martedì 14 giugno 2022

Ecco perché sono comunista - André Vltchek

Da: https://ilgiornaledelriccio.com - Art. originale da CounterPounch - traduzione di Elena Dardano - 

Andre Vltchek (29 dicembre 1963-22 settembre 2020) è stato un analista politico, giornalista e regista americano di origine sovietica. Vltchek è nato a Leningrado, ma in seguito è diventato cittadino americano naturalizzato dopo aver ottenuto asilo lì a vent'anni. Ha vissuto negli Stati Uniti, Cile, Perù, Messico, Vietnam, Samoa e Indonesia. Vltchek ha coperto i conflitti armati in Perù, Kashmir, Messico, Bosnia, Sri Lanka, Congo, India, Sud Africa, Timor orientale, Indonesia, Turchia e Medio Oriente. Ha viaggiato in più di 140 paesi, e ha scritto articoli per Der Spiegel , quotidiano giapponese The Asahi Shimbun , The Guardian , ABC News e il quotidiano della Repubblica Ceca Lidové novizio. Dal 2004, Vltchek ha lavorato come senior fellow presso l' Oakland Institute. 

Leggi anche: Sulla stagnazione del marxismo - Stefano Garroni

Perchè è fallito il comunismo?*- Domenico Losurdo (9/11/1999)

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Questioni relative allo sviluppo e alla persistenza nel socialismo con caratteristiche cinesi - Xi Jinping

Sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria - LENIN

ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin

La colonizzazione globale: le false unità e le false identità nelle ideologie dell’impero*- Edoarda Masi**

Il socialismo e l'uomo a Cuba - Ernesto Che Guevara (1965)

L'A.B.C. del Comunismo* - Bucharin-Preobrazenskij (1919)

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz. 



Ogni qualvolta si guarda La Ultima Cena, un geniale film del 1976 diretto dal cubano Tomás Gutiérrez Alea, ci si rende conto di molti importanti messaggi che vengono letteralmente urlati dallo schermo. 

Il primo: non si può schiavizzare un intero gruppo o un’intera etnia, almeno non per sempre. È impossibile spezzare l’ardente desiderio di esercitare le propria libertà e i propri diritti, non importa quanto brutalmente e frequentemente il colonialismo, l’imperialismo, il razzismo e il terrore religioso provano a farlo.

Il secondo messaggio ugualmente importante è che i bianchi e i cristiani (e ancora di più i cristiani bianchi) per secoli, ovunque nel mondo, si sono comportati come orde di bestie selvagge e maniaci genocidi.

A fine Aprile 2016, a bordo del jet della Cubana de Aviacion, che mi stava portando da Parigi a L’Avana, non ho resistito alla tentazione di accendere il computer e guardare di nuovo, forse per la decima volta in vita mia, La Ultima Cena.
Con Gutiérrez nello schermo, Granma Internacional (il giornale ufficiale cubano chiamato così dalla nave che portò Fidel, il Che e altri rivoluzionari a Cuba per dare l’avvio alla rivoluzione) e un bicchiere di autentico e puro rum sul tavolino, mi sentivo a casa, al sicuro e raggiante di felicità.  Dopo diversi giorni tristemente trascorsi a Parigi, mi stavo finalmente lasciando alle spalle la grigia, sempre più deprimente, dispotica e auto compiacente Europa.

L’America Latina mi aspettava. Stava affrontando degli attacchi terribili organizzati dall’Occidente. Il suo futuro era ancora una volta incerto. “I nostri governi” stavano sanguinando, alcuni di loro collassando. Quello terrificante dell’ala di estrema destra guidato da Mauricio Macri in Argentina era completamente impegnato nello smantellare lo stato sociale. Il Brasile soffriva per il colpo di stato ad opera dei corrotti legislatori di destra. La rivoluzione bolivariana del Venezuela combatteva strenuamente per la propria sopravvivenza. Le forze sovversive conservatrici stavano affrontando sia l’Ecuador che la Bolivia.

Mi chiesero di andare. Mi dissero: “L’America Latina ha bisogno di te. Stiamo combattendo per la nostra sopravvivenza”. Ed eccomi lì, a bordo del Cubana, mentre andavo a casa, in quella parte del mondo che mi è sempre stata cara e mi ha modellato in quello che sono ora, un uomo e uno scrittore.

Andavo  a casa perché lo volevo, ma anche perché era un mio dovere. E cavolo, io ci credo davvero nei doveri!

Dopotutto, non sono un anarchico, ma un Comunista, “istruito” e temprato in America Latina.

***

domenica 12 giugno 2022

Il salario minimo fissato per legge rischia di diventare una trappola per i lavoratori - Lidia Undiemi

 Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - https://www.lantidiplomatico.it - Lidia Undiemi, Dottore di ricerca in diritto dell'economia

Ascolta anche: Riflessioni sul salario minimo... https://gemininetwork.it/caffecornetto-a-cura-di-radio-quarantena- 


Pare che la politica stia prendendo un po’ più seriamente il tema del salario minimo legale, quindi vale la pena provare a capire quali sono le luci e le ombre, ovvero le opportunità e i rischi, dell’introduzione nel nostro paese di un simile strumento di determinazione dei salari.


Chiariamo subito una cosa, in Italia la stragrande maggioranza dei lavoratori è già coperta dal minimo salariale inderogabile, che è quello previsto dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di categoria sottoscritti dai sindacati più importanti. Più in generale, il nostro ordinamento affida alla contrattazione collettiva il compito di stabilire la determinazione delle retribuzioni, sia per quanto riguarda i minimi sia per le varie integrazioni accessorie e variabili, che consentono ai lavoratori di andare ben oltre il minimo. La questione si pone quindi per una minoranza di lavoratori – non proprio pochi poiché stimati intorno al 20 percento –, per cui occorre anzitutto capire perché non possiedono una tutela salariale minima così come gli altri lavoratori. Il motivo è stato riscontrato nell’uso diffuso in taluni settori dei cosiddetti “contratti pirata”, ossia i contratti collettivi che vengono siglati da sindacati praticamente inesistenti per consentire al datore di lavoro di andare al di sotto dei minimi previsti dai contratti collettivi principali.

