lunedì 24 marzo 2025

Da: "L'Ideologia tedesca" - K. Marx & F. Engels

Da: World Politics Blog - di Giulio Chinappi - https://giuliochinappi.wordpress.com - 

"Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Gli individui che compongono la classe dominante posseggono fra l’altro anche la coscienza, e quindi pensano; in quanto dominano come classe e determinano l’intero ambito di un’epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi fra l’altro dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell’epoca. Per esempio: in un periodo e in un Paese in cui potere monarchico, aristocrazia e borghesia lottano per il potere, il quale quindi è diviso, appare come idea dominante la dottrina della divisione dei poteri, dottrina che allora viene enunciata come «legge eterna»". 
K. Marx & F. Engels (L'Ideologia tedesca)

domenica 23 marzo 2025

I rischi per Kiev dopo la disfatta a Kursk - Gianandrea Gaiani

Da: https://www.analisidifesa.it - Gianandrea Gaiani Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. 

La disfatta ucraina nella regione russa di Kursk conferma che saranno i russi a dettare le condizioni negli eventuali negoziati che gli staff di Donald Trump e Vladimir Putin stanno mettendo a punto. Considerazione che potrebbe spiegare la riluttanza di Volodymyr Zelensky (e degli europei) ad accettare il “verdetto” del campo di battaglia.

Zelensky e il generale Oleksandr Syrsky (poco amato dai militari che gli attribuiscono troppi “sissignore” al presidente che sono costati il sacrificio inutile di decine di migliaia di militari da Bakhmut a Kursk) escono indeboliti dalla disfatta nel saliente di Kursk che  potrebbe avere un effetto destabilizzante sul morale delle esauste truppe di Kiev.

Dall’agosto scorso gli ucraini hanno impiegato in questa regione una dozzina di brigate equipaggiate dall’Occidente, sacrificando in 8 mesi, secondo stime russe, circa 70 mila uomini tra morti e feriti e 7mila veicoli, artiglierie e altri pezzi di equipaggiamento. Mezzi che i canali Telegram dei blogger militari russi hanno mostrato distrutti, danneggiati o abbandonati in immagini che illustrano questo articolo. 

sabato 22 marzo 2025

Confine orientale e identità: foibe e narrazione - Raoul Pupo

Da: Università di Catania - webtv - Raoul Pupo è uno storico italiano, già professore di Storia contemporanea all'Università di Trieste, tra i massimi conoscitori dell'Esodo giuliano-dalmata e dei massacri delle foibe.
Vedi anche: La narrazione intorno alle foibe. Un'ambigua verità di stato - Angelo d'Orsi 
Alessandra Kersevan su fascismo e foibe (Prima parte: https://www.youtube.com/watch?v=5l59zDt3VmY) - (Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=5l59zDt3VmY
Leggi anche: “E allora, le foibe?!”  

"Il Giorno del ricordo viene usato in tanti modi e può venire usato in senso puramente strumentale: è stato usato e continuerà a venire usato da parte di componenti politiche di estrema destra. Già dagli anni Novanta era partita una campagna dall’allora partito di Alleanza Nazionale per l’istituzione di vie e piazze ai “martiri delle foibe”. Era un’operazione politica di matrice neofascista. 
Ma il Giorno del ricordo si presta sia per riconciliare la memoria degli esuli e delle vittime delle foibe sia per riscoprire tutta la storia del confine orientale, che è una storia abbastanza complessa, perché oltre le foibe e l’esodo c’è anche tutto quello che è successo prima. Va sempre tenuta presente una cosa: il giorno del ricordo cade il 10 febbraio del 1947, che è la data della firma del trattato di pace che segna la perdita della Venezia Giulia per l’Italia. Quel trattato di pace riguarda la guerra iniziata dall’Italia col fascismo, che è entrata in guerra per sua scelta a fianco della Germania, quindi ha invaso e distrutto la Jugoslavia annettendola parzialmente. L’inizio della catastrofe, quindi, è l’attacco dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale con la responsabilità del fascismo." (Raoul Pupo, foibe-giorno-del-ricordo-fascisti-comunisti)

