Visualizzazione dei post in ordine di data per la query Paolo. Ordina per pertinenza Mostra tutti i post
Visualizzazione dei post in ordine di data per la query Paolo. Ordina per pertinenza Mostra tutti i post

mercoledì 19 marzo 2025

La Prefazione alla "Fenomenologia dello spirito" di Hegel - Stefania Achella

Da: AccademiaIISF - Stefania Achella è ricercatrice di Filosofia morale presso l’Università degli Studi Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara. Studiosa della filosofia tedesca, in particolare del pensiero di Hegel e di Jaspers, dei quali ha tradotto alcune opere, è co-curatrice dell’edizione italiana delle Lezioni di filosofia della religione di Hegel (3 voll., 2003-2011). A Hegel ha dedicato due monografie sul rapporto tra religione e filosofia e diversi articoli (tra i più recenti: Hegel Political Theologian? e L’ontologia vivente di Hegel). Negli ultimi anni si è dedicata alla ricezione italiana del pensiero hegeliano, in particolare nella filosofia di Bertrando Spaventa (Spaventa lettore di Hegel, 2017). Coordinatrice del laboratorio di Migration Studies istituito presso l’Università di Chieti-Pescara, lavora attualmente sui concetti di vita e di corporeità nella filosofia classica tedesca.

La Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, scritta nel 1807, è uno dei più ardui e affascinanti testi filosofici. In esso Hegel si sofferma sul concetto di filosofia e sulla possibilità, offerta a tutti dalla maturità dell'epoca, di accedere al sapere assoluto ossia alla scienza. Il laboratorio ne propone una lettura strettamente aderente al suo sviluppo argomentativo.

Prima parte:

                                                                           


martedì 25 febbraio 2025

Occidente? No, grazie - Paolo Crocchiolo

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Paolo Crocchiolo già professore di Etica e diritti umani all'Università Americana di Roma, attualmente professore di Geopolitica all'Università Popolare Antonio Gramsci.

Leggi anche: Evoluzionismo dialettico e materialismo storico: collocare le società e le culture umane nel contesto più ampio della storia naturale Paolo Crocchiolo

(https://www.sciencepublishinggroup.com/article/10.11648/j.ijp.20251301.12)


È uscito recentemente in libreria un nuovo libro di Federico Rampini Grazie, Occidente. Tutto il bene che abbiamo fatto (Mondadori, 2024)[1]


Già a partire dal titolo, il concetto di “Occidente” sembra alludere a un’entità a sé stante, a prescindere cioè dal contesto storico che lo lega dialetticamente al “non-Occidente” e soprattutto al “Sud globale”.

Nella narrazione rampiniana l’idea di Occidente finisce per identificarsi con il modello di civiltà incarnato dal libero mercato e dal capitalismo tout court, trascurando completamente il travagliato percorso storico che ha caratterizzato nel loro evolversi la nostra come le altre società umane.

Dal punto di vista del materialismo storico le origini dell’Occidente si possono far risalire alla “rinascita dell’anno mille” e alle Crociate, vere e proprie guerre proto-coloniali in occasione delle quali le nascenti borghesie commerciali dei comuni e soprattutto delle repubbliche marinare si affacciavano per la prima volta come forze autonome rispetto al preponderante mondo feudale. È però solo più tardi, nel Rinascimento, che l’accumulo di risorse e di potere da parte della nuova classe emergente, anche in coincidenza con la conquista dei territori d’oltremare e lo sfruttamento intensivo delle loro popolazioni, comincia a tradursi in progressi culturali sia nel campo filosofico-umanistico che in quello della ricerca e, conseguentemente, delle scoperte tecnico-scientifiche (che prima erano state piuttosto monopolio di altre zone non-occidentali come il mondo islamico, o come la Cina, quest’ultima però più tesa ad isolarsi in sé stessa e a non espandersi militarmente in altri continenti). Già Marx rilevava come la produzione delle risorse materiali tendeva a trasformarsi in produzione di risorse intellettuali che a loro volta contribuivano in un rapporto dialettico a retroagire sull’acquisizione delle prime.

sabato 11 gennaio 2025

Pasolini, Salvini e il neofascismo come merce - Wu Ming 1, scrittore

Da: https://www.internazionale.it -  

Leggi anche: Tu che straparli di Carlo Giuliani, conosci l’orrore di Piazza Alimonda? - Wu Ming   

“Perché siamo tutti in pericolo” - PIER PAOLO PASOLINI  

Pasolini, ultima vittima di Salò - Giorgio Gattei  

Un’introduzione alla lettura di Michel Clouscard: «Neofascismo e ideologia del desiderio» - Aymeric Monville 


Pier éaolo Pasolini con Leonida Repaci, Alberto Moravia e Guido Piovene al Lido di Venezia, nel 1968. 



4.6.2018 

“Nel futuro la storia c’è ancora, e la storia è confusione; benché sia assurdo pensarci, nel futuro immediato ci può essere sempre qualcosa di imponderabile che può togliere ai fascisti quel successo che tutti prevedono ed essi tracotanti si aspettano”.

Così scrive Pier Paolo Pasolini nell’appunto 64 del romanzo incompiuto Petrolio.

Stralciato dal testo e letto oggi, sembra un invito a non arrendersi, a non darsi per vinti di fronte all’avanzare dell’ondata reazionaria, xenofoba, razzista e quant’altro.

