Da: Fondazione
Centro Studi Campostrini - Sergio_Romano è uno storico, scrittore, giornalista e diplomatico italiano.
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
venerdì 31 maggio 2019
lunedì 27 maggio 2019
«Euro al capolinea? La vera natura della crisi europea» - Riccardo Bellofiore
Da: Teoria
Critica della Società - Università Bicocca - https://sites.google.com/site/teoriacriticasocieta/ -
Riccardo Bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo.-
[Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.facebook.com/riccardo.bellofiore.3 - https://www.riccardobellofiore.info/]
Leggi anche: Vittoria
del capitalismo? - Hyman Minsky

"Perché l'uscita dall'euro è la risposta alla domanda sbagliata?"
Prima parte:
Seconda parte:
https://www.youtube.com/watch?v=nbQqj0y4f3c
Riccardo Bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo.-
[Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.facebook.com/riccardo.bellofiore.3 - https://www.riccardobellofiore.info/]

"Perché l'uscita dall'euro è la risposta alla domanda sbagliata?"
Prima parte:
Seconda parte:
https://www.youtube.com/watch?v=nbQqj0y4f3c
domenica 26 maggio 2019
Fare la propria parte e lasciare che la natura faccia la sua - Bertolt Brecht
Da: Bertolt Brecht, Me-ti
- Libro delle svolte, Einaudi,
Torino, 1979 - Traduzione di Cesare
Cases - http://www.contraddizione.it -
Nel paese di Tsen imperversava un’aspra lotta tra molti gruppi l’un contro l’altro armati. Mi-en-leh si schierò dalla parte dei fabbri d’aratri, poiché credeva che solo costoro potessero far progredire il paese. Da essi ci si poteva aspettare i massimi sforzi, e i loro sforzi massimamente giovavano a tutti gli altri uomini.
Egli
diceva: Se sono soltanto i contadini a raddoppiare i loro sforzi, il
raccolto sarà poco più grande. Se invece si forniscono aratri in
numero sufficiente, si otterrà molto. Vi erano infatti a quel tempo
due sorte di aratri. Gli uni erano fatti di legno, secondo
l’antico costume, gli altri invece, più moderni, di ferro, e
li si fabbricava in grandi officine che appartenevano a potenti
signori. Ma di siffatti aratri di ferro ve n’erano relativamente
pochi. Erano costosi e potevano essere vantaggiosamente
utilizzati solo per grandi estensioni di terreno, e trainati da
cavalli. Invece i semplici aratri di legno potevano essere
fabbricati e usati dai contadini stessi. Il suolo lo incidevano assai
poco profondamente. Questi aratri venivano usati dai contadini
poveri. I quali avevano per di più tanto poca terra che non bastava
a dar loro il cibo di un campicello.
Spesso
dovevano lavorare anche nei grandi poderi, contro mercede. Molti
figli di contadini migravano nelle città e chiedevano lavoro nelle
fucine dei fabbri e in altre officine. Ma solo una parte di
coloro che la campagna non nutriva erano nutriti dalle città.
Il commercio degli aratri era contenuto in ristretti limiti. In primo
luogo il numero dei grandi poderi era piccolo, e in secondo
luogo i padroni delle fucine dovevano tenere alti i prezzi degli
aratri. Il loro guadagno essi non l’aumentavano
aumentando le vendite di aratri, ma principalmente aumentando
l’oppressione degli operai. Per la continua fuga dalle
campagne dei figli dei contadini poveri gli operai delle fucine
si trovavano sempre a buon mercato. Essi versavano in grande miseria.
Con
l’aiuto di Mi-en-leh i fabbri di aratri cacciarono i padroni delle
fucine e conquistarono il potere.
I
contadini poveri avevano appoggiato i fabbri nell’espellere i
padroni delle fucine, e ora i fabbri li aiutarono ad espellere i
padroni della terra. I contadini poveri suddivisero subito tra
loro la terra così conquistata.