                                                                         

venerdì 21 marzo 2025

Gaza. Israele scatena l’inferno promesso - Eliana Riva

 Da: https://pagineesteri.it - L’articolo è stato pubblicato in origine sul quotidiano Il Manifesto.Eliana Riva Storica, giornalista, editrice, caporedattrice Pagine Esteri. (https://www.facebook.com/eliana.riva1)


https://www.facebook.com/reel/1579114242786131

Gli aerei da guerra israeliani hanno bombardato Gaza da nord a sud. Jabalia, Beit Hanoun, Gaza City, Nuseirat, Deir el-Balah, Khan Younis e Rafah. Anche l’area di al-Mawasi, designata zona umanitaria dalla stessa Tel Aviv. Sono state colpite scuole-rifugio, tende per sfollati, le case danneggiate dentro cui si riparavano intere famiglie. Momen Qoreiqeh, un sopravvissuto, ha raccontato ai giornalisti di Al Jazeera di essere riuscito a recuperare 26 cadaveri, tutti membri della sua famiglia, ammazzati insieme mentre dormivano. «Massacri di civili» li ha definiti Medici senza frontiere (Msf), che ha contato decine di morti e feriti nelle cliniche che gestisce. Nell’ospedale Nasser di Khan Younis l’unità di terapia intensiva pediatrica si era già riempita ieri mattina. Il direttore dell’Al-Shifa ha dichiarato che ogni minuto un ferito muore a causa della mancanza di risorse mediche. Medicine, attrezzature, personale: le strutture sanitarie dove vengono portati i feriti sono le stesse ridotte al collasso da quindici mesi di bombardamenti, dall’assedio dei militari israeliani, dal nuovo blocco di carburante e di aiuti. Due mesi di cessate il fuoco non sono certo bastati a recuperare la piena funzionalità.

giovedì 20 marzo 2025

L'inizio della lotta di classe - "Frasi di Marx"

 Da: https://www.lantidiplomatico.it -  

"Frasi di Marx"

Con questo primo video cominciamo la collaborazione con il canale argentino Frases de Marx dedicato alla presentazione dei punti nodali dell’opera di questo seminale, controverso, amato e odiato pensatore, cui solo in youtube sono dedicati migliaia di canali. In questo specifico caso viene analizzato il significato di alcune celebri frasi di Karl Marx comunemente associate all’interpretazione del capitalismo del XIX secolo, ma che – come si vedrà – costituiscono la chiave per comprendere anche le dinamiche socio-economiche dell’oggi.
Questa rubrica, nella versione italiana, è curata da Alessandra Ciattini, docente dell’università popolare A. Gramsci e membro del Centro studi D. Losurdo. (https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-linizio_della_lotta_di_classe__frasi_di_marx_1/59732_59733/)


PRIMO VIDEO : L'INIZIO DELLA LOTTA DI CLASSE 

mercoledì 19 marzo 2025

La Prefazione alla "Fenomenologia dello spirito" di Hegel - Stefania Achella

Da: AccademiaIISF - Stefania Achella è ricercatrice di Filosofia morale presso l’Università degli Studi Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara. Studiosa della filosofia tedesca, in particolare del pensiero di Hegel e di Jaspers, dei quali ha tradotto alcune opere, è co-curatrice dell’edizione italiana delle Lezioni di filosofia della religione di Hegel (3 voll., 2003-2011). A Hegel ha dedicato due monografie sul rapporto tra religione e filosofia e diversi articoli (tra i più recenti: Hegel Political Theologian? e L’ontologia vivente di Hegel). Negli ultimi anni si è dedicata alla ricezione italiana del pensiero hegeliano, in particolare nella filosofia di Bertrando Spaventa (Spaventa lettore di Hegel, 2017). Coordinatrice del laboratorio di Migration Studies istituito presso l’Università di Chieti-Pescara, lavora attualmente sui concetti di vita e di corporeità nella filosofia classica tedesca.

La Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, scritta nel 1807, è uno dei più ardui e affascinanti testi filosofici. In esso Hegel si sofferma sul concetto di filosofia e sulla possibilità, offerta a tutti dalla maturità dell'epoca, di accedere al sapere assoluto ossia alla scienza. Il laboratorio ne propone una lettura strettamente aderente al suo sviluppo argomentativo.

Prima parte:

                                                                           


lunedì 17 marzo 2025

Perché la classe è importante - Greg Godels

 Da: www.resistenze.org - Art. originale: Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com


Dopo le ultime elezioni, i funzionari del Partito Democratico erano perplessi dal fatto che gli elettori, solitamente molto attenti all'economia, non fossero riusciti a mostrare la dovuta considerazione per il miracolo economico di Biden. Hanno citato i miliardi di denaro federale che fluivano verso la crescita economica; hanno ripetuto cifre di crescita aggregate più solide rispetto ad altre economie avanzate; hanno mostrato che la spesa dei consumatori continuava a mostrare un vigore sorprendente; hanno notato che i redditi aggregati crescevano più velocemente dell'inflazione; e ci hanno ricordato i marcatori spesso menzionati di aumento del mercato azionario e dei valori immobiliari.

Sconcertati dagli elettori che hanno evitato la Bidenomics e si sono lamentati dell'economia, gli esperti del Partito Democratico sono convinti che gli elettori siano semplicemente ignoranti dei fatti.