In quell’abbozzo di capitolo, invece, si parla di tutt’altro: un rimpasto dentro l’Eni. Il protagonista del romanzo, funzionario dell’ente in quota “area cattolica di sinistra”, rischia di essere scalzato da “un uomo decisamente di destra, proposto (anzi, quasi imposto!) da Almirante”, ma riesce a conservare l’incarico spingendosi a destra egli stesso.

È solo uno dei molti possibili esempi di come estrapolare frasi di Pasolini e cercare di adattarle al presente possa generare ogni sorta di equivoci.

Il tormentone del “Caro Alberto”
Durante la lunga campagna per le scorse elezioni politiche, segnate da due fatti di sangue a chiaro movente razzista (a Macerata il 3 febbraio e a Firenze il 5 marzo), circolava un meme. Partito da circuiti di destra, ben presto è dilagato sui social network, in differenti versioni ma sempre con lo stesso schema e messaggio. Una foto di Pasolini era accompagnata da questa citazione:

giovedì 26 dicembre 2024

L’Europa si prepara alla guerra aumentando le spese militari - Pasquale Esposito

 Da: https://www.mentinfuga.com - Pasquale Esposito, il mio nome è un alias. Un omaggio alla città che mi ha brillantemente ospitato per una decina d’anni. Ma soprattutto è il tener viva l’attenzione agli “Esposti” di ieri e di oggi, quelli che erano e sono abbandonati. Per Mentinfuga mi occupo di Esteri. 

Ascolta anche: Parliamo della crisi francesce con Ophélie Sauger https://grad-news.blogspot.com/2024/12/caffe-e-cornetto-lultimo-metro-parliamo.html?m=1


L'EUROPA SI PREPARA ALLA GUERRA: CHI AGGREDIREMO ? 

Non risulta che ci dobbiamo difendere da qualcuno, forse intendiamo attaccarlo ?
Ma questa Europa lavora per la pace o per la guerra ? Forse la lobby dell'industria militare detta le politiche estere ed economiche europee ? D'altra parte le esigenze di stabilità finanziaria impongono un doloroso contenimento della spesa pubblica, ma se questa viene maggiormente assorbita dalle spese militari, che ne sarà del servizio pubblico sanitario già insufficiente per curarsi ? Al pronto soccorso già si rimane in barella per oltre una settimana e i tempi per una visita specialistica già sono da sei mesi ad un anno...
E le pensioni, già da fame ? Verranno ridotte ancora, sempre per alimentare l'industria della guerra ? Ci toglieremo il cibo di bocca per produrre cannoni ?
Se le prospettive sono quelle dell'Europa in guerra e della miseria dei cittadini (ma non dei padroni -grandi capitalisti e politici e comunicatori lacchè- che al contrario si arricchiscono), perché ci scandalizziamo della crescente violenza ed omicidi ? Perché mai parlare di contrastare i femminicidi, i morti sul lavoro, la violenza giovanile, le discriminazioni sessiste, i danni del fumo ? Che importanza avranno mai queste inezie, di fronte a possibili scenari catastrofici di milioni di morti come preventivabili in un ipotetico scenario di guerra in Europa ? 

Le politiche in atto nulla fanno per scongiurarla: al contrario, la preparano, la rendono possibile, probabile, necessaria...
Ricordo un particolare storico alquanto inquetante: nei mesi ed anni che hanno preceduto la Prima Guerra Mondiale, i partiti guerrafondai e le stesse masse, le quali, come oggi, hanno subito un "lavaggio del cervello" dai media, spingevano per l'entrata in guerra, inizialmente senza nemmeno aver deciso se partecipare a fianco degli Imperi centrali o dell'Intesa.
Anche oggi stiamo andando in questa direzione ? Oppure, non so se sia meglio, abbiamo già deciso di fare la guerra a Cina e Russia, solo perché la prima cresce economicamente più di noi e la seconda perché non si lascia sottomettere e sbranare dai nostri grandi capitali?
Sembra che il motto "comunismo o barbarie" si stia purtroppo realizzando. (Paolo Massucci per il Collettivo) 
--------------------------

sabato 21 dicembre 2024

Il funzionamento delle Assicurazioni sanitarie evidenzia la contraddizione insuperabile tra libero mercato e soddisfazione dei bisogni - Paolo Massucci

Da: https://futurasocieta.com - Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni. 



Il funzionamento delle assicurazioni sanitarie private evidenzia insuperabili contraddizioni tra libero mercato e soddisfazione dei bisogni: non compensano ma acuiscono le discriminazioni di classe sulle cure mediche e si avvantaggiano delle crescenti carenze del Ssn. 


Il recente omicidio negli Stati Uniti del CEO della United Healthcare ha riportato nel dibattito pubblico il tema delle Assicurazioni sanitarie. Le Assicurazioni sanitarie, compreso quelle di categoria contrattuale che si appoggiano sempre a grandi Compagnie private, sono in costante sviluppo anche in Italia, ma rappresentano la quintessenza dell'irrazionalità del mercato neoliberista. Esse costituiscono delle macchine altamente inefficienti, che dissipano risorse finanziarie, spartite tra i diversi attori economici capitalistici intermediari, creando, in ultima analisi, una disutilità sociale.