Prima
di giungere al potere Mi-en-leh aveva insegnato che prima di tutto
bisognava provvedere tutto il paese di aratri di ferro. E molti
avevano inteso che volesse subito sopprimere interamente i piccoli
poderi. Ma quando egli assunse il potere insieme ai fabbri di aratri,
fece il contrario. Egli lasciò la terra ai contadini poveri,
come le officine agli operai, e più precisamente a ognuno tanta
terra quanta poteva coltivarne con le proprie forze. In tal modo
egli perfino aumentò il numero dei campicelli, che erano troppo
piccoli per gli aratri di ferro. Solo pochi grandi poderi li
amministrò lui stesso insieme ai suoi scolari.
Il
filosofo Sa biasimò fortemente Mi-en-leh, dicendo: Mi-en-leh è come
tutti gli altri. Il potere indebolisce la memoria. E aggiunse:
Chi è arrivato alla mèta, dimentica molte cose.
Mi-enleh
rispose: Io ho insegnato, ora essi imparano. Essi hanno ascoltato,
ora fanno esperienza.
Mi-en-leh
rise di tutti coloro che credevano che in un sol giorno si potesse
por fine con dei decreti ad una miseria millenaria, e proseguì
nel suo cammino.
Presto
si delineò la seguente situazione. I fabbri d’aratri, dopo
aver cacciato i loro oppressori, fabbricavano più aratri di ferro
che potevano, senza chiedersi quale prezzo ne avrebbero ricavato. I
padroni della terra erano stati parimenti cacciati e la loro terra
l’amministrava ora lo stato, oppure gli innumerevoli piccoli
contadini indipendenti. Tra i contadini ve n’erano di quelli
che di terra ne avevano quanto bastava, e avevano anche i cavalli per
tirare gli aratri. Per loro non valeva la pena di comprare
aratri di ferro, perché la loro terra era troppo poca. I contadini
più poveri non avevano cavalli e soffrivano la fame. Essi dovevano
rivolgersi di nuovo a quelli più benestanti e compiere lavoro a
mercede o lavoro per ottenere in prestito i cavalli. Presto si
trovarono ad essere assai malcontenti. Il loro odio si indirizzò
verso i contadini benestanti
Mi-en-leh
non fece nulla contro questo odio, anzi l’attizzò. I fabbri di
aratri inviarono nei villaggi persone che facevano propaganda
per gli aratri di ferro. Essi consigliavano ai contadini poveri
di riunirsi in gruppi più numerosi che potessero e di mettere
insieme più terra che potessero, onde valesse la pena di usare
un aratro di ferro. A coloro che li seguivano essi inviavano
aratri di ferro a credito. Invece ai contadini benestanti non davano
credito e inviavano gli aratri solo dopo molto tempo.
Dicevano tranquillamente: Noi e i contadini poveri stiamo bene
insieme, noi fabbri di aratri non possediamo neanche noi ognuno la
sua propria morsa, ché in questo modo non si potrebbero
fabbricare aratri.
La
parola d’ordine di Mi-en-leh fu: Voi volevate la terra per il
grano; ora datela via per il grano! Il che voleva dire: Se
voi darete via i vostri piccoli appezzamenti di terreno, avrete più
grano. Questa era la verità.
Presto
si formarono gigantesche fattorie, più grandi delle fattorie
padronali che c’erano prima. Dopo qualche tempo anche i contadini
più benestanti dovettero entrare a far parte di queste fattorie,
perché non si trovarono più lavoratori a mercede e i loro campi
davano poco grano, perché i vecchi aratri di legno incidevano troppo
poco il terreno. Così Mi-en-leh aveva attuato il suo programma
facendo la propria parte e lasciando che la natura facesse la sua.
martedì 21 maggio 2019
Vitalità della riflessione marxiana e marxista sull’ideologia - Alessandra Ciattini
Da: http://www.marxismo-oggi.it - Alessandra Ciattini (Sapienza
– Università di Roma)
Premessa
Premessa
In
un mondo, nel quale a detta di alcuni, stiamo assistendo al trionfo
della cosiddetta post-verità, in cui siamo intrisi sino alle midolla
di ideologie invisibili che si presentano come l’effettiva
rappresentazione dei fatti, in cui il paese più potente del mondo
legge la storia attuale e futura come il dispiegamento del “secolo
americano”, in cui trova spazio l’estremismo islamico, in cui
risorge il populismo neofascista e neonazista, non possiamo in nessun
modo accantonare la nozione di ideologia.