Oggi, forse più che mai, il mancato riconoscimento delle divisioni di classe sociale produce giudizi mal informati e arroganti come quelli di spicco nei circoli del Partito Democratico. Mentre i numeri aggregati possono raccontare una storia, non riescono a raccontare la storia del benessere economico delle classi e degli strati che compongono l'aggregato, persino il segmento di gran lunga più ampio di tale aggregato. Potrebbe essere che la vittoria economica di Biden sia stata una vittoria per i più ricchi, i più generosamente compensati tra la popolazione statunitense, mentre ha lasciato la maggior parte dei cittadini (e degli elettori) statunitensi nello specchietto retrovisore?

La risposta è un inequivocabile "sì".

E la risposta non arriva da un think tank di sinistra, ma dai dati della Federal Reserve tramite Moody's Analytics e riassunti nel The Wall Street Journal

Come riportato dal WSJ , il 10% dei "redditi" più alti, ovvero le famiglie che dichiarano un reddito di $ 250.000 o più, sono responsabili del 49,7% della spesa dei consumatori. In altre parole, quasi la metà di tutta la spesa dei consumatori è rappresentata da coloro che rientrano nel 10% più alto di tutti coloro che dichiarano i propri redditi. Questa è la quota più grande per questo segmento d'élite da quando la Federal Reserve ha iniziato a monitorare nel 1989. In soli tre decenni, la quota del 10% più alto è aumentata da oltre un terzo a quasi la metà di tutta la spesa dei consumatori. 

domenica 16 marzo 2025

Dazi, capitali e cannoni, protezionismo imperiale - Emiliano Brancaccio

Da: https://ilmanifesto.it - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - Emiliano Brancacciowww.emilianobrancaccio.it 

Vedi anche: Le condizioni economiche per la pace - Emiliano Brancaccio  

Guerra capitalista e condizioni economiche per la pace - Emiliano Brancaccio

Leggi anche: CLASSE (lotta di) - Emiliano Brancaccio 


«C’è un aggressore e c’è un aggredito». Lo slogan più martellante degli ultimi anni vive una seconda giovinezza. Applicato fino a ieri al solo tema della guerra, oggi viene riciclato nel campo delle politiche commerciali. L’odierno aggressore è infatti Trump, che si è messo a brandire l’arma dei dazi anche contro l’Unione europea. Che provocata reagisce, approvando uguali e contrarie misure protezioniste a danno di una lunga lista di prodotti made in Usa.

A prima vista sembra una classica reazione da manuale. Persino Adam Smith, precursore della dottrina del libero scambio, ammetteva la rappresaglia protezionista contro provvedimenti restrittivi stranieri. 

Smith però si premurava di aggiungere che la risposta dell’aggredito dovesse puntare alla «rimozione dei dazi o delle proibizioni che l’hanno originata». La contemplava cioè quale arma tattica, per indurre l’aggressore a ravvedersi e a ripristinare i liberi commerci. Gli sherpa dell’Ue insistono a dire che questo è esattamente l’obiettivo della reazione protezionista europea: metter paura a Trump, per indurlo a più miti consigli. La speranza è che il nuovo presidente americano torni al vecchio friend shoring: imporre dazi a tutti, tranne agli amici europei.

Ma nelle stanze del potere gli scettici ormai sgomitano. Mario Draghi è tra questi. A suo avviso, l’Ue deve elevare barriere commerciali e finanziarie non come tattica contingente ma come strategia di lungo periodo. Il motivo è che l’onda protezionista che viene dall’atlantico non è il capriccio di un altro pazzo al potere ma è la conseguenza di gravi problemi strutturali dell’economia americana, di competitività e di debito verso l’estero. Per questa ragione, la guerra economica mondiale è destinata a durare e si annuncia come una lotta di tutti contro tutti. In un tale scenario, l’Europa aggredita deve imparare a diventare potenza aggressiva, attraverso i dazi e non solo.

Ecco perché ormai lo slogan dell’aggressore e dell’aggredito suona male anche in tema di guerra. Con l’attacco all’Ucraina, la Russia si è macchiata dell’onta di avere inaugurato un’epoca di nuovi e ancor più intensi massacri globali: negare questa evidenza vorrebbe dire passare dalla padella dei pugilatori a pagamento atlantisti alla brace delle majorettes putiniane. Ma l’idea che von der Leyen e i suoi intendano riarmare l’Europa per difendersi da una possibile invasione russa è l’ennesima semplificazione di comodo.