L’idea di base è quindi quella di aggirare il problema ponendo una tutela salariale legale, ossia stabilire per legge qual è il livello minimo di paga non derogabile, nemmeno dalla contrattazione collettiva. A un primo livello di analisi, la previsione di un salario minimo fissato per legge sembra un affare per i lavoratori, perché così viene arginato il fenomeno dei contratti pirata, e ci si sente rassicurati dal fatto che non si possa essere costretti a firmare contratti di lavoro al di sotto di una certa soglia retributiva.

Andando più in profondità, vi sono tre grossi però che con relativa certezza trasformeranno il salario minimo fissato per legge in un’arma contro i lavoratori e i sindacati.

sabato 11 giugno 2022

"ROSA LA ROSSA", UN ESSERE UMANO ONNILATERALE - Alessandra Ciattini

 Da: https://noteblockrivista.blogspot.com - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza.

Leggi anche: sullo scritto di Ernesto Che Guevara "L'uomo e il socialismo a Cuba" - Alessandra Ciattin

Rivoluzione e vita quotidiana - L. D. TROTSKIJ - 



È stata la protagonista più significativa dell'ala sinistra della socialdemocrazia tedesca, tra i più lucidi marxisti del suo tempo, e una convinta sostenitrice dell'azione radicale, individuando i termini di questioni che si presentano purtroppo ancora oggi sotto i nostri occhi e sottolineando che il socialismo è una nuova forma complessiva di civiltà e non solo la trasformazione delle relazioni economiche . 



I^ parte - Un essere umano onnilaterale


Per definire la ricca e variegata personalità di Rosa Luxemburg, detta "Rosa la rossa", mi sembra indispensabile far riferimento alla figura dell’essere umano onnilaterale così bel descritto da Karl Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, in cui viene rappresentato un individuo che si trova nelle condizioni di coltivare tutti i suoi talenti e non è reso ottuso e limitato da un sistema fondando sulla proprietà privata capitalistica. Queste sono le parole illuminanti del nostro: «La proprietà privata ci ha resi così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo […]. Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi, il senso dell’avere. L’essere umano doveva essere ridotto a questa assoluta povertà, affinché potesse estrarre da sé la sua ricchezza interiore» (ibidem, pp. 116 e ss.).


Possiamo citare anche un altro celebre passo dello stesso tenore, questa volta tratto dall’Ideologia tedesca, scritta da Marx insieme al suo compagno inseparabile Friederich Engels, in cui viene sviluppato il medesimo concetto: «Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina di andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico» (K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 2005, p. 24).


Se esaminiamo la vita di Rosa, al di là dei dati biografici più salienti, scorgiamo una tenace militante politica, ma anche un’intellettuale appassionata, incarnante alla perfezione l’ideale etico marxiano, aperta alle molteplici esperienze, anche difficili e negative, che la vita, conclusasi con il suo assassinio, le ha potuto offrire. Sin dalla giovinezza iniziò la militanza politica nella regione della Polonia, dove era nata nel 1871, regione che stava a quel tempo sotto il dominio russo (Regno di Polonia); successivamente nel 1883 fondò a Zurigo la Socialdemocrazia del Regno di Polonia e Lituania (SDKPL), uno dei due partiti socialisti della Polonia russa, essendo l’altro il Partito socialista polacco (PPS). Era una donna molto vivace e intelligente, un‘intellettuale ostinata e appassionata, imparò rapidamente da sola a leggere e scrivere in polacco, tedesco e russo. Nel 1884 entra nel Secondo Liceo Femminile di Varsavia e aderisce gruppo rivoluzionario clandestino Proletariat, dissolto nel 1886 e poi ricostituito. Quando termina gli studi nel 1887, il Consiglio di Istituto non le concede la meritata medaglia d’oro, perché i suoi insegnanti la consideravano ribelle e poco rispettosa delle autorità. 

giovedì 9 giugno 2022

Holodomor: nuovo avatar dell’anticomunismo “europeo” - Annie Lacroix-Riz

Da: www.historiographie.info/arch/holodomor08.pdf - Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare. 

Annie Lacroix-Riz, docente di Storia contemporanea all’Università di Parigi 7

Leggi anche: Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo"  

L'Holodomor, la propaganda liberale e le rimozioni storiche dell'Occidente [1] - Domenico Losurdo


Dal novembre 1917 si sono succedute senza tregua campagne antibolsceviche tanto violente quanto diverse, ma quella della “carestia in Ucraina” lanciata nel 1933 ha da vent' anni preso il sopravvento. Si scatena quando i grandi imperialismi, Germania e Stati Uniti in testa, bramosi dopo il diciannovesimo secolo di saccheggiare le immense risorse dell'Ucraina, pensano di riuscirci. La congiuntura sorride al Reich nel 1932-1933, quando il sud dell'URSS (Ucraina ed altre “terre nere”, il nord del Caucaso e del Kazakistan) venne colpito da un considerevole abbassamento dei raccolti e l'insieme dell'Unione ha difficoltà di approvvigionamento che portarono al ritorno di un rigoroso razionamento. Grave “scarsità”, soprattutto durante il periodo di “soudure” (tra i due raccolti) non specificamente ucraina, secondo la corrispondenza diplomatica francese; “carestia” ucraina secondo i rapporti del 1933-1934 dei consoli tedeschi ed italiani, utilizzati dagli Stati o dai gruppi impegnati nella secessione dell'Ucraina: Germania, Polonia, con il maggiore centro di agitazione a Lwow [Leopoli - in Polonia fino al 1939, ndr], e il Vaticano.