E
ciò soprattutto perché si tratta di un’idea pericolosa, come dice
il titolo italiano della traduzione del libro dello studioso
britannico Terry Eagleton Ideologia.
Storia e critica di un’idea pericolosa (2007)
(il titolo in inglese invece è Ideology.
An Introduction, 1991)[1].
Idea pericolosa perché stabilisce una correlazione, complessa e
articolata, tra certe idee e una certa struttura di potere. Oltre a
queste considerazioni teniamo in conto che, dopo la caduta del muro
di Berlino, alcuni non sprovveduti, cui i mass media hanno dato
notevole e continua risonanza, hanno anche osato parlare di fine
delle ideologie, evidentemente ignorando che la verità è solo un
processo interminabile di paziente studio e ricerca, sul cui sfondo
sta il nostro modo di concepire la vita sociale.
Un’altra
considerazione che ci consiglia di tornare a riflettere
sull’ideologia e le sue molteplici valenze è rappresentata dal
fatto che costituisce un nodo problematico del pensiero marxista, sul
quale molti si sono divisi, accusandosi di riproporre con
l’opposizione struttura / sovrastruttura l’antico dualismo
positivistico, di ricadere nel volgare economicismo per l’uso della
categoria del riflesso o di finire nell’idealismo per l’accento
posto con enfasi sulle idee rispetto alla dimensione materiale.
La dialettica marxiana come critica immanente dell’empiria - Stefano Breda
1. Un campo di tensione teorica
La questione della specificità del metodo dialettico seguito da Marx nella sua critica dell’economia politica rispetto a una dialettica idealista è stata al centro di accesi dibattiti fin dalla prima pubblicazione del primo libro del Capitale. L’inconsistenza della celebre metafora del capovolgimento attraverso la quale Marx definiva il rapporto tra il suo metodo dialettico e quello di Hegel è stata convincentemente messa in luce da Althusser (1965, 87 ss.), il quale, però, non ha fornito alcuna vera alternativa complessiva. Indicazioni più concrete si possono trovare in alcune fondamentali intuizioni di Adorno e nella loro elaborazione da parte della Neue Marx-Lektüre, la nuova lettura di Marx sviluppatasi in Germania a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Se si seguono tali indicazioni, il rivoluzionamento della dialettica da parte di Marx non consiste in un capovolgimento di soggetto e predicato rispetto alla sua forma hegeliana, bensì nel riconoscimento del fatto che la dialettica tout court non è che l’espressione filosofica di quegli specifici rapporti sociali in cui soggetto e predicato si presentano oggettivamente capovolti: i rapporti capitalistici (cfr. Reichelt 1970, 81)[1]. Se dunque la dialettica, nella sua forma hegeliana, presenta un mondo capovolto, non la si rimette coi piedi per terra rovesciandola in quanto sistema di pensiero, ma svelandone l’oggettivo radicamento nei rapporti capitalistici e criticando un rovesciamento operante in tali rapporti. Da rovesciare, al più, sono allora i rapporti sociali materiali, non la dialettica: essa va piuttosto demisticizzata, de-naturalizzata, individuandone i presupposti storicamente determinati. Molto più appropriata di ogni immagine legata al capovolgimento è dunque un’immagine legata alla delimitazione: «la forma dialettica d’esposizione è corretta solo se conosce i propri limiti» (MEGA II.2, 91)[2], ovvero i punti nei quali la dialettica, da explanans, diviene essa stessa parte dell’explanandum, in quanto prodotto storico bisognoso di una spiegazione altrettanto storica.
