Da: http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Roberto Fineschi è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni: Marx e Hegel (Roma 2006), Un nuovo Marx (Roma 2008) e il profilo introduttivo Marx (Brescia 2021). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere complete di Marx ed Engels, dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. (http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Marx. Dialectical Studies - laboratoriocritico.org!).
L’elezione di un nuovo papa suscita inevitabilmente grande interesse per il ruolo internazionale che questa figura ricopre, in particolare in Italia anche se la tendenza recente è quella di eleggere papi non italiani1. È evidente che, pur condividendo determinati principi di fondo, ci si può schierare assai differentemente (diciamo che i comunisti ne sanno qualcosa). Per quanto concerne la cosiddetta dottrina sociale delle chiesa questi principi di fondo sono ben chiari, espressi in molti documenti e sviluppati con coerenza di impianto nel corso del Novecento. Essi consentono un vasto arco di “appoggi” possibili che possono spostare l’operato pontifico più a destra o sinistra; tuttavia nessun papa ha mai messo in dubbio le basi generali di quell’impianto.
Se dunque bisogna salutare con il giusto apprezzamento posizionamenti più sinistra di taluni rispetto a talaltri, non bisogna nemmeno confondersi sulle questioni di principio.
La seconda precisazione è che quanto si va a tentare di spiegare riguarda la posizione ufficiale della gerarchia ecclesiastica e non concerne necessariamente le mille anime popolari del cattolicesimo sociale. Si sa bene però le gerarchie hanno uno stretto controllo sulla faccia “ufficiale” di santa romana chiesa.
1) Le premesse: Pio IX2
Nell’enciclica Quanta cura (1864) e nel Sillabo a essa allegato Pio IX non combatte semplicemente lo stato moderno, ma la modernità come tale. Ecco qui un primo elemento da mettere bene a fuoco: il contenuto anti-liberale della critica della Chiesa Cattolica precede l’avvento della borghesia al potere e la diffusione mondiale del capitalismo ed è dunque tutto in chiave anti-modernista, vale a dire che non mira ad andare oltre il capitalismo, ma a tornare a un prima. Nel far questo Pio IX riprende il proprio precedessore Gregorio XVI che considerava una “follia” quanto segue:

"Libertà di coscienza e d’iniziativa è diritto personale di ogni uomo che deve essere proclamato e asserito in ogni società costituita secondo diritto; e che il diritto ad una libertà assoluta risiede nel cittadino che non deve essere limitato da alcuna autorità, né ecclesiastica né civile, in quanto essi debbono essere in grado di manifestare e dichiarare apertamente e pubblicamente qualsiasi loro opinione, attraverso la parola, la stampa o in qualsiasi altro modo"3.
Secondo Pio IX questa non è libertà di pensiero, ma “libertà di perdizione”.
La critica dell’individualismo solo apparentemente potrebbe essere vista come sovrapponibile a quella fatta dai comunisti: infatti lo si attacca da destra. Questo lo si vede chiaramente nel Sillabo dove i primi articoli sono dedicati alla sconfessione della capacità della ragione di comprendere la realtà, i dogmi della CC, ecc. (artt. 3-5). Solo attraverso Dio l’uomo conosce veramente, ma per i cattolici romani attraverso Dio significa attraverso il papa. Il pensiero deve così essere asservito alla verità rivelata e non sottoporre a prova razionale la fede (art. 10). La terza sezione è dedicata a sostenere che solo la fede cattolica porta alla salvezza, le altre no, con esplicita presa di posizione contro i protestanti (art. 18). Si passa quindi a dichiarare il necessario asservimento della stato di diritto alla CC (artt. 20 e segg.). Segue quindi un argomento molto caro alla CC di oggi: il controllo dell’educazione (artt. 45 e segg.). Artt. 67 e segg. sono dedicati alla nullità del matrimonio civile di fronte a quello religioso secondo le sanzioni del Concilio di Trento.
