*Da: https://www.lacittafutura.it/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
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L’anziano ex consigliere alla sicurezza di Jimmy Carter, Zbigniew
Brzezinski, è sempre sulla cresta dell’onda e continua ad elaborare analisi
politiche, che da un lato riflettono le intenzioni dei vertici statunitensi,
dall’altro indicano i percorsi da seguire per difendere il ruolo egemonico
della superpotenza. In particolare, in un articolo di qualche mese fa, egli
riconosce che il dominio globale degli Stati Uniti è in crisi a
causa del riemergere della Russia quale attore politico nella
scena mondiale e dell’espansione economica e commerciale della Cina.
A suo parere, pertanto, bisogna prendere misure adeguate a contrastare tale
declino e a impedire un avvicinamento dell’Europa alle potenze emergenti (leggi).
Come è noto, Brzezinski si è sempre dilettato di analisi
politiche volte a delineare gli scenari internazionali futuri. In questo breve
intervento, mi limiterò ad analizzare brevemente un articolo
dell’ex-consigliere, pubblicato nel 1968, dal significativo titolo America
in the Technetronic Age(leggi), nel
quale egli indica i caratteri della società cosiddetta postindustriale o, se
volete, postmoderna. E ciò perché in effetti egli coglie nel segno,
anche perché descrive le linee politiche adottate dalla classe dirigente
mondiale, a cui era ed è strettamente vincolato.
Questo aspetto è ben colto da un autore sovietico, Edward
Arab-Ogly, il cui libro intitolato Nel labirinto dei vaticini è
stato pubblicato in italiano dalle Edizioni Progress (Mosca) nel 1977 e che ho
avuto già modo di menzionare in un precedente articolo per La Città futura. Egli sottolinea,
in questo d’accordo con Brzezinski [1], che la rivoluzione tecnico-scientifica
del Novecento ha determinato “mutamenti profondi e irreversibili con una
conseguente accelerazione dell’evoluzione sociale”. A suo parere “tali
trasformazioni sociali, politiche, economiche che in passato si sarebbero
dipanate per decenni e forse per secoli”, si stanno realizzando vorticosamente
nello spazio di una generazione. Egli aggiunge che nell’epoca contemporanea il
potere che l’uomo ha sulla natura e sul proprio destino è straordinario e che
noi e i nostri posteri potremo godere i frutti di questo avanzamento, ma ci
troveremo anche a “pagare il fio delle nostre attività” (op. cit. 1977: 3).
In tale situazione, gravida di conseguenze assai variegate,
“il futuro non è unico e rettilineo, ma cela in sé molteplici possibilità,
sostentate però da un grado diverso di possibilità”. Secondo lo studioso
sovietico ciò rende sempre più necessaria la capacità di sviluppo della previsione
sociale, la cui funzione non sarebbe tanto quello di “predire un futuro già
pronto, quanto [quello di] influire sulla coscienza e il
comportamento degli uomini del presente al fine di sollecitarli ad
un’attività determinata e quindi [a] realizzare una delle possibili varianti
del futuro” (op. cit. 1977: 4-5). Potremmo definire queste previsioni “profezie
autorealizzantesi”.
Ed è proprio quello che Brzezinski fa con il suo articolo
del 1968, pubblicato sulla nota rivista Encounter, con il quale si
inserisce pienamente nella cosiddetta futurologia, che esplose
negli anni ’60 del Novecento e che dette vita a due correnti diverse, una
di segno ottimistico e l’altra catastrofistica. La prima vede nella
tecnologia e nelle scienze applicate la possibilità di trovare la soluzione a
tutti i problemi più gravi che affliggono l’umanità, la seconda invece vede
negativamente questi stessi strumenti, il cui impiego irrazionale e dissennato
produrrebbe problemi quali l’inquinamento, la crisi ecologica, i processi di
disumanizzazione e di impoverimento materiale e spirituale imposti agli
individui che vivono nel mondo contemporaneo.
Tali correnti, la seconda vicina in ambito filosofico ai
critici della modernità, non fanno una distinzione importante che
è quanto mai opportuno tenere a mente: la scoperta scientifica in sé e
l’uso politico-economico che di essa viene fatto e che ovviamente è
deciso da chi governa l’ordine mondiale. Senza tale distinzione finiscono con
l’imputare alla tecnologia e alle innovazioni il ruolo di unico elemento
propulsore del cambiamento economico-sociale, in un’ottica riduzionista, che
offusca la parte giocata dall’insieme delle relazioni sociali in questa
direzione.