Il punto è questo: se si fabbricano ad esempio salami, al netto dei profitti assorbiti dai capitalisti, il cliente, nel godere del prodotto, nulla sottrae al capitalista. Anzi, pragmaticamente, più il salame è buono e meglio è per tutti. Non che non esistano contrapposizioni tra venditore e consumatore: tutti i metodi del marketing, dal design della confezione di un prodotto alla comunicazione pubblicitaria, hanno lo scopo di aumentare il desiderio del prodotto, facendo particolarmente leva su diversi livelli del subconscio, al fine di incrementare il valore di scambio del prodotto; i creatori pubblicitari insistono ormai da decenni che più che il prodotto fisico si vende un'emozione e infatti si parla di “immagine” del prodotto. E tutto quello che sta dietro la promozione del prodotto, l’industria pubblicitaria, costituisce una porzione significativa del suo costo che si scarica sul prezzo finale di acquisto. Ciò non rappresenta, in un certo senso, un costo irrazionale per la collettività, in termini di risorse, di lavoro umano, e via dicendo?

A tal proposito, un banale episodio che mi ha fatto riflettere è stato l'impiego da parte di una Società di catering in ambito di erogazione di servizio di mensa aziendale di bustine monoporzione di olio extravergine di oliva da 10 ml a disposizione degli utilizzatori del servizio, in sostituzione delle bottiglie dello stesso olio. Se si considera che, rispetto alla bottiglia di olio, la monoporzione ha un costo, a pari contenuto, maggiorato a seguito del processo di confezionamento, al materiale della bustina, allo scarto dovuto ad una certa percentuale di rotture delle bustine, nonché alla perdita di olio che rimane adeso alla bustina dopo l'utilizzo e al costo di smaltimento delle bustine, per non parlare dell'inquinamento da rifiuti, si comprende come la razionalità dell'economia capitalistica non coincida con quella complessiva.

venerdì 13 dicembre 2024

Quale progresso nel capitalismo? Una amara riflessione... - Paolo Massucci

Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni. 

Leggi anche: Perché guardiamo passivi lo scempio - Pino Arlacchi 


Due brevi letture di due miei amici e compagni, mi hanno fatto  molto pensare, con angoscia. Parlo della bella e drammatica poesia di Aristide ("insieme a tutti gli altri" - Aristide Bellacicco) e  dell'interessante articolo di Alessandra su futurasocieta (La guerra in Ucraina deve continuare a tutti i costi - Alessandra Ciattini). 
Andrebbero meglio divulgati... 

Mi sembra, temo, che il capitalismo, nel corso dell'ultimo cinquantennio, abbia minato, ad oggi, le basi ideologiche e morali che rendono possibile la costruzione di una alternativa. Quest'ultima, qualunque possa essere la strada per perseguirla - superamento o abbattimento del sistema capitalistico - richiede una visione e dei valori in opposizione a quelli dominanti del pragmatismo individualista e della competizione tra individui in un gioco a somma zero (in realtà a somma negativa!). Richiede una prospettiva di lungo respiro, una visione collettiva dell'umanità mondiale. Richiede una morale di fratellanza e non di scontro tra interessi economici particolaristici, una collaborazione fiduciosa tra i popoli. Non l'ambizione a diventare dei piccoli Elon Musk, di raggiungere "il successo" a qualsiasi costo, di apparire dei "vincenti", né la rassegnazione ad essere dei "falliti", magari ammiratori dei "grandi", dei "fortunati", dei più "capaci" a valorizzare il "dio capitale". 

Al contrario, un cambiamento reale necessita di riconoscere l'ingiusta appropriazione di risorse appartenenti alla collettività da parte dei grandi ricchi capitalisti "vincenti", i quali, partendo da basi economiche disuguali, hanno sfruttato la scienza, la tecnica, la cultura ed il sapere umano, oltre che i lavoratori, per ottenere immensi profitti, sottratti alla collettività umana. 

Ora, se la cultura individualistica e competitiva ha permeato l'intera società, sarà difficile riconoscere i principi di giustizia sociale, i quali, insieme alla democrazia sostanziale (non quella attuale delle Corporate) e allo sviluppo umano, sono a fondamento di una società migliore, non capitalistica, come prospettata da una tradizione filosofica della quale Marx è il maggior rappresentante. 

Certamente occorre tornare alla teoria marxiana e alle sue successive interpretazioni da parte di eminenti pensatori e politici del '900, ma occorre anche qualcosa di più profondo, una morale interiore che possa anteporre i grandi ideali di giustizia sociale umana (a dispetto del postmodernismo) agli interessi personali particolari, a una visione di breve termine, di piccolo vantaggio individuale o alla chiusura verso l'esterno a difesa di sé stessi. 

Mi chiedo, pure con un certo sgomento ed imbarazzo, se sia stata in buona parte la religione cristiana, e forse cattolica in particolare (come forse altre religioni in altre aree del mondo), la principale istituzione politico-sociale traghettatrice nella storia umana di valori morali di giustizia e fratellanza, peraltro necessari alla costruzione di una società coesa, rivoluzionaria o riformatrice che sia, in senso socialista e comunista. 

Al venir meno della religione, non sono evaporati con essa quegli stessi valori morali ? 

Forse Pasolini, quello della maturità che denuncia tragicamente la decadenza, la deidealizzazione di quella stessa plebe che in precedenza aveva esaltato, non aveva colto in anticipo il cuore tragico della questione nella fine dei valori morali di fratellanza e l'adesione ai nuovi valori del consumismo capitalistico? 

