il testo completo (tradotto) dell'intervista realizzata dalla giornalista Rai Monica Maggioni: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
giovedì 12 dicembre 2019
Intervista al Presidente siriano Bashar Al-Assad - Monica Maggioni
Da: DAMASCO - Monica_Maggioni è una giornalista, dirigente pubblica e conduttrice televisiva italiana.
il testo completo (tradotto) dell'intervista realizzata dalla giornalista Rai Monica Maggioni: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-
il testo completo (tradotto) dell'intervista realizzata dalla giornalista Rai Monica Maggioni: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-
mercoledì 11 dicembre 2019
CHE FARE? - Antonio Gramsci
Da: https://www.marxismo-oggi.it/ - Da “La voce della gioventù”, 1° novembre 1923, firmato Giovanni Masci, poi in A. Gramsci, Sul fascismo, a cura di E. Santarelli, Roma, Editori Riuniti, 1973.
Cari amici della Voce,
Cari amici della Voce,
Ho letto nel n. 10 (15 settembre) della Voce la interessante discussione tra il compagno G.P. di Torino e
il compagno S.V. È chiusa la discussione? Si può domandare che ancora per molti numeri la discussione
rimanga aperta e invitare tutti i giovani operai di buona volontà a parteciparvi, esprimendo, con sincerità e
onestà intellettuale, la loro opinione in proposito?
Come va posto il problema
Incomincio io, e affermo senz’altro che mi pare almeno, il compagno S.V. non ha impostato bene il
problema ed è caduto in qualche errore, gravissimo dal suo stesso punto di vista.
Perché è stata sconfitta la classe operaia italiana? Perché essa non aveva una unità? Perché il fascismo è
riuscito a sconfiggere, oltre che fisicamente, anche ideologicamente, il partito socialista che era il partito
tradizionale del popolo lavoratore italiano? Perché il partito comunista non si è rapidamente sviluppato
negli anni 1921-22 e non è riuscito a raggruppare intorno a sé la maggioranza del proletariato e delle masse
contadine?
martedì 10 dicembre 2019
Populismo, punti di partenza - Roberto Fineschi
Da:
https://www.lacittafutura.it/
- Approfondimenti
teorici (Unigramsci) - https://marxdialecticalstudies.blogspot.com/ -
Roberto Fineschi è un filosofo italiano. (Marx. Dialectical Studies) -
Vedi anche: OFFICINA MARX
Il
populismo è uno degli anelli della catena degenerativa che
confondendo la rivolta romantica anticapitalistica con la critica del
modo di produzione capitalistico produce il fascismo.
Roberto Fineschi è un filosofo italiano. (Marx. Dialectical Studies) -
Vedi anche: OFFICINA MARX

1. Populismo ha
significato - e significa - varie cose, anche di segno se non
opposto, almeno contrastante. Solo guardando al passato se ne
riscontrano accezioni
potenzialmente progressiste -
come nel caso del Populismo russo -, conservatrici -
per es. l’americano People’s Party -,ambigue,
ambivalenti e problematiche come ad es. il peronismo che in
Sudamerica si ritiene di poter coniugare sia da destra che da
sinistra. Con il tempo, nel lessico novecentesco, ha sicuramente
prevalso un’accezione negativa. Ciò è dovuto assai probabilmente
anche al consolidarsi, dopo la seconda guerra mondiale, di
organizzazioni politico-istituzionali che valutavano negativamente
alcune delle sue caratteristiche salienti: le democrazie parlamentari
per un verso, il socialismo reale per un altro consideravano la
mancanza di mediazione tra istanze del “popolo” e l’esercizio
della funzione politica come un aspetto da evitare, e il ruolo dei
partiti come organizzatori, educatori, anello nella catena della
pratica e partecipazione politica era qui centrale.
Nel caso del cosiddetto socialismo reale, anche il soggetto cui ci
si riferiva presentava probabilmente aspetti problematici, in quanto
meglio del popolo, la classe, o i blocchi storici di classi,
esprimevano le soggettualità in gioco in maniera più adeguata.
Anche i “fronti popolari” erano tali in quanto organizzati,
fronti appunto. Aspetti populistici - non popolari - venivano d’altra
parte chiaramente individuati nei vari fascismi che, pur non
dichiarandosi populisti, sicuramente si sentivano e si
autoproclamavano emanazione diretta di un fantomatico “popolo”.
Tornano qui alla mente i vari miti millenari, improbabili revival
imperiali, il concetto nazionalsocialista di “völkisch” e via
dicendo.
lunedì 9 dicembre 2019
Per un’altra Università - Riccardo Bellofiore, Giovanna Vertova
Da: Economisti
di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna
Vertova - https://www.riccardobellofiore.info -
Giovanna Vertova, Università di Bergamo, Dipartimento di Scienze Aziendali, Economiche e Metodi Quantitativi. -
Riccardo Bellofiore, Università di Bergamo, Professore ordinario di Economia politica. -
Leggi anche: Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università - Alessandra Ciattini
Negli ultimi anni
una serie di riforme ha portato l’università italiana a una
profonda crisi.
Giovanna Vertova, Università di Bergamo, Dipartimento di Scienze Aziendali, Economiche e Metodi Quantitativi. -
Riccardo Bellofiore, Università di Bergamo, Professore ordinario di Economia politica. -
Leggi anche: Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università - Alessandra Ciattini

La sfida odierna è
quella di restituirle il suo ruolo di luogo di formazione culturale
ed educazione al pensiero critico.
Di critiche
dell’Università se ne sprecano. Ne abbiamo scritta una pure noi,
dal titolo ambiguo quant’altrimai: Ai confini della docenza,
sottotitolo Per una critica dell’Università. Il volume lo abbiamo
voluto scaricabile gratuitamente dal sito della Accademia University
Press. (https://www.aaccademia.it/scheda-libro?aaref=1223)
Ambiguo perché il titolo potrebbe essere scambiato per una
lamentela giocata sull’assonanza docenza/decenza; e il sottotitolo
potrebbe parimenti apparire al lettore distratto un’aggiunta alla
sempre più lunga lista di cahiers de doléances contro l’istruzione
superiore. Le cose non stanno proprio così. Il titolo rimanda a una
serie televisiva famosa, in originale The Twilight Zone, che uno dei
curatori non propriaente giovane vide nella sua prima stagione,
introdotta così:
C’è una quinta
dimensione oltre quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti
come l’infinito e senza tempo come l’eternità. È la regione
intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la
superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette
luminose del sapere. È la regione dell’immaginazione, una regione
che potrebbe trovarsi ai confini della realtà.