Questa scarsità o questa carestia dipendevano da fenomeni naturali e sociopolitici: una siccità catastrofica fu raddoppiata negli effetti a causa del crescente rifiuto delle consegne (compreso l’abbattimento del bestiame), nel corso degli anni venti, da parte dei vecchi kulaki (i contadini più ricchi) ribelli verso la collettivizzazione. Questa frazione, in lotta aperta contro il governo sovietico, costituiva, in Ucraina, una delle basi del sostegno all’”autonomismo”, velo semantico della secessione, a favore del Reich, della regione agricola regina delle “terre nere” ed inoltre il primo bacino industriale del paese.
 
L'appoggio finanziario tedesco, massiccio prima del 1914, si era intensificato durante la Prima Guerra mondiale, nel corso della quale la Germania trasformò l'Ucraina, come i Paesi Baltici, in una base economica, politica e militare dello smantellamento dell'impero russo. La Repubblica di Weimar, fedele al programma di espansione del Kaiser, continuò a finanziare l'autonomismo ucraino. Gli hitleriani fissarono, al loro arrivo al potere, il piano per impadronirsi dell'Ucraina sovietica, e tutto l'autonomismo ucraino (beneficiario di risorse poliziesche, diplomatiche e militari), si riunì tra 1933 e 1935 intorno al Reich, allora più cauto nelle sue mire sul resto dell'Ucraina.

martedì 7 giugno 2022

Le menzogne della guerra - Pasquale Pugliese

Da: http://www.vita.it/it/blog - https://comune-info.net - Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).


Giovanissimi statunitensi si armano e fanno stragi di bambini. Il presidente Usa dice che occorre fare qualcosa, eppure qualche giorno fa aveva visitato con orgoglio la più grande fabbrica di armi del mondo. Anche giovanissimi russi e ucraini si armano: loro vanno in guerra. In Italia, intanto, dei giovanissimi ascoltano il presidente del consiglio secondo il quale alla violenza si risponde con una violenza più grande e di gruppo. Sul corto circuito tra violenza ed educazione, tornano in mente le parole di Andrea Canevaro pronunciate pochi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti occidentali su Baghdad a una platea di educatori. 

Nei giorni scorsi abbiamo appreso la notizia della morte del professor Andrea Canevaro, straordinaria figura di pedagogista dell’Università di Bologna, educatore di generazioni di educatori (leggi anche Che strano il mondo senza di lui), che ho avuto la fortuna di incontrare molte volte nella mia professione educativa. Una di queste è stata al Convegno nazionale “Progettare futuri” che svolgemmo al Teatro Ariosto di Reggio Emilia dal 24 al 26 marzo del 2003, pochi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti occidentali su Baghdad con i quali partiva l’illegale e pretestuosa occupazione militare dell’Iraq (20 marzo), con il diretto coinvolgimento italiano, che avrebbe provocato centinaia di migliaia di morti tra i civili. Mi colpì, in quella occasione, che Canevaro sentì – come sentii anch’io che intervenivo come educatore – il bisogno di modificare il tema dei suoi interventi rivolti a una platea di educatori e centrarli proprio sulla menzogna della guerra, sulla sua funzione diseducativa, al contrario dell’educazione ai conflitti, e sul bisogno di alzare una barriera educativa contro la violenza.

Andrea Canevaro: la vergogna e la menzogna della guerra 

domenica 5 giugno 2022

RICORDO DI ALESSANDRO MAZZONE concetti hegeliani e materialismo storico - Roberto Fineschi, La Contrddizione

 Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzone, ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels. (Marx. Dialectical Studies). 

Leggi anche: Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone

AUTOGOVERNO E TIRANNIDE*- Alessandro Mazzone

Classe lavoratrice, sindacato, storia del Movimento Operaio* - Alessandro Mazzone

Modo di produzione capitalistico*- Alessandro Mazzone

Classi e lotta di classe dopo la “crisi del marxismo”?* - Alessandro Mazzone

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Il 1 giugno è stato il decennale della morte di Alessandro Mazzone, mio compianto maestro. Allego qui il link - https://ilconfrontodelleidee.blogspot.com - a un articoletto che scrissi a suo tempo sia sul rapporto intellettuale che si era creato in venti anni di frequentazione sia su alcuni aspetti salienti del suo contributo teorico (ci sono anche dei link ad altre pubblicazioni). In questo credo/spero di cogliere anche il sentimento comune dei “mazzoniani” di allora. 

Colgo l’occasione per pre-annunciare la nascita di un’associazione culturale - “Laboratorio critico” - che tra i suoi scopi si pone anche la valorizzazione del suo lascito teorico e librario. (R. F.)


Se consideriamo la società borghese nel suo complesso, compare come risultato ultimo del processo sociale di produzione, compare sempre la società stessa, cioè l’uomo nelle sue relazioni sociali.
Tutto quello che ha forma fissata, come prodotto ecc., compare come momento dileguante in questo moto.
Anche il processo di produzione immediato compare qui solo come momento.