Gli ultimi 4 principi da censurare li cito direttamente per rendere il sapore e lo stile del nostro; sono diretti contro il riconoscimento legale della libertà di culto4:
"77. Al giorno d’oggi non c’è più motivo per cui la religione cattolica debba essere ritenuta come la sola religione di stato, con l’esclusione di tutte le altre forme di culto …
78. Dunque è stato saggiamente deciso dalla legge, in alcuni paesi cattolici, che persone che vengano a risiedervi, possano godere della pratica pubblica del loro culto particolare …
79. Inoltre è falso che la libertà civile di ogni forma di culto ed il pieno potere dato a tutti di manifestare apertamente e pubblicamente qualsiasi opinione e pensiero portino più facilmente alla corruzione morale del popolo e a propagare la peste dell’indifferentismo …
80. Il pontefice romano può e deve riconciliarsi e venire a patti con progresso, liberalismo e civiltà moderna"
Ricapitolando Pio IX nega la libertà di pensiero, di culto, di azione, la sovranità popolare (in quanto lo stato, che la incarna, deve rispondere alla chiesa, che ne è indipendente) e sostiene sudditanza del pensiero e della scienza alla religione, ecc. Mi sembra che basti per delineare il profilo dei contenuti politici della posizione anti-liberale del papato.
2. Il catechismo odierno
Alcuni potrebbe ritenere che questa sia la posizione della Chiesa di allora, che oggi è tutto diverso e che è cambiata anche la situazione sociale. Valutiamo però queste considerazioni alla luce dei dettami del Catechismo, redatto sotto la direzione dell'allora cardinal Ratzinger. L’art. 872 recita:
"Fra tutti i fedeli in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano ad edificare il Corpo di Cristo secondo la condizione e i compiti di ciascuno".
Vediamo anche il seguente:
"Le differenze stesse che il Signore ha voluto stabilire fra le membra del suo Corpo sono in funzione della sua unità e della sua missione".
Se da una parte tutti sono figli di Dio, e quindi uguali, dall’altra ciascuno ha una propria qualità specifica, anch’essa voluta da Dio, che lo colloca in una determinata funzione.
Così l’art. 1936 afferma:
"Si notano differenze legate all’età, alle capacità fisiche, alle attitudini intellettuali o morali, dagli scambi di cui ciascuno ha potuto beneficiare, alla distribuzione delle ricchezze. I talenti “non sono distribuiti in misura eguale”".
Qui differenze fisiche e sociali sono poste sullo stesso piano, tutte collocate nel progetto divino complessivo, come si deduce anche dall’art. 1937:
"Tali differenze rientrano nel piano di Dio … Le differenze incoraggiano e spesso obbligano le persone alla magnanimità, alla benevolenza, alla condivisione"
Così la diseguaglianza sociale, alla stessa stregua di quella fisica, è volontà di Dio. L’art. 1938 parla poi di “diseguaglianze inique”, che rappresentano il superamento del confine delle diseguaglianze eque.
Il ragionamento sopra esposto implica che per natura (volontà di Dio) non solo gli uomini siano effettivamente tutti diversi biologicamente, ma che questa differenza stia sullo stesso piano della strutturazione sociale, culturale, caratteriale, addirittura del possesso della ricchezza. Così l’uguaglianza degli individui, affermata in virtù della partecipazione al piano complessivo di Dio (tutti sono figli di Dio), non esclude che essi siano classificati in una scala gerarchica a seconda della loro natura particolare. La loro dimensione sociale, alla stessa stregua del colore della loro pelle, è divinamente posta: ci sono “naturalmente” dei ruoli sociali più o meno importanti e altrettanto “naturalmente” persone più o meno adatte a realizzarli; non si distingue cioè da un punto di vista concettuale ciò che è naturale da ciò che è sociale5. Esiste perciò una gerarchia di funzioni alla cima delle quali sta evidentemente quella ecclesiastica (la più vicina a Dio) ed al livello più basso la meno spirituale (la materiale)6.
3. Leone XIII e la Rerum novarum
Sappiamo adesso che esistono delle differenze “sociali” che sono “naturali”, quindi è insensato lottare per la loro rimozione; più logica è la cooperazione delle forze preposte. Su questi fondamenti viene scritta la prima enciclica sociale, le celeberrima Rerum novarum (1891) di Leone XIII. Essa si trova ad affrontare il tema della dinamica sociale una volta che il capitalismo ha creato alcune delle sue condizioni fondamentali, vale a dire l’opposizione conflittuale di capitalisti e lavoratori salariati. La loro articolazione dunque, per coerenza col ragionamento svolto, non è legata a fattori strutturali dell’organizzazione riproduttiva, ma alla scala sociale-naturale delle funzioni, come lo erano padrone-schiavo, signore-servo della gleba. Le eque disuguaglianza sono tali per volontà di Dio o natura che dir si voglia, contro di esse non c’è nulla da fare. Ciò che però si deve fare – e in questo la chiesa si distingue nettamente dal liberalismo individualista radicale – è tenere conto che tutti sono figli di Dio; ciò implica degli obblighi morali di mutualismo interclassista: l’imprenditore non deve essere un padrone ma un padre benevolo che tiene il benessere dei propri lavoratori, ne cura il progresso economico e morale. La proprietà privata deve avere una funzione pubblica, il profitto non può essere fine a se stesso ma coordinando con il progresso sociale. Ciò dette vita a una diffusa e prospera imprenditoria cattolica soprattutto nel nord Italia.
