Le cronache elettorali dagli Usa dipingono superficialmente
la campagna per le presidenziali come se fosse un evento sportivo. Cosi
facendo, il giornalismo italiano si conforma a quello internazionale
contribuendo ad assuefare le menti all’idea che anche uno degli eventi politici
più importanti per il mondo sia uno spettacolo in cui contano i singoli
individui, i loro errori, i loro umori, le cartelle cliniche. Ai candidati si
attribuiscono i favori o le preferenze di ampie categorie del corpo civile: le
minoranze, le lobbies, le etnie, la comunità finanziaria, quelle religiose, i
gruppi sociali peculiari dei vari Stati, ecc. Un minestrone di ingredienti
indistinti in cui le classi sociali vengono identificate essenzialmente con la
dicotomia colletti blu e bianchi e “mondo delle imprese” (corporate world)
mentre di middle class si parla per segnalarne la centralità “elettorale”, la
perdita di potere d’acquisto, la sua discesa nella scala sociale.
Chi qui in Europa segue più attentamente le cronache della
contesa americana con un occhio criticamente smaliziato non può evitare di
notarne il paradosso più evidente: un elettorato fatto
prevalentemente di bianchi poveri a forte componente operaia e contadina voterà
in massa contro i propri interessi per un candidato miliardario portandolo
probabilmente alla presidenza. Come può accadere? Cosa può aver rovesciato i tradizionali
ruoli di rappresentanza politica tra i due maggiori partiti? Non sono forse i
Democratici ad avere sempre rappresentato, dalla fine della Ricostruzione post
Guerra Civile, lo stato sociale, i sindacati, le minoranze affamate di
riconoscimento e diritti civili, la cultura inclusiva, insomma l’anima
“progressista” della nazione mentre i Repubblicani si sono sempre connotati
come i difensori del laissez faire economico, come rappresentanti delle
corporation, del big business, e infine del capitalismo finanziario selvaggio e
globale? Come è possibile che un proletario, indebitato fino al collo, privo di
garanzie sindacali, di assistenza sanitaria, di garanzie pensionistiche, con la
minaccia dell’ipoteca bancaria sulla casa, con i figli sempre più condannati
dal lavoro precario e sottopagato a rimanere bloccati nella scala sociale
malgrado le promesse del sogno americano, si schieri con la parte politica che
per propria natura gli nega un’esistenza dignitosa?
La dura verità è che a partire dagli anni della
presidenza di Ronald Reagan, della prescrizione-shock dei controllori di
volo, del completamento della ridefinizione globale degli interessi
capitalistici, del crollo dei salari, delle riduzioni fiscali, ha preso slancio
un ribaltamento culturale senza precedenti che ha portato a fratture su linee
trasversali del corpo sociale e a soluzioni politiche basate su argomenti che
fino ad allora risultavano sovrastrutturali. Gli effetti di tale “rivoluzione
culturale” (si, di questo si è trattato) sono stati la sostituzione in molti
stati del Sud e del Midwest delle maggioranze Democratiche con amministrazioni
Repubblicane e le presidenze Bush, padre e figlio, con l’emergenza di una
solida classe dirigente neo-con. I due termini di Clinton non hanno invertito
la tendenza, anzi con le sue ambiguità in politica sociale e il varo del
trattato commerciale Nafta che ha interessato tutto il Nord America (Messico
compreso) proprio il Democratico Clinton ha contribuito ad alimentare, il
processo in atto, ancora prima che l’11 settembre aggravasse la situazione.
Protagonisti passivi di tale cruciale capovolgimento
politico sono i ceti proletari nuovi e vecchi costituiti dai lavoratori
salariati dell’industria e dei servizi, i piccoli agricoltori e allevatori
impoveriti dal crollo dei prezzi e indebitati con le banche,1 i neo-urbanizzati dagli
anni Settanta sradicati dalle comunità rurali di origine e immessi nei bassi
ceti impiegatizi ora ricacciati indietro nella scala sociale dalla nuova crisi
economica, i rednecks (operai, lavoratori artigiani e padroncini), i salariati
dei ranch. Gente che vive le trasformazioni che la investono con un forte senso
di perdita: di identità e ruolo sociali, di status economico, di radici
culturali che la nuova collocazione non riesce a sanare. Anzi, peggiora man
mano che i cambiamenti la travolgono. E a quel senso di perdita si aggiungono
prima le ansie, poi la rabbia, poi necessariamente la ricerca di vie di fuga
nel proprio piccolo, nell’alienazione, nella ricerca spirituale, nel volgersi
con nostalgia al passato, ai “vecchi tempi” che erano sempre duri ma avevano
delle soluzioni, delle vie d’uscita dignitose.