[Karl Marx, Lineamenti, La vera comprensione del processo sociale di produzione] 


1. La mia frequentazione diretta con Alessandro Mazzone è durata quasi venti anni. Con lui ebbi la mia prima lezione universitaria nell’ottobre del 1992, un corso di Filosofia della storia, dove si leggeva la Filosofia del diritto di Hegel. Inutile negare che tutti noi studenti, per lo più al primo o al secondo anno, subimmo il fascino di un professore molto diverso dagli altri che avevamo o avremmo conosciuto. Eravamo probabilmente giovani ed ingenui, ma avevamo la chiara sensazione che, grazie a quelle lezioni, venivamo introdotti nel mondo rarefatto e sofisticato della vera filosofia, vale a dire del pensiero capace di pensare le cose. Non era come negli altri corsi, dove si faceva il conto dei libri per l’esame, tot pagine dal manuale, tot dal seminario, ecc.; delle fotocopie fatte in copisteria senza la bibliografia per risparmiare i soldi. Era una cosa molto diversa. La consapevolezza che stavamo vivendo un’esperienza per molti aspetti unica, ci spinse a tenere duro quando ci spaccavamo la testa sulle sottigliezze concettuali hegeliane; capivamo la differenze fra ripetere a pappagallo le formule trinitarie e comprendere la dialettica intrinseca delle cose nel loro svolgimento. Accettammo di studiare per un solo esame, quanto altri non studiavano nemmeno per la tesi. Si creò in questo modo la comunità dei “mazzoniani”, un gruppo di strani personaggi innamorati della filosofia marx-hegeliana e guidati da quella singolarissima figura che era Alessandro Mazzone. Difficile spiegare l’ef­fetto delle sue lezioni a chi non vi abbia assistito. Era forse la percezione della incredibile profondità del suo sapere ad impressionarci; come la capacità di leggere, parlare e scrivere in cinque o sei lingue (per noi che a stento parlavamo italiano). Ci sembrava, in poche parole, che il sapere stesse personificato di fronte a noi e che noi avessimo la grande occasione di parlare con lui guardandolo negli occhi. 

Con Mazzone abbiamo, tutti noi, imparato a studiare; abbiamo capito che senza una solida base non si ha la strumentazione per capire un bel niente; che educazione popolare non significa banalizzare le cose difficili, ma fornire i mezzi per capirle; le scorciatoie purtroppo non esistono. Così siamo cresciuti; abbiamo cercato di imparare le lingue, di leggere i classici, di pensare – pur con tutti i limiti personali – in grande. Questo è il grande insegnamento umano e di metodo che Alessandro Mazzone mi/ci ha dato. 

venerdì 3 giugno 2022

A quale costo il sistema capitalistico può oggi riprodursi? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza.


Il sistema capitalistico potrebbe sopravvivere all’attuale crisi sistemica, accentuata dalla pandemia e dalla guerra, ma pesante sarà per noi il costo della sua riproduzione.


Secondo l’eminente studioso britannico David Harvey, non si può escludere del tutto che il capitale [1] possa sopravvivere alle diciassette contraddizioni che egli ha dettagliatamente esaminato nel suo libro intitolato appunto Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, pubblicato nel 2014. In questa sede ovviamente non illustreremo tutte le contraddizioni indagate da Harvey, per cui rimandiamo il lettore al suo interessante libro; ci interessa sottolineare, invece, come il capitale sia stato finora in grado di superare gli ostacoli che il suo stesso sviluppo con l’obiettivo dell’accumulazione senza fine ha generato, e come potrebbe esser possibile che superi anche la crisi scatenata dalla pandemia e dall’attuale scontro tra gli Stati Uniti, con il loro strumento armato rappresentato dalla Nato, e la Russia. Crisi che si palesa, inoltre, nel contesto delle enormi difficoltà che il sistema capitalistico incontra per riprodursi, sia pure con inevitabili trasformazioni.

Ricordo, tuttavia, che per Harvey, le contraddizioni pericolose – non fatali – per il capitale sono costituite dall’accumulazione esponenziale senza fine (o la mera ricerca del profitto), la relazione del capitale con la natura, la generalizzata alienazione dell’uomo nella società capitalistica. Scrive sempre lo studioso britannico che il capitale potrebbe riuscire ancora una volta a farla franca con l’aiuto di una élite oligarchica che si preoccupasse di sterminare gran parte della popolazione superflua e per questo eliminabile, schiavizzando il resto dell’umanità e rinserrandosi in luoghi protetti e sorvegliati, per difendersi dalla rivolta della natura e degli esseri umani ridotti a uno stato subumano (Harvey, v. Contraddizione diciassettesima). Naturalmente questa élite, per mantenersi tale, avrebbe bisogno di una continua vigilanza poliziesca totalitaria, sia fisica che mentale (Ibidem, p. 218), cui ci hanno abituato le recenti misure repressive adottate per contrastare la non scomparsa pandemia. E a ciò dobbiamo aggiungere la propaganda di guerra, non solo unilaterale e distorsiva, ma anche in mancanza di argomenti poggiata su insulti e denigrazione volgare dell’avversario additato all’odio della maggioranza ritenuta omologata, ma in realtà piuttosto sfiduciata e scettica. Inoltre, tutto ciò accade mentre si parla di “democrazia liberale” e di libertà contrapposte all’autoritarismo russo, che mette “il bavaglio ai media proprio come si sta facendo dalle nostre civilissime parti.

Questa tesi non è nuova, era già presente nel libro di Susan George, Rapporto Lugano. La salvaguardia del capitalismo del XXI secolo (Trieste, 2000), in cui si parte dall’ipotesi fantasiosa di un rapporto stilato da eminenti scienziati, economisti, accademici, incaricati da misteriosi committenti, con lo scopo di “proporre strategie, misure concrete e svolte in grado di massimizzare la probabilità che il sistema capitalista globale di libero mercato rafforzi la sua supremazia” (p. 17). Utilizzando documenti elaborati da importanti organismi internazionali, la George delinea un quadro tragico della situazione mondiale, nella quale i perdenti, o la popolazione in eccesso e quindi necessariamente scartabile (usa e getta), non può sopravvivere e deve sacrificarsi per garantire ai pochi vincenti la continuazione di un sistema che concede loro straordinari vantaggi e privilegi. Ciò sarebbe il risultato della vittoria delle cosiddette leggi di mercato sul contratto sociale tra capitale e lavoro, stipulato alla fine della Seconda Guerra Mondiale; vittoria dalla quale sarebbe scaturita la società contemporanea così descritta: “Il sistema attuale è una macchina universale per devastare l’ambiente e per produrre perdenti dei quali nessuno sa cosa fare” (George 2000, p. 211).

