato amore per il denaro. Il senso finale dell’enciclica infatti, è quello che il denaro ordina ciò che dovrebbe ordinare l’etica della relazione alla luce di una concezione complessa dell’uomo e del mondo. Questo i giornali, più di tanto non lo sottolineano e così Obama può plaudire il papa verde riducendone la policromia delle tesi ad una frequenza sola. (P. Fagan) 



venerdì 19 giugno 2015

“Ecco il mio Piano Merkel” - Yanis Varoufakis

(Questo discorso è stato tenuto da Yanis Varoufakis al Forum Ambrosetti il 14 marzo 2015)

   Marzo 1971. L’Europa si prepara al ‘Nixon Gold Shock’, e comincia a progettare una unione monetaria europea, più vicina al Gold Standard che al sistema di Bretton Woods, ormai al tramonto. È in questo clima che l’economista Nicholas Kaldor, dell’Università di Cambridge, pubblica un articolo su The New Statesman. Cito:
   … sarebbe un errore pericoloso credere che un’unione monetaria ed economica possa precedere un’unione politica; o illudersi che l’unione monetaria funzionerà (secondo i termini del rapporto Werner) “da catalizzatore per l’evoluzione dell’unione politica, della quale nel lungo termine non potrà comunque farne a meno”. La creazione di una unione monetaria e di una aurorità comunitaria di controllo sui bilanci nazionali genererà infatti pressioni tali da portare il sistema al collasso; questo condurrà ad una brusca frenata del processo d’integrazione politica, invece di accelerarla.

   Purtroppo, il lungimirante avvertimento di Kaldor fu ignorato; si preferì un retorico ottimismo sul tema dell’unione monetaria capace di creare legami più profondi fra le nazioni europee. Anche un’eventuale crisi del settore finanziario (come quella del 2008), avrebbe costretto i dirigenti europei a pervenire all’unione politica, comunque necessaria.

giovedì 18 giugno 2015

DIALETTICA E DIFFERENZA. NOTE SUL MARXISMO NEOKANTIANO* - Stefano Garroni

*Da "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole

      Contrapposta ad una versione 'naturalistica' del marxismo, la concezione kantiana - così difficilmente riconducibile alla compattezza di un unico disegno - poteva offrire ad un ambiente politico-culturale, scosso in alcune sue convinzioni fondamentali (valga per tutte la fiducia che lo svolgersi del sistema capitalistico avrebbe funzionato quale 'naturale' introduzione all'evoluzione in senso socialista dei rapporti sociali), la possibilità di un ancoraggio teorico più duttile, più articolato.

      In questo senso, l'enfasi kantiana sulle 'dissonanze' dell'esperienza poteva servire assai bene a combattere le sicurezze di certo materialismo, che in realtà appiattiva sia la lezione di Darwin che quella della tradizione dialettica.
(S. G.)

      "da una lettera...del 12 maggio 1895, apprendiamo ... che già Engels (attribuiva) all'influenza (dell') ambiente neokantiano ... l'incapacità dei giovani socialisti tedeschi di 'estrazione intellettuale' a capire il modo di validità delle categorie e i concatenamenti dimostrativi del Capitale."
(B. Besnier, "Conrad Schimidt e l'inizio della letteratura economica marxista")

mercoledì 17 giugno 2015

L'origine dello Stato Un percorso da Platone a Marx - Carla Maria Fabiani

 "La borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere dello Stato, e ne fa uso, per "regolare" il salario, cioè per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuol fare del plusvalore, per prolungare la giornata lavorativa e per mantenere l’operaio stesso a un grado normale di dipendenza. E’ questo un momento essenziale della cosiddetta accumulazione originaria" [...]

 "I vari momenti dell’accumulazione originaria si distribuiscono ora, più o meno in successione cronologica, specialmente fra Spagna, Portogallo, Olanda, Francia e Inghilterra. Alla fine del secolo XVII quei vari momenti vengono combinati sistematicamente in Inghilterra in sistema coloniale, sistema del debito pubblico, sistema tributario e protezionistico moderni. I metodi poggiano in parte sulla violenza più brutale, come p. es. il sistema coloniale. Ma tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata della società, per fomentare artificialmente il processo di trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico e per accorciare i passaggi. La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. E’ essa stessa una potenza economica"                           
 [Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica] 