Il sottotitolo gioca
sul significato che Marx dà al termine ‘critica’: non limitarsi
a rilevare errori, ma individuarne le condizioni di
possibilità, e dunque la necessità e i modi di un cambiamento.
L’alleggerimento
dei programmi e la compressione degli apprendimenti
L’università è
in stato di grave crisi, pure la coscienza di quanto sia grave questa
crisi manca. Manca in primo luogo al suo interno, dove invece
abbondano le strategie difensive, del tipo ‘ha da passare la
nottata’. La serie di riforme dai primi anni duemila in poi si è
succeduta ininterrotta, in una logica autodistruttiva anche dal punto
di vista di chi quelle riforme ha pensato. Ogni risultato è stato
cancellato dalla furia dissolvente di una riforma successiva. La
logica iniziale è stata quella di sostituire alla conoscenza le
competenze, e di accelerare un apprendimento reso sempre più
scheletrico. I problemi cui intendeva rispondere la riforma
Berlinguer erano ben reali. Gli studenti italiani si laureavano
tardi, e trovavano impiego in occupazioni non corrispondenti agli
studi. Il primo triennio avrebbe dovuto fornire tanto le conoscenze
di base quanto una prima professionalizzazione, affinché si potesse
entrare prima nel mercato del lavoro.
domenica 8 dicembre 2019
Quattro ore a Chatila - Jean Genet
Da: https://www.ossin.org - Jean_Genet è stato uno scrittore, drammaturgo e poeta francese, fra i più discussi del Novecento.

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“A Chatila, a Sabra, dei non-ebrei hanno ucciso dei non-ebrei,
la cosa non ci riguarda”. Menahem Begin alla Knesset
Nessuno e niente, nessuna tecnica del racconto, potrà dire cosa furono i sei mesi passati dai fedayn sulle montagne di Jerash e di Ajloun in Giordania, e soprattutto le prime settimane. Altri hanno scritto un resoconto degli avvenimenti, la cronologia, i successi e gli errori dell’OLP. L’aria del tempo, il colore del cielo, della terra e degli alberi, lo si potrà anche descrivere, ma non si potrà far sentire la leggera ebrezza, il camminare sulla polvere, lo sfavillio degli occhi, la lealtà dei rapporti, non solo tra fedayn ma anche tra loro e i capi. Tutti, tutti, sotto gli alberi erano frementi, scherzosi, stupiti da una vita così nuova per tutti, e in questi fremiti qualcosa di stranamente fisso, in agguato, protetto, riservato come qualcuno che prega senza parlare. Tutto era di tutti. Ognuno in sé stesso era solo. E forse no. Insomma sorridente e stralunato. La regione giordana dove avevano ripiegato, per scelta politica, era un perimetro che si allungava dalla frontiera siriana fino a Sait, delimitata dal Giordano e dalla strada da Jerash a Irbid. Una striscia lunga circa sessanta chilometri, profonda venti, in una regione assai montagnosa ricoperta di querce verdi, disseminata di piccoli villaggi giordani e una terra poco fertile. Nei boschi e sotto le tende mimetizzate, i fedayn avevano allocato alcune unità di combattenti e delle armi leggere e semi pesanti. Appena arrivati, dispiegata l’artiglieria soprattutto contro eventuali operazioni giordane, i giovani soldati si occupavano delle armi, le smontavano per pulirle, le ingrassavano e le rimontavano in modo velocissimo. Qualcuno riusciva perfino a smontare e rimontarle con gli occhi bendati, così avrebbe potuto farlo anche di notte. Tra ciascun soldato e la sua arma si era stabilito un rapporto amorevole e magico, e siccome i fedayn erano poco più che adolescenti, il fucile era il segno della virilità trionfante, e dava loro certezza. L’aggressività cedeva il posto ai sorrisi.
Tutto il resto del tempo i fedayn bevevano il tè, criticavano i loro capi e le persone ricche, palestinesi e altro, insultavano Israele, ma parlavano soprattutto della rivoluzione, di quella che facevano e quella che avrebbero fatto.
Per me, ogni volta che vedo la parola “palestinese”, che sia in un titolo, nel corpo di un articolo, su un volantino, esso evoca immediatamente i fedayn in un luogo preciso – la Giordania – e un tempo che si può facilmente datare ottobre, novembre, dicembre 1970, gennaio, febbraio, marzo, aprile 1971. E’ stato allora che io ho conosciuto la Rivoluzione palestinese. La straordinaria evidenza di quanto accadeva, la forza di questo benessere hanno anche un altro nome: bellezza.
Sono passati dieci anni e non ho saputo più niente di loro, salvo che i fedayn erano in Libano. La stampa europea parlava con disinvoltura del popolo palestinese, anche con disprezzo. E improvvisamente, Beirut ovest.
Leggi
anche: Bauman:
"Gaza è diventata un ghetto, Israele con l'apartheid non
costruirà mai la pace" - Antonello Guerrera
Chiarezza - Shlomo Sand
Chiarezza - Shlomo Sand
Vedi anche: https://www.dailymotion.com/video/xto7ir_sabra-e-chatila-trent-anni-fa-il-massacro_news?
Ellen Siegel ricorda l'orrore del massacro di Sabra e Shatila https://www.youtube.com/watch?v=-7iW2BpId5g
Nel settembre 1982, Jean Genet (nella foto) accompagna a Beirut Layla Shahid, eletta presidente dell’Unione degli studenti palestinesi. Il 16 settembre si consuma il massacro di Sabra e Chatila da parte delle milizie libanesi, con l’attiva complicità dell’esercito israeliano che aveva invaso e occupato il Libano. Il 19 settembre Genet è il primo europeo a entrare nel campo di Chatila. Nei mesi successivi scrive “Quattro ore a Chatila”, pubblicata nel gennaio 1983 nella Revue d’études palestiniens.