Tutto
ciò, però, rimane solo un’astratta concezione generale della
dialettica finché non si sia data una risposta soddisfacente al
problema fondamentale sollevato da Althusser: demisticizzare la
dialettica non significa solo pensarla in termini diversi, ma, al
contempo, trasformarne i principi operativi. Ora, se la
demisticizzazione della dialettica corrisponde ad una sua
limitazione, il problema si pone in questi termini: che cosa
significa, operativamente,
utilizzare la forma dialettica d’esposizione conoscendone i limiti?
lunedì 20 maggio 2019
La fine del mondo liquido e il superamento della modernità - Carlo Bordoni
Vedi anche: Il
moto violento della storia - Luciano Canfora
Daniel
Defoe: La vera storia di Jonathan Wilde - Ermanno Semprebene"L'uguaglianza non c'è mai stata... non è mai esistita...
l'uomo l'ha sempre detta - a voce - ma non c'è mai stata." (Z. Bauman)
domenica 19 maggio 2019
Osservazioni a proposito di scienza e filosofia - Stefano Garroni
Da: Stefano
Garroni, Dialettica
riproposta, a cura
di Alessandra Ciattini, (Dialettica
riproposta - Stefano Garroni - lacittadelsole).- Stefano
Garroni è
stato un filosofo italiano.
Indice:
-------------------------------------
Riproporre, oggi, la questione del rapporto scienze e filosofia è cosa, non solo utile, ma addirittura necessaria1, in particolare se si tengono presenti due circostanze storicamente obiettive.
In Marx, termini come materialismo o materialista sono perfettamente sostituibili con scienza o scientifico – il che significa che, proclamandosi materialista, Marx non sta per nulla riproponendo la disputa speculativo-metafisica tra il materialismo, appunto, e il suo opposto l’idealismo2. E fa molto bene a comportarsi così, se è vero – come è vero – che quelle due espressioni non solo hanno avuto storicamente significati diversi, ma addirittura, in situazioni diverse son servite ad indicare uno stesso atteggiamento. Per fare un esempio a noi molto vicino, si ricordi che nella rivista di Gramsci Ordine nuovo vennero pubblicati articoli, in cui si esaltava l’idealismo di Lenin, intendendo con tale espressione ciò che noi siamo abituati, invece, a considerare il suo materialismo.
D’altra parte è noto, anche, che critici attenti hanno colto, nel lukàcciano La distruzione della ragione, non la ripresa e continuazione della fumosa e difficilmente precisabile contrapposizione e lotta tra materialismo e idealismo, ma – assai più realisticamente – quella tra sviluppo di un pensiero, fondato sulle scienze e capace di mettere in evidenza anche il loro implicito etico-politico, e dall’altra parte, invece, le tendenze irrazionalistiche e formalistiche, promosse – sempre secondo Lukàcs – da necessità interne allo sviluppo imperialistico.3
Dunque no alla contrapposizione metafico-speculativa tra idealismo e materialismo; sì invece alla perfettamente comprensibile e precisabile opposizione tra sviluppo – anche filosofico – delle scienze, e/o sua riduzione e falsificazione da parte della società imperialistica: come si vede, abbiamo il riproporsi dell’opposizione, di cui diceva Platone, fra amici e nemici delle forme.
sabato 18 maggio 2019
"La più bella delle teorie" - Carlo Rovelli
Da: http://www.filosofiprecari.it - Il presente articolo è tratto da “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli. - Carlo_Rovelli è un fisico italiano.