Ma se questo è vero, occorrerebbe, penso, una ricostruzione di questi stessi valori, altrimenti sarà la fine: la guerra, infatti, con i mezzi catastrofici oggi disponibili, sarà il destino, direi ineluttabile, di un mondo capitalistico, intrinsecamente basato sulla competizione. È opportuno, a tal proposito, ricordare il bel libro di Gunther Anders del 1956, "L'uomo è antiquato", tuttora più che mai attuale, secondo cui l'uomo non sta progredendo culturalmente ad un livello adeguato a gestire la tecnica, da lui creata, a proprio beneficio, rischiando così, al contrario di esserne fisicamente annientato. 

Pensare d'altra parte che, senza mettere in discussione il sistema capitalistico, gli Stati si possano organizzare ed accordare per affrontare realmente l'incombente disastro ecologico ed umano, è semplicemente puerile, in quanto richiederebbe di mettere da parte proprio la logica del profitto e degli interessi di parte caratteristici della stessa ideologia capitalistica. 

Purtroppo, come ci mostra la storia recente ed attuale, il "progresso umano" cui assistiamo, in un mondo in cui al capitalismo non si oppongono sistemi antagonisti, a dispetto dei suoi apologeti non porta benefici all'intera società, ma vantaggi per pochi e disatri per gli altri.
Avremo il tempo perché possa essere compreso il processo storico in atto e ricostruito un mondo nuovo ?
Non ce n'è più molto ...

domenica 3 novembre 2024

Il «nuovo» Capitale: una teoria in costruzione - Sebastiano Taccola

Da: https://jacobinitalia.it - Sebastiano Taccola ha studiato filosofia presso l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa ed è docente di filosofia e storia nei Licei.

Leggi anche: L’attualità del Capitale, liberato dalle secche di interpretazioni superate - Ascanio Bernardeschi intervista Roberto Fineschi  

L’onda lunga della crisi del marxismo (tra prassi e teoria) - Roberto Fineschi  

Vedi anche: Incontro con Roberto Fineschi - Unigramsci Pisa  

Storia del capitalismo e materialismo storico. Riflessioni eretiche - Roberto Fineschi dialoga con Paolo Tedesco  

Marx e la società postcapitalista - Vladimiro Giacché 

Il primo libro de Il capitale di Karl Marx: edizione critica e nuova tradizione con Roberto Fineschi: https://www.youtube.com/watch?v=aGGdbGQkDqo&t=2s

La nuova edizione dell’opera di Marx, curata da Roberto Fineschi, rafforza il carattere rivoluzionario di uno studio che illustra la processualità capitalistica e il metodo per studiarla e contrastarla 

Nel momento in cui sono proliferate le  recensioni della nuova edizione einaudiana del primo libro del Capitale su testate giornalistiche inaspettate (La RepubblicaIl Corriere della SeraIl RiformistaIl Sole 24 oreL’Avvenire, tra le altre) in chi scrive si è profilata l’ipotesi che il metodo socratico e la sua capacità di cogliere nel linguaggio dell’agorà delle spie del sapere e dell’ideologia della polis potesse servire, si parva licet, da canone interpretativo interessante e produttivo anche in questo caso. 

Secondo la splendida ricostruzione corale e teatrale che ne ha dato Platone, il metodo socratico ha una serie di effetti teoricamente significativi: 1) la ricerca sull’essenza degli oggetti del sapere si sviluppa in maniera dialettica e critica; 2) critica non perché basata su una dismissione strumentale ed esteriore delle posizioni altrui, ma su una critica immanente che mette in luce gli aspetti unilaterali e arbitrari di queste; 3) il che significa che la verità non è qualcosa di puntuale né, tanto meno, di personale, ma è il risultato di uno sforzo collettivo e dialogico, che prova a superare l’arbitrio dei molti punti di vista individuali; 4) non esistono, dunque, risposte errate, ma ogni risposta è un momento del tutto e, nello stesso tempo, una spia del sapere della polis (genitivo oggettivo e soggettivo), della quale rappresenta anche un risultato ideologicamente rilevante.

Invece di scartare immediatamente l’interesse dei giornali della stampa liberale e borghese come il segnale di una cultura post-ideologica o come l’inevitabile marchetta da pagare a un editore prestigioso come Einaudi, si può provare a cogliere in questo fenomeno qualcosa di più profondo: un sintomo o effetto di struttura dei rapporti ideologici dell’agorà del nostro tempo.

giovedì 19 settembre 2024

Storia della Filosofia - Lucio Cortella

Da: youcafoscari - Lucio Cortella è attualmente Professore ordinario di Storia della Filosofia presso il Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell'Università Ca' Foscari di Venezia (https://www.unive.it/data/persone/5591041/curriculum) (Lucio CORTELLA). 

La prima lezione introduttiva: 

                                                                           



martedì 3 settembre 2024

L’attualità del Capitale, liberato dalle secche di interpretazioni superate - Ascanio Bernardeschi intervista Roberto Fineschi

Da: https://futurasocieta.com -  Roberto Fineschi è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni: Marx e Hegel (Roma 2006), Un nuovo Marx (Roma 2008) e il profilo introduttivo Marx (Brescia 2021). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere complete di Marx ed Engels, dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. (http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Marx. Dialectical Studies - laboratoriocritico.org!). -  Ascanio Bernardeschi collabora con UniGramsci (Pisa), La Città futura e Futura Società [(APPROFONDIMENTI TEORICI (UNIGRAMSCI)].