La prospettiva politica di questa impostazione era nettamente antisocialista: il conflitto di classe andava non fomentato ma lenito, l’ordine gerarchico della società è naturale (ovviamente con la Chiesa alla testa come guida morale dell’imprenditoria illuminata). Leone XIII prese espressamente posizione contro il socialismo con la prima enciclica ufficiale di condanna , la Quod apostolici muneris del 1878, dunque di diversi anni precedente rispetto alla Rerum novarum che offre la vera risposta alla questione sociale7.
4. Pio XI, il salto di qualità
Se Leone XIII aveva posto della basi di una imprenditorialità organicista diretta dall’alto di carattere paternalistico come risposta al socialismo, un importante salto di qualità avviene con la Rivoluzione russa, l’avvento del fascismo e l’inasprirsi del conflitto di classe e interimperialista sul piano internazionale. Il papa che affronterà questo nuovo livello dello scontro e quindi della relativa formulazione teorica è Pio XI. La condanna ufficiale del comunismo come movimento politico e del materialismo storico come dottrina filosofica per mano papale è tuttora la sua enciclica Divini Redemptoris del 19378. La prima parte dell’enciclica è dedicata alla confutazione del materialismo storico e su di essa il discorso non può essere approfondito perché prenderebbe uno spazio eccessivo; si può brevemente affermare che quella che viene attaccata è una versione parziale e di comodo. Nella seconda parte Pio XI fa una cosa che i suoi colleghi molto raramente fanno: oltre a condannare il comunismo dichiara quale prassi politico-organizzativa corrisponde al meglio all’orientamento teorico sviluppato nel corso dei decenni precedenti. Da una parte la condanna del capitalismo e del mondo liberale resta tutta in piedi, quindi non può certo rappresenta una via possibile; ma allora che cosa? La solidarietà, la misericordia, la collaborazione reciproca. Queste formulazioni astratte in realtà non hanno contenuto, perché si adattano ad una miriade di configurazioni possibili, le più diverse fra loro e proprio qui sta la superiorità di Pio XI: egli dà un’indicazione estremamente precisa. Per prima cosa, senza false ipocrisie dice testualmente nel § 33:
"Non è vero che tutti hanno uguali diritti nella società civile. Non è vero che non esista al suo interno una gerarchia sociale legittima".
E lui stesso rimanda a Leone XIII. Grazie all’analisi del Catechismo sappiamo perché. La cosa interessante però è ribadire perché viene rivendicata la disuguaglianza: perché i comunisti, perniciosamente, rivendicano l’uguaglianza dalla loro:
"Nelle relazioni umane con altri individui, poi, i comunisti accettano il principio della assoluta uguaglianza, rigettando ogni gerarchia e autorità costituita divinamente, inclusa l’autorità dei genitori".
Poiché la disuguaglianza è divina e i comunisti vogliono eliminarla, Pio XI accetta che lo stato faccia rispettare l’ordine gerarchico naturale-sociale (§ 33) creando un ordine particolare. Ma quale tipo di stato? Pio XI non si nasconde: il corporativismo. Vediamo il § 32:
"Noi abbiamo indicato come una solida prosperità possa essere restaurata in conformità ai veri principi di un sistema sanamente corporativo, che rispetti la struttura gerarchica propria della società; e come tutti i gruppi occupazionali debbano essere fusi in un’unità armoniosa ispirata dal principio del bene comune. E la funzione genuina e principale dell’autorità civile consiste precisamente nella efficace promozione di questa armonia e nella coordinazione di tutte le forze sociali".