Ma quali sono, secondo Brzezinski, i caratteri della società
postindustriale, così definita da Daniel Bell nel 1967 e che si sarebbe
affermata a partire dal 2000? Indicherò a mio parere quelli più significativi,
sottolineando che, il discorso dell’antico consigliere oscilla sempre tra
l’effettiva analisi delle trasformazioni e la prefigurazione dell’indirizzo che
a queste occorre dare.
Egli comincia con l’affermare che l’America (ovviamente gli Stati
Uniti) stanno diventando negli anni ’60 una società tecnetronica,
che è plasmata culturalmente, psicologicamente, socialmente ed economicamente
dall’impatto della tecnologia e dell’elettronica (computer e
comunicazioni).Tale cambiamento provoca un’ulteriore divisione tra i diversi
paesi del mondo, sempre più differenziati, ed impone agli americani [2]
l’obbligo di alleviare le sofferenze del confronto da ciò suscitato (1968: 16).
A suo parere, per questo suo mutamento l’America rappresenta
un caso speciale e unico, perché sarebbe la prima società a
sperimentare il futuro, soprattutto grazie alla sua “creatività”, dalla
quale scaturiscono innovazioni tecnologiche ma anche tendenze culturali,
costumi, valori nuovi, che gli altri paesi consciamente o inconsciamente
imitano. Tali processi danno vita alla cosiddetta “americanizzazione”
(1968: 23) che tende a rendere omogeneo il mondo attuale, incrementando
inevitabilmente il ruolo egemonico statunitense, che rappresenta per molti,
gente comune e analisti politici, la società ideale fondata sulla “democrazia
più grande del pianeta”.Occorre osservare che, nel delineare i tratti della
società statunitense nell’era tecnetronica, Brzezinski individua anche problemi
e criticità a cui bisogna trovare una soluzione, ma sempre avendo in mente la
finalità di rafforzare il predominio statunitense.
In seguito alla rivoluzione tecnologica-scientifica, egli
segnala che il comportamento umano diventerà meno spontaneo e
meno misterioso, in quanto sarà predeterminato e sottoposto ad
una programmazione deliberata. Per esempio, l’uomo sarà in grado di
determinare il sesso dei suoi figli, di modificare e controllare la propria
personalità, di potenziare con l’uso di droghe le sue capacità intellettive, in
ciò con l’aiuto anche dell’uso del computer. La vita umana nel XXI secolo
potrebbe raggiungere i 120 anni. La possibilità di un più ampio controllo
chimico della mente, la messa a rischio dell’individualità provocata dalla
tecnica dei trapianti, la manipolazione genetica pongono una serie di problemi:
fino a che punto queste procedure possono giungere e in quale misura debbono
essere limitate?
Brzezinski aggiunge che gli scienziati prevedono che alla
fine del secolo (il Novecento) i computer, affiancati nei laboratori dai robot,
ragioneranno come gli esseri umani e saranno anche in grado di elaborare un
pensiero creativo. Innovazione che dovrà essere accompagnata da un articolato e
ampio dibattito sulla natura dell’uomo.
D’altra parte, la rivoluzione informatica comporta anche un
formidabile immagazzinamento di informazioni, il loro reperimento automatico e
la loro utilizzabilità, aspetti dai quali non può non scaturire lo sviluppo di
“una totale sorveglianza politica” sui cittadini, del tutto non rispettosa
della loro vita privata [3].
Questi significativi cambiamenti saranno accompagnati dallo
sviluppo della cibernetica e dell’automatizzazione, in
seguito al quale l’ozio diverrà la pratica comune e il vero e proprio lavoro un
privilegio riservato agli individui più dotati di talento. Cambierà il senso
stesso della vita sociale, non più orientata alla realizzazione di
una qualche obiettivo, ma focalizzata sul divertimento e sullo spettacolo (sport
di massa, televisione), il quale fornirà un oppiaceo alle masse ormai prive di
scopo (1968: 17) [4].
Possiamo convenire con Brzezinski che queste previsioni si
sono realizzate, anche se è possibile darne un’altra lettura dal punto di vista
di chi è oggetto pressoché inerme di questi mutamenti. In primo luogo,
sicuramente le forme di controllo si sono fatte più sottili e più capillari ed
hanno relegato a nicchie assai isolate e poco incisive i dissensi che pure
esistono, tanto che un regime di tipo fascista o nazista tradizionale è oggi
non è probabilmente necessario nel mondo occidentale a garantire la stabilità e
la riproduzione dell’assetto attuale. In secondo luogo, il lavoro – nel senso
pieno e gratificante - è sicuramente diventato un privilegio, ma non nel senso
che le grandi masse si sollazzino nell’ozio, sia pure distratte e fuorviate
dagli oppiacei massmediatici; esse sono sprofondate nel lavoro dequalificato e
informale, privo di qualsiasi tutela e diritto.