Tutti questi attori sono collocati geograficamente per la
gran parte nella cosiddetta Heartland, cioè il cuore d’America, il
vasto territorio che include indicativamente il Sud storico, il Sud Ovest, il
Midwest. Un’area storicamente determinante per le lotte contadine culminate tra
il tardi 1880 e la prima metà dei 1890 con la rivolta Populista contro le
banche, i poteri economici, le politiche monetarie, e con significative
agitazioni operaie a cavallo dei due secoli. Un’area a grandi linee
appartenente alla tradizione Democratica fino alla Presidenza Johnson e, con
l’intervallo dell’esperienza Nixon, a quella di Jimmy Carter. Ai due lati della
Heartland, le due coste con le loro ricche enclavi: il nord est e la California.
Cosa è successo da allora?
Non tutti gli analisti si sono resi conto di quanto stava
accadendo: ancora nel 2006 un team di eminenti professori di statistica
politica annotava una singolare polarizzazione nelle scelte dell’elettorato ma
riteneva con tipico ottimismo che le “tendenze disturbanti” avrebbero trovato
soluzione nella parte moderata della classe politica, giudicando transitorio il
predominio Repubblicano e gli spostamenti elettorali. Tuttavia il loro studio
riscontrava che il reddito o la ricchezza non incidevano sulle scelte politiche
tanto quanto i temi locali mentre l’elettorato si divideva meno che mai dai
tempi del New Deal su temi occupazionali o sull’apparteneza di classe. Allo
stesso tempo, pur rilevando che la crescita della sensibilità religiosa non
stava soppiantando le tematiche economiche ammettevano che “non si sentivano
di escludere che ciò avrebbe potuto accadere“..2
Le presidenziali del 2004 che diedero la seconda vittoria a
George W. Bush avevano fatto registrare un’inquietante variante di peso
decisivo: il 22% dei votanti aveva espresso ai sondaggisti di aver dato la
prevalenza per la scelta nelle urne ai “valori morali” su ogni altra cosa. Poco
prima, tredici Stati avevano votato contro la legalizzazione dei matrimoni tra
contraenti dello stesso sesso: “Guns, God and gays” divennero la
convenzionale spiegazione per la vittoria di Bush. Allo stesso tempo si
manifestava un’altra anomalia: gli Stati più ricchi si configuravano come
Democratici, quelli poveri come Repubblicani.
L’emergenza dei Tea Parties ,
organizzazioni informali su base popolare, che hanno cercato di condizionare le
elezioni del 2008 addirittura esprimendo un candidato Repubblicano (Sarah
Palin) alla vicepresidenza rivelavano il peso crescente di un vasto strato di
elettorato posizionato a destra, a forte connotazione religiosa, favorevole
all’isolazionismo in politica estera e alla riduzione della presenza federale
nelle decisioni degli Stati. Un altro segnale, forse sottovalutato, dei
cambiamenti in atto tra la gente.
Ma quali fattori hanno determinato il cambiamento
politico epocale che sembra aver trasformato il corpo sociale d’America?