La vera spiegazione del riarmo europeo è un’altra. Per lungo tempo i paesi Ue hanno agito da vassalli dell’impero americano. Dove l’America muoveva le truppe, lì si creavano occasioni di profitto per aziende statunitensi in primo luogo, ma subito dopo anche per imprese britanniche, francesi, tedesche, italiane. Dall’Est Europa, all’Africa, al Medio oriente, così l’imperialismo atlantico ha agito per decenni. Ma nel momento in cui la crisi del debito forza l’impero americano a ridimensionare l’area d’influenza e a caricare di dazi anche i vassalli, il problema delle diplomazie europee diventa uno solo: progettare un imperialismo autonomo, in grado di accompagnare la proiezione del capitalismo europeo verso l’esterno con una potenza militare autonoma. Ancora una volta, Draghi riconosce il punto. Macron, Merz e Meloni non lo ammettono apertamente, ma l’obiettivo è quello.

Vista sotto questa angolazione, la difesa dell’Ucraina diventa un tipico caso di scuola per il progetto imperialista europeo. Non si tratta di proteggere i confini dell’Unione da una futura invasione cosacca. Piuttosto, si tratta di riannodare con la forza i fili dell’accordo di «associazione Ue-Ucraina» iniziato nel lontano 2008. Una lunga serie di intese con un già implicito profilo imperiale, che mirava a estromettere le aziende russe dagli affari nell’area e da cui tutti i guai sono iniziati. Naturalmente, ciò che vale per il fronte insanguinato dell’Ucraina vale anche per tutte le altre linee di confine: i più grandi profitti saranno preda di chi saprà scortare i capitali con le truppe e i cannoni.

Il «momento» del nuovo imperialismo è dunque giunto. Occorre proteggere l’esportazione di capitali europei con milizie europee. Con buona pace delle bandiere blu e oro che verranno agitate in piazza, questo è lo scopo ultimo di ReArm Europe.

sabato 15 marzo 2025

A chi esita - Bertolt Brecht

Da: Bertolt BrechtPoesie (Einaudi, 2014), a cura di G. D. Bonino. - 

Dici:

per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua. 


« On croit mourir pour la patrie on meurt pour des industriels » - Anatole France

Da: L'Humanité, 18 luglio 1922. ( pag. 2 - 10 ). - Anatole France Scrittore, biografo, giornalista e critico letterario francese (1844–1924). Pseudonimo: Anatole France, Anatolis Fransas. 



Cher citoyen Cachin,

Je vous prie de signaler à vos lecteurs le récent livre de Michel Corday, les Hauts Fourneaux[1], qu’il importe de connaître.

On y trouvera sur les origines de la conduite de la guerre des idées que vous partagerez et qu’on connaît encore trop mal en France ; on y verra notamment (ce dont nous avions déjà tous deux quelque soupçon) que la guerre mondiale fut essentiellement l’œuvre des hommes d’argent, que ce sont les hauts industriels des différents États de l’Europe qui, tout d’abord, la voulurent, la rendirent nécessaire, la firent, la prolongèrent. Ils en firent leur état, mirent en jeu leur fortune, en tirèrent d’immenses bénéfices et s’y livrèrent avec tant d’ardeur, qu’ils ruinèrent l’Europe, se ruinèrent eux-mêmes et disloquèrent le monde.

Écoutez Corday, sur le sujet qu’il traite avec toute la force de sa conviction et toute la puissance de son talent. — « Ces hommes-là, ils ressemblent à leurs hauts fourneaux, à ces tours féodales dressées face à face le long des frontières, et dont il faut sans cesse, le jour, la nuit, emplir les entrailles dévorantes de minerai, de charbon, afin que ruisselle au bas la coulée du métal. Eux aussi, leur insatiable appétit exige qu’on jette au feu, sans relâche, dans la paix, dans la guerre, et toutes les richesses du sol, et tous les fruits du travail, et les hommes, oui, les hommes mêmes, par troupeaux, par armées, tous précipités pêle-mêle dans la fournaise béante, afin que s’amassent à leurs pieds les lingots, encore plus de lingots, toujours plus de lingots… Oui, voilà bien leur emblème, leurs armes parlantes, à leur image. Ce sont eux les vrais hauts fourneaux ! » (page 163).

Ainsi, ceux qui moururent dans cette guerre ne surent pas pourquoi ils mouraient. Il en est de même dans toutes les guerres. Mais non pas au même degré. Ceux qui tombèrent à Jemmapes ne se trompaient pas à ce point sur la cause à laquelle ils se dévouaient. Cette fois, l’ignorance des victimes est tragique. On croit mourir pour la patrie ; on meurt pour des industriels.

Ces maîtres de l’heure possédaient les trois choses nécessaires aux grandes entreprises modernes : des usines, des banques, des journaux. Michel Corday nous montre comment ils usèrent de ces trois machines à broyer le monde. Il me donna, notamment, l’explication d’un phénomène qui m’avait surpris non par lui-même, mais par son excessive intensité, et dont l’histoire ne m’avait pas fourni un semblable exemple : c’est comment la haine d’un peuple, de tout un peuple, s’étendit en France avec une violence inouïe et hors de toute proportion avec les haines soulevées dans ce même pays par les guerres de la Révolution et de l’Empire. Je ne parle pas des guerres de l’ancien régime qui ne faisaient pas haïr aux français les peuples ennemis. Ce fut cette fois, chez nous, une haine qui ne s’éteignit pas avec la paix, nous fit oublier nos propres intérêts et perdre tout sens des réalités, sans même que nous sentions cette passion qui nous possédait, sinon parfois pour la trouver trop faible.

