mercoledì 26 ottobre 2016

Studio su Hegel: Estetica - Stefano Garroni


[8] - Lo Hegel giovane “approfondisce il progetto schilleriano dell’educazione estetica attribuendo all’arte ed alla poesia intesa come <maestra dell’umanità> la funzione storica di trasmissione attraverso la bella apparenza di una razionalità divenuta sentire comune di un popolo libero. L’azione etica è in tal senso un’azione bella, colui che la compie è una <bella figura> ed al tempo stesso la sua esistenza è un ideale, cioè un’idea concretamente calata nella realtà storica.” (AAVV, 7376: 201s).

Interessante Cassirer, 6508: 156-8 - «In seguito i filosofi hanno cercato di evitare questa conclusione [la condanna platonica dell’ arte]  assegnando all’ arte una meta più elevata. Ci hanno spiegato che l’ arte riproduce non già il mondo fenomenico, ma il mondo sovrasensibile. Questa idea prevale in tutti i sistemi dell’ estetica idealistica: da Plotino giù giù fino a Schelling e Hegel. La bellezza, si afferma, non è una mera qualità empirica o fisica delle cose; è un predicato intelligibile, sovrasensibile. Nella letteratura inglese troviamo questa concezione, per es., nelle opere di Coleridge e di Carlyle. In ogni opera d’ arte, afferma Carlyle, noi discerniamo l’ etermità che traspare nel tempo, il divino reso visibile» (Cassirer, 6508: 158).

«... Baumgarten, sappiamo,  propose con notevole successo postumo il nome intenzionalmente filosofico di “estetica”, per molti decenni accettato però solo in area tedesca. Kant non lo adoperò mai come nome disciplinare, non sentendo affatto il bisogno di dare un nome quale che sia a una riflessione che non era un sapere. Schelling tenne poi lezioni non di “estetica”, ma di “filosofia dell’ arte”, e anche Hegel avrebbe preferito questo nome a quello, impostosi in sostanza per ragioni di routine accademica.» (Garroni, 6631: 37). Platonismo estico di Hegel versus Kant. (AAVV, 7376: 203).

[8.1] - “A Jena la concezione hegeliana della mitologia subisce però un processo di trasformazione che conduce ad un deciso ridimensiona­mento del ruolo dell'arte rispetto alla religione e soprattutto rispetto alla speculazione filosofica. Da un lato l'immagine della grecità co­me totalità armonica è sostituita da un modello conflittuale in cui la religione greca è vista come il risultato di una lotta tra dèi antichi e nuovi, tra mitologia naturale e mitologia spirituale.  Dall'altro, nella definizione del rapporto tra mondo greco e mondo cristiano, a que­st'ultimo è attribuita una significativa preminenza in quanto supera e riassume in sé gli elementi spirituali della religione naturale del mon­do orientale e della religione artistica dei greci. Tale posizione, che diviene esplicita alla conclusione del periodo di Jena, nella Fenome­nologia dello spirito, ha come conseguenza la non trasponibilità nel mondo moderno, fondato sulla riflessione, del ruolo egemonico e globalizzante che l'intuizione estetico-mitologica ricopriva nel mon­do della polis.” (AAVV, 7376: 202).

[8.2] - Nel 1801, Hegel vede i rapporti fra arte e filosofia in modo analogo a come pensa i rapporti tra l’uomo d’azione e il filosofo. (AAVV, 7376: 202s). “Col cristianesimo (si ha) l’affermazione del principio dell’interiorità e la conseguente assunzione di un ruolo secondario dell’arte nell’espressione dell’interesse fondamentale dello spirito.” (AAVV, 7376: 206).