L’elemento primo è stata la pesante manipolazione culturale
intrapresa dai settori militanti della destra, indirizzata a saldare i
“valori morali”, cioè quell’insieme di sensibilità provenienti dal buon
senso della “gente comune” (la casa, la famiglia, il lavoro duro, ecc. ) e
dalle tradizioni popolari peculiarmente americane (l’aspirazione al
miglioramento inevitabile delle proprie condizioni conseguito con le proprie
forze, la libertà estesa, il senso religioso, l’orgoglio nazionalistico, la
convinzione di poter riuscire a conservare solo quello per cui ci si è in
qualche modo battuti), con la sistematica cancellazione del fattore
economico dalla lista delle cause della propria condizione. Al punto che
per gli ultraconservatori il tema dell’agire del settore imprenditoriale o
finanziario è venuto di proposito a cadere come soggetto di discussione. Per
essi il business (e il conseguente profitto) è normale, naturale, va oltre la
politica; il libero mercato è qualcosa di immanente e necessario che determina
le condizioni del successo individuale o professionale. E’ materia fuori
discussione. Se si è poveri le cause vanno cercate nella dissoluzione del sogno
americano a opera di chi lavora costantemente per demolirlo: i “liberals” con i
loro privilegi, il controllo del governo, della burocrazia, di Wall Street,
della cultura, dei media, i loro costumi degenerati, il rifiuto laico di Dio e
dei Comandamenti, l’ipocrisia del politically correct, l’ambientalismo
ideologico, le mode effimere, il caos della grande città.
Ecco, il capolavoro di tutto questo lungo lavorio è stato
essere riusciti a dichiararsi “popolo”, ad identificarsi con quello, a
identificare un nemico diverso da quello economicamente naturale, ad escludere
qualsiasi critica al sistema economico ma allo stesso tempo perseguendo con i
propri rappresentanti e candidati nazionali e locali politiche favorevoli al
big business, alla deregulation, al taglio dei salari. La destra repubblicana
ha fatto leva sull’associazione tra orgoglio individuale (Voi siete il sale
della terra, il cuore battente d’America che tira la carretta…) e
vittimismo narcisistico (…eppure siete trattati oltraggiosamente male),
sull’indirizzo delle ansie quotidiane e dell’odio per tale condizione verso i
liberals (leggi Democratici). Se poi le aziende chiudono, licenziano, se la
terra coltivata viene espropriata o devastata dagli oleodotti o supersfruttata
dalle coltivazioni intensive, se i prezzi salgono per garantire il massimo
profitto della grande distribuzione che spreme fornitori e dettaglianti e li
conduce al disastro, quella è la legge del mercato, della concorrenza, icone
dello spirito americano e componenti del successo individuale. E’ la dura
realtà con cui tocca confrontarsi e con cui si crea il benessere per tutti. Se
poi i politici Repubblicani promuovono leggi e normative a favore di cartelli
affaristici locali, agribusiness e corporation, l’argomento rientra nel campo
della “politica”, tema di per sé complicato e odioso da discutere, o nella
logica sacrosanta del libero mercato.
I fantasmi da scacciare stanno nella retorica liberal che
minaccia l’autenticità stessa della way of life americana, nella società malata
di criminalità, immigrazione, aborto, biotecnologia, droga, pornografia,
diritti civili per chi non li merita, privilegi per i ricchi, matrimoni
omosessuali. Un quadro completo in cui convogliare i ceti più poveri e meno
istruiti su parole d’ordine da usare in sede politica per guadagnare terreno ma
anche per creare una gabbia culturale da cui non si riesce più a evadere.
Mentre nella stanza vicina si fanno affari.
Significativo per paradossale contraddizione il caso del Freedom
to Farm Act, una legge promossa nel 1996 dal senatore Repubblicano Pat
Roberts del Kansas e da altri rappresentatnti locali dello stesso partito, nominalmente
per aiutare i coltivatori a competere efficacemente sul mercato dei prodotti
agricoli revocando le normative di origine New Deal per la protezione dei
prezzi: grazie a quella legge gli agricoltori avrebbero avuto la libertà di
coltivare qualsiasi cosa in qualsiasi quantità affidandosi al mercato per
spremere i prezzi migliori: cosi finalmente si toglieva di mezzo il governo
dalla libertà di operare secondo i propri mezzi. Il risultato fu di provocare
una letale spirale di sovrapproduzione che in pochi anni mandò sul lastrico i
piccoli produttori favorendo cosi i grandi dell’agribusiness ADM, Cargill,
ConAgra. Non un disastro sociale, per i Repubblicani, ma un’esemplare
“ristrutturazione dell’industria alimentare” per avere maggiore flessibilità ed
efficienza della distribuzione, una vittoria della libertà sulla “ingombrante
sussidiarietà governativa”. Un cambiamento in peggio per il suolo e gli
agricoltori falliti che però hanno continuato da allora a votare il GOP, il
Grand Old Party (Partito Repubblicano).3
Può essere utile alla comprensione del quadro
cultural-ideologico dell’ultraconservatore una breve rassegna di temi-chiave.