Vedi anche: Incontro con Roberto Fineschi - Unigramsci Pisa 

Storia del pensiero economico dopo Marx - LA “RIVOLUZIONE” MARGINALISTA - Ascanio Bernardeschi 

Storia del capitalismo e materialismo storico. Riflessioni eretiche - Roberto Fineschi dialoga con Paolo Tedesco

Leggi anche: L’onda lunga della crisi del marxismo (tra prassi e teoria) - Roberto Fineschi

La Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2), Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi 

Mondializzazione, finanziarizzazione, nuova composizione di classe. Che uso fare del lascito marxiano per rilanciare una prospettiva comunista? Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi 



Intervista a Roberto Fineschi, curatore di un’importante nuova edizione del libro I de Il capitale. Perché il capolavoro marxiano è ancora attuale e perché è importante questa nuova impresa editoriale, augurandoci che possa essere portata a termine.

È stata pubblicata nel giugno scorso una nuova edizione, nella prestigiosa collana I millenni di Einaudi, del libro I de Il capitale, l’opera più importante di Marx, con traduzioni di Stefano Breda, Gabriele Schimmenti, Giovanni Sgrò e Roberto Fineschi. L’uscita del capolavoro di Marx è di per sé un fatto da segnalare, ma in questo caso c’è un valore aggiunto in più in quanto si tratta della proposizione in Italia di inediti e varianti alle varie edizioni curate dallo stesso Marx, che aiuta a una migliore comprensione di un’opera a seguito della quale si è sviluppata un’immensa discussione, con divaricazioni significative.

Ne parliamo con il curatore Roberto Fineschi.

D. La prima domanda è d’obbligo. Perché Il capitale, per anni messo in soffitta o conservato come un reperto da museo da molti intellettuali italiani, è invece tornato di attualità e perché è utile a chi oggi si propone il superamento del capitalismo ma anche a chi vuole capire meglio questo modo di produzione?

R. Era stato messo in soffitta perché il modo di leggerlo era legato a una tradizione interpretativa molto importante, ma incapace di aggiornarsi di fronte all’evoluzione del modo di produzione capitalistico. Ponendo una grande enfasi su concetti come valore-lavoro oppure classe operaia sfruttava al massimo determinate caratteristiche che funzionavano molto bene in una fase del capitalismo, ma che, allo stesso tempo, non permettevano alcun adattamento agli sviluppi ulteriori. D’altro canto la crisi politica dei movimenti che quei concetti avevano adottato ha fatto mancare anche le premesse “materiali” affinché un ulteriore sviluppo fosse possibile. La forza in una determinata fase di certi concetti non ha consentito di coglierne la duttilità e capacità interpretativa più generale.

I motivi perché è utile riprenderlo sono alla fine assai semplici: a differenza delle teorie economiche, sociologiche, ecc. mainstream, Il capitale spiega le realtà. Queste teorie offrono dei modelli molto astratti che hanno poco o niente a che vedere con ciò che accade; pretendono invece che sia la realtà ad adattarsi alla teoria (ammettendo di fatto che quello che succede non è ciò che la teoria spiega). Sono in sostanza delle ideologie, al di là dei loro formalismi e delle loro complicazioni matematiche. Il capitale invece prende molto sul serio la realtà e quindi propone una teoria per esempio del conflitto di classe, della crisi, del progresso tecnologico, della disoccupazione e via dicendo. Esso ovviamente può essere discusso, criticato, approfondito, ecc., ma è la realtà che va spiegata con la teoria e non pretendere che la realtà, siccome non corrisponde a ciò che la teoria sostiene, venga cambiata per corrisponderle.

sabato 24 agosto 2024

Pasolini, ultima vittima di Salò - Giorgio Gattei

Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna. 


Premessa

A quasi cinquant’anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini la Commissione Antimafia della passata legislatura ha avanzato il sospetto che Pasolini possa essere stato ammazzato perché attirato in una trappola nel vano tentativo di recuperare le bobine del suo film Salo’ o le 120 giornate di Sodoma, allora in lavorazione, che erano state rubate da ignoti. Anch’io ho cavalcato quel sospetto e ne avevo scritto in un opuscoletto pubblicato nel 2010 dalla casa editrice bolognese “Ogni uomo è tutti gli uomini” senza però alcuna risonanza. Ora lo ripresento sul sito del “Maggio filosofico” augurandomi che possa avere una migliore circolazione

(G.G.)

Dalla “Abiura” al film «inguardabile e crudele»

Nel 1974 ebbi l’incarico dall’editore Cappelli di trascrivere dalla pellicola alla carta (allora non c’erano le videocassette ed i films bisognava ricordarseli oppure… leggerli!) la “Trilogia della vita” di Pier Paolo Pasolini per la collana “Dal soggetto al film” diretta da Renzo Renzi (consegnai all’editore il testo del Decameron a maggio, quello dei Racconti di Canterbury a settembre e infine quello del Fiore delle mille e una notte a novembre). Nel 1975, a lavoro ultimato, conobbi Pasolini che stava girando alcune scene del suo film successivo proprio a Bologna. Io giustificai l’approssimativa trascrizione delle scene e dei dialoghi che avevo tratto dalle pellicole (non avevo avuto alcuna sceneggiatura di supporto e quindi operavo direttamente alla moviola) e lui s’impegnò a scriverci una prefazione, che infatti uscì ad incipit del libro edito nell’ottobre di quell’anno[1]. Mai però avrei pensato che in quella prefazione Pasolini avrebbe pubblicamente fatto Abiura dalla “Trilogia della vita”!