Ma c’è un altro aspetto del discorso di Brzezisnki che
vale pena sottolineare: il riferimento ai più dotati di talento, i quali poi –
nelle pagine successive del suo saggio – diventano i protagonisti di quella che
egli chiama la “democrazia meritocratica” e che rappresenta il sistema
politico ideale del futuro (1968: 23).
Questo innovato sistema politico coniugherebbe il rispetto
della volontà popolare con il crescente ruolo assunto da individui
dotati di speciali competenze intellettuali e scientifiche nei
processi politici decisionali. Brzezinski prevede anche che i più
poveri ed emarginati potranno nel futuro essere reclutati e inseriti
in tali ruoli preminenti (1968: Ibidem).
A questo punto è opportuno riflettere sulla nozione
di “merito”, centrale nel linguaggio politico attuale e dotata di uno
straordinario potere mistificatorio. Ovviamente il merito non corrisponde ad
una qualità oggettiva e misurabile, ma scaturisce da un processo di
valutazione che è sempre soggettivo e prodotto dell’attività dei
cosiddetti valutari, quali a loro volta, per assurgere a tale ruolo, debbono
essere valutati. Quindi, come si arriva a stabilire il merito di qualcuno in un
certo campo? Qui l’esempio universitario potrebbe essere dirimente. Esso è
sempre un processo di cooptazione determinato da una certa élite,
che si è data i suoi valutatori scelti secondo i criteri che le sono propri, i
quali poi grosso modo corrispondono all’affinità ideologica tra valutati e
valutatori. Infatti, l’élite è l’espressione di un sistema di governo
oligarchico, il cui fine è il mantenimento e la riproduzione di una forma
di potere gerarchica ed escludente.
Quindi, in questo senso, gli Stati Uniti stavano
diventando negli anni ’60 del Novecento un sistema politico
sempre più oligarchico, nel quale le élites, sono rappresentate da una
serie di individui che si muovono tra i vertici delle grandi corporazioni, le
grandi banche, i ruoli istituzionali più importanti; sistema che giustifica
tale preminenza con l’attribuzione a questi ultimi di una maggiore competenza e
di un maggiore talento.
Che questo meccanismo elitistico e cooptativo valga
a livello internazionale può essere facilmente dimostrato
pensando dall’attribuzione dei premi Nobel per la pace. Pensiamo, per
esempio, al guerrafondaio Obama o a Juan Manuel Santos,
presidente della Colombia, che ha governato con Alvaro Uribe Vélez,
partecipando alle politiche genocide contro il popolo colombiano (leggi).
Quanto, invece, al confronto, tra la società
industriale, che ci stiamo lasciando alle spalle, e quella tecnetronica,
nella prima le masse erano organizzate in partiti e sindacati e
rese coese da programmi semplici e ideologici, ispirati anche al nazionalismo;
nella seconda, invece, ossia nella società tecnetronica, questi si
sfaldano e milioni di cittadini, ormai non più coordinati,
si riuniscono grazie al legame che stabiliscono con personalità
magnetiche e attraenti, che utilizzano efficacemente le più moderne
tecniche di comunicazione, per solleticare l’emozione e addormentare la ragione
(1968: 19) [5].
Questo sfaldamento delle grandi organizzazioni di
massa, centrali nella società industriale, ha fatto sì che le ideologie
onnicomprensive, come il marxismo, non trovino più il terreno fertile dove
attecchire e diffondersi, provocando uno slittamento dall’“utopismo
idealistico”, assai critico del presente e prefigurante un futuro assai
diverso (1968: 20),verso una politica pragmatica volta a risolvere problemi
sempre più circoscritti dominati da personalità competenti(1968: 18-19), i
cosiddetti tecnocrati.
In tale nuovo contesto – come d’altra parte ben sappiamo – anche
lo Stato viene rimesso in discussione e tale fenomeno è sicuramente
collegato all’emergere e al consolidarsi delle grandi corporazioni
internazionali di origine statunitense, ma rafforzatesi grazie
all’apporto di capitali di altri Paesi, le quali, in quanto gruppi di potere
economico, hanno la capacità di determinare la politica degli Stati o addirittura,
dove opportuno, la loro destabilizzazione o il loro stesso dissolvimento.