Questo magnifico testo, requisitoria implacabile contro i responsabili dell’atroce atto di barbarie, non comincia con la descrizione del massacro. Comincia col ricordo dei sei mesi passati nei campi palestinesi coi fedayn, dieci anni prima del massacro di Sabra e Chatila
“A Chatila, a Sabra, dei non-ebrei hanno ucciso dei non-ebrei,
la cosa non ci riguarda”. Menahem Begin alla Knesset
Nessuno e niente, nessuna tecnica del racconto, potrà dire cosa furono i sei mesi passati dai fedayn sulle montagne di Jerash e di Ajloun in Giordania, e soprattutto le prime settimane. Altri hanno scritto un resoconto degli avvenimenti, la cronologia, i successi e gli errori dell’OLP. L’aria del tempo, il colore del cielo, della terra e degli alberi, lo si potrà anche descrivere, ma non si potrà far sentire la leggera ebrezza, il camminare sulla polvere, lo sfavillio degli occhi, la lealtà dei rapporti, non solo tra fedayn ma anche tra loro e i capi. Tutti, tutti, sotto gli alberi erano frementi, scherzosi, stupiti da una vita così nuova per tutti, e in questi fremiti qualcosa di stranamente fisso, in agguato, protetto, riservato come qualcuno che prega senza parlare. Tutto era di tutti. Ognuno in sé stesso era solo. E forse no. Insomma sorridente e stralunato. La regione giordana dove avevano ripiegato, per scelta politica, era un perimetro che si allungava dalla frontiera siriana fino a Sait, delimitata dal Giordano e dalla strada da Jerash a Irbid. Una striscia lunga circa sessanta chilometri, profonda venti, in una regione assai montagnosa ricoperta di querce verdi, disseminata di piccoli villaggi giordani e una terra poco fertile. Nei boschi e sotto le tende mimetizzate, i fedayn avevano allocato alcune unità di combattenti e delle armi leggere e semi pesanti. Appena arrivati, dispiegata l’artiglieria soprattutto contro eventuali operazioni giordane, i giovani soldati si occupavano delle armi, le smontavano per pulirle, le ingrassavano e le rimontavano in modo velocissimo. Qualcuno riusciva perfino a smontare e rimontarle con gli occhi bendati, così avrebbe potuto farlo anche di notte. Tra ciascun soldato e la sua arma si era stabilito un rapporto amorevole e magico, e siccome i fedayn erano poco più che adolescenti, il fucile era il segno della virilità trionfante, e dava loro certezza. L’aggressività cedeva il posto ai sorrisi.
Tutto il resto del tempo i fedayn bevevano il tè, criticavano i loro capi e le persone ricche, palestinesi e altro, insultavano Israele, ma parlavano soprattutto della rivoluzione, di quella che facevano e quella che avrebbero fatto.
Per me, ogni volta che vedo la parola “palestinese”, che sia in un titolo, nel corpo di un articolo, su un volantino, esso evoca immediatamente i fedayn in un luogo preciso – la Giordania – e un tempo che si può facilmente datare ottobre, novembre, dicembre 1970, gennaio, febbraio, marzo, aprile 1971. E’ stato allora che io ho conosciuto la Rivoluzione palestinese. La straordinaria evidenza di quanto accadeva, la forza di questo benessere hanno anche un altro nome: bellezza.
Sono passati dieci anni e non ho saputo più niente di loro, salvo che i fedayn erano in Libano. La stampa europea parlava con disinvoltura del popolo palestinese, anche con disprezzo. E improvvisamente, Beirut ovest.
sabato 7 dicembre 2019
NAZIONALFASCISTI E COMUNISTI SONO UGUALI? - Luciano Canfora
Da: Ruben
Gasparini - Luciano
Canfora è
un filologo classico, storico e saggista italiano.
Vedi anche: Comunisti, fascisti e questione nazionale
"IL RITORNO DELLA RAZZA - ARGINI E ANTIDOTI DALLA CONOSCENZA"
Leggi anche: Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915)
"Totalitarismo", triste storia di un non-concetto* - Vladimiro Giacché
IL BUCO NERO DI AUSCHWITZ
di Primo Levi. («La Stampa», 22 gennaio 1987)
Vedi anche: Comunisti, fascisti e questione nazionale
"IL RITORNO DELLA RAZZA - ARGINI E ANTIDOTI DALLA CONOSCENZA"
Leggi anche: Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915)
"Totalitarismo", triste storia di un non-concetto* - Vladimiro Giacché
IL BUCO NERO DI AUSCHWITZ
di Primo Levi. («La Stampa», 22 gennaio 1987)
La polemica in corso in Germania fra chi tende a banalizzare la strage nazista (Nolte, Hillgrüber) e chi ne sostiene l'unicità (Habermas e molti altri) non può lasciare indifferenti. La tesi dei primi non è nuova: stragi ci sono state in tutti i secoli, in specie agli inizi del nostro, e soprattutto contro gli «avversari di classe» in Unione Sovietica, quindi presso i confini germanici. Noi Tedeschi, nel corso della seconda guerra mondiale, non abbiamo fatto che adeguarci a una prassi orrenda, ma ormai invalsa: una prassi «asiatica», fatta di stragi, di deportazioni in massa, di relegazioni spietate in regioni ostili, di torture, di separazioni delle famiglie. La nostra unica innovazione è stata tecnologica: abbiamo inventato le camere a gas. Sia detto di passata: è proprio questa innovazione quella che è stata negata dalla scuola dei «revisionisti» seguaci di Faurisson, quindi le due tesi si completano a vicenda in un sistema d'interpretazione della storia che non può non allarmare.
venerdì 6 dicembre 2019
Le quattro fasi del declino italiano - Ettore Gotti Tedeschi
Da: Centro
Machiavelli - Ettore_Gotti_Tedeschi è un economista, banchiere e accademico italiano.