Sviluppando un concetto già espresso nel dicembre 1973 al convegno bolognese su Erotismo, eversione, merce («mi pento dell’influenza liberalizzatrice che i miei films eventualmente possano aver avuto nel costume sessuale della società italiana. Essi hanno contribuito, infatti, in pratica, a una falsa liberalizzazione, voluta in realtà dal nuovo potere riformatore permissivo, che è poi il potere più fascista che la storia ricordi»[2]), in quella estensione della visibilità cinematografica dell’osceno, a cui aveva partecipato da maestro, Pasolini non trovava più alcun significato trasgressivo (come pure era stato all’inizio, da cui le tante denunce che avevano perseguitato il Decameron) perché, trasformata in un “genere” di cassetta (i film “boccacceschi”), l’oscenità cinematografica era solo servita a legittimare perfino i cinema “a luci rosse” in cui la pornografia filmica, da sempre confinata alla clandestinità, offriva allo spettatore, in assenza di qualsiasi intenzione artistica, il piacere di vedere finalmente “tutto del sesso” in un colossale voyeurismo di massa che regrediva i fruitori alla “scena primaria” freudiana (i genitori colti “sul fatto”) con l’aggravante del senso di colpa di aver pagato per vederli. Per questo Pasolini poteva dichiarare nella sua Abiura che «ormai odio i corpi e gli organi sessuali. Naturalmente parlo di questi corpi, di questi organi sessuali. Cioè dei corpi dei nuovi giovani e ragazzi italiani, degli organi sessuali dei nuovi giovani e ragazzi italiani», poveri individui ridotti dalla “mercificazione consumistica” ad essere «immondizia umana:… degli imbecilli costretti a essere adorabili, degli squallidi criminali costretti a essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti»[3].

venerdì 5 luglio 2024

L’ipotesi della instabilità finanziaria e il ‘nuovo’ capitalismo - Riccardo Bellofiore* (Maggio 2009)

Da: https://www.sinistrainrete.info - Riccardo Bellofiore, è stato Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info

Leggi anche:  IL PROFETA DELLA CRISI. TRIBUTO A HYMAN MINSKY - intervento di Riccardo Bellofiore 

Vedi anche: Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore 

Questa introduzione ha un triplice obiettivo. Chiarire organicamente, passo passo, in modo il più possibile elementare, un pensiero non sempre facile, come quello esposto nel libro che qui si presenta. Integrare le tesi di questo volume con gli sviluppi contenuti nei due libri successivi di Minsky, così come nella sua ultima riflessione sul money manager capitalism e sulla ‘cartolarizzazione’, fornendo così al lettore un quadro aggiornato e d’insieme. Mostrare infine la sorprendente attualità dell’approccio dell’economista americano, quale rivelata dalle dinamiche del ‘nuovo’ capitalismo e dal ritorno della crisi finanziaria (e reale). 

Qui il testo in oggetto in lingua originale:  http://digamo.free.fr/minsky75.pdf 

Una interpretazione ‘finanziaria’ della teoria di Keynes

Il pensiero di Hyman P. Minsky ha ruotato attorno a tre questioni. Innanzitutto, una rilettura di Keynes come economista monetario eterodosso che sottolinea il ruolo essenziale dei mercati finanziari e l’intrinseca non neutralità della moneta. In un mondo caratterizzato dall’incertezza, le oscillazioni degli investimenti privati determinano il ciclo, mentre gli investimenti sono a loro volta influenzati dai rapporti finanziari. Di questo versante della riflessione di Minsky fanno parte integrante il c.d. Modello ‘a due prezzi’ e la ripresa delle equazioni di Kalecki per la determinazione dei profitti.

In secondo luogo, l’ipotesi dell’instabilità finanziaria. Dopo un periodo di crescita tranquilla caratterizzata da una finanza robusta, le strutture del passivo di imprese e banche spontaneamente si spostano verso la fragilità. Il sistema diviene più facilmente soggetto a crisi finanziarie, che si producono periodicamente come effetto del normale funzionamento del meccanismo economico. Ogni stato raggiunto dall’economia è una posizione transitoria, in cui sono impliciti gli sviluppi finanziari che daranno a loro volta luogo alla transizione allo stato successivo. L’evoluzione ciclica del capitalismo – il passaggio dall’espansione al boom, il collasso finanziario e la tendenza alla deflazione da debiti, sino al rischio (o alla realtà) di una ‘grande depressione’ – è proprio il portato necessario della natura monetaria del processo capitalistico sottolineata da Keynes. Ciò che manca alla Teoria generale è l’individuazione delle ragioni per cui la stabilità è destabilizzante: l’evoluzione capitalistica è endogena, ed è dominata dall’andamento delle variabili finanziarie.