martedì 16 giugno 2015

Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento - Riccardo Bellofiore

        ...Il mio Marx, è bene confessarlo subito, è sempre e ancora il Marx della teoria del lavoro astratto, della teoria del valore e del plusvalore, della teoria del denaro: più precisamente, della costituzione monetaria del comando capitalistico sul lavoro vivo, e della lotta delle classi innanzi tutto nel cuore della produzione. Ma, è bene confessare anche questo: proprio questo Marx a cui mi riaggancio, e di cui non saprei fare a meno, è per me un Marx problematico, un Marx pieno di questioni irrisolte cui occorre sempre e di nuovo tentare di dare risposta. Un Marx, dunque, dove i lavori sono perennemente in corso. E’ proprio per questo che fare la storia «a ritroso» è utile ed essenziale, e apre prospettive inedite. Secondo una metafora che è quella della spirale più che quella del circolo, qualcosa che ci consegna alla responsabilità: non solo della nostra interpretazione, ma anche della nostra ricostruzione in positivo della critica dell’economia politica. Fare la storia a ritroso significa, in realtà, proprio questo: partire dai problemi che noi ci troviamo squadernati davanti oggi, e significa partire dall’ipotesi di soluzione che noi intendiamo sperimentare, per far così emergere quegli interrogativi con cui interrogare gli autori del passato per aiutarci nella ricerca. Da questo punto di vista, si deve dire, non conta tanto la fedeltà «filologica» a quello che pensavano gli autori di se stessi. Contano mille volte di più gli strumenti e le categorie e le piste che questi autori ci hanno lasciato e che sta a noi saper sfruttare. Un metodo questo che non dovrebbe risultare poi così strano, visto che è lo stesso impiegato da Marx nelle sue Teorie sul plusvalore quando ingaggia un confronto con l’economia politica classica di Smith e Ricardo. 

domenica 14 giugno 2015

Marx e Hegel. Contributi a una rilettura - Roberto Fineschi




         Lo studio che presento è la continuazione organica di una ricerca iniziata da alcuni anni che ha dato i suoi primi frutti nel volume apparso alcuni anni fa dal titolo Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del “capitale”. Tenendo conto del legame esplicito valgono qui le stesse tre premesse di carattere generale allora introdotte.

          Nella voce Karl Marx per il dizionario enciclopedico Granat Lenin scriveva: «Il Marxismo è il sistema delle concezioni e della dottrina di Marx» [Lenin (1914): 9], proseguendo poi con un’esposizione dei principi generali e concludendo con un capitolo sulla tattica del proletariato. Non intendo certo pronunciarmi qui su Lenin come personaggio storico, politico o come pensatore; limitandosi però a questa affermazione, mi pare si possa sostenere che egli operi una forzatura che è stata poi propria di tutta una tradizione, alla quale sono appartenuti anche gli oppositori di Lenin. Definirei, infatti, più propriamente il marxismo come “una prassi politica ispirata alle concezioni ed alla dottrina di Marx”. La teoria del modo di produzione capitalistico elaborata da Marx non è infatti – né può essere – immediatamente una teoria politica; si tratta piuttosto della ricostruzione, ad un altissimo livello di astrazione, del funzionamento “epocale” della società borghese, che implica delle linee di tendenza, delle forme di movimento, ma immediatamente non una politica. Ciò non per negare le esplicite prese di posizione di Marx, né che si possa utilizzare questa teoria con finalità politiche, ma per stabilire: (i) che la politica, collocandosi ad un livello di astrazione molto più basso, per essere raggiungibile ha innanzitutto bisogno di una serie di teorie cuscinetto che il Moro non ha sviluppato, (ii) che quindi la politica non ha a che fare solo con le forme – che rappresentano l’oggetto essenziale della teoresi di Marx – ma anche con le “figure”, che sono via via quei soggetti che in sottoperiodizzazioni della fase epocale si trovano ad incarnarne la forma di moto. Così, per fare un esempio, lo “operaio massa” è stato legittimamente ritenuto una figura di movimento della società capitalista, ma la forma di tale movimento funziona in altre fasi anche con altre figure, proprio perché non c’è identità fra forma e figura. Così, se facendo politica Marx si rivolgeva giustamente all’operaio nella fabbrica, ciò non esaurisce lo spettro d’applicabilità della sua teoria. Se da una parte si guadagna in ampiezza, dall’altra si perde in precisione (necessità di teorie cuscinetto).[1] Più in generale, si può sostenere che a livello politico si agisce inevitabilmente con le figure, ma una cosa è la tattica ed altra la teoria del modo di produzione come fase epocale.