Leggi anche: "Venga
subito requisito tutto il patrimonio pubblico concesso ad
Atlantia-Benetton e a Gavio" - Paolo Maddalena
Interessante esposizione dei motivi che hanno portato all'attuale profonda crisi dell'economia italiana fatta da chi, di questa situazione, ne è stato un attore protagonista consapevole e (quindi) consenziente. Un bell'esempio della lotta interclassista capitalista da tener presente.
Una domanda sorge poi spontanea: se la riduzione demografica è tanto rilevante nello scadere delle potenzialità del paese, come mai la gran parte dei giovani italiani, nonostante un bagaglio di studi qualificato e importante e la (a questo punto) favorevole situazione demografica, è costretta ad emigrare per trovare uno straccio di lavoro oppure arrendersi alla disoccupazione? (il collettivo)
«L'economia è una tecnica, avanzata e sofisticata, ma neutrale, che per essere vantaggiosa per l'uomo deve trovarlo consenziente a considerarsi importante, centrale.
Interessante esposizione dei motivi che hanno portato all'attuale profonda crisi dell'economia italiana fatta da chi, di questa situazione, ne è stato un attore protagonista consapevole e (quindi) consenziente. Un bell'esempio della lotta interclassista capitalista da tener presente.
Una domanda sorge poi spontanea: se la riduzione demografica è tanto rilevante nello scadere delle potenzialità del paese, come mai la gran parte dei giovani italiani, nonostante un bagaglio di studi qualificato e importante e la (a questo punto) favorevole situazione demografica, è costretta ad emigrare per trovare uno straccio di lavoro oppure arrendersi alla disoccupazione? (il collettivo)
«L'economia è una tecnica, avanzata e sofisticata, ma neutrale, che per essere vantaggiosa per l'uomo deve trovarlo consenziente a considerarsi importante, centrale.
[...] Il capitalismo indubbiamente ha fatto molto per l'uomo e può fare ancora molto, ma perché gli uomini non subiscano i condizionamenti del mondo globale devono esser «forti» e formati.»
(Ettore Gotti Tedeschi. «Il capitalismo morale». Fondazione liberal)
giovedì 5 dicembre 2019
Il cosiddetto problema ambientale - Carla Filosa
Da: https://www.lacittafutura.it - Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo. (https://rivistacontraddizione.wordpress.com)
Leggi anche: Marxismo e cambiamento climatico - Carla Filosa
Leggi anche: Marxismo e cambiamento climatico - Carla Filosa
Trattare le questioni ambientali separatamente dal processo storico che le ha determinate impedisce l’individuazione delle azioni positive o contromisure da intraprendere.
Nella
misura in cui l’interessamento
generale ai problemi ambientali è diventato di moda, non si può
fare a meno di affrontare l’argomento mentre si è stupiti,
eufemisticamente, per le variegate forme ideologiche in cui questo
viene isolato da ogni altro condizionamento storico, sociale,
politico, economico, ecc.
Per privilegiare gli aspetti di fondo del cambiamento climatico, e
cosa si deve intendere per ambiente, si è costretti a dare per
scontato, almeno parzialmente, l’innumerevole elenco delle modalità
e degli effetti registrati ormai da tempo da questi scienziati di
tutto il mondo. Non solo loro, infatti, in antitesi agli interessi
dei negazionisti alla Trump o alla Bolsonaro, si preoccupano per
l’equilibrio del pianeta a causa del riscaldamento climatico e
lanciano un allarme ai paesi e alle classi più povere del pianeta,
da sempre più esposti a disastri ambientali di ogni tipo
(innalzamento dei mari, uragani, tsunami, ecc.).
In questo breve excursus si dà credito quindi
alle numerose analisi e relazioni degli scienziati del clima e
dell’ambiente in generale, non tralasciando denunce di autorevoli
politici o magistrati sui danni localizzati determinati da interessi
oggettivamente criminali, mentre nel contempo si verifica che
l’analisi scientifica marxiana è ancora la sola in grado di
individuare le cause reali e
complesse del degrado crescente degli assetti sociali e territoriali,
estesi ormai a livello globale. La mistificante “autonomia” delle
devastazioni presenti e future relative all’“ambiente”, da
parte di un dominio economico che al contrario ne determina un
progressivo accadimento in forme per lo più irreversibili,
dev’essere pienamente smentita unitamente a tutte le legittimazioni
e palliativi ideologici, escogitati per far fronte agli effetti senza
intaccarne le cause, libere così di continuare a
distruggere risorse naturali e esseri umani, inquinare aria, acqua e
terreni.
mercoledì 4 dicembre 2019
Sullo "Statuto dei diritti dei lavoratori" - Ilaria Romeo
Da: https://fortebraccionews.wordpress.com/ - ilaria-romeo è responsabile dell'Archivio storico CGIL nazionale.

“Il lavoratore non è una macchina acquistata dal padrone”, così Giuseppe Di Vittorio propose lo Statuto

“Il lavoratore non è una macchina acquistata dal padrone”, così Giuseppe Di Vittorio propose lo Statuto
Il 26 novembre 1952 inizia a Napoli il III Congresso nazionale della Cgil che terminerà i lavori il 3 dicembre.
Giuseppe Di Vittorio lancia a livello confederale l’idea di uno Statuto dei diritti dei lavoratori.
Prendendo la parola nel corso dei lavori del Congresso del Sindacato dei chimici dell’ottobre precedente Di Vittorio formulava, un mese prima, una proposta destinata ad assumere una grandissima importanza nella storia del Paese affermando:
“I
lavoratori sono uomini e liberi cittadini della Repubblica italiana
anche nelle fabbriche, anche quando lavorano […] – scrive il
segretario su l’Unità dell’11 ottobre 1952 –
Nell’interesse nostro, nell’interesse vostro dei padroni,
nell’interesse della patria, rinunciate all’idea di rendere
schiavi i lavoratori italiani, di ripristinare il fascismo nelle
fabbriche […] Io voglio proporre a questo Congresso una idea che
avevo deciso di presentare al prossimo Congresso della Cgil […]
facciamo lo Statuto dei diritti dei lavoratori all’interno
dell’azienda. Formulato in pochi articoli chiari e precisi, lo
Statuto può costituire norma generale per i lavoratori e per i
padroni all’interno dell’azienda […]”.