Da ragazzo, Albert Einstein ha trascorso quasi un anno a bighellonare oziosamente. Era a Pavia, dove aveva raggiunto la famiglia, dopo avere abbandonato gli studi in Germania. Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte, fatto che spesso dimenticano i genitori degli adolescenti. Era l’inizio della rivoluzione industriale, e il padre, ingegnere, installava le prime centrali elettriche in Italia. Poi Albert si era iscritto all’Università di Zurigo e si era immerso nella fisica. Pochi anni dopo, nel 1905, aveva spedito tre articoli in un’unica busta alla principale rivista scientifica del tempo, gli «Annalen der Physik». Ciascuno dei tre valeva un Nobel. Il primo mostrava che gli atomi esistono davvero. Il secondo apriva la porta alla Meccanica dei Quanti, di cui spero di dire qualcosa in futuro su questa pagina. Il terzo presentava la Teoria della Relatività (oggi chiamata «relatività ristretta»), che chiarisce che il tempo non passa eguale per tutti: due gemelli si ritrovano di età diversa, se uno dei due ha viaggiato velocemente. Einstein diventa un fisico rinomato e riceve offerte di lavoro da diverse università. Ma qualcosa lo turba: la sua Teoria della Relatività non quadra con quanto sappiamo sulla gravità. Se ne accorge scrivendo un articolo di rassegna sulla nuova teoria, e si chiede se la vetusta e paludata «gravitazione universale» del grande padre Newton non debba essere riveduta anch’essa, per renderla compatibile con la nuova relatività. S’immerge nel problema. Ci vorranno dieci anni per risolverlo. Dieci anni di studi pazzi, tentativi, errori, confusione, idee folgoranti, idee sbagliate. Finalmente, nel novembre del 1915, manda alle stampe un articolo con la soluzione completa: una nuova teoria della gravità, cui dà nome «Teoria della Relatività Generale», il suo capolavoro. La «più bella delle teorie» l’ha chiamata il grande fisico russo Lev Landau.
Vedi anche: "L'ordine
del tempo" - Carlo Rovelli
mercoledì 15 maggio 2019
LA CINA SPIEGATA BENE - Michele Geraci
Da: byoblu -
Michele Geraci, economista, ex docente di Economia e Finanza all'Università di New York a Shanghai. E' sottosegretario allo Sviluppo Economico del Governo Conte.
Leggi anche: La nuova via della seta. Un progetto per molti obiettivi - Vladimiro Giacché
"L'importante e' che si parli di Cina, che si cerchi di comprendere cosa sta succedendo, senza preconcetti.
Approfitto per aggiungere e chiarire un concetto importante: La Cina ha avuto uno sviluppo economico cosi' impressionante grazie a 5 pilastri:
1) controllo dei dazi,
2) controllo della migrazione
3) controllo demografico,
4) controllo del cambio
5) controllo dei tassi d'interesse.
E ovviamente, batte moneta, il che e' una grande arma se usata bene."
Michele Geraci, economista, ex docente di Economia e Finanza all'Università di New York a Shanghai. E' sottosegretario allo Sviluppo Economico del Governo Conte.
Leggi anche: La nuova via della seta. Un progetto per molti obiettivi - Vladimiro Giacché
"L'importante e' che si parli di Cina, che si cerchi di comprendere cosa sta succedendo, senza preconcetti.
Approfitto per aggiungere e chiarire un concetto importante: La Cina ha avuto uno sviluppo economico cosi' impressionante grazie a 5 pilastri:
1) controllo dei dazi,
2) controllo della migrazione
3) controllo demografico,
4) controllo del cambio
5) controllo dei tassi d'interesse.
E ovviamente, batte moneta, il che e' una grande arma se usata bene."
martedì 14 maggio 2019
Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky
Da: http://www.fondazionezaninoni.org - hyman-philip-minsky è stato un economista statunitense.
Leggi anche: EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur
“Socialismo
di mercato” - Gianfranco Pala

"Il 25 ottobre 1990 il Centro culturale Progetto di Bergamo ha organizzato il convegno Vittoria del capitalismo?, relatore Hyman Minsky. Pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, quando c’era chi preconizzava la fine della storia con la vittoria finale del capitalismo, Minsky contrapponeva una lucida lettura, anticipando le caratteristiche del nuovo fragile sviluppo capitalistico..."
(PAOLO CRIVELLI)
Vittoria del capitalismo?