I sindacati: Ostacolano la volontà di lavorare, e,
con le vertenze causano l’aumento dei prezzi o, nel caso peggiore, la
delocalizzazione dell’azienda.
La solidarietà: Per portare a casa otto dollari
all’ora, lavorando a turni e pregando di poter fare straordinari per poter
pagare le bollette, in competizione con i colleghi o con gli immigrati,
l’inevitabile conclusione è che ognuno è per sé.
Il lavoro: Piuttosto che perderlo, meglio pagare
l’azienda perchè non se ne vada. Come è successo nel 2002 a Winchester,
Virginia, dove la comunità e lo Stato hanno raccolto quasi 1 milione di dollari
per convincere la Newell Rubbermaid a rimanere, a titolo di “assistenza all’espansione”.
La Rubbermaid ha incassato, ringraziato “l’incrollabile etica del lavoro dei
cittadini” e ha ridotto il personale4
L’ambiente: Al diavolo gli ambientalisti, noi
dobbiamo lavorare. L’ecologia è una dottrina ingannevole dei liberals.
Lo Stato sociale: Roba da negri. Il principio
peculiarmente americano della responsabilità individuale impone che ognuno
conquisti il proprio benessere senza dover dire grazie a nessuno, tanto meno al
governo e tanto peggio se non ci si riesce.Aspettarsi l’assegno di disoccupazione
vuol dire che si è pigri, parassiti, non intraprendenti, inadatti alla
competizione che è durissima, e che la miseria te la sei meritata. Lo dice
anche Dio.
I pacifisti: Dei rompicoglioni. Chiunque impedisca di
lavorare o impedisca all’America di prosperare, magari negando fonti
energetiche o materie prime, che sia un bamboccio di Hollywood o Bin Laden, è
da eliminare senza pensarci su troppo. Ci pensino i militari.
Le armi: Un diritto costituzionale più che mai
innegabile specie ora che arrivano profughi e terroristi da ogni buco ad
aumentare i pericoli della criminalità. E poi non sono le armi il problema ma
solo quelli che non sanno usarle.
La cultura: E’ il bagaglio di nozioni che servono
nella quotidianità a lavorare bene e a sopravvivere. Tutto il resto è
manipolazione dei liberals: giornalisti, storici, sociologi, yuppies fanno quel
che fanno perché sono liberal. E i liberals mentono, ingannano. Il progressismo
non è un prodotto delle forze sociali ma è una dottrina che si muove secondo
schemi tanto meccanici e rigidi da ricordare il comunismo.
Il cittadino Repubblicano non destruttura la letteratura
post-moderna, non beve cabernet, non compra dai cataloghi di Abercrombie o
Fitch, non beve il “latte” di Starbucks (il nostro latte macchiato) ma sa costruirsi
la casa, allevare i propri figli, fare tutti i lavori manuali, riparare un
motore, riconoscere un buon albero d’acero per farci lo sciroppo, sparare col
fucile, adoperare una sega elettrica senza timori, coltivare un campo, bere
birra e whiskey al pub. Diversamente dai liberals che “pensano di essere i
più furbi“, che usano il sarcasmo su tutto quanto non riconoscono, che
sostengono che tutto quanto è confusione ideologica e morale sia
consapevolezza, che frequentano le università più esclusive americane ed
europee dove imparano gli insegnamenti di Marx con cui indottrinano i giovani.
Il cibo: Prodotti del grano e carne, non importa se
gonfiata e intenerita da Ogm, preferibilmente di selvaggina cacciata, pesce
pescato, cucina semplice, casereccia, patate e fagioli, oppure tutto quanto ti
sfama in fretta e in qualsiasi momento del giorno: il tempo è denaro non
guadagnato. Solo i fighetti e gli alternativi, vegani o vegetariani, fanno
shopping alimentare a Wholefoods.