“La proposta di uno Statuto che precisi e ribadisca i diritti
democratici dei lavoratori anche nell’interno dell’azienda –
preciserà qualche giorno più tardi il segretario all’Inso
(Agenzia «Informazioni Sociali») – , è stata resa necessaria dal
fatto che numerosi datori di lavoro (non tutti, in verità) giungono
addirittura a pretendere che i lavoratori appartengano a una
piuttosto che a un’altra organizzazione sindacale o politica; a
proibire ai lavoratori di leggere, o di offrire ai propri colleghi,
giornali invisi al datore di lavoro anche nelle ore della mensa o
comunque fuori dell’orario di lavoro […] La Costituzione della
Repubblica garantisce a tutti i cittadini, anche all’interno dei
luoghi di lavoro, la libertà di pensiero e di espressione, la
libertà di associazione e di organizzazione, la libertà di
propaganda e stampa, ecc. ecc. La nostra proposta tende a richiamare
i datori di lavoro al rispetto di questi principi fondamentali della
nostra società nazionale […]”.
martedì 3 dicembre 2019
A letto col Terzo Reich: L'alleanza nascosta degli USA con la Germania nazista contro l'Unione Sovietica. - Michel_Chossudovsky
Da: www.resistenze.org - Traduzione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare. -
Michel_Chossudovsky è un economista canadese (globalresearch.ca).

La Germania nazista dipendeva in larga misura dalle forniture di petrolio della statunitense Standard Oil.
Senza il sostegno degli USA alla Germania nazista, il Terzo Reich non sarebbe stato capace di dichiarare guerra all'Unione Sovietica. La produzione di petrolio della Germania era insufficiente per poter scatenare una grande offensiva militare. Durante tutto il conflitto, il Terzo Reich fece affidamento su regolari forniture di greggio da parte della Standard Oil, nelle mani della famiglia Rockfeller.
I principali produttori di greggio nei primi anni quaranta erano: gli Stati Uniti (50% della produzione globale di petrolio), l'Unione Sovietica, il Venezuela, l'Iran, l'Indonesia e la Romania.
Senza una regolare fornitura di petrolio, la Germania non sarebbe stata in grado di porre in essere l'Operazione Barbarossa, che venne lanciata il 22 giugno 1941. L'invasione dell'Unione Sovietica aveva la finalità di conquistare e prendere il controllo delle risorse petrolifere dell'Unione Sovietica nel Caucaso e nelle regioni del Mar Caspio: il petrolio di Baku.
Michel_Chossudovsky è un economista canadese (globalresearch.ca).

La Germania nazista dipendeva in larga misura dalle forniture di petrolio della statunitense Standard Oil.
Prescott Bush era un socio della Brown Brothers Harriman & Co e direttore della Union Banking Corporation, che aveva stretti rapporti con gli interessi delle imprese tedesche, come la Thyssen Steel, grande compagnia coinvolta nell'industria degli armamenti del Terzo Reich.
"… Nuovi documenti, declassificati [nel 2003], dimostrano che, anche dopo che l'America era entrata in guerra [8 dicembre 1941] e quando già esistevano significative informazioni sui piani e sulle politiche dei nazisti, egli [Prescott Bush] lavorò e fece guadagni con società strettamente legate alla finanza tedesca, la quale supportò economicamente l'ascesa al potere di Hitler. E' stato anche evidenziato come il denaro ricavato da queste transazioni avesse aiutato a costruire la ricchezza e la fortuna della famiglia Bush, nonché a fondare la sua dinastia politica" (The Guardian, September 25, 2004).
Senza una regolare fornitura di petrolio, la Germania non sarebbe stata in grado di porre in essere l'Operazione Barbarossa, che venne lanciata il 22 giugno 1941. L'invasione dell'Unione Sovietica aveva la finalità di conquistare e prendere il controllo delle risorse petrolifere dell'Unione Sovietica nel Caucaso e nelle regioni del Mar Caspio: il petrolio di Baku.
lunedì 2 dicembre 2019
D’Alema e l’involuzione del PCI - Alessandra Ciattini
Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra
Ciattini insegna
Antropologia culturale alla Sapienza.
Leggi anche: Brzezinski e la futurologia. (America in the Technetronic Age)* - Alessandra Ciattini
Sul compromesso storico - Aldo Natoli
Leggi anche: Brzezinski e la futurologia. (America in the Technetronic Age)* - Alessandra Ciattini
Sul compromesso storico - Aldo Natoli

Una recente intervista a D’Alema offre lo spunto alla riflessione sul complesso processo di involuzione del PCI, che l’ha condotto ad abbandonare la politica di classe in nome di un irrealistico liberal-riformismo democratico.
Si
potrebbe affermare che non vale più la pena di commentare le
uscite del grande Massimo D’Alema, che per un certo tempo
sembra abbia aspirato addirittura alla Presidenza della Repubblica,
ma forse può essere preso ad esempio della triste parabola del PCI.
Una prima cosa che potremmo chiederci è perché – sarebbe certo
troppo umiliante – egli non si annovera tra quei politici, che
fanno parte integrante di quella che chiama kakistocrazia, ossia
il governo dei peggiori [1], personaggi squalificati e improvvisati
che oscurano il panorama mondiale. Certo questa sua inclusione
potrebbe sembrare eccessiva per un uomo politico di tanta abilità ed
esperienza. Ma andiamo avanti.
Siamo nel 1976 e Giorgio Amendola, uomo da rispettare pur non
condividendone le idee liberal-riformiste, dichiarava in
un’intervista:
“Oggi vediamo la fioritura di un tipo di democrazia diretta, in cui il cittadino è chiamato ad intervenire sulle questioni che lo interessano, non col votare una delega una volta ogni cinque anni, ma partecipando: dai consigli di fabbrica ai consigli di scuola, ai consigli di quartiere. Questa è una struttura democratica perfettamente compatibile con la moderna società industriale. Noi siamo per una pianificazione che non sia centralizzata, ma che tenga conto delle articolazioni regionali, locali e che tenga conto quindi di una partecipazione diretta delle masse lavoratrici. Sono queste le forze democratiche cui affidiamo l’avvenire della società nella transizione dall’attuale fase del tardo-capitalismo al socialismo…”.