Infine, la tesi che l’intervento discrezionale delle autorità di politica economica è in grado di attenuare le forme che assume l’instabilità, fissando dei limiti inferiori e superiori al ciclo. Grazie ai disavanzi nel bilancio dello Stato e al ruolo della Banca Centrale, sia come prestatore di ultima istanza che come regolatore del sistema finanziario, è possibile e ragionevole controllare l’evoluzione delle strutture delle passività dell’economia, e impedire una spirale discendente dei profitti monetari, cioè della variabile chiave che deve convalidare tanto i debiti quanto i prezzi delle attività. Oltre a limitare gli aspetti più destabilizzanti della fragilità sistemica, la politica economica può anche porsi l’obiettivo di ‘fare meglio’, mantenendo la dinamicità dell’attività produttiva e la piena occupazione in un contesto di decisioni decentralizzate. La ricetta di Minsky per curare i difetti del capitalismo che ha dato luogo alla Grande Crisi degli anni Trenta e quelli del capitalismo che ha originato la stagflazione degli anni Settanta coniuga la ‘socializzazione degli investimenti’ e la riqualificazione della spesa pubblica a una profonda riforma del sistema bancario e finanziario.

giovedì 20 giugno 2024

"Dalla storia alla teoria? Vivere nel latifondo tra tardoantico e alto medioevo" - Paolo Tedesco

Da: Laboratorio Criticohttps://www.laboratoriocritico.org - Paolo Tedesco, University of Tübingen, Department of Medieval History, Faculty Member Austrian Academy of Sciences, Institute for Medieval Research, Post-Doc Eberhard Karls Universität Tübingen, Seminar für Alte Geschichte, Excellent Junior Researcher ...

A proposito di: Living at the margins: African peasants in an age of extreme, 300-900 CE, Stuttgart: Hiersemann, 2025 
Living at the margins ricostruisce le vicende dei contadini africani dal quarto al nono secolo della nostra era incrociando due differenti ma complementari metodi di indagine: l’analisi microstorica e quella macroeconomica di lungo periodo. 
Lo studio dimostra come le comunità rurali dell’epoca non solo si adattarono ai grandi cambiamenti di sistema che si verificarono nel passaggio dal tardo antico all’alto medioevo, ma furono esse stesse agenti delle trasformazioni grazie allo loro straordinaria abilità di sopravvivere e superare le difficoltà quotidiane. 
Al centro del racconto è una piccola comunità rurale del pre-deserto subsahariano. Le vicissitudini di questa comunità sono tramandate tra il quinto e il sesto secolo dalle tavolette di Djebel Mrata, una raccolta di atti giuridici privati identificati a partire dalla località del loro ritrovamento, al confine tra l’Algeria e la Tunisia meridionale. 
Questa fonte mostra in concreto come i contadini vivevano sul latifondo di un proprietario assenteista: il fundus Tuletianos di Geminius Catullinus. I documenti descrivono la vita quotidiana di circa 400 contadini: la nascita e la crescita di un figlio, il matrimonio e la dote della figlia, la morte di un congiunto, ma anche i rapporti con i contadini confinanti, soprattutto quelli potenti – o meglio, prepotenti. La comunità era formata da un gruppo eterogeno di piccoli possidenti, affittuari, e lavoratori agricoli, i quali dovevano decidere di anno in anno quanta terra coltivare, se rimanere nella comunità, oppure lasciare il latifondo per trovare di che vivere altrove. 
I documenti di Djebel Mrata mostrano che nel corso di un secolo i contadini del latifondo Tuletianos affrontarono varie avversità, inclusi eventi drammatici come la scomparsa di un familiare, senza tuttavia segnalare alcuna crisi di sistema nell’economia locale. La famiglia contadina rimase per tutto il periodo documentato dalle fonti la struttura portante dell’economia del latifondo. 
Sulla scorta del modello offerto dal fundus Tuletianos, il libro mostra come l’economia contadina reagisce ai cambiamenti nel lungo periodo. Mutamenti politici considerati ‘epocali’ come la fine dell’impero romano nel quinto secolo o la conquista islamica nel settimo secolo determinarono trasformazioni negli assetti fondiari, favorendo il consolidamento di nuove élites (vandale, bizantine, arabe oppure locali), comportando anche variazioni nella natura e scala del surplus agrario sottratto ai contadini e mutamenti nelle traiettorie di scambio, come anche nelle opportunità di consumo locale. Uno stato più o meno centralizzato ed élites fondiarie più o meno ricche influirono sulle modalità di ripartizione della terra e sull’organizzazione della manodopera rurale, soprattutto in termini di mobilità e precarietà dei lavoratori senza terra o con terra insufficiente per sopravvivere.  
Pur considerata l’importanza di queste trasformazioni, esse non sembrano tuttavia avere intaccato la centralità della famiglia contadina come principale protagonista nelle campagne africane: i contadini continuarono a decidere quanti figli avere, quanta terra coltivare, quanto produrre e quanto consumare, pur prendendo queste decisioni condizionati dalle richieste dei proprietari della terra – fossero essi lo stato, le istituzioni religiosi, oppure i possidenti privati. 

                                                                            

domenica 2 giugno 2024

"La società dell'emergenza" di Francesco Fantuzzi - Recensione di Paolo Massucci

Da: https://www.sinistrainrete.info - Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni. 

Il saggio, edito nel 2024 da Sensibili alle foglie, fornisce una ricca analisi della crisi in corso della democrazia. Le soluzioni proposte stimolano riflessioni utili alla comprensione della nostra condizione storica e alla speranza di un cambiamento.