giovedì 2 giugno 2022

Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra - Emiliano Brancaccio

 Da: https://www.econopoly.ilsole24ore.com - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - www.emilianobrancaccio.it 

Leggi anche: Guerra in Ucraina, intervista a Emiliano Brancaccio - Daniele Nalbone

La narrazione della guerra è ormai polarizzata su due opposte retoriche. Putin e i suoi giustificano l’aggressione all’Ucraina con l’urgenza di denazificare il paese e salvaguardare il diritto di autodeterminazione delle popolazioni filo-russe. Il governo USA e gli alleati NATO, invece, sostengono sia doveroso partecipare più o meno direttamente alle operazioni belliche per tutelare la sovranità di un paese libero e democratico aggredito. Queste due propagande, pur contrapposte, risultano dunque uguali nel richiamarsi continuamente ai diritti, alla lealtà, all’ideologia, all’integrità delle nazioni, alla protezione dei popoli. Come se nelle stanze del potere si discutesse solo di tali nobili argomenti. Mai d’affari. 

Che in un tale bagno di idealismo affondino i rozzi propagandisti che vanno per la maggiore non suscita meraviglia. Più sorprendente è il fatto che nel medesimo stagno si siano calati anche studiosi interpellati dai media: filosofi, storici, esperti di geopolitica e di relazioni internazionali, economisti mainstream. La ragione di fondo, a ben guardare, è di ordine epistemologico. I più sembrano infatti accontentarsi di una metodologia di tipo aneddotico. Ossia, una serie di fatti giustapposti, una concezione della storia come fosse banalmente costituita dalle decisioni individuali dei suoi protagonisti, una sopravvalutazione delle spiegazioni ufficiali di quelle decisioni. E sopra ogni cosa, una espressa rinuncia: mai pretendere di ricercare “leggi di tendenza” alla base dei conflitti militari. Da Allison Graham a Etienne Balibar, nessuno osa oggi parlare delle “tendenze” su cui invece indagavano i loro grandi ispiratori, da Tucidide ad Althusser. [1]

La conseguenza di questo involuto metodo di analisi è che nel dibattito prevalente si avverte la pressoché totale assenza di indagini dedicate agli interessi materiali sottesi ai movimenti di truppe e cannoni. Manca cioè un esame delle tendenze strutturali che alimentano i venti di guerra di questo tempo.

martedì 31 maggio 2022

Kiev, un esercito senza ricambio. E le nostre armi “aiutano” Mosca - Fabio Mini

Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - Fabio Mini è un generale italiano, già comandante della missione KFOR in Kosovo dal 2002 al 2003. Commentatore di questioni geopolitiche e di strategia militare, scrive per Limes, la Repubblica, l'Espresso ed il Fatto Quotidiano dal 2015, è membro del Comitato Scientifico della rivista Geopolitica ed è autore di diversi libri. 

Il paradosso dei rifornimenti. La Russia sta impiegando un quarto delle forze in servizio attivo, gli ucraini sono già arrivati a impiegare le riserve non qualificate. E i missili occidentali a lunga gittata danno ai russi i motivi e i pretesti per occupare di più

Libia, 1940-41. L’offensiva di settembre verso l’Egitto imposta al Maresciallo Graziani si arrestò a Sidi Barrani dove le truppe si sistemarono a difesa. I britannici preferirono ripiegare a Marsa Matruh, ma il 9 dicembre ripresero l’iniziativa e attaccarono le difese italiane. Nel giro di tre giorni caddero in mano inglese 38.000 prigionieri, 73 carri armati, 237 cannoni e migliaia di veicoli. Il 18 dicembre raggiunsero Bardia. La guarnigione italiana, costituita da 45.000 soldati e 430 cannoni, si arrese il 5 gennaio 1941 e i componenti furono fatti prigionieri. Il 21 gennaio anche Tobruk fu conquistata e furono catturati altri 30.000 soldati italiani e 236 cannoni. Il 7 febbraio la 10° armata italiana comprendente 10 divisioni si arrese e il giorno successivo l’offensiva britannica si fermò, per ordini superiori, a El Agheila. In due mesi i britannici avevano occupato la Cirenaica, fatto 130.000 prigionieri e catturati o distrutti 380 carri armati e 845 cannoni. Il generale Tellera fu ucciso e tre generali furono catturati. I britannici avevano avuto 500 morti, 1.373 feriti e 56 dispersi. Con l’arrivo di Rommel in Libia ripresero le operazioni italo-tedesche per la riconquista della Cirenaica. L’8 aprile 1941 tra El Mechili e Derna furono catturati centinaia di mezzi britannici e fatti prigionieri oltre 2000 soldati e sei generali. Il 21 giugno venne riconquistata Tobruk dove gli italo-tedeschi catturarono 25.000 britannici, centinaia di veicoli e di tonnellate di rifornimenti. La campagna d’Africa settentrionale si estese dall’Egitto alla Tunisia e al Marocco e si protrasse fino al 1943, con la sconfitta delle forze dell’Asse pressate da oriente e occidente dalle forze alleate che immisero nel teatro operativo altri 500.000 uomini e decine di migliaia di mezzi corazzati. Complessivamente l’Italia ebbe 13.748 morti, 8.821 dispersi, 250.000- 340.000 prigionieri; la Germania 18.594 morti, 3.400 dispersi e 180.000 prigionieri; il Regno Unito/Commonwealth ebbe 35.478 morti e 180.000 fra dispersi e prigionieri. 