E più avanti aggiungeva: “Quando io vado in una sezione del mio partito e in maniera provocatoria affermo: gli italiani non sono mai stati bene come adesso, mai così liberi, mai hanno mangiato tanto quanto adesso, mai hanno studiato come adesso, trovo dei giovani che dicono: no” (Intervista sull’antifascismo, a cura di P. Melograni, 1976: 187-188, 190).
La risposta negativa dei suoi giovani interlocutori non faceva sorgere in lui un qualche dubbio sulla giustezza della sua analisi, convinto che quelle forme di democrazia diretta conquistate in Italia fossero praticabili in un mondo che si avviava verso il neoliberismo, scambiandolo per modernizzazione.
“Oggi vediamo la fioritura di un tipo di democrazia diretta, in cui il cittadino è chiamato ad intervenire sulle questioni che lo interessano, non col votare una delega una volta ogni cinque anni, ma partecipando: dai consigli di fabbrica ai consigli di scuola, ai consigli di quartiere. Questa è una struttura democratica perfettamente compatibile con la moderna società industriale. Noi siamo per una pianificazione che non sia centralizzata, ma che tenga conto delle articolazioni regionali, locali e che tenga conto quindi di una partecipazione diretta delle masse lavoratrici. Sono queste le forze democratiche cui affidiamo l’avvenire della società nella transizione dall’attuale fase del tardo-capitalismo al socialismo…”.
E più avanti aggiungeva: “Quando io vado in una sezione del mio partito e in maniera provocatoria affermo: gli italiani non sono mai stati bene come adesso, mai così liberi, mai hanno mangiato tanto quanto adesso, mai hanno studiato come adesso, trovo dei giovani che dicono: no” (Intervista sull’antifascismo, a cura di P. Melograni, 1976: 187-188, 190).
La risposta negativa dei suoi giovani interlocutori non faceva sorgere in lui un qualche dubbio sulla giustezza della sua analisi, convinto che quelle forme di democrazia diretta conquistate in Italia fossero praticabili in un mondo che si avviava verso il neoliberismo, scambiandolo per modernizzazione.
domenica 1 dicembre 2019
"Venga subito requisito tutto il patrimonio pubblico concesso ad Atlantia-Benetton e a Gavio" - Paolo Maddalena
Da: https://www.lantidiplomatico.it/ - Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”.
Sfugge ai nostri governanti che le concessioni autostradali, come quelle aeree, non costituiscono trasferimento di potestà o facoltà pubbliche, ma uso di beni demaniali, i cui frutti dovrebbero tornare al Popolo, cui spetta la proprietà collettiva dei beni in questione.
Intendiamo dire che quando si parla di concessioni di autostrade si intende parlare di concessioni di uso di suolo publico, facente parte del patrimonio pubblico del Popolo italiano.
Allo stesso modo, quando si parla di concessioni di rotte aeree si parla di concessione di uso dell’atmosfera, la quale appartiene strutturalmente alla Comunità politica italiana, e il cui corrispettivo dovrebbe rientrare nel bilancio dello Stato.
Altrettanto si può dire delle frequenze televisive, che attraversano l’etere, che è proprietà collettiva del Popolo sovrano e, in genere, per tutte le vie di comunicazione, terrestri, marittime e aeree. E invece si parla di concessioni come di un servizio reso da privati alla generalità dei cittadini. Sono stati semplicemente capovolti i termini della questione.
Se si pensa, ad esempio, che le autostrade sono state costruite con mezzi finanziari dello Stato, proprio non si capisce con quale tipo di ragionamento le cospicue somme riscosse per i pedaggi autostradali, che ben ricoprono i costi di gestione e manutenzione, come dimostrano i conti effettuati a carico della Benetton (se si considerano i conti da quando, nel 1999, è stata privatizzata la gestione della grande rete stradale, la società ha guadagnato oltre 10 miliardi), non debbano entrare nelle casse dello Stato.
Altrettanto si può dire per Alitalia, che, in base a recenti statistiche, ha visto aumentare a dismisura la richiesta di voli e che potrebbe, se ben guidata, dare un forte guadagno per l’economia italiana.
I nostri governanti, invece, pregano gli stranieri di entrare nella compagnia aerea e sono titubanti nel ritirare le concessioni autostradali ad Atlantia della famiglia Benetton, dopo il rovinoso crollo del ponte di Genova, che è costato 43 vite umane.
Oggi questo problema si pone in termini di tragica necessità. Infatti sono stati dichiarati in pericolo di crollo altri due ponti su autostrade che collegano la Liguria al Piemonte, le quali sono state chiuse al traffico con immensi danni economici per gli utenti e per la collettività.
Questi danni sono stati causati in modo certo e inconfutabile dalla cattiva gestione di Atlantia-Benetton e di Gavio, due società fortemente ciniche e inaffidabili, che sono venute meno ai loro doveri di manutenzione, intascando fraudolentemente le ingenti somme riscosse con i pedaggi autostradali.
L’inerzia del nostro governo è intollerabile.
Lo invitiamo a utilizzare l’articolo 7 dell’allegato E della legge del 1865, secondo il quale lo Stato (ma anche i prefetti e i sindaci) può requisire mobili e immobili, gli uni in proprietà, gli altri in uso, quando esigenze straordinarie lo richiedano.
Che venga subito requisito tutto il patrimonio pubblico concesso ad Atlantia-Benetton e a Gavio, nonché tutto il patrimonio pubblico nelle mani degli ultimi proprietari di Alitalia.
In tal modo i beni mobili di queste due società saranno immediatamente in proprietà del Popolo sovrano (si pensi agli aerei in pericolo di svendita) e i beni immobili (si pensi agli aeroporti) potranno subito essere oggetto di trasferimento nella proprietà collettiva del Popolo italiano mediante le necessarie nazionalizzazioni (le quali, ripetiamo per l’ennesima volta non sono vietate dai trattati europei, che impediscono soltanto gli aiuti di Stato).