“L’estetica di Hegel si propone essenzialmente  come una filosofia dell’arte o, meglio,... una filosofia dell’arte bella. A tale definizione debbono esser ricondotti alcuni degli elementi fondamentali della teoria hegeliana: l’interesse esclusivo per l’arte come prodotto di una specifica attività dello spirito umano, con la conseguente esclusione dalla sfera estetica della bellezza naturale [bello naturale], la sua fondazione in una concezione speculativa del bello, l’affermazione della necessità di un’esplicazione filosofica dei contenuti artistici. Il bello è per Hegel in primo luogo una forma peculiare di estrinsecazione del vero, una modalità di manifestazione dell’idea assoluta.” (AAVV, 7376: 210); “Diversamente da Kant, Hegel esclude recisamente il bello naturale dalla considerazione estetica.” (AAVV, 7376: 212); i termini in cui Hegel dà spazio alla bellezza naturale (AAVV, 7376: 213s). Su Romanticismo e bello naturale, cf. roman.doc.


[8.3] - “Laddove Hegel afferma che <il sensibile è nell’arte spiritualizzato, giacché lo spirituale in essa appare sensibilizzato>, ha in mente una reciprocità solo parziale nel rapporto tra i due termini. Se infatti nella fantasia, che è la specifica facoltà di produzione dell’arte, il sensibile costituisce il mezzo necessario in cui si realizza la coscienza del contenuto ed il termine opposizionale a partire dal quale il razionale può estrinsecarsi, si tratta tuttavia di un sensibile di cui è messa in parentesi tanto la struttura materiale che <l’interna compiutezza ed espansione empirica dell’organico>, elementi considerati irrilevanti per lo spirito.” (AAVV, 7376: 214s). - [così come la ragione completa l’esistente, liberandolo delle sue particolarità, per fare emergere/produrre il concetto; analogamente la fantasia, produttrice d’arte, semplifica il sensibile, per farne il viacolo dello spirituale; in realtà, completamento e semplificazione si implicano e rovesciano l’uno nell’altro]. Da 1episte.doc traggo: - Posto che conoscere scientificamente implichi il <completare/completamento>, dovrebbe risultarne: per poter dire <conoscenza vera>, i fattori da tener nel conto dovrebbero essere (1) il rispetto di regole grammaticali o logico-formali, nel senso del modo in cui una teoria (un enunciato) è costruita; (2) il rispetto di regole di <corrispondenza>, ovviamente con la consapevolezza del paradosso, per cui la corrispondenza riguarderebbe -ma fuori da una contrapposizione ‘intellettualistica’- entità diverse: da un lato l’ <oggetto di pensiero>, dall’ altro l’ evento effettivo -l’ <oggetto di pensiero> come guida per la risoluzione del geroglifico: in questo senso, è utile Trinchero, 7336: 172b che, a proposito della teoria del significato elaborata da Frege, sottolinea come essa sia avversa ad una concezione tipo <parola - immagine- significato> (la contrapposizione ‘intellettualistica’ di segno e significato, con la mediazione di una incerta immagine mentale [cf. Wittgenstein]), in quanto, posto il nesso regola linguistica/uso/significato, quest’ ultimo è definito, anche, all’ interno del sistema grammaticale; (3) organicità della teoria -o enunciato- all’ interno di un corpus già acquisito di verità; (4) consapevolezza della storicità del costrutto; qui si pone anche la questione del rapporto fra <completamento> e il suo opposto -vale a dire quella semplificazione, di cui dice Peirce -giusta AAVV, 7124: 388-9-: dacché il paradosso sembra questo: semplificare l’ oggetto complesso implica -o potrebbe implicare- un completarlo; dovrebbe almeno esser vero che i due atti -del completamento e della semplificazione- possono risultare le due facce di una stessa medaglia; se questo fosse vero, potrebbe risultare nello stesso tempo vero che la teoria T completa l’ oggetto O, ma anche lo semplifica; e viceversa. Da confrontare su questi punti quanto scrive Cesa, 5627: 59 a proposito della posizione di Feuerbach, che è significativamente opposta a quella del Marx (hegeliano) del 1857. Di qui, anche, la possibilità di riconsiderare sia Hegel che Marx rispetto ai punti sopra indicati, che andrebbero a loro volta messi a confronto con Nagel. In questo senso, tieni presente W. Goldschmidt che -in AAVV, 7124: 335-6, polemizzando con Holz- riconosce sì la funzione euristica o epistemeologica di un momento speculativo all’ interno del metodo marxiano, ma rifiuta, anche, qualunque speculazione che pretenda ‘completare’ l’ empiria (ergänzende Spekulation). [Domanda mia: come posso individuare/descrivere un determinato fenomeno empirico, se non presupposto una teoria, dunque, un costrutto anche speculativo? Certo, i criteri di verifica di ciò che, posta una certa teoria, è empirico, e di ciò che è speculativo, son diversi; ma perché <reale> dovrebbe essere usato, solo, come sinonimo di <empirico>?]. - Da Diderot, 0763: 899 ricavo che ciò che io chiamo il <completamento> epistemologico può avere le sue origini in quel pensiero classico (greco), che pensa ogni reale composto di tutti gli elementi naturali, per cui nulla è l’uno (elemento) senza essere anche l’altro.
Da gwfh.doc traggo: - Hegel vuole <<dedurre il mondo dall’ idea>>, nel senso che vuole dedurre i principi ed assiomi delle scienza dal muoversi delle categorie. In tanto è possibile una conoscenza teorica, in quanto si presuppone un sistema, ovvero che le singole parti si dispongano in una rete di interconnessioni; in altre parole, nella prospettiva della conoscenza teorica, la ‘parte’ è assunta, in quanto si dispone ad una rete di interconnessioni -non si tratta, dunque, dell’ immediata ‘parte’, ma sì della ‘parte’, in quanto inseribile in un contesto (l’ oggetto di pensiero) [cf. Cassirer, 521: 330a]. Come mostra Cassirer, 521: 328a, a questo si lega il concetto di <<integrale>>  e di <<integrazione>> -o, come, ho appuntato in altro luogo e nelle schede- di <<completamento>> (Cassirer, 521: 330b): tutto ciò serve bene a comprendere cosa sia l’ <<oggetto di pensiero>>, dunque, un certo trattamento dell’esperienza, che la disponga alla ‘legalità’ (Cassirer, 521: 332).