         Così, Marx ed il marxismo non possono essere la stessa cosa ed è inevitabile che si debba parlare di “marxismi”, al plurale.[2] Questi hanno la loro dignità storica e, nel bene e nel male, rappresentano un momento importante – se non imprescindibile in certi casi – della storia recente, ma si stia attenti a non operare fuorvianti appiattimenti. Gli oggetti d’indagine sono, infatti, due. Non si deve d’altronde compiere l’errore opposto, ossia credere che non sia lecito stabilire quanto i vari marxismi siano stati fedeli alle indicazioni date da Marx: che non ci sia identità fra forma e figura non significa neppure che ogni tentativo di applicazione politica vada bene. Come sempre occorre mostrare le mediazioni (o eventualmente l’assenza di esse). 



venerdì 12 giugno 2015

ROMERO BEATO, MARTIRE DELLA GUERRA FREDDA O COSTRUTTORE DI PACE? - Alessandra Ciattini



 Credo che per comprendere il significato profondo della beatificazione di Oscar Arnulfo Romero (1917-1980), celebrata come un evento mediatico volto a rilanciare l'immagine positiva della Chiesa cattolica in America Latina, dobbiamo partire da una ben nota riflessione di Antonio Gramsci: "Ogni religione, anche la cattolica (anzi specialmente la cattolica, appunto per i suoi sforzi di rimanere unitaria “superficialmente”, per non frantumarsi in chiese nazionali e stratificazioni sociali) è in realtà una molteplicità di religioni distinte e contraddittorie..."

A mio parere, in generale ciò significa che, se vuole restare un'istituzione universale e continuare a giocare un ruolo internazionale, la Chiesa cattolica deve accogliere in sé istanze diverse, anche contrastanti, provenienti dalle diverse entità regionali, dai differenti strati sociali, dalle difformi sensibilità culturali, benché non sempre abbia intenzione o alla fine non sia in grado di dare ad essi risposte concrete.
Un altro elemento importante e utile per approfondire l'argomento lo ricaviamo dal concetto di “modello di santità”; concetto utilizzato dagli studiosi del cristianesimo per contestualizzare storicamente e culturalmente le scelte operate dall'istituzione ecclesiastica per individuare coloro che possano rappresentare al meglio lo stile di vita santa, che essa propone e che si fonda sull'imitazione della vicenda umana di Cristo.

giovedì 11 giugno 2015

L'ASTRAZIONE DELL'ECONOMISTA, Note sul capitolo VI del Capitale di Marx* - Stefano Garroni

Da "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole


 "Ciò che qui [nella società civile, dunque nella sfera dei rapporti economici moderni o capitalistici] abbiamo di fronte è il mondo dell'apparizione, dell'apparire; Questa sfera è solo apparizione perché i principi non sono nella loro verità, non sono nella loro unità, identità, ma sono reciprocamente contrapposti nella loro diversità ed autonomia; e ciò non è il vero. Ma è al tempo stesso l'universalità che in essi appare, e questo apparire dell'universalità, nella particolarità è ciò che di interessante e di essenziale abbiamo da esaminare... Ciò che è meraviglioso [nell'ambito della società civile] è l'interiore necessità per cui ognuno crede di lavorare per sé, ma l'egoismo si rovescia, e nel lavoro per il proprio fine realizza i fini degli altri."       (G.W.F. Hegel, Le filosofie del diritto)