Ovviamente questo processo può essere usato anche per l’Ilva e altre numerose situazioni di questo tipo.
Sia ben chiaro che con le concessioni, le privatizzazioni, le delocalizzazioni, le svendite l’Italia perde solo ingentissimi guadagni, che vanno a persone immeritevoli e che è una pura favola pensare che lo Stato italiano non sia in grado di gestire direttamente i propri beni. Lo sarebbe, se continuasse a utilizzare persone incompetenti e voraci, ma certamente non lo sarebbe, se affidasse la gestione di questi beni medesimi a manager pubblici, scelti con accuratezza e capaci di agire nel modo economicamente più fruttuoso, nella consapevolezza che i loro errori potrebbero essere fatali per la loro carriera.
È questo il momento della svolta. I fatti dimostrano che è impossibile andare avanti con le “privatizzazioni”, utilizzando il “diritto privato” nei casi in cui è indispensabile invece usare il “diritto pubblico”.
Si ricordi, che ai sensi dell’articolo 54 della Costituzione, i nostri politici hanno il dovere ineludibile di osservare la Costituzione e di agire in ogni caso con disciplina ed onore.
sabato 30 novembre 2019
Democrazia e Filosofia | After Democracy - Remo Bodei
Da: Centro
per l'arte contemporanea Luigi Pecci - Remo
Bodei (Cagliari,
3 agosto 1938 – Pisa, 7 novembre 2019) è stato un filosofo e
accademico italiano.
Vedi anche: L'algoritmo
sovrano - Renato Curcio
"I
due mali contro cui la ragione filosofica ha sempre combattuto e deve
combattere ora più che mai, sono, da un lato, il non credere a
nulla; dall'altro, la fede cieca. Insomma tener viva la fede nella
ragione contro coloro che non credono neppure nella ragione, che io
chiamo i meno che credenti, e contro coloro che credono senza
ragionare, cioè i più che credenti. Questo è il compito umile,
molto umile ma necessario, della filosofia: un compito da sentinella,
più che presuntuosamente da 'guida'. La sentinella che deve stare ad
ascoltare l'avvicinarsi del nemico, da qualunque parte provenga, e
dare l'allarme prima che sia troppo tardi". (Norberto Bobbio)
venerdì 29 novembre 2019
Miseria del sovranismo. Smarrimento della dialettica e proliferazione dell'ideologia - Emiliano Alessandroni
Da: https://www.marxismo-oggi.it - Il
presente saggio è stato pubblicato nel sito “Dialettica e
filosofia” (http://dialetticaefilosofia.it) -
Emiliano Alessandroni, Dottore
di ricerca presso Università degli Studi di Urbino 'Carlo Bo', redattore
della rivista scientifica "Materialismo storico".
Questioni teoriche preliminari
Nella Scienza della Logica Hegel descrive in questi termini la natura ontologicamente relazionale di ogni contenuto determinato:
Quando si presuppone un contenuto determinato, un qualche determinato esistere, questo esistere, essendo determinato, sta in una molteplice relazione verso un altro contenuto. Per quell'esistere non è allora indifferente che un certo altro contenuto, con cui sta in relazione, sia o non sia, perocché solo per via di tal relazione esso è essenzialmente quello che è[1].
Si tratta di un aspetto successivamente ben compreso e metabolizzato dalla filosofia di Marx: «un ente che non abbia alcun oggetto fuori di sé non è un ente oggettivo. Un ente che non sia esso stesso oggetto per un terzo, non ha alcun ente come suo oggetto, cioè non si comporta oggettivamente, il suo essere non è niente di oggettivo». Questo riferirsi ad altro, ossia essere in rapporto con altro, costituisce la naturale essenza di ogni ente in quanto ente:
Esser oggettivi, naturali, sensibili, e avere altresì un oggetto, una natura, un interesse fuori di sé, oppure esser noi stessi oggetto, natura, interesse di terzi, è l'identica cosa. La fame è un bisogno naturale, le occorre dunque una natura, un oggetto, al di fuori, per soddisfarsi, per calmarsi. La fame è il bisogno oggettivo che ha un corpo di un oggetto esistente fuori di esso, indispensabile alla sua integrazione e alla espressione del suo essere. Il sole è oggetto della pianta, un oggetto indispensabile, che ne conferma la vita, come la pianta è oggetto del sole, dell'oggettiva forza essenziale del sole.
Un ente che non abbia fuori di sé la sua natura non è un ente naturale, non partecipa dell'essere della natura[2].
L'avere fuori di sé la propria natura significa che nessun ente naturale finito, ma a ben vedere anche nessun contenuto determinato, sia autosufficiente. È infatti nel rapporto in cui sussiste con l'altro da sé che esso rivela la propria specificità. Questo altro da sé, tuttavia, che permette in primissimo luogo di manifestare la specificità del contenuto determinato del sé, è il proprio opposto. La relazione tra gli opposti, nondimeno, non sempre si determina in modo antagonista: certo, nel bocciolo che dilegua al dischiudersi del fiore e nel dileguare di questo alla formazione del frutto di cui ci parla la Fenomenologia dello Spirito, il fiore per apparire deve annientare il bocciolo, così come il frutto deve annientare il fiore. E tuttavia il fiore, se costituisce un essere determinato, costituisce altresì il nulla del bocciolo e dunque costituisce a un tempo un essere determinato e un nulla determinato. Lo stesso dicasi del frutto e di qualunque ente finito che contiene simultaneamente tanto l'essere quanto il nulla.
giovedì 28 novembre 2019
Hegel: "Fenomenologia dello spirito" - Antonio Gargano
Da: AccademiaIISF - Antonio
Gargano è
un filosofo italiano. Docente presso l'Università degli studi "Suor
Orsola Benincasa", Scienze della Formazione.
