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Nota
dell’editore
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Nell’aggiunta 2 al § 19 della sua Enciclopedia1, Hegel descrive una rigida alternativa intorno al sapere, affrontando così un tema, di cui si discuteva non solo al suo tempo, perché al contrario proprio l’alternativa, di cui Hegel dice, è tornata d’attualità anche in epoca a noi contemporanea. Leggiamo, dunque, la pagina hegeliana.
“Due opposte opinioni che si hanno intorno al pensiero: «questo è solo un pensiero (Gedanke)!» lo si dice, per intendere che si tratta di qualcosa di soggettivo, arbitrario e casuale, che nulla ha a che vedere con la cosa stessa, con il vero e con il reale. Oppure, si può avere del pensiero un’opinione così diversa, da sostenere che solo mediante esso può conoscersi la natura di dio e non certo mediante i sensi.”
Come si vede, – una volta che si ricordi l’identificazione tra dio e logos o ragione, che Hegel eredita dalla tradizione classica – qui è perfettamente delineata l’alternativa fra una concezione del conoscere, fondata sulla mediazione del pensiero; ed un’altra concezione – che ad es. ritroviamo senz’altro in Schopenhauer e in Bergson (ma anche in tanti autori ad Hegel contemporanei), secondo cui la conoscenza effettiva, profonda, reale è resa im-possibile, proprio dalla presenza della mediazione del pensiero; nel proseguo della nostra analisi, vedremo che appunto questi due filosofi saranno oggetto privilegiato della critica neopositivista di Moritz Schlick.
Insomma, Hegel delinea l’opposizione fra una concezione scientifica e razionale del conoscere, ed un’altra, che punta piuttosto su cose come, il sentimento, l’intuizione, l’immedesimazione del soggetto con l’oggetto. In definitiva, il misticismo.
“Il sentimento in quanto tale – continua Hegel – è la forma della sensibilità, che ci accomuna all’animale; quella del sentimento è la forma più vile per il contenuto spirituale. Questo contenuto – cioè, dio stesso (ovvero, per chiarire ancora una volta, la razionalità, che si dispiega nel mondo, perché è la razionalità del mondo. Nota mia, S.G.) – è nella sua verità solo nel pensiero e in quanto pensiero. In questo senso, dunque, il pensiero non è solo pensiero, sì piuttosto il modo sommo e, se ben esaminato, l’unico, in cui l’Eterno, ciò-che-è-in-sé-e-per-sé può esser colto. La logica non serve solo a pensare – cosa che si presterebbe all’obiezione che gli uomini pensano normalmente, anche senza saper nulla di logica. Ma, da quando si è capito che del pensiero va fatta esperienza (erfahren) anche come il Sommo, il Vero, la logica non serve solo a questo: se la scienza della logica analizza il pensare nella sua attività e nella sua produzione (e il pensare non è un’attività priva di contenuto, poiché produce pensanti e pensati), allora il contenuto è il mondo soprasensibile (cioè quella dimensione, che non si riduce all’immediatezza del sentire, dell’esperire. Nota mia, S.G.) ed occuparsi di esso è mantenersi in tale mondo.
Raggiunta una prima chiarezza a proposito della pagina hegeliana, azzardiamo un accostamento, che ha effettivamente qualcosa di provocatorio.