Leggi anche: EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur

"Il 25 ottobre 1990 il Centro culturale Progetto di Bergamo ha organizzato il convegno Vittoria del capitalismo?, relatore Hyman Minsky. Pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, quando c’era chi preconizzava la fine della storia con la vittoria finale del capitalismo, Minsky contrapponeva una lucida lettura, anticipando le caratteristiche del nuovo fragile sviluppo capitalistico..."
(PAOLO CRIVELLI)
Vittoria del capitalismo?
Il collasso delle economie di tipo Sovietico è stato salutato come una vittoria del Capitalismo e il crollo simultaneo dei regimi politici comunisti è stato usato per convalidare l’identificazione del Capitalismo con la democrazia.
Da alcune parti si avanza l’idea che questa vittoria segni
la fine della Storia così come noi l’abbiamo conosciuta.
Ma le vicende del Golfo, la fragilità della prosperità capitalistica e le pressioni nazionaliste risvegliate dal collasso
dell’egemonia Sovietica nell’Europa orientale indicano
che la Storia non finisce, ma fluisce come il Mississippi
che nella canzone “...continua a scorrere”.
Non c’è dubbio che il Socialismo centralistico autoritario
di tipo Sovietico è crollato. Ma questa forma di Socialismo non è la sola possibile. Il modello Sovietico ha sempre avuto la caratteristica di non consentire che le preferenze e i desideri della gente influenzassero la produzione. Segnali effettivi (decisioni) nel Socialismo di tipo Sovietico andavano dall’alto verso il basso, mai dal basso, dalla popolazione verso coloro che avevano il potere di
decidere che cosa e come produrre. Esistono modelli
teorici alternativi di Socialismo nei quali regna una sovranità del consumatore più ampia rispetto a quella delle
economie di tipo capitalistico.
Questo modello autoritario di economia centralizzata non
è cattivo quando i compiti assegnati all’economia sono
semplici: quando si deve produrre solo pane o carri armati. Un’economia centralistica ha funzionato bene nella trasformazione da una società di tipo contadino ad una economia di produzione di massa limitata nella varietà di beni
– quando acciaio, cemento e macchinari sono tutto ciò
che deve essere prodotto: questo tipo di economia funziona altrettanto bene per la produzione di materiale bellico. Gli approvvigionamenti militari negli Stati Uniti e nel Regno Unito durante la Seconda Guerra Mondiale seguivano un modello di economia centralistica.
domenica 12 maggio 2019
‘Tutto il potere ai soviet’ - Lars T. Lih
Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com - Link al post originale in inglese John Riddell
La seconda parte: Il proletariato e il suo alleato: la logica dell’‘egemonia bolscevica’
‘Tutto il potere ai soviet!’, parte prima: biografia di uno slogan
“Tutto il potere ai soviet!”, senza alcun dubbio uno dei più celebri slogan nella storia delle rivoluzioni. A giusto titolo a fianco di “Liberté, égalité, fraternité” quale simbolo di un’intera epoca rivoluzionaria. Nel presente saggio, e in altri che seguiranno, prenderò in esame la genesi di questo slogan nel suo contesto originario, quello della Russia del 1917.
Il nostro slogan consiste di tre parole: вся власть советам, vsya vlast’ sovetam. “Vsya” = “tutto”, “vlast’“ = “potere” e “sovetam” = “ai soviet”. La parola russa sovet significa semplicemente “consiglio” (anche nel senso di suggerimento) e, da questo, “consiglio” (nel senso di assemblea). Oramai siamo ben abituati a questo termine russo, poiché evoca tutta una serie di significati specifici derivanti dall’esperienza rivoluzionaria del 1917.