Leggi anche: Hegel
- La Fenomenologia dello spirito - Antonio Gargano Alexandre Kojéve, Introduzione alla lettura di Hegel (Fenomenologia dello Spirito) - Silvio Vitellaro
Vedi anche: G. W. F. Hegel: La fenomenologia dello Spirito*- Lucio Cortella
SULLA VORREDE HEGELIANA - Stefano Garroni
"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/)
Testo
letto dal prof. Gargano durante la lezione: http://www.iisf.it/pdfsito/Gargano_Hegel.pdf
martedì 26 novembre 2019
Accumulazione di capitale e ruolo dell’innovazione - Maurizio Donato
Da: https://www.economiaepolitica.it - Maurizio Donato, Università
di Teramo, è
un economista italiano - https://mrzodonato.wordpress.com/
Secondo gli economisti del periodo classico, affinché possa ripartire il meccanismo di accumulazione, una parte significativa del capitale in eccesso sulle possibilità medie di valorizzazione deve essere svalutato o distrutto, non solo capitale nella sua forma monetaria, ma capitale costante, merci nella loro duplice natura di valori d’uso e valore tout-court, e capitale variabile, la forza-lavoro pagata al suo valore, la cui svalutazione continua sta comportando conseguenze almeno altrettanto paradossali e ben più tragiche dei tassi di interesse negativi.
Accumulazione Capitale Marx | Nel primo trimestre del 2019 il ‘valore’ mondiale delle obbligazioni a tassi negativi è tornato ad avvicinarsi ai livelli massimi toccati nell’estate del 2016. Da allora, a riportare in alto i tassi nominali spingendo al rialzo anche i rendimenti delle obbligazioni è stata unicamente la ripresa nelle aspettative di inflazione. Questo obiettivo, una maggiore inflazione, è stato al centro dell’impegno delle banche centrali che dal 2009 hanno iniettato quasi 20mila miliardi di dollari attraverso numerose politiche espansive. Ma evidentemente una politica monetaria pure ultra-accomodante non serve o non basta: i problemi dell’economia sono ‘reali’.
Fig. 1 Rendimento dei BUND tedeschi a 10 anni

Non performing capital
lunedì 25 novembre 2019
PALESTINA. Economia e occupazione: dal Protocollo di Parigi ad oggi. - Francesca Merz
Da: http://nena-news.it -
Leggi anche: Bauman: "Gaza è diventata un ghetto, Israele con l'apartheid non costruirà mai la pace" - Antonello Guerrera
Chiarezza - Shlomo Sand
Roma, 18 novembre 2019, Nena News –
Che ogni forma di controllo e repressione, e che ogni forma di colonialismo, aldilà della forza e della violenza, veda la sua espressione più fondamentale negli strumenti di controllo economico, è cosa quanto mai risaputa nonché banale. Questo principio vale ovviamente anche per l’occupazione israeliana della Palestina. Per capire con maggiore consapevolezza quelle che sono le strategie economiche sulla quale si basa questo rapporto tra colonizzati e colonizzatori, e soprattutto per non ricadere nel solito luogo comune secondo il quale gli israeliani sono riusciti a fare miracoli in una terra in cui invece i palestinesi non avevano fatto nulla, bisogna partire dalla morsa mortale del Protocollo di Parigi.
Leggi anche: Bauman: "Gaza è diventata un ghetto, Israele con l'apartheid non costruirà mai la pace" - Antonello Guerrera
Chiarezza - Shlomo Sand
Nel 1994 l’Olp e Israele firmarono il “Protocollo di Parigi” che formalizzava le relazioni economiche per cinque anni tra Tel Aviv e la nascente Autorità Palestinese. L’intesa è però ancora operativa e sancisce di fatto il controllo totale israeliano dell’economia palestinese
Roma, 18 novembre 2019, Nena News –
Che ogni forma di controllo e repressione, e che ogni forma di colonialismo, aldilà della forza e della violenza, veda la sua espressione più fondamentale negli strumenti di controllo economico, è cosa quanto mai risaputa nonché banale. Questo principio vale ovviamente anche per l’occupazione israeliana della Palestina. Per capire con maggiore consapevolezza quelle che sono le strategie economiche sulla quale si basa questo rapporto tra colonizzati e colonizzatori, e soprattutto per non ricadere nel solito luogo comune secondo il quale gli israeliani sono riusciti a fare miracoli in una terra in cui invece i palestinesi non avevano fatto nulla, bisogna partire dalla morsa mortale del Protocollo di Parigi.
domenica 24 novembre 2019
Geraldina Colotti intervista Alessandra Ciattini
Da: Le Monde Diplomatique, il manifesto, 2019 -
DALLA MAGIA ALLA STREGONERIA Cambiamenti sociali e culturali e la caccia alle streghe, Alessandra Ciattini (a cura di), LA CITTA' DEL SOLE, 15 euro.
DALLA MAGIA ALLA STREGONERIA Cambiamenti sociali e culturali e la caccia alle streghe, Alessandra Ciattini (a cura di), LA CITTA' DEL SOLE, 15 euro.
L'ultimo lavoro curato dalla studiosa Alessandra Ciattini s'intitola Dalla magia alla stregoneria. Cambiamenti sociali e culturali e la caccia alle streghe. Una raccolta di saggi che, in prospettiva marxista e con taglio multidisciplinare, analizza il rapporto fra credenze e strutture sociali, aggiungendo altri spunti di riflessione a un filone di studi sempre stimolante. Ne abbiamo parlato con la curatrice, docente di Antropologia culturale alla Sapienza.
Come è nato questo lavoro?
Il libro è nato per mettere insieme studiosi con competenze diverse che hanno indagato i vari aspetti della magia-stregoneria: storia, antropologia, diritto, arte, scienza. In questo senso, costituisce probabilmente una novità, i cui obiettivi sono mettere in evidenza la complessità dei processi storici, la non linearità del rapporto fra struttura e sovrastruttura, l'idea della storia come continuo progresso. Infatti come si può ricavare dal libro, in particolare dal saggio di Federico Martino, se la storia faticosamente avanza, fa anche dei clamorosi passi indietro, come stiamo sperimentando oggi. Per questa ragione mi piace la metafora, utilizzata da Luciano Canfora, che descrive il processo storico come una spirale.
In che termini avete indagato la relazione fra credenza e politica?
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