Michel Corday montre très bien que cette haine a été forgée par les grands journaux, qui restent coupables, encore à cette heure, d’un état d’esprit qui conduit la France, avec l’Europe entière, à sa ruine totale. « L’esprit de vengeance et de haine, dit Michel Corday, est entretenu par les journaux. Et cette orthodoxie farouche ne tolère pas la dissidence ni même la tiédeur. Hors d’elle, tout est défaillance ou félonie. Ne pas la servir c’est la trahir. »

Vers la fin de la guerre, je m’étonnais devant quelques personnes de cette haine d’un peuple entier comme d’une nouveauté que l’on trouvait naturelle et à laquelle je ne m’habituais pas. Une dame de beaucoup d’intelligence et dont les mœurs étaient douces assura que si c’était une nouveauté, cette nouveauté était fort heureuse. « C’est, dit-elle, un signe de progrès et la preuve que notre morale s’est perfectionnée avec les siècles : la haine est une vertu ; c’est peut-être la plus noble des vertus. »

Je lui demandais timidement comment il est possible de haïr tout un peuple :

— Pensez, madame, un peuple entier c’est grand… Quoi ? Un peuple composé de millions d’individus, différents les uns des autres, dont aucun ne ressemble aux autres, dont un nombre infiniment petit a seul voulu la guerre, dont un nombre moindre encore en est responsable, et dont la masse innocente en a souffert mort et passion. Haïr un peuple, mais c’est haïr les contraires, le bien et le mal, la beauté et la laideur. »

Quelle étrange manie ! Je ne sais pas trop si nous commençons à en guérir. Je l’espère. Il le faut. Le livre de Michel Corday vient à temps pour nous inspirer des idées salutaires. Puisse-t-il être entendu ! L’Europe n’est pas faite d’États isolés, indépendants les uns des autres. Elle forme un tout harmonieux. En détruire une partie, c’est offenser les autres.

Notre salut c’est d’être bons Européens. Hors de là, tout est ruine et misère.

Salut et fraternité,

Anatole FRANCE.
  1.  Texte disponible sur Wikisource : Les Hauts Fourneaux.

venerdì 14 marzo 2025

"Mentre" - Giorgio Agamben

Da: https://www.quodlibet.it - Gorgio Agamben è un filosofo italiano. Ha scritto diverse opere che spaziano dall'estetica alla filosofia politica, dalla linguistica alla storia dei concetti, proponendo interpretazioni originali di categorie come forma di vita, homo sacer, stato di eccezione e biopolitica. La sua opera è studiata in tutto il mondo. 


Per liberare il nostro pensiero dalle panie che gli impediscono di spiccare il volo è bene innanzitutto abituarlo a non pensare più in sostantivi (che, come il nome stesso inequivocabilmente tradisce, lo imprigionano in quella «sostanza», con la quale una tradizione millenaria ha creduto di poter afferrare l’essere), ma piuttosto (come William James ha suggerito una volta di fare) in preposizioni e magari in avverbi. Che il pensiero, che la mente stessa abbia per così dire carattere non sostanziale, ma avverbiale, è quanto ci ricorda il fatto singolare che nella nostra lingua per formare un avverbio basta unire a un aggettivo il termine «mente»: amorosamente, crudelmente, meravigliosamente. Il nome – il sostanziale – è quantitativo e imponente, l’avverbio qualitativo e leggero; e, se ti trovi in difficoltà, a trarti d’impaccio non sarà certo un «che cosa», ma un «come», un avverbio e non un sostantivo. «Che fare?» paralizza e t’inchioda, solo «come fare?» ti apre una via d’uscita.

Così per pensare il tempo, che da sempre ha messo a dura prova la mente dei filosofi, nulla è più utile che affidarsi – come fanno i poeti – a degli avverbi: «sempre», «mai», «già», «subito», «ancora» - e, forse – di tutti più misterioso – «mentre». «Mentre» (dal latino dum interim) non designa un tempo, ma un «frattempo», cioè una curiosa simultaneità fra due azioni o due tempi. Il suo equivalente nei modi verbali è il gerundio, che non è propriamente né un verbo né un nome, ma suppone un verbo o un nome a cui accompagnarsi: «però pur va e in andando ascolta» dice Virgilio a Dante e tutti ricordano la Romagna di Pascoli, «il paese ove, andando, ci accompagna / l’azzurra vision di S.Marino».