I valori: Umiltà e semplicità, le verità
del buon senso popolare dei “vecchi tempi”, di sempre, sono celebrati come veri
e originali valori americani. L’autenticità è quella che unisce la
gente comune e che distingue dai liberals falsi e ipocriti. Una persona vera è
cortese, gentile e rifugge dal sollevare argomenti, come la politica, che
possano mettere in imbarazzo gli interlocutori (salvo magari attivarsi per la
propaganda locale e poi votare Repubblicano), è una persona che lavora
duramente. Il frutto del lavoro è concreto: si può misurare in pounds, bushels (la
misura di capacità per i cereali), numero di mattoni posati, di chiodi
piantati, mentre i liberals sono burocrati e imbelli imbratta-carte che fanno
di tutto aria fritta. E poi c’è il patriottismo, sostenuto sovente
contro ogni evidenza quotidiana, che l’America è il Paese migliore del mondo,
dove tutte le libertà, anche più estreme se non contraddicono la morale e la
legge, sono ammesse, e di conseguenza non si accettano né interferenze né critiche
né tanto meno minacce esterne che impediscano il naturale corso della scalata
al benessere. E allora si benedicono i figli che vanno in Afghanistan o in Iraq
e vederli tornare in una bara innalza soltanto l’orgoglio, lo spirito di
sacrificio dovuto al Paese, la volontà di rivalsa estrema (“l’atomica contro i
terroristi”). Gli ultraconservatori non negano la realtà ma ne creano una
parallela funzionale alla loro abissale ignoranza e sono pronti ad accettare
una svolta politica autoritaria basta che garantisca la benzina a basso prezzo
e la possibilità di andare alle corse Nascar o alla partita di football, o di
fare acquisti al Wal-Mart.
In economia, il cittadino Repubblicano è per il libero
mercato, senza ostacoli o regole imposte da governo o da qualsiasi autorità
“esterna”, anche quando la realtà gli si ritorce contro sotto forma di tagli
allo stipendio, di precarietà, di perdita del lavoro, di aumento dei prezzi, “perché
un’azienda ha tutti i diritti di fare i propri interessi“.
Messo tutto questo insieme non deve stupire che, per molti,
un Barack Obama, Presidente nero che coltiva gli orticelli alla Casa Bianca,
che promuove una riforma sanitaria offensiva per la responsabilità individuale,
che favorisce le politiche ambientali, che è favorevole a una seppur blanda
regolamentazione delle armi, all’aborto e ai matrimoni omosessuali, sia un
elemento estraneo, non-americano, un socialista, la nefasta conseguenza della
cultura liberal. Hillary Clinton è quasi peggio: rappresenta l’establishment,
la falsità del potere, la burocrazia governativa, le minoranze non-americane,
l’odiato welfare, l’interferenza del governo sulle libertà costituzionali.
Quali risposte dal Partito Democratico?
A giudicare dal livello e dalle scelte tematiche del
dibattito di lunedi 26 e dalle sue premesse, la candidata Clinton ha fatto poco
per differenziarsi dall’avversario e quello che non ha detto non ha fatto che
confermare le mutazioni in corso nel suo Partito. Razza e genere sono temi
rientranti nella categoria dei valori, argomenti, come abbiamo visto, su cui la
destra ha occupato quasi pienamente il campo. Non è quindi un caso che le
posizioni espresse dalla Clinton siano solo lievemente più nette di quelle di
Trump parlando dei recenti omicidi polizieschi di cittadini neri: si è di fatto
limitata ad appoggiare le richieste della comunità nera di Charlotte in rivolta
di rendere pubbliche le riprese del fatto e a denunciare “il sistematico
razzismo” contro i neri. Giusto per confermare indirettamente l’assunto che il
Partito Democratico è il naturale riferimento per neri e minoranze. Il livello
delle risposte di entrambi, alle orecchie degli elettori, non fa che ribadire
sommessamente che dei neri e delle minoranze ai due partiti importa poco. Tanto
meno del proletariato bianco.