 ...I margini del gioco, che si aprono alla determinata contrattazione nella compra-vendita della forza-lavoro, danno a me - singolo lavoratore -, che in essa son coinvolto, il senso che quella del salario sia una partita dall'esito non scontato, ché piuttosto è da me che esso dipende: dalle abilità che posseggo, dall'alacrità che testimonio, dalla disponibilità mia al sacrificio, alla costanza. Se, dunque, quella partita si chiude male per me, son io stesso chiamato in causa, è la solidità della mia personalità, che è in questione. Pur se in qualche zona della mia coscienza è presente la consapevolezza che i limiti, entro cui è contenuto il 'gioco' della contrattazione, prescindono da me e dipendono da vicende e situazioni, su cui non ho presa alcuna, proprio questa loro 'distanza', questa loro 'imprevedibilità', 'inafferrabilità', fanno sì, che essa resti sempre sullo sfondo - quasi un inefficace sottinteso.
 Eppure, l'analisi economica - ma questo vuol dire l'assunzione di una prospettiva, che non è più quella del lavoratore in quanto singolo, in quanto coinvolto da persona determinata nell'esperienza della contrattazione - mi dice che è legge economica la sostanziale stabilità del salario medio e che, dunque, lo scacco dei miei sforzi è sostanzialmente pre-scritto.
 Ma ciò significa due terribili conclusioni: che la realtà effettiva del mio impegno contrattuale prescinde da me, essendo orientata da forze, affatto estranee al mio controllo; e che, addirittura, quella media salariale sostanzialmente stabile è attraverso i miei sforzi - e quelli dei tanti singoli lavoratori -, che va affermandosi. Sono io stesso, insomma, che conduco i miei sforzi al loro scacco; paradossalmente, in quanto si inscrive nella cornice dell'organizzazione capitalistica, il senso di responsabilità scade a moralismo, ad illusoria prospettiva. Peggio: si riduce a momento di quell'hegeliano "universale brulichio", attraverso cui si realizza la regola o 'necessità' capitalistica.

mercoledì 10 giugno 2015

DAL JOBS ACT A “LA BUONA SCUOLA” SECONDO RENZI - Renato Caputo



 ...sviluppando l’analisi di Adam Smith, anche l’altro padre nobile dell’economia liberale, David Ricardo, già agli albori del diciannovesimo secolo non poteva più dare credito alla tesi mitologico-religiosa della mano invisibile delle leggi del mercato le quali, lasciate liberamente operare, avrebbero automaticamente risolto ogni squilibrio. Tanto più che le contraddizioni dell’economia capitalistica continuavano ad aumentare insieme allo sviluppo della moderna plebe. 

 Ciò porta Ricardo alla celebre tesi che la ricchezza sociale è come una torta – la cui grandezza è data in una certa epoca storica – che deve essere spartita fra le tre componenti fondamentali della società capitalista: i rentiers, i capitalisti e i lavoratori salariati.

 Dunque la parte della ricchezza sociale di cui si appropriano i lavoratori è necessariamente inversamente proporzionale a quella che si intascano i rentiers – oggi essenzialmente i finanzieri – e i capitalisti, con buona pace degli odierni cantori della concertazione e del comune interesse nazionale.


 È, dunque, il conflitto sociale e non la presunta concertazione a decidere come verrà spartita la torta e se si lascia fare alle leggi del mercato ad avere la meglio saranno sempre coloro che possono permettersi di acquistare la forza-lavoro e non coloro che sono costretti a vendere, perché i primi possono attendere di trovare i migliori offerenti, mentre i secondi hanno la necessità immediata e assoluta di vendere, pena l’impossibilità di riprodursi come classe sociale. 

PER UNA RIPRESA DI RIFLESSIONE* - Stefano Garroni

*Da "tracciati dialettici (note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa 


    "<Da premesse contraddittorie, qualunque conclusione è inferibile

Interpreto questo enunciato come un divieto, come l'indicazione di una 'mossa' proibita: ed è proprio per questo, che lo indico con R - in quanto 'regola grammaticale' del calcolo logico.
Insomma, attribuisco ad R questo senso: enunciati costruiti secondo il modello indicato, non sono corretti perché renderebbero impossibile il calcolo logico; il divieto implicito in R va rispettato, se l'obbiettivo è giocare quel gioco determinato, detto 'calcolo logico'. 

     Ma rientra la dialettica dentro 'questo' gioco determinato?...

martedì 9 giugno 2015

"RICOLONIZZAZIONE", dall’esperienza storica del presente - Edoarda Masi



 L’espansione del capitale ha alterato equilibri precedenti, e non è dimostrabile che costituisca un “progresso”, giacché dovunque arriva produce sottosviluppo e povertà crescente, oltre che disintegrazione sociale e distruzione di civiltà. Non solo, ma questi risultati sono necessari alla sussistenza del meccanismo di accumulazione del capitale stesso. Tanto che al periodo di rapina nelle regioni del mondo non capitalistiche succede al presente una tendenziale riduzione al sottosviluppo di zone già capitalistiche, all’interno delle società cosiddette avanzate o nel pianeta. Così vediamo ridotti al rango di colonie grandi paesi già liberi e semicapitalistici, e all’interno del cosiddetto Occidente si riproducono rapporti di lavoro che credevamo appartenere al passato (sfruttamento dei minori) o addirittura al lontano passato (riduzione in schiavitù). Non si tratta di fenomeni marginali, ma della stessa essenza del sistema del capitale al livello più “sviluppato”. L’imperialismo conduce oggi a una sorta di ricolonizzazione, che parte dalle sfere già colonizzate ma tende ad allargarsi generalmente. La questione se questo processo sia ulteriormente possibile è tutt’uno con la domanda se vi sia spazio per una ulteriore sopravvivenza del sistema che lo postula. 