Queste alcune delle lezioni apprese dalla campagna condotta essenzialmente da forze corazzate: 1) le operazioni si sviluppano in cicli relativamente brevi, un paio di mesi, con pause della stessa durata per la ricomposizione delle forze; 2) hanno un bisogno enorme di rifornimenti (carburante e munizioni) e ripianamenti delle perdite umane (morti, feriti, prigionieri); 3) la vittoria non è decretata dal numero maggiore o minore di perdite ma dalla capacità di alimentare, sostituire, avvicendare le forze di combattimento. 

domenica 29 maggio 2022

L'Holodomor, la propaganda liberale e le rimozioni storiche dell'Occidente [1] - Domenico Losurdo

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Domenico Losurdo è stato un filosofo, saggista e storico italiano. - http://domenicolosurdo.blogspot.com/

Vedi anche: Stalin oltre la doxa - Domenico Losurdo  

Ucraina: una crisi che può allargarsi - Domenico Losurdo (2014) 


  1. L’olocausto ucraino quale bilanciamento dell’olocausto ebraico

 Le due personalità criminali [Hitler e Stalin ndr], reciprocamente legate da affinità elettive, producono due universi concentrazionari tra loro assai simili: così procede la costruzione della mitologia politica ai giorni nostri imperversante. Per la verità, pur inaugurando questa linea di pensiero, Arendt fa un discorso più problematico. Per un verso accenna, sia pure in modo assai sommario, ai «metodi totalitari» preannunciati dai campi di concentramento in cui l’Inghilterra liberale rinchiude i boeri ovvero agli elementi «totalitari» presenti nei campi di concentramento che la Francia della Terza Repubblica istituisce «dopo la guerra civile spagnola». Per un altro verso, nell’istituire il confronto tra Urss staliniana e Germania hitleriana, Arendt fa valere alcune importanti distinzioni: solo a proposito del secondo paese parla di «campi di sterminio».

C’è di più: «nell’Urss i sorveglianti non erano, come le SS, una speciale élite addestrata a commettere delitti». Com’è confermato dall’analisi di una testimone passata attraverso la tragica esperienza di entrambi gli universi concentrazionari: «I russi […] non manifestarono mai il sadismo dei nazisti […] Le nostre guardie russe erano persone per bene, e non dei sadici, ma osservavano scrupolosamente le regole dell’inumano sistema»[2]. Ai giorni nostri, invece, dileguati il sia pur sommario riferimento all’Occidente liberale e l’accenno alle diverse configurazioni dell’universo concentrazionario, tutto il discorso ruota attorno all’assimilazione di Gulag e Konzentrationslager.

Perché tale assimilazione sia persuasiva, in primo luogo si dilatano le cifre del terrore staliniano. Di recente, una studiosa statunitense ha calcolato che le esecuzioni realmente avvenute ammontano a «un decimo» delle stime correnti[3]. Resta fermo, ovviamente, l’orrore di questa repressione pur sempre su larga scala. E, tuttavia, è significativa la disinvoltura di certi storici e ideologi. Né essi si limitano a gonfiare i numeri. Nel vuoto della storia e della politica la costruzione del mito dei mostri gemelli può compiere un ulteriore passo avanti: all’olocausto consumato dalla Germania nazista a danno degli ebrei a partire soprattutto dall’impantanarsi della guerra ad Est corrisponderebbe l’olocausto già in precedenza (agli inizi degli anni ’30) inflitto dall’Urss staliniana agli ucraini (il cosiddetto «Holodomor»); in questo secondo caso si sarebbe trattato di una «carestia terroristica» e pianificata, alfine sfociata in un «immenso Bergen Belsen», e cioè in un immenso campo di sterminio[4].

mercoledì 25 maggio 2022

I confini della libertà - Luciano Canfora

Da: Fondazione Circolo dei lettori - Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni)

"La democrazia: da governo di tutti a governo dei meno"- Luciano Canfora

Critica della retorica democratica - L. Canfora, A. Burgio

Tucidide e la Storia - Luciano Canfora

                                                                             

lunedì 23 maggio 2022

DIFESA DELLA DEMOCRAZIA O DELLA "GRANDE DIVERGENZA"? - Emiliano Alessandroni

Da: https://www.facebook.com/emiliano.alessandroni - Emiliano Alessandroni, Università degli Studi di Urbino 'Carlo Bo', redattore della rivista scientifica "Materialismo storico" (materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com).

Leggi anche: Pace: una storia lunga e tormentata, tra idee e realtà*- Emiliano Alessandroni intervista Domenico Losurdo

Domenico Losurdo: Il fondamentalismo occidentale - Emiliano Alessandroni

Miseria del sovranismo. Smarrimento della dialettica e proliferazione dell'ideologia - Emiliano Alessandroni 


Gli Usa e il loro presidente Biden in questo conflitto "stanno agendo nel loro interesse, rischiando di danneggiare l'Europa e l'Italia" o "Stanno difendendo libertà e democrazia e anche il nostro interesse"? 

Naturalmente anche io, come la maggioranza degli italiani che non si lasciano abbagliare dall'ideologia della "Western Supremacy" e dalla narrazione che presenta gli Usa come i paladini della libertà, avrei optato per la prima risposta. 

Resta però un fatto che ho cercato di spiegare; sia nel mio libro "Dittature democratiche e democrazie dittatoriali - Problemi storici e filosofici" (Carocci 2021), sia nel video che carico qui sotto: secondo l'ideologia dell'"eccezionalismo americano" e del "Manifest Destiny" con cui gli Usa non hanno ancora mai realmente fatto i conti, fra le due risposte non esiste questa grande contraddizione: agli occhi dell'intellighenzia e dei politici statunitensi (Democratici o Repubblicani che siano) lo sviluppo della democrazia coincide esattamente con l'estensione delle sfere d'influenza americane, ovvero con la riduzione delle sovranità altrui (o delle sfere d'influenza altrui). 

