Da:
http://www.controlacrisi.org/ - Isaac Deutscher,
Profilo dell’ex comunista. Originalmente pubblicato su «
The Reporter» nell’aprile 1950, il testo è tratto da A. Saitta,
Storia e miti del ‘900, Laterza, Bari 1960, pp. 671-86 (traduzione di Chiara Frugoni).
Ingiustamente dimenticato, il testo che segue – risalente al 1950 – meriterebbe di figurare in un’antologia letteraria della guerra fredda; ma di una guerra fredda particolare, quella che alcuni spiriti magni provarono a combattere, con le sole armi della finezza critica e dell’onestà intellettuale, contro entrambi gli eserciti in lotta: contro i marxisti di stretta osservanza staliniana e contro i liberali di zelante obbedienza maccartista. Si tratta dunque di pagine datate, tanto meglio intelligibili quanto più esattamente le si collochi nella stagione culturale di una guerra senza quartiere fra comunisti e anticomunisti. Eppure sono pagine così felicemente concepite da restare valide quand’anche sottratte alle minute circostanze della loro genesi; sono pagine (avrebbe detto Gramsci) da leggere
für ewig.
Nella sua prima versione a stampa, il testo fu pubblicato dalla rivista americana «
The Reporter» come recensione di un libro che andava facendo scalpore sulle due sponde dell’Atlantico:
Il Dio che è fallito, cosmopolita testimonianza di sei intellettuali – Arthur Koestler, Ignazio Silone, Richard Wright, André Gide, Louis Fischer, Stephen Spender – sulla loro esperienza di adesione e poi di rigetto del comunismo.1 A sua volta, il testo della recensione del «Reporter» corrispondeva al tenore di una conferenza «riservata» che Isaac Deutscher aveva tenuto, durante l’inverno 1949-50, ai docenti dell’università di Harvard.
Ricostruire le singolari vicende di questa
lecture è il modo migliore per rendere conto delle sue implicazioni politiche e culturali. Invitando il giornalista e storico polacco – da un decennio emigrato a Londra, dove si era affermato come collaboratore fisso dell’«
Economist» e dell’«
Observer»2 – a testimoniare lui stesso sul comunismo, l’università di Harvard intendeva probabilmente, nel pieno della stagione maccartista, portare acqua al mulino dell’anticomunismo. In effetti, la reputazione americana di Deutscher era soprattutto legata alla recente pubblicazione di una sua severissima biografia di Stalin.3 Peccato che per un uomo come Deutscher (la cui militanza politica, nella Polonia degli anni Trenta, era stata segnata dalla duplice matrice del trockijsmo e del sionismo), la volontà di denunciare i crimini del comunismo non equivalesse al proposito di alimentare la propaganda anticomunista. Al contrario, il ragionamento sotteso al suo Stalin consisteva proprio in una rivalutazione, di contro alla degenerazione staliniana, dei meriti originari dell’ideologia marxista e della rivoluzione sovietica.