Si rifletta a questo tempo speciale, che possiamo pensare solo attraverso un avverbio e un gerundio: non si tratta di un intervallo misurabile fra due tempi, anzi nemmeno di un tempo propriamente si tratta, ma quasi di un luogo immateriale in cui in qualche modo dimoriamo, in una sorta di perennità dimessa e interlocutoria. Il vero pensiero non è quello che deduce e inferisce secondo un prima e un poi: «penso, dunque sono», ma, più sobriamente: «mentre penso, sono». E il tempo che viviamo non è la fuga astratta e affannosa degli inafferrabili istanti: è questo semplice, immobile «mentre», in cui sempre già senza accorgercene siamo – la nostra spicciola eternità, che nessun affranto orologio potrà mai misurare.

14 marzo 2024
Giorgio Agamben 

giovedì 13 marzo 2025

RUSSIA e EUROPA in GUERRA PERMANENTE: il SOGNO di TRUMP - Giorgio Bianchi

Da: OttolinaTV - Giorgio-Bianchi è un fotoreporter che ha girato il mondo, documentando con il suo lavoro storie da Siria, Burkina Faso, Vietnam, Myanmar, Nepal, India e tutta l'Europa, compresa l’Ucraina, che segue fin dal 2013. https://www.facebook.com/giorgio.bianchi.photojournalist

Il conflitto aperto tra USA e Russia, volge al termine e ora le classi dirigente europee, come negli anni Trenta del Novecento, ambiscono allo scontro totale con Mosca. Sullo sfondo le vicende mediorientali, in cui la nuova amministrazione alla Casa Bianca sembra decisa a permettere il genocidio. La società occidentale allo sbando, è vittima di uno sfilacciamento sociale che uccide la speranza, creato ad arte dalla propaganda e dal neoliberismo.

                                                                          

mercoledì 12 marzo 2025

Ucraina, tre anni di guerra: il confronto Santoro-Orsini -

Da: Rai - ALESSANDRO ORSINI è direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università di Roma Tor Vergata, Research Affiliate al MIT di Boston e docente di Sociologia del terrorismo alla LUISS. (https://www.youtube.com/@orsiniufficiale - https://www.facebook.com/orsiniufficiale/?locale=it_IT) - Michele Santoro è un giornalista, conduttore televisivo, autore televisivo, produttore televisivo e politico italiano.
Vedi anche: "Pace proibita"
                                                                           
                                                                           

LA RESISTENZA RUSSA HA DEMOLITO L'UNIONE EUROPEA,
CHE ORMAI HA PERSO LA FACCIA DI FRONTE AL MONDO
E IN PIÙ SI RITROVA UN VICINO TRASFORMATO IN NEMICO 

Alessandro Orsini: «Accusare Putin per aver invaso l'Ucraina? Nel 2023, lo stesso Stoltenberg si vantò aver respinto tutte le richieste di dialogo, da parte dei russi, che volevano evitare di ricorrere alla soluzione militare. Se oggi Trump maltratta Zelensky, lo fa per nascondere la catastrofica sconfitta dell'Occidente, che si illudeva di poter piegare la Russia. Molti poi pensano che risalga al 2008 il tentativo di associare l'Ucraina alla Nato, ma non è vero: fu Bill Clinton, addirittura nel lontano 1994, ad approvare il progetto. Oggi, poi, qualunque autorità morale dell'Occidente è stata completamente distrutta dal genocidio a Gaza». 

«Viviamo in un tempo in cui, dopo quello che abbiamo fatto a Gaza, nessuno può più raccontare a se stesso la storia secondo cui la civiltà occidentale è giuridicamente superiore alla Russia, alla Cina, alla Corea del Nord. Questo è un lusso che nessuno di noi può più permettersi. Negli ultimi 30 anni le democrazie occidentali hanno violato il diritto internazionale e i diritti umani molto più di qualunque dittatura. E questo emerge in maniera nitida dalla documentazione storica: negli ultimi tre decenni, nessuno ha fatto tante guerre illegali come la Nato». 

«Nel 1999 la Nato ha condotto una guerra in violazione del diritto internazionale contro la Serbia. Poi nel 2011 ha bombardato Gheddafi per il suo rovesciamento in combutta con i ribelli libici (altra guerra in violazione del diritto internazionale). Per non parlare, appunto, di quello che abbiamo fatto e che ancora stiamo facendo a Gaza, dove si parla addirittura di deportare la popolazione palestinese superstite. La guerra in Ucraina, inoltre, ha causato la morte politica dell'Unione Europea. Putin ha semplicemente ucciso, politicamente, l'Unione Europea». 