lunedì 8 giugno 2015

Storiografia degli strati di tempo. Una rilettura dell’accumulazione - Massimiliano Tomba

 In  Italia, nonostante  la  finanza,  la  tecnologia  e  la  manodopera  il  capitalismo  non  riuscì  a  svilupparsi. Mancava ciò che Machiavelli esortava a mettere in forma al più presto: uno Stato. È infatti lo Stato ad operare una prima violenta sincronizzazione delle diverse temporalità storiche, a produrre, come effetto della concentrazione della Gewalt (violenza · autorità · potenza) e come reazione alle lotte di emancipazione dei serventi, lavoratori  formalmente  liberi  e  contrattualizzazione  dei  rapporti  di  lavoro.  Prodotti  gli  individui  e trasformati in proletari una parte di essi, bisognava disciplinarli al lavoro: distruggere i precedenti rapporti  consuetudinari  e  imporre  il  diritto  astrattamente  uguale  in  quella  che  sarà  la lunga  guerra dei Cent’anni contro i diritti collettivi.

Delle lotte operaie hanno così indirettamente messo in essere una maggiore concentrazione operaia e  quindi  anche  una  maggiore  potenza  di  classe.  Diversamente,  lo  sviluppo  tecnologico  può permettere  anche  una  disintegrazione  dei  grandi  concentramenti  operai,  dando  luogo  a  una centralizzazione  finanziaria  e  produttiva  senza  concentrazione  di  operai.  In  questo  caso  è  il capitale a trovarsi in una posizione di forza, complice l’ideologia del progresso e lo sviluppo tecnico.

«Questa  è  la  ragione – scrive  ancora  Marx  nella Prefazione (Das Kapital) – per  la  quale  in questo volume ho dato un posto così esteso, fra l’altro, alla storia, al contenuto e ai risultati della legislazione  inglese  sulle  fabbriche».

Se  una  massa  di proletari era così stata prodotta attraverso la dissoluzione del sistema feudale, bisognava ora disciplinarla, farla muovere al tempo cronometrico del mercato:

domenica 7 giugno 2015

L’INFERIORITÀ DELLA DONNA TRA NATURA E CULTURA - Alessandra Ciattini

   Sottomissione alla specie

Questo intervento prende le mosse da un problema teorico assai dibattuto e che costituisce un topos della riflessione classica sia antropologica che filosofica. Mi riferisco in particolare alla vexata quaestio della controversa relazione tra natura e cultura che, negli ultimi decenni, da quando cioè si è affermato il cosiddetto pensiero postmoderno, è stata apparentemente risolta mettendo esclusivamente l'accento sulla dimensione culturale, a cui vengono ridotte tutte le forme di materialità, siano esse di natura biologica che di natura economica.

Contro questa posizione che, per contrastare il riduzionismo materialistico, ricade inevitabilmente in una visione di stampo idealistico definita “culturalismo” (anch'essa riduzionistica seppure in senso diverso), vorrei richiamarmi a quanto scrive Terry Eagleton nel suo efficace pamphlet (Le illusioni del postmodernismo, 1998), dove rifiuta la tendenza a dissolvere la natura nella cultura e viceversa, indicando una ipotesi alternativa, anche se non certo nuova. Infatti, egli afferma: <<noi... siamo esseri culturali in virtù della nostra natura, cioè in virtù del corpo che abbiamo e del tipo di mondo cui esso appartiene>>. A queste parole egli aggiunge una riflessione, che si ispira certamente all'antropologia di Sigmund Freud, e che qui riportiamo: <<Poiché nasciamo tutti prematuramente, incapaci di provvedere a noi stessi, la nostra natura contiene una voragine nella quale la cultura deve immettersi all'istante, altrimenti periremmo ben presto. E questa immissione della e nella cultura è insieme la nostra gloria e la nostra catastrofe>> (1998: 87).