Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=k7LPILjBAmo
https://www.youtube.com/watch?v=plmoK22uMn4
Gas e petrolio sono da sempre al cuore della questione mediorientale: nelle vene di questa regione strategica per gli equilibri mondiali scorrono tutte le peggiori ragioni per fare una guerra e anche le migliori per fare la pace. Si tratta, in fondo, soltanto di scegliere e di conoscere la storia.
Nel 1947 l’americana Bechtel e la Saudi Aramco decisero di
realizzare un pipeline dai pozzi sauditi alle sponde del Mediterraneo. Si
trattava della famosa Tapline: nel primo progetto doveva arrivare ad Haifa in
Israele ma il piano fu accantonato dopo la dichiarazione di indipendenza dello
stato ebraico. Si scelse così un percorso alternativo che passava dalle colline
siriane del Golan e dal Libano, fino a Sidone. Il Parlamento siriano però
chiese più tempo per esaminare la questione e la risposta fu un colpo di stato
condotto dal colonnello Zaim con l’aiuto dell’agente della Cia Stephen Meade
che rovesciò un governo democraticamente eletto.
Soltanto quattro anni dopo, nel 1953, un altro colpo di
stato anglo-americano detronizzava in Iran il leader Mossadeq che aveva
nazionalizzato il petrolio. Il vero autore del golpe in Iran fu Kermit
Roosevelt jr, nipote del presidente Theodore Roosevelt. La sua foto negli anni
’50 mostra un quarantenne sorridente, con occhiali dalla montatura nera pesante
e l’aria mite di un professore: è il capo del della Cia in Medio Oriente, un
insospettabile uomo d’azione, coraggioso, capace come pochi di volgere gli
eventi a suo favore, anche nelle peggiori condizioni. Fu lui a dirigere sul
campo il colpo di stato contro Mossadeq.
I golpe americani a sfondo energetico e i loro segreti sono
una questione di famiglia: i Roosevelt, i Kennedy e ora i Clinton. C’è qualche
dubbio che coloro che oggi si proclamano “amici della Siria” come Stati Uniti,
Francia e Gran Bretagna lo siano veramente: gli ultimi due sono stati quelli
che si sono spartiti il Medio Oriente un secolo fa con gli accordi di
Sykes-Picot del 1916.
Gli accordi tracciavano i confini del futuro Medio Oriente
dopo la dissoluzione dell’impero ottomano. Ma Georges Clémenceau accettò di
“offrire” Mosul agli inglesi in cambio del controllo francese sulla Siria e sul
Libano.
La sorte di Mosul fu risolta alla fine della prima guerra
mondiale con un dialogo rimasto famoso nella storia. Il 1° dicembre 1918 il
capo del governo britannico Lloyd George si trovava a discutere con Clémenceau
all’ambasciata francese a Londra. Il capo del governo francese chiese al suo
interlocutore di cosa volesse parlare e Lloyd George rispose prontamente:
“Della Mesopotamia e della Palestina”. “Mi dica che cosa vuole”, chiese
Clémenceau. “Voglio Mosul”, disse Lloyd George. “L’avrà”, rispose Clémenceau.
Ma le cose sono così cambiate dai tempi di Clemenceau e di
Lloyd George? Per la Mesopotamia e la Siria non poi tanto se non fosse stato
per l’intervento russo del 30 settembre 2015, un attore che cerca di riempire i
vuoti lasciati dagli americani, per decenni determinanti negli eventi della
regione.
Robert Kennedy junior, nipote dell’ex presidente degli Stati
Uniti John. F. Kennedy, ha spiegato qualche tempo fa in un articolo per la
rivista “Politico” le vere cause della guerra in Siria. La radice del conflitto
armato in Siria nasce secondo Kennedy in gran parte dal rifiuto del Presidente
siriano Bashar Assad di consentire il passaggio di un gasdotto dal Qatar verso
l’Europa. “La decisione americana di organizzare una campagna contro Assad _
afferma Kennedy _ non è iniziata a seguito delle proteste pacifiche della
primavera araba del 2011, ma nel 2009, quando il Qatar ha offerto di costruire
un gasdotto per dieci miliardi di euro che avrebbe dovuto attraversare Arabia
Saudita, Giordania, Siria e Turchia“,
Si trattava di una sorta di riedizione allargata della
Tapline che aveva portato al golpe del colonnello Zaim nel 1949. Questo
progetto avrebbe fatto sì che i paesi del Golfo guadagnassero un vantaggio
decisivo sui mercati mondiali e avrebbe rafforzato il Qatar, un paese
strettamente alleato di Washington.
Il presidente siriano Assad nel 2009 rifiutò il progetto
dicendo che avrebbe interferito con gli interessi del suo alleato russo, il più
grande fornitore di gas naturale verso l’Europa.
Ecco un buon motivo per riflettere su qualcuna delle
motivazioni dell’intervento di Mosca in Siria e sull’incontro recente di Ankara
tra Erdogan e Putin per la ripresa del gasdotto Turkish Stream. Bisogna stare
ben attenti quando si parla di progetti di collaborazione bilaterali in campo
energetico in Medio Oriente: se fai un favore a qualcuno stai pur certo di
urtare qualcun altro.
L’anno seguente, nel 2010, Assad iniziò a trattare con
l’Iran, suo alleato storico, per la costruzione di un altro gasdotto destinato
a trasportare il gas iraniano verso il Libano passando dall’Iraq: la repubblica
islamica, se questo progetto fosse mai stato attuato, sarebbe diventato uno dei
più grandi fornitori di gas verso l’Europa. Secondo Kennedy, che cita report
dell’intelligence cui ha avuto accesso, subito dopo la bocciatura del progetto
iniziale, i servizi americani, assieme al Qatar e all’Arabia Saudita,
iniziarono a finanziare l’opposizione siriana e a preparare una rivolta per
rovesciare il regime.
Difficile dire fino a che punto la versione di Kennedy sia
provata ma non c’è dubbio che l’Iran ha sempre visto la Siria e gli Hezbollah
libanesi come una proiezione strategica verso le coste del Mediterraneo e
un’opportunità per esportare il suo gas in Europa.
Una paio di cose però sono sicure. Nel giugno 2011 gli
Emirati, a nome dei Paesi del Golfo, offrono ad Assad aiuti equivalenti a tre
volte il bilancio statale annuale di Damasco (allora 50 miliardi di dollari,
quindi in totale 150 miliardi) per rompere l’alleanza politica, militare de economica
con Teheran. In cambio, oltre ai soldi, gli arabi del Golfo promettevano che
sarebbe finita la rivolta cominciata a Daraa in marzo e che si era propagata a
Damasco e Hama.
Il rifiuto di Assad è seguito da un segnale americano
inequivocabile. Il 6 luglio 2011 l’ambasciatore Usa a Damasco Ford si reca da
Hama e viene filmato mentre saluta calorosamente i ribelli anti-Assad. Mai si
era visto un ambasciatore americano fare un gesto simile in un Paese ostile e
soprattutto del Medio Oriente: i ribelli di Hama erano diventati la sua vera
scorta. Il giorno dopo arriva in città anche l’ambasciatore francese.
E’ cosi che la legittima protesta popolare contro un regime
autocratico e brutale si è trasformata in una guerra per procura con la
partecipazione attiva della Turchia, il beneplacito dell’allora segretario di
Stato Usa Hillary Clinton e i finanziamenti dei sauditi e del Qatar.
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