Sono anni che il PartitoDemocratico va in direzione diversa
da quella della propria storia per assorbire le fasce professionali di
indirizzo progressista (il termine yuppie fu coniato nel 1984 per descrivere i
sostenitori di Gary Hart), e per corteggiare élite culturali, corporation e
grandi aziende capaci di contribuire generosamente alle campagne elettorali,
molto più che i sindacati, base tradizionale del partito. Per tali fini, la
strategia dei cosiddetti New Democrats si è rivolta al sostegno forte e convinto
dei temi”ideologici” (per la libera scelta su aborto, omosessualità, razzismo,
diritti civili in genere), i valori, e mettere da parte a loro volta le
questioni economiche su cui con l’altra mano fare infinite concessioni: il
welfare, il Nafta, le leggi sul lavoro, la flessibilità delle norme
(deregulation), le privatizzazioni, le tasse, ecc. ritrovandosi su questo piano
in piena sintonia con i Repubblicani. Il voto dei lavoratori? Si suppone che
non abbiano altra scelta: il PD avrà sempre un piccolo margine di interesse per
loro che non gli avversari. E poi, diciamocelo francamente, quale politico in
un Paese che mette la corsa al successo in primo piano ha interesse ad essere
la voce dei poveri? O di sindacati che ormai contano per il 9% nel settore
privato. Quindi niente battaglie autolesioniste sui temi sociali: gli elettori
andranno a istinto. I Repubblicani ringraziano. I poveri sono sempre più soli,
abbandonati al consumismo selvaggio nella tempesta del libero mercato.
Ecco dunque come entrambi i partiti sono diventati veicoli
degli interessi primari dei ricchi o della medio-alta borghesia. Una tendenza
che sembra riguardare tutte le forze politiche dell’Occidente produttivo, che
tritura definizioni esauste come destra e/o sinistra.
E Dio, che dice?
Questo schematico ritratto del cittadino bianco, povero,
Repubblicano, non sarebbe completo e non basterebbe a far capire quanto possa
pesare sul piano politico senza considerare l’involucro ideologico-spirituale
fornito dalle dottrine evangeliche.
Parliamo dell’altro grande paradosso americano: una nazione che ha sancito dalle origini la separazione dello Stato dalla Chiesa ma che è la più “credente” degli altri paesi moderni contemporanei. I sondaggisti attuali certificano che il 62% dei blue collars va regolarmente in chiesa e una quota tra un quarto e un terzo di loro si riconosce nella definizione di “born again christian“, cristiano ri-nato. Nel loro insieme, i fedeli delle varie congregazioni evangeliche sono nella quasi totalità bianchi e con grado di istruzione massima di diploma superiore. Il fondamentalismo religioso è diviso in molte correnti e con le elezioni del 2000 è venuto allo scoperto sul terreno elettorale giocando un ruolo fondamentale per l’elezione di George W. Bush. Da allora si sono ulteriormente rafforzati e non c’è candidato dei due maggiori partiti che non coltivi rapporti con qualche settore cristiano-militante.
Parliamo dell’altro grande paradosso americano: una nazione che ha sancito dalle origini la separazione dello Stato dalla Chiesa ma che è la più “credente” degli altri paesi moderni contemporanei. I sondaggisti attuali certificano che il 62% dei blue collars va regolarmente in chiesa e una quota tra un quarto e un terzo di loro si riconosce nella definizione di “born again christian“, cristiano ri-nato. Nel loro insieme, i fedeli delle varie congregazioni evangeliche sono nella quasi totalità bianchi e con grado di istruzione massima di diploma superiore. Il fondamentalismo religioso è diviso in molte correnti e con le elezioni del 2000 è venuto allo scoperto sul terreno elettorale giocando un ruolo fondamentale per l’elezione di George W. Bush. Da allora si sono ulteriormente rafforzati e non c’è candidato dei due maggiori partiti che non coltivi rapporti con qualche settore cristiano-militante.