E se qualcuno pensasse che si sta riferendo a un corporativismo ipotetico, anche in questo caso ogni dubbio viene sciolto. Il § 54 recita:
"Se, perciò, consideriamo l’intera struttura economica della società, come abbiamo evidenziato nella nostra enciclica Quadragesimo anno, il regno della mutua collaborazione fra giustizia e carità nelle relazioni socioeconomiche può essere raggiunto solo grazie ad un corpo di organizzazioni professionali e interprofessionali, fondate su una solida base cristiana, che lavorano insieme per attuare, sotto forme adattate a differenti luoghi e circostanze, ciò che è stato chiamato corporazione".
Se si ricordi che l’enciclica è del 1937, “ciò che è stato chiamato corporazione” ha dei chiari riferimenti storici]. È lo stesso papa che disse Mussolini essere l’ “uomo della Provvidenza”.
Correndo all’oggi, anzi a ieri
Se il fascismo è versione “hard” del corporativismo, ciò che accade in Italia nel secondo dopoguerra, nella Repubblica democratica, si può definire la versione “soft”. L’organizzazione industriale-produttiva del paese viene traghettata dal fascismo alla Repubblica con grande continuità; l’IRI non solo continua a essere un gigante economico ma amplia addirittura la propria sfera d’azione. Lo Stato imprenditore piace ai cattolici ma piace naturalmente anche ai comunisti che con il piano di Riforme di struttura vuole portare il processo gradualmente alle estreme conseguenze. Non è certo uno stato liberale puro: seppur a costo di lotte sanguinose tutta una serie di diritti viene strappata dai lavoratori. La presenza assistenzialista dello stato e il suo uso paternalistico clientelare non sono tuttavia in contraddizione con l’impianto teorico sopra descritto. Il pericolo comunista è lo sradicamento dell’impianto dirigistico-cattolico-paternalistico, non certo l’idea del mutualismo sociale; basta che dal mutualismo non si passi allo scardinamento del sistema. Concedere dunque a mozziconi dei diritti è accettabile; il timore però è che a forza di cedere pezzetti alla fine si ceda tutta la torta e dunque è meglio procedere con parsimonia e con controllo estremo9.

Sarebbe ingenuo e scorretto concludere da quanto sostenuto che allora tutti i papi (e gli orientamenti politici del vaticano) sono uguali e che dunque è indifferente chi sia papa; sarebbe un ingenuo estremismo che perderebbe di vista i molti posizionamenti possibili, con gradi assai diversi di drammaticità sociale, che intercorrono dalla versione hard alla versione soft. Se dunque l’orizzonte di riferimento generale resta lo stesso c’è una bella differenza tra attaccare o difendere l’imperialismo finanziario, avallare o contrastare le guerre che ne conseguono, essere drastici o benevoli verso chi si trova in situazioni di indigenza o migrazione.
Nella sua enciclica Fratelli tutti10, papa Francesco prende una netta posizione contro l’economia finanziaria e le sue speculazioni, ponendole alla base dell’attuale crisi mondiale (§§ 12, 52, 53 ,75, 109, 144). Sono i suoi effetti perversi a determinare rapporti squilibrati con i paesi più poveri e quindi il loro sfruttamento (§§ 122, 125, 126), nonché la causa della vuota e omologante cultura globalistica (§ 100) e del paradossale individualismo che gli fa specchio (§§ 12, 105, 144). Arriva a sostenere che il problema di fondo è il mercato, che è una mera illusione pensare che possa autoregolarsi (§§ 33, 109), posizione che viene pesantemente definita “dogma neoliberale” (§ 168). Si invocano istituzioni che lo regolino a livello mondiale (§ 138), perché senza questo tipo di regolazione libertà e giustizia restano vuote parole (§§ 103, 108, 170-172). Afferma addirittura che la proprietà non è sacra ma un diritto secondario (§ 120) e deve avere una funzione sociale (§ 118).
Critica però anche il populismo, stigmatizzando la politica di chiusura nei confronti dei migranti (§ 39); condanna la schiavitù cui sono condannati dallo stesso sistema di cui sopra (§§ 86, 130-132), cerca di distinguere tra legittime rivendicazioni popolari e il populismo (§§ 157 ss.), critica la pseudocomunicazione legata al mondo dei social (§ 42) e l’orrore di violenza e aggressività che essa produce (§ 44).