Nei luoghi in cui i propri campi di dominio si riducono e presso i soggetti che si rendono promotori di questa riduzione, lì comincia per gli Usa lo spazio della barbarie, del dispotismo, della tirannia e lì come per missione, come se avvertissero sulle spalle "il fardello dell'uomo bianco", per dirla con Kipling, o "il fardello dell'uomo democratico", lì si sentono in diritto di intervenire, economicamente, ideologicamente, politicamente e all'occorrenza anche militarmente. 

Non può esistere secondo gli Usa una riduzione della propria supremazia che non sia un aumento della barbarie e del dispotismo. 

La tendenza verso un mondo multipolare, verso una parità di diritti e di doveri fra tutte le nazioni del mondo, costituisce già per l'ideologia dell'"eccezionalismo americano" e per i seguaci del "Project for the new american century" una forma di dispotismo che non può essere tollerata. 

La necessità storica di hegeliana memoria si muove tuttavia verso un superamento dello status quo e dei rapporti di dominio tradizionali: la necessità storica si muove verso una progressiva erosione di quella che importanti analisti hanno definito "la grande divergenza", ossia quel processo che ha visto l'Occidente a trazione sempre più americana sollevarsi e predominare sul resto del mondo. 

La necessità storica, la tendenza generale, preme ora verso un'inversione di rotta: al processo della "grande divergenza" dovrà seguire (e a ben vedere sta già seguendo, sia pure in maniera tortuosa e magmatica) il processo della "grande convergenza" (il processo che vede l'abisso fra l'Occidente a trazione americana e il resto del mondo progressivamente ridursi). 

Le forme di questo processo vanno tenute sotto sorveglianza perché possono essere brutali e mettere anche a rischio la stessa sopravvivenza dell'umanità, ma i grandi conflitti geopolitici, guerre incluse, andrebbero letti come parti di questo più ampio conflitto fra "grande divergenza" e "grande convergenza". 

È, a ben vedere, quella "Terza guerra mondiale a pezzi", di cui parlava Papa Francesco già nel 2014 e di cui la guerra in Ucraina costituisce un capitolo che potrebbe assumere le pieghe più pericolose. 

Soltanto questa lettura ci permette di comprendere perché l'aperta invasione militare di un paese sovrano e membro dell'Onu come l'Ucraina non ha ricevuto la condanna da parte della maggioranza dei paesi del Terzo Mondo, ovvero non ha ricevuto la deplorazione da parte della maggioranza del blocco extraoccidentale, il quale evidentemente non teme tanto un ipotetico progetto di espansionismo russo, ma, proprio per la storia di sottomissione e schiavizzazione da cui proviene, teme ancora le ingerenze, le guerre e il predominio dell'asse Usa-Israele, così come del suprematismo dell'Occidente nel suo complesso. 

E noi capiremmo ben poco di quanto sta accadendo se ci ostinassimo a guardare la guerra in Ucraina con uno sguardo rigidamente eurocentrico e non la collocassimo dentro un contesto sia temporale che spaziale ben più ampio, di dimensioni planetarie. 

Qui il video (l'inizio effettivo al min. 12,05) --> https://www.facebook.com/cgilpesarourbino/videos/1462396970886229


sabato 21 maggio 2022

Sanzionati e sanzionatori - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza. 

Leggi anche: Le sanzioni logorano soprattutto chi le impone - Guglielmo Forges Davanzati 

Sachs: «Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia» - Federico Fubini 

La conflittualità valutaria e l’enigma del gas valutato in rubli - Francesco Schettino 

La battaglia del gas. Con la mossa russa in gioco la nostra sopravvivenza - Alberto Negri 

COME DISTRUGGERE UN PAESE: IL NOSTRO - Vincenzo Costa 

Vedi anche: Geopolitica. Gli USA perderanno anche la leadership energetica - Demostenes Floros


L’UE e gli Stati Uniti, re delle sanzioni, hanno preso misure controproducenti per loro e non solo?



L’impiego delle sanzioni per colpire i propri nemici è una pratica antica, che può avere esiti imprevisti. Ricordo per esempio il Blocco continentale, cui aderirono la Russia e l’Austria, deciso nel 1806 a Berlino da Napoleone Bonaparte, con il quale proibiva l’approdo ai porti dei paesi occupati dai francesi alle navi britanniche in analogia al trattamento che ricevevano le imbarcazioni francesi quando si avvicinavano alle coste d'oltreManica. Dopo che la sua flotta congiunta a quella spagnola era stata sconfitta nella celebre battaglia di Trafalgar, nei pressi di Cadice, nel 1805 l’imperatore dei francesi ritenne che quello fosse l’unico mezzo per piegare i suoi più pericolosi nemici; mezzo che d’altra parte, anche se non sempre rispettato, avvantaggiò la Francia, consentendole di esportare i suoi prodotti in tutta Europa.

Anche l’Italia fu sanzionata dalla Società delle Nazioni in occasione della sua espansione coloniale in Etiopia nel 1935 e le fu proibito di importare armi, materiale militare etc., ma poté continuare a ricevere rifornimenti energetici.

Oggi, dal punto di vista del Diritto internazionale, le sanzioni debbono avere come unico obiettivo quello di far cessare “una condotta illecita” e non possono avere una funzione afflittiva e punitiva. Esse non possono comportare l’uso della forza, che può essere deciso solo dal Consiglio di sicurezza delle NU, evento assai improbabile dato il diritto di veto delle grandi potenze. Ne consegue che gli Stati possono applicare “contromisure a fini di autotutela”, ma queste debbono essere rispettose dei diritti umani e non contraddire altre norme sancite dal Diritto internazionale. È cosa dubbia se il diritto di autotutela sia riservato anche agli Stati diversi dallo Stato leso, per colpire chi avrebbe violato gli obblighi procedenti dal Diritto internazionale e che stabiliscono sostegni di tipo solidaristico. E ciò mette in questione la decisione del cosiddetto Occidente di sostenere l’Ucraina.

venerdì 20 maggio 2022

I salari nel Belpaese, più in basso di così si muore - Andrea Ciarini

Da: https://ilmanifesto.it - Andrea Ciarini è Professore associato di Sociologia dei processi economici, organizzativi e del lavoro presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Sapienza Università di Roma, dove insegna Sociologia Economica e Sociologia del Welfare. 