I fondamentalisti, in ogni religione, sono per
l’interpretazione alla lettera dei testi sacri e l’applicazione alla realtà
della parola di Dio. Come in Iran, come in Israele, come per i musulmani
jihadisti, tanto per fare esempi di attualità, i fondamentalisti cristiani
americani si pongono l’obiettivo di uno Stato teocratico. Certi evangelici
vorrebbero cancellare la Costituzione e instaurare la Legge della
Bibbia, altri sono convinti che laFine dei Tempi e le più cupe
profezie bibliche si stiano avvicinando. Una fine dei Tempi iniziata con la
fondazione di Israele e che dovrà compiersi con il ritorno del Messia ma solo
dopo un’apocalisse, l’Armageddon. Per affrettarne i tempi sostengono di voler
accelerare tale processo, favorendo l’occupazione totale dei “territori
biblici” da parte di Israele, se necessario anche con una guerra nucleare in
Medio Oriente. Per essi, chiunque si adoperi per la pace ritarda l’Avvento ed è
strumento di Satana. La sola speranza per gli uomini è di accettare Gesù come
salvatore personale.
In questa cornice, tutti i mali del mondo, le guerre,
l’aids, la criminalità, il collasso ambientale sono piaghe capitali, i segni
dell’avvicinarsi della desiderata Fine dei Tempi.
Si può immaginare quali possano essere le conseguenze politiche di un proselitismo su quelle basi, proselitismo più che mai attivo visto che, per esempio, Mike Spence, il candidato vicepresidente di Trump è uno di loro, come tanti altri politici a ogni livello di rappresentanza. Ci si può cominciare a preoccupare alla luce di una significativa aspettativa: Dio fornirà un leader cristiano per condurre il gregge americano, che diventerà il suo nuovo popolo eletto per estendere il vangelo a tutto il mondo e liberare la Terra dal Male 5
Si può immaginare quali possano essere le conseguenze politiche di un proselitismo su quelle basi, proselitismo più che mai attivo visto che, per esempio, Mike Spence, il candidato vicepresidente di Trump è uno di loro, come tanti altri politici a ogni livello di rappresentanza. Ci si può cominciare a preoccupare alla luce di una significativa aspettativa: Dio fornirà un leader cristiano per condurre il gregge americano, che diventerà il suo nuovo popolo eletto per estendere il vangelo a tutto il mondo e liberare la Terra dal Male 5
Il ramo dei “dispensazionalisti”, coloro che credono che gli
eletti verranno “rapiti” e portati in cielo, invoca anche lo smantellamento di
ogni tutela ambientale, perchè non ci sarebbe più bisogno di questo pianeta
dopo il “Rapimento”.
La dottrina fondamentalista è consolatoria e gratificante per chi non possiede che il proprio lavoro perché esige gratitudine per quello che Dio elargisce, anche se poco, ma non disdegna il vile denaro per accrescere gli strumenti di proselitismo e la disponibilità personale dei pastori: Tom Anderson, un esempio tra i tanti, è il fondatore della Living Word Bible Church di Mesa, Arizona. La sua Chiesa conta oggi più di 8000 fedeli, un patrimonio di 10 milioni di dollari e cinque sedi in tutto lo Stato. Anderson è autore anche del best seller Becoming a Millionaire God’s Way (Diventare milionari seguendo la strada di Dio) in cui istruisce la gente dicendo che “la prosperità si raggiunge con Dio, con il duro lavoro e con investimenti ben calibrati“. Lui ha evidentemente investito nella sua congregazione perchè chiede a ciascun fedele una “decima” del proprio reddito. Se poi vogliono dare anche di più saranno certi di essere chiamati in Paradiso.
La dottrina fondamentalista è consolatoria e gratificante per chi non possiede che il proprio lavoro perché esige gratitudine per quello che Dio elargisce, anche se poco, ma non disdegna il vile denaro per accrescere gli strumenti di proselitismo e la disponibilità personale dei pastori: Tom Anderson, un esempio tra i tanti, è il fondatore della Living Word Bible Church di Mesa, Arizona. La sua Chiesa conta oggi più di 8000 fedeli, un patrimonio di 10 milioni di dollari e cinque sedi in tutto lo Stato. Anderson è autore anche del best seller Becoming a Millionaire God’s Way (Diventare milionari seguendo la strada di Dio) in cui istruisce la gente dicendo che “la prosperità si raggiunge con Dio, con il duro lavoro e con investimenti ben calibrati“. Lui ha evidentemente investito nella sua congregazione perchè chiede a ciascun fedele una “decima” del proprio reddito. Se poi vogliono dare anche di più saranno certi di essere chiamati in Paradiso.