«In politica internazionale, le guerre svolgono la stessa funzione che la ricerca svolge nella scienza: servono a confermare le ipotesi. Durante le guerre, le classi dirigenti fanno delle ipotesi sulla forza dei nemici. Quando è scoppiata questa guerra, l'Unione Europea ipotizzava che la Russia fosse debolissima e che l'Europa fosse fortissima. Invece la guerra ha disvelato i rapporti di forza: la Russia è fortissima e l'Europa è debolissima. Se vuole, la Russia può schiacciare l'Europa con un pugno». 

«Mark Rutte, il nuovo segretario generale della Nato, qualche settimana fa ha dichiarato che, dal punto di vista militare, quello che la Russia produce in tre mesi la Nato lo produce in un anno intero, da Los Angeles ad Ankara. Cioè: Rutte ci sta dicendo che 32 paesi della Nato, Stati Uniti inclusi, a livello di armamenti producono infinitamente meno della Russia. Gli Usa e l'Europa, insieme, riescono a produrre 1,2 milioni di proiettili per l'artiglieria pesante, mentre in un anno la Russia ne produce 3 milioni». 

«Com'è possibile che l'Europa possa continuare la guerra da sola? E come potrebbe aiutare l'Ucraina a battere Putin? Quello era il vero obiettivo di Biden, deporre Putin, ed è fallito. L'Unione Europea ha investito esclusivamente nella guerra. La posizione ufficiale dei leader europei (Draghi, la stessa Meloni, Macron e Scholz, fin che c'è stato) era l'impegno per la sconfitta della Russia, il ritiro senza condizioni delle truppe russe. Quindi l'Unione Europea ha basato tutta la sua politica sulla forza, esecrando la diplomazia. E siccome la forza non ce l'ha, ha perso la politica». 

«Io non credo che l'Unione Europea potrà mai rinascere, dal punto di vista politico, a causa di questa guerra: perché l'umiliazione, la mortificazione è stata talmente grande e talmente evidente che in Asia, in Medio Oriente, in Africa, l'Europa non conta più nulla. Facendo questa guerra contro la Russia, l'Unione Europea ha mostrato la sua nullità. Così adesso è costretta a vivere sotto la minaccia permanente della Russia, rispetto alla quale abbiamo scoperto di non avere deterrenza». 

«Abbiamo anche scoperto che Trump non vuole investire in una guerra con la Russia, tantomeno in Ucraina. Infatti in questo momento Putin è fortissimo. Ed è la ragione per cui ritengo che stia solo facendo finta di trattare. A mio giudizio, Putin non vuole trattare: vuole in realtà una finta trattativa, per la resa incondizionata dell'Ucraina. Tant'è vero che 24 ore fa la Russia ha condotto un attacco-record, un bombardamento-record contro l'Ucraina: ha lanciato 237 droni in gran parte su Odessa, cioè l'ultimo sbocco al mare rimasto agli ucraini». 

«Trump ha lanciato un tweet dicendo che “la pace scoppierà fra qualche giorno”. Molti ottimisti immaginano che ci sarà una trattativa di questo tipo: Putin ferma le armi e si discute. Io invece credo che Putin farà una trattativa infilando un coltello in gola a Zelensky. Cioè: tratterà senza interrompere i massacri. E vorrà tutto quello che chiedeva tre anni fa per non farla, la guerra. Ora, il grandissimo problema dell'Ucraina (e la grande tragedia dell'Europa) è che Trump non ha via d'uscita: se non vuole rientrare nella guerra, trasformandosi in un Biden-2, deve cedere a tutte le richieste di Putin». 

martedì 11 marzo 2025

Trump si prende il Canale di Panama e i microchip di Taiwan - Marco Santopadre

 Da: https://pagineesteri.it - Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.

Leggi anche: Il Congo, insanguinato dallo scontro tra Usa, Ue e Cina - Marco Santopadre


Il “discorso sullo stato dell’Unione” più lungo degli ultimi decenni. In un’ora e quaranta minuti Donald Trump non si è risparmiato, mettendo in fila i cavalli di battaglia che lo hanno portato alla vittoria e che guidano la sfilza di provvedimenti adottati dal capo della Casa Bianca nelle prime settimane di regno incontrastato. 

In un’alternanza di auto-celebrazioni e minacce, il leader repubblicano è tornato per l’ennesima volta sulla necessità di impossessarsi della Groenlandia, indispensabile al rafforzamento degli States sia sul fronte delle risorse sia su quello della conquista di una posizione di prima fila nella corsa ai corridoi e alle riserve artiche.
«Sosteniamo il diritto di scelta del popolo della Groenlandia e siamo pronti ad accoglierla. L’isola sarà più sicura e prospera» con gli Usa, afferma il tycoon. Che poi passa subito ad un altro dei suoi obiettivi: «Ci riprenderemo il canale di Panama».