Chi ha avuto la pazienza di arrivare fino a questo punto sa che in queste posizioni non c’è niente di innovativo o di rivoluzionario; tutto quanto affermato si colloca più o meno precisamente nel quadro ricostruito. Ciò tuttavia non deve portare a errori di natura opposta: il primo è credere che il papa sia stato un “comunista” o guardare all’impianto teorico generale che dalle sue posizioni si può dedurre come un qualcosa di auspicabile. Dall’altra tuttavia sarebbe altrettanto sciocco non individuare gli elementi di possibile convergenza strategica, la proficua possibilità di collaborazione.
Questo è il punto: il cosiddetto rossobrunismo non coglie le differenze e mischia tutto indistintamente nell’essere contro. Non cogliere le differenze è un errore madornale perché si finisce per lavorare comunque per un altro nemico diverso dall’attuale, ma nemico sempre. Ciò non toglie che si possa strategicamente collaborare per determinati obiettivi comuni, vale a dire avendo piena contezza teorico-pratica del momento in cui bisogna fermarsi e continuando a chiamare le cose con il proprio nome.
Per quanto concerne il papa neoeletto, è ovviamente impossibile predire che cosa farà. Sicuramente continuerà a muoversi nel quadro di riferimento tracciato per quanto riguarda le coordinate generali, auspicabilmente facendo pendere la bilancia verso soluzioni “soft” di concertazione globale. La scelta del nome potrebbe suggerire appunto un legame con il Leone del secolo scorso e il suo tentativo “pacificatore”11. Con i tempi che corrono sarebbe un atteggiamento apprezzabile.
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1 A partire da Giovanni Paolo II (polacco), abbiamo avuto un papa tedesco (Benedetto XVI, Ratzinger) e adesso uno statunitense. Prima di Wojtila, l’ultimo papa non italiano era stato Adriano VI (1522-1523), al secolo Adriaan Florensz, fiammingo di Utrecht.
2 Riprendo nel seguito parti del testo di un mio contributo di circa 25 anni fa, ripulendolo dalle parti più polemico-battagliere che lo animavano al tempo per contrarmi sulle questioni di contenuto.
3 Il testo riprodotto è tradotto dalla versione inglese, è quindi possibile che ci siano piccole difformità rispetto alla versione italiana in commercio. Lo stesso vale per le citazioni da encicliche che seguono.
4 Si ricorda che il sillabo non sviluppa delle critiche, ma semplicemente elenca e censura 80 concetti presentati con le parole di chi li sostiene.
5 Questo lo si vede anche in Dante, Paradiso, VIII, vv. 115-126 e 138-148, ma anche XXVI, vv. 64-66; ma per la fonte filosofica cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, I. q. VI, 4 e II. II, q. XXVI.
6 È qui evidente la fondazione di questo ragionamento nelle teoria aristotelica della schiavitù.
7 Pio X, successore di Leone XIII, riprenderà la critica della modernità condannandone le “intrusioni” nel contesto cattolico con l’altrettanto celeberrima enciclica Pascendi domini gregis del 1907 diretta appunto contro il movimento “modernista”.
8 Giovanni Paolo II nella sua enciclica sociale Fides et Ratio del 1998 al § 54 fa esplicito riferimento a tutta questa stratificazione documentaria; la funzione di questo paragrafo è di rimandare a tutti i documenti precedenti su temi filosofici, sempre nel segno della continuità e della condanna.
9 Ribadisco, a scanso di equivoci, che non si sta qui parlando del cristianesimo sociale di base, ma solo delle prospettive della gerarchia.
10 Anche qui riprendo parti di testo sviluppate in un altro articolo scritto a suo tempo su questa enciclica.
11 Robert Francis Prevost è il primo papa agostiniano della storia. A dispetto del riferimento a Sant’Agostino, anche gli agostiniani, come domenicani e francescani, sono un ordine medievale, originariamente di natura eremitica mendicante ma progressivamente anch’essi diventati conventuali. Oltre al legame “ideologico”, un altro motivo a spiegazione della scelta del nome potrebbe essere più prosaicamente che Leone XIII avviò la canonizzazione di alcune figure dell’ordine, creò cardinali e ne appoggiò il rilancio vocazionale ridando vitalità al movimento dopo la profonda crisi che aveva vissuto con le soppressioni illuministiche in Europa e America latina.
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