Segnalo il saggio di Francesco Fantuzzi "La società dell'emergenza. Pandemia, guerra, insicurezza, caos: quale futuro ci attende?" edito nel 2024 da Sensibili alle foglie.

Il libro offre una chiara, dettagliata e spietata descrizione dello spirito del nostro tempo e della grave crisi politica, economica, sociale, culturale ed ecologica in corso, di cui non riusciamo più a intravedere alcuna soluzione. L'annunciata epoca della globalizzazione, della pace mondiale, del progresso e della libertà, una volta crollata l'URSS si è presto conclusa in conseguenza dei sussulti per la contesa sul nuovo ordine mondiale.

Viene esposta la grave situazione politica, ovvero il progressivo arretramento della democrazia per cui è stato anche coniato il termine “postdemocrazia”: le istituzioni nazionali e sovranazionali che detengono il potere rispondono sempre più alle richieste delle lobby industriali e finanziarie, anziché ai popoli. Mentre i governi, a prescindere dai partiti che li sostengono, non si discostano più dalle politiche economiche neoliberiste e di austerità, sfavorevoli ai lavoratori e alle fasce deboli e impiegano modelli di gestione costantemente emergenziali e metodi autoritari.

L'Autore, la cui visione etica appare a mio avviso influenzata dal filone del pensiero occidentale della Scuola di Francoforte, intravede il rischio di una deriva "dis-umanistica", caratterizzata dallo sgretolarsi dei rapporti tra persone e dalla spettacolarizzazione dell'esistenza (viene citato il saggio del 1967 di Guy Debord), in un ambiente relazionale segnato dal solipsismo narcisistico, in cui tutti si mostrano, nessuno ascolta e gli istinti inconsci non sublimati dominano sulla ragione. Tutto ciò, secondo l'Autore, e a ragione, sarebbe favorito anche dalla diffusione degli strumenti della tecnologia informatica, finalizzati, in ultima analisi, esclusivamente alla massimizzazione del profitto privato, anziché a progetti lungimiranti, razionali, etici e responsabili verso la collettività. Viene quindi richiamato il pericolo del "postumanesimo", una progetto a oggi ancora elitario che auspica l'impiego della tecnica per estendere le possibilità del corpo e della mente umana: una pericolosa riproposizione -quella del postumanesimo-, secondo la tesi di Paolo Ercolani nel saggio "Nietzsche l'iperboreo", di cui pure consiglio la lettura, della inquietante teoria del superuomo.

Nella parte finale l’Autore -che afferma che il capitalismo è il problema e pertanto esso non può offrire soluzioni- presenta alcune proposte per invertire la rotta, collocabili, a mio avviso, nell'ambito della cultura postmoderna, quali la teoria della “decrescita felice” di Serge Latouche: una prospettiva lodevole e razionale, nonostante alcuni limiti, indispensabile per poter superare la crisi ecologica e il super-individualismo odierno. Chiaramente occorre anche considerare le possibili contromisure che il capitalismo prenderebbe, come le guerre, per far fronte a un ipotetico calo dei consumi, prima di implodere, se mai dovesse avvenire. D’altra parte, considerate le attuali disparità del livello di consumo nel mondo, si può ipotizzare che la rinuncia a un dato stile di vita consumistico, il cosiddetto benessere, possa coinvolgere per lo più solo quella parte più consapevole e sensibile della classe media più acculturata, mentre il mondo nel complesso continuerebbe presumibilmente a funzionare senza particolari inceppi o trasformazioni.

D’altra parte ci si può chiedere -ma siamo forse nel campo della teoria politica- se l'attuale crisi, con particolare riferimento al restringimento degli spazi di democrazia e al neoliberismo, caratterizzata dall'arretramento dei diritti sociali conquistati nella seconda metà del secolo scorso, cui deriva la vertiginosa polarizzazione di redditi e patrimoni, non sia altro che la naturale conseguenza dell’incontrastato processo capitalistico, una volta privato degli ostacoli dati dalla presenza dell'Unione Sovietica e dei partiti comunisti di massa.

E’ comunque certo, e su questo il saggio fornisce un pregevole contributo di riflessione, che un eventuale movimento anticapitalista internazionale, ancorché non certamente all’ordine del giorno, abbia l’indispensabile compito, oltre all’abbattimento del capitalismo e dello sfruttamento di classe, di mostrare la possibilità e persino il guadagno in termini di civiltà e di relazioni intersoggettive di uno stile di vita più sobrio, meno consumistico, meno competitivo e in definitiva più umano. Anzi, si può affermare, ciò costituirebbe un immenso vantaggio per la nostra esistenza materiale e spirituale: non sarebbe un tornare al passato, bensì un percorso di rinnovamento dei rapporti umani e sociali anche a livello etico: come affermava Che Guevara, la rivoluzione necessita anche della costruzione di un homo novus. Naturalmente, a nostro avviso, qualsiasi cambiamento non può prescindere da una profonda trasformazione della struttura sociale, dei rapporti tra classi, del modo di produzione, altrimenti si collocherebbe su un mero piano idealista, moralista, dei “buoni propositi”.

Non vi è dubbio, in definitiva, che questo libro possa offrire stimoli utili a una riflessione critica sul mondo attuale e spunti per un dibattito per la ricerca di possibili percorsi concreti che possano impedire quella che, a oggi, appare ai più una catastrofe inevitabile di tutto il genere umano.