Le chiese fondamentaliste si sono espanse con la fine della
Guerra Fredda, con la sconfitta del Diavolo materialista. Hanno aperto
Fondazioni, scuole, università private, si sono allargate all’estero (anche qui
da noi), lavorando sottobanco, catalizzando contributi dall’odiato governo.6
L’obiettivo del cristiano militante è collocare sempre più credenti in posizioni di rilievo nello Stato e naturalmente ne hanno i mezzi e le capacità,7 tra cui quella di convogliare comunicazione alternativa, quella che semplifica ogni argomento con concetti facili da acquisire che alimenta a sua volta il risentimento verso i saccenti intellettuali liberal.
L’obiettivo del cristiano militante è collocare sempre più credenti in posizioni di rilievo nello Stato e naturalmente ne hanno i mezzi e le capacità,7 tra cui quella di convogliare comunicazione alternativa, quella che semplifica ogni argomento con concetti facili da acquisire che alimenta a sua volta il risentimento verso i saccenti intellettuali liberal.
Paradossalmente, ancora, la tensione mistica è al
massimo nell’America di oggi, con il suo carico di tensioni millenaristiche
e di ansie per la sopravvivenza quotidiana per i bianchi poveri, proprio quando
la crisi sancisce la vittoria completa delle corporation, del capitalismo
sfrenato. Tra i proletari bianchi8 c’è una rabbia
compressa, un odio palpabile verso tutto ciò che è ritenuto snob, elitario,
figlio degenerato della società urbana, superfluo, estraneo ai principi ed allo
spirito originari americani, che è difficile dire quali sbocchi possa avere. La
cattiva politica, i politicanti senza scrupoli ma anche l’ignavia dei progressisti
che, arroccati nel nord est e tra le minoranze non vedono la pancia del Paese e
ballano sul ponte del Titanic, hanno prodotto un capovolgimento di fronte nelle
classi basse che rischia di produrre scenari drammatici per tutti. E’ bene
esserne consapevoli.
Se poi qualcuno volesse trovare in quanto sopra descritto
qualche similitudine con processi in corso anche da noi, troverebbe qualche
ragione in più per preoccuparsi.
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**Master in
Studi Americani all’Università del Texas
- Nel recente ottimo film Hell or High Water di David McKenzie due fratelli si fanno rapinatori per pagare l’ipoteca della loro terra. Il Texas Ranger di origine Comanche che dà loro la caccia riflette con i colleghi bianchi:”…Il tempo rende giustizia. Le terre che avete preso ai Comanche ora le state perdendo con le banche…”
- McCarty, Rosenthal, Poole, Polarized
America. The Dance of Ideology and Unequal Riches, 2006, MIT Press
- Thomas Frank. What’s
the Matter with Kansas? How conservatives won the heart of America,
2005 Picador
4. Joe
Bageant. Deer Hunting with Jesus. Dispatches from America’s Class War,
2006, Crown Group
6. Il 7% degli stage di lavoro offerti
dall’amministrazione Bush è andato al Patrick Henry College di Purcellville,
Virginia, un college che offre programmi di intelligence strategica, diritto e
politica estera secondo una rigida visione cristiana del mondo. Il risultato è
la collocazione della cultura mainstream e dell’istruzione nel recinto delle
opzioni.
7. Un esempio significativo: sempre durante
l’amministrazione Bush jr., l’attivista della destra cristiana Kay Coles James,
ex presidente della Regent University del pastore Pat Robertson, è stata
nominata direttore dell’Ufficio per gestione del personale del governo.
8. Circa il
60% degli americani secondo una stima governativa del 2006, pre-crisi, che però
usa il criterio del grado di istruzione non del reddito, contando come
istruzione superiore anche le scuole professionali.
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