[8.4] - Il concetto di <arte> è logico - storico e chiama in causa la Bakanntschaft. Il che appunto significa che il sistema di intrecci fra  prodotto artistico ed una più generale fase della storia dello spirito non è puramente intellettuale, ma implica i vari aspetti della realtà culturale. (AAVV, 7376: 216). Quella di Hegel è un’estetica del contenuto -ovviamente, spirituale. (AAVV, 7376: 216a). 

[8.5] - Simbolismo/simbolo.
Il simbolico -essenzialmente connesso alla religione orientale- è la prima forma dell’arte, preparatoria dell’arte classica (AAVV, 7376: 218). - Sul simbolismo, discussioni con Creuzer, G.F. (AAVV, 7376: 219). - “E solo a partire dal 1821, successiva­mente al primo corso di estetica, che Hegel estende in maniera significativa la trattazione del simbolismo orientale, come testimonia una lettera a Creuzer del maggio di quello stesso anno in cui dà co­municazione di una lettura approfondita della recente seconda edi­zione della Symbolik und Mythologie der alten Völker ed afferma che ne farà uso per le lezioni del semestre invemale. Lo stesso Creuzer aveva sino allora incentrato le sue ricerche, sulla scorta di suggestioni neoplatoniche, sul simbolismo egiziano, giungendo ad una trattazione ampia del simbolismo indiano e persiano solo nell'edizione del 1821 della Symbolik.  Il punto su cui Hegel in gran parte concorda con la posizione creuzeriana è l'interpretazione del simbolo come espressione del patrimonio spirituale dei popoli antichi. E ciò non nel senso di un intenzionale, consapevole abbellimento-mascheramento di contenuti razionali per mezzo di immagini- compiuto da dotti e destinato al popolo, ma piuttosto dell'espressione intuitiva di una ra­zionalità ancora in fieri, non adeguatamente chiara a se stessa. Il sim­bolismo non è considerato come uno sviluppo cosciente di pensieri ma come un tipo di produttività istintiva. Hegel prende dunque parte per Creuzer, pur criticandone alcuni eccessi, contro l'interpretazione puramente «storica» dei miti propugnata da Voss e da Lobeck, se­condo cui la mitologia sarebbe un insieme di storie e di figurazioni da assumere come un sistema autonomo di significati, individuando­ne la genesi storica ... Ciò che invece da Creuzer lo distacca è la convinzione che tra il simbolismo pre-arti­stico dell'Oriente e il mito greco sussista una differenza di tipo strut­turale e che quindi non si possa pensare in termini di continuità, o di derivazione della mitologia greca da quella orientale.” (AAVV, 7376: 219s).  - Per il rapporto apparenza/essenza, traggo questo da gwfh.doc: "Es it das Wesen, wodurch das Dasein Erscheinung ist, oder bestimmter ausgedrückt: was in Erscheinung scheint, ist das Wesen, aber zugleich ist sie auch nur Erscheinung; sie enthält zugleich in Einem die Bestimmung, nicht das Wesen zu sein." (Hegel, 1134.3:501b) - quindi l'Erscheinung è l'Erscheinung del Wesen ma, contemporaneamente, ha la determinazione di non essere Wesen: dal punto di vista formale, richiama di fatto le argomentazioni del Parmenide. Ovviamente, è significativo che, di seguito, Hegel svolga l'argomento anti-'intellettualistico' a proposito della mitologia: evidentemente, ciò significa ribadire che l'Erscheinung non è riducibile al Wesen (nota anche i toni anti-riduzionistici, a proposito delle religioni primitive, presenti in Carlyle, 6413:16-7); anche una lettura 'intellettualistica' dell'Erscheinung va rifiutata, l'anti - 'intellettualismo' vale anche per l'Erscheinung in generale; il 'riduzionismo' è da Hegel rifiutato. [Sulla questione del significato di Erscheinung, cf. anche § 48] Come conferma dell'anti-riduzionismo hegeliano, leggo la p.508 dello stesso testo: "Die Idee, welche das philosophische System einer Zeit ausdrückt, hat dies Verhältnis  zu seiner übrigen Gestaltung, daß sie die Substanz  seines Universums, sein allgemeines Wesen, [seine] Blüte ist, das wissende Leben im reinen Denken des einfachen Selbstbewußtseins [serve per Bakanntschaft? Cf. anche la nota 222, in Q/L.]. Aber der Geist ist nicht nur dies, sondern...eine vielseitige  Entwicklung seines Deseins; und die Stufe des Selbstbewußseins, die er erreicht hat, ist das Prinzip, das er in der Geschichte, in den Verhältnissen seines Daseins offenbart." - Modernità della concezione hegeliana del simbolico (AAVV, 7376: 220s). - Differenza tra simbolo e segno (AAVV, 7376: 221s). - E’ accostabile al feticismo il simbolismo incosciente della religione della luce? (AAVV, 7376: 223)

[8.6] - [Arte classica/arte romantica] “L’arte assolutamente perfetta è per Hegel quella classica, mentre la vicenda del romantico annuncia piuttosto la dissoluzione e la fine della destinazione veritativa dell’arte nel mondo contemporaneo, in chiarissima antitesi con la filosofia romantica della storia dell’arte, che attraverso  la vicenda storica di essa  preconizzava... una nuova grande arte progressista.” (D’Angelo, 7582:53).

[8.7] - “... la tesi hegeliana della morte dell’arte può anche essere letta come una presa di posizione antiromantica, come lo schierarsi dalla parte del protestantesimo, della sua diffidenza nei confronti delle immagini e della pompa del culto, contro la rinascita del cattolicesimo tramite l’estetizazione della religione.” (D’Angelo, 7582: 54s). L’inglese T.L. Peacock sostiene anch’egli la tesi della morte dell’arte, per la sua incapacità di seguire il passo moderno dello sviluppo tecnico e scientifico. (D’Angelo, 7582: 76). 



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