In questa serie di articoli, ricorrerò spesso all’originale russo di una delle parole presenti nello slogan in questione, vlast’ (che d’ora in poi verrà traslitterata senza segnalare il cosiddetto jer molle [Ь] con l’apostrofo). “Potere” non ne dà una traduzione del tutto adeguata; difatti, nel tentativo di coglierne le sfumature, vlast viene spesso tradotto con la locuzione “il potere” (ad esempio da John Reed in I dieci giorni che sconvolsero il mondo). Il russo vlast riguarda un ambito più specifico rispetto al termine “potere”, ovvero quello dell’autorità sovrana di un particolare paese. Perché un soggetto sia ritenuto in possesso del vlast, deve avere il diritto di assumere decisioni definitive, essere dunque in grado di prenderle e vederle eseguite. Il vlast, per essere effettivo, richiede un fermo controllo delle forze armate, un forte senso della legittimità e missione assunte, nonché una base sociale. L’espressione di Max Weber sul “monopolio della violenza legittima” va dritto al cuore della questione.
La seconda parte: Il proletariato e il suo alleato: la logica dell’‘egemonia bolscevica’
La terza parte: lettera-da-lontano-correzioni-da-vicino-censura-o-rimaneggiamento
La quarta parte: Tredici a due: i bolscevichi di Pietrogrado discutono le Tesi di aprile
La quinta parte: Una questione fondamentale’: le glosse di Lenin alle Tesi di aprile
La sesta parte: Il carattere della Rivoluzione russa: il Trotsky del 1917 contro quello del 1924
La settima parte: Esigiamo la pubblicazione dei trattati segreti’: biografia di uno slogan gemello
Un’appendice a questa stessa prima parte, “Mandato per le elezioni al soviet”,
pubblicata separatamente nel caso dell’originale inglese, viene qui pubblicata in calce.
La quarta parte: Tredici a due: i bolscevichi di Pietrogrado discutono le Tesi di aprile
La quinta parte: Una questione fondamentale’: le glosse di Lenin alle Tesi di aprile
La sesta parte: Il carattere della Rivoluzione russa: il Trotsky del 1917 contro quello del 1924
La settima parte: Esigiamo la pubblicazione dei trattati segreti’: biografia di uno slogan gemello
Un’appendice a questa stessa prima parte, “Mandato per le elezioni al soviet”,
pubblicata separatamente nel caso dell’originale inglese, viene qui pubblicata in calce.
‘Tutto il potere ai soviet!’, parte prima: biografia di uno slogan
“Tutto il potere ai soviet!”, senza alcun dubbio uno dei più celebri slogan nella storia delle rivoluzioni. A giusto titolo a fianco di “Liberté, égalité, fraternité” quale simbolo di un’intera epoca rivoluzionaria. Nel presente saggio, e in altri che seguiranno, prenderò in esame la genesi di questo slogan nel suo contesto originario, quello della Russia del 1917.
Il nostro slogan consiste di tre parole: вся власть советам, vsya vlast’ sovetam. “Vsya” = “tutto”, “vlast’“ = “potere” e “sovetam” = “ai soviet”. La parola russa sovet significa semplicemente “consiglio” (anche nel senso di suggerimento) e, da questo, “consiglio” (nel senso di assemblea). Oramai siamo ben abituati a questo termine russo, poiché evoca tutta una serie di significati specifici derivanti dall’esperienza rivoluzionaria del 1917.
In questa serie di articoli, ricorrerò spesso all’originale russo di una delle parole presenti nello slogan in questione, vlast’ (che d’ora in poi verrà traslitterata senza segnalare il cosiddetto jer molle [Ь] con l’apostrofo). “Potere” non ne dà una traduzione del tutto adeguata; difatti, nel tentativo di coglierne le sfumature, vlast viene spesso tradotto con la locuzione “il potere” (ad esempio da John Reed in I dieci giorni che sconvolsero il mondo). Il russo vlast riguarda un ambito più specifico rispetto al termine “potere”, ovvero quello dell’autorità sovrana di un particolare paese. Perché un soggetto sia ritenuto in possesso del vlast, deve avere il diritto di assumere decisioni definitive, essere dunque in grado di prenderle e vederle eseguite. Il vlast, per essere effettivo, richiede un fermo controllo delle forze armate, un forte senso della legittimità e missione assunte, nonché una base sociale. L’espressione di Max Weber sul “monopolio della violenza legittima” va dritto al cuore della questione.
Iscriviti a:
Post (Atom)