Tal considerazione non viene fatta da Brzezinski, il quale
però segnala il processo di indebolimento dello Stato, la cui esistenza ritiene
tuttavia utile salvaguardare almeno a livello simbolico (1968: 26), e vede nelle
corporazioni lo strumento della diffusione a livello planetario del “trasferimento
delle abilità, delle tecniche di gestione, delle procedure di marketing e delle
innovazioni scientifico-tecnologiche” (1968: 26). Ossia, lo strumento
dell’”americanizzazione” del mondo, fondata sull’attribuzione di una funzione
meramente pragmatica alla riflessione scientifica, la quale ribadisce la
validità dello status quo, che tutt’al più può essere in qualche
misura emendato. E inevitabilmente oscura la dimensione etico-politica
inerente al pensiero scientifico, il quale per sua natura è un pensiero
critico di ampio respiro che si muove, sia dai suoi primordi, nella
prospettiva della creazione di un mondo migliore e più umano per tutti.
Apparato essenziale del processo di
“americanizzazione” sarà costituito dalle università, che hanno subito
in questi decenni riforme proprio in questa prospettiva, le quali garantiranno
la formazione in tutti i paesi degli individui, che saranno cooptati nella
classe dirigente universale e saranno strumento della diffusione della lingua,
della cultura, della concezione della scienza “americane”. Brzezinski profila
la possibilità che gli studenti della Columbia University e quelli
dell’Università di Teheran possano un giorno ascoltare nello stesso momento la
lezione di uno stesso docente, senza specificare se americano o persiano (1968:
26).
Tuttavia, tale auspicato processo di “americanizzazione”
trova nel suo dipanarsi ostacoli importanti dovuti in particolare all’ampliamento
della distanza tra Paesi che si trovano a vivere contemporaneamente in diverse
fasi storiche, ossia quelli che appartengono al mondo sviluppato e quelli
che ne sono esclusi.
Inoltre, non è più immaginabile che nuove ideologie
del cambiamento, come il marxismo nelle sue varie forme,
si diffondano dal centro verso le periferie, alimentando speranze
di miglioramento e di cambiamento. A parere di Brzezisnki ciò produrrà il rifiuto
del mondo sviluppato; rigetto che costituirà la base dell’odio razziale (sic!),
sfruttato da capi romantici e xenofobi, contenuto per esempio negli scritti di
Franz Fanon (1968: 24).
Naturalmente non possiamo negare che tale rifiuto,
coincidente con l’opposizione al predominio occidentale, è consistente nelle
masse popolari extraoccidentali, che non hanno beneficiato come quelle
occidentali, della spoliazione imperialistica, essendone unicamente le vittime;
tuttavia, non può nemmeno essere negato che il riemergere degli etnicismi e
dei fondamentalismi religiosi, dotati di una carica di
resistenza ma anche di elementi antiprogressisti, siano stati
gestiti e orientati dalle stesse potenze occidentali per far abortire i
cambiamenti politico-economici a loro svantaggiosi; con tale
dissennata politica hanno innescato, come nel caso del cosiddetto Daesh,
un groviglio di contraddizioni da cui è assai difficile venir fuori e che ci
fanno avvicinare sempre più a un conflitto generale.
D’altra parte, l’emergenza di altre potenze a livello
internazionale, dopo il dissolvimento dell’URSS, rimette seriamente in
discussione il programma di “americanizzazione”, presentato come la mera
estensione delle acquisizioni conoscitive e delle innovazioni tecnologiche,
anche se ad esso sembrano essere sempre testardamente aggrappate le élites
statunitensi.
Note
1. Il quale scrive che, alla fine del Novecento, il mondo si
trova in un’epoca di trasformazione più drammatica per le conseguenze storiche
e umane che avrà di quelle provocate sia dalla Rivoluzione Francese che da
quella bolscevica (1968: 16).
2. Uso sempre il linguaggio dell’autore che ovviamente
identifica una parte del continente americano con il tutto.
3. A questo proposito possiamo menzionare il programma di spionaggio Echelon, istituito di concerto da Stati Uniti e Gran Bretagna e attivo dal 1966, che controlla almeno il 90% delle comunicazioni in tutto il mondo (http://www.telesurtv.net/news/Snowden-confirma-existencia-de-red-de-espionaje-Echelon-20150804-0002.html).
4. Nel 1967 era uscito il celebre libro di Guy Debord, La
società dello spettacolo.
5. Certo non possiamo negare che personalità come il Papa o
Donald Trump possano esercitare questo ruolo, ma dobbiamo anche osservare il
costante incremento dei non coinvolti, dei rassegnati, i quali costituiscono
quelle masse senza scopo di cui parla Brzezinski.
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