Leggi anche: Grosso guaio a Wall Street di Claudio Conti - https://contropiano.org/news/news-economia 

Vedi anche: Emiliano Brancaccio:DISATTENDERE LE 'IPOTESI' ANTI-SINDACALI DELLA BCE - https://www.youtube.com/watch?v=6W8lhNvj9q4


Mentre negli altri paesi, nonostante l’impatto della recessione, il lavoro qualificato cresceva, in Italia c’è stato un costante restringimento che ha avuto come effetto diretto il significativo aumento dell’emigrazione dei giovani qualificati, oppure, come unica alternativa, l’accettazione di lavori sottopagati. 



Basse retribuzioni, rimaste stagnanti dagli anni Novanta, a fronte di una crescita media europea del 30%, cattiva occupazione, con tanto lavoro precario e un part-time involontario femminile arrivato nel 2020 al 61,2% (contro una media europea del 21,6%).

E per ultimo, ma non meno importante, un numero di occupati più basso rispetto a quando è iniziata la pandemia, e una ripresa dell’inflazione che rischia di ridurre ulteriormente il potere d’acquisto di salari e pensioni.

L’ELENCO DELLE CRITICITÀ del mercato del lavoro italiano potrebbe continuare con il persistente dualismo tra Nord e Sud che non è solo produttivo ma anche relativo al rischio povertà e ai livelli retributivi. Se nelle regioni meridionali l’incidenza della povertà assoluta tra le persone è al 12,1% (control’8,2% del Nord) il divario nelle retribuzioni è ancora più macroscopico.
Come ha di recente sottolineato la Svimez al Sud i livelli retributivi sono più bassi del 75% rispetto al Nord.
Dietro questi dati si celano problemi di lungo periodo trasversali a tutti i segmenti del mercato del lavoro.

NON RIGUARDANO cioè, come è in genere per la gran parte dei Paesi europei, i settori meno qualificati o a bassa produttività. In Italia i salari bassi riguardano tanto le componenti più qualificate, quanto i segmenti meno qualificati del mercato del lavoro, specie nelle regioni meridionali, dove alla bassa crescita si associa una strutturale sotto-qualificazione della domanda di lavoro. In alto il problema ha a che fare con una struttura produttiva attardata su produzioni a basso valore aggiunto, un problema questo che riguarda soprattutto il terziario avanzato, in Italia non solo di piccole dimensioni rispetto alla media europea ma addirittura andato diminuendo a cavallo della crisi del 2008-2009.

Mentre negli altri paesi, nonostante l’impatto della recessione, il lavoro qualificato cresceva, in Italia c’è stato un costante restringimento che ha avuto come effetto diretto il significativo aumento dell’emigrazione dei giovani qualificati, oppure, come unica alternativa, l’accettazione di lavori sottopagati. In basso, prima della pandemia, il problema è stato la crescita enorme del lavoro poco qualificato nei settori ad alta intensità di lavoro e con un problema strutturale di bassi salari. I segnali di ripresa emersi nel 2021 avevano fatto sperare in una ripresa sostenuta. Ancora una volta, tuttavia, la crescita dell’occupazione (+ 0,8%) è stata trainata dai settori a bassa produttività, con un aumento significativo del lavoro a termine e del part-time.

LA LUNGA CRISI DEI salari italiani è prima di tutto il riflesso di un’endemica stagnazione della produttività, con punte drammatiche nel Mezzogiorno, che non ha eguali in Europa. Se questa è la diagnosi (e ormai c’è un consenso unanime sul punto) la ricerca di soluzioni ai bassi salari non va affidata a uno strumento soltanto. Abbiamo bisogno di politiche industriali per qualificare il tessuto produttivo verso l’alto e la crescita della produttività, così da assorbire l’eccesso di offerta di lavoro qualificata. Abbiamo bisogno però anche di sgravi contributivi per sostenere i redditi medi e medio bassi (che hanno perso potere d’acquisto) e non ultimo interventi pensati per intervenire su chi, per varie ragioni (strutturali e non), rischia di rimanere intrappolato in condizioni di lavoro pagato poco o a rischio povertà.

Qui come mostra l’esempio di altri paesi europei è il combinato disposto di salario minimo legale e in-work benefits per i lavoratori a basso reddito, cioè integrazioni che crescono al crescere del reddito fino ad annullarsi in prossimità dello stesso salario minimo, che può offrire una risposta al problema delle basse retribuzioni, facendo crescere il rendimento del lavoro attraverso l’integrazione salariale. Certo va evitato anche il rischio opposto, ovvero che livelli troppo generosi di queste integrazioni finiscano per incentivare i datori di lavoro a pagare poco il lavoro perché comunque integrato da un trasferimento pubblico. Non può essere tuttavia questo l’argomento per posticipare la ricerca di alternative che vanno trovate oggi, non domani.

IN ULTIMO C’È BISOGNO di consistenti aumenti salariali, tanto più considerando quanto sta avvenendo in altri paesi europei, dalla Germania, alla Francia, all’Olanda, fino alla Spagna, dove non solo si iniziano a porre limiti più stringenti alle assunzioni a termine (in Spagna anche retroattivi), ma, pressati dall’inflazione, i governi aumentano i salari minimi e le parti sociali contrattano rinnovi su percentuali di incremento quasi sconosciute alle latitudini italiane.

In Italia circa la metà dei lavoratori è ancora in attesa di rinnovi. Ora se per le imprese è indubbio il vantaggio, non così è per chi attende adeguamenti non più rimandabili. Per quanto ancora è sostenibile una situazione di questo genere in Italia?