A furia di minacce – quella di imporre dazi e ritorsioni economiche agli stati che non si piegano, quando non addirittura azioni di tipo militare – Donald Trump sembra inarrestabile e continua a collezionare innegabili successi, uno dei quali riguarda proprio le pretese sul piccolo paese centroamericano dal quale passa una quota consistente dei commerci globali e che garantisce enormi introiti derivanti dai pedaggi.

lunedì 10 marzo 2025

Grazie, Volodymir Zelensky! - Massimo Zucchetti

Da: facebook.com/Massimo Zucchetti - Massimo Zucchetti è professore ordinario dal 2000 presso il Politecnico di Torino, Dipartimento di Energia. Attualmente è docente di Radiation Protection, Tecnologie Nucleari, Storia dell’energia, Centrali nucleari. - Massimo Zucchetti - https://zucchett.wordpress.com - 

Vedi anche: I rischi inaccettabili di una guerra nucleare - Massimo Zucchetti 

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Dopo la criminale uscita di Macron, uno in cui il complesso di Edipo si mescola con la Grandeur, che aveva detto - traduco per i peggior sordi che non vogliono sentire - di offrire agli Europei il suo “ombrello nucleare”, cioè con le sue maledette 290 bombe atomiche, scatenare un conflitto nucleare per “far vincere” la guerra al suo Zelensky, debbo confessare che non sapevo più a che Santo Votarmi. 

Pochi giorni prima, infatti, la autocrate a capo dell'Unione Europea - la VonDerQuarchecosa che ho condannato alla damnatio memoriae e quindi non nomino - aveva colto la palla al balzo e lanciato uno stupendo programmone che soddisfaceva appieno i suoi clientes, dal titolo "REARM Europe" o qualcosa di simile: 800 diconsi 800 miliardi di euro di nostri soldi spesi in armi, per provare a fare lei la Trump e "sostenere" Zelly, confermato "campione della democrazia". Perché Autocrate? Perché ha fatto in modo che questo suo bel piano-rapina non passasse dal Parlamento per l'approvazione. Va beh: è il Parlamento Europeo, infestato da pseudopolitici giubilati in patria e strapagati per occuparsi di inutilitilia, ma dentro il quale sopravvivono persone dotate di un minimo di mancanza d'ignoranza, e che avevano detto che "costava troppo". Non che fosse una pazzia criminale, no: che costava troppo. 

Putin non l'aveva presa sul ridere. Come ho scritto, pur essendo a capo di una inerme nazione dotata di sole 6000 testate nucleari, sembra saper bene che basta anche una sola bomba atomica a scatenare una catastrofe inimmaginabile, milioni di morti, distruzione e sofferenze indescrivibili, una inevitabile risposta, e la terza guerra mondiale: tutta l’Europa ridotta ad una immensa unica tomba infernale radioattiva. 

Ha ammonito in un suo calmo ma duro discorso: "guardate che la Russia non ha alcuna intenzione di farvi la guerra, cari Europei, ma se ci venite a cercare, guardate che ci trovate, come possono ben testimoniarvi Napoleone e H*tler. Lavorate per la pace, non per la guerra". Azzo, non venisse da quello della Cecenia 2003, sarebbe un discorso da Nobel per la Pace, no? 

domenica 9 marzo 2025

Il vero significato dell'appello di Michele Serra. Intervista al prof. Angelo D'Orsi

Da: la Città Futura - Angelo d'Orsi, Professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino.

L'appello di Michele Serra a sostegno di questa UE equivale ad un appello per sostenere il riarmo e la guerra. Boicottiamolo  

                                                                      

sabato 8 marzo 2025

IL NEMICO DELL’EUROPA È IL RIARMO DI URSULA - Barbara Spinelli

Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - Barbara Spinelli è una giornalista, saggista e politica italiana. Europarlamentare (2014–2019).
Leggi anche: Come salvare Kiev dopo la sconfitta - Barbara Spinelli 

LE DUE INCENDIARIE 

L'Unione è condannata all'irrilevanza se, invece di prendersela con Trump, non richiama all’ordine i rappresentanti che vogliono prolungare la guerra: da Von der Leyen all’estone Kallas 


Dicono molti commentatori che l’Europa si è fatta infine sentire: lo avrebbe fatto riconfortando Zelensky, dopo lo scontro di venerdì fra il presidente ucraino e Donald Trump, e promettendo un fenomenale riarmo e una guerra fredda a guida europea anziché statunitense. 

Parigi e Londra sono pronte a schierare truppe in Ucraina, per garantirne la sicurezza dopo la tregua e l’accordo dipace con Mosca. Per ora Putin è contrario: non ha fatto la guerra per avere eserciti di Stati Nato al proprio confine . 

Se questa è Europa, ben vengano le opposizioni al Piano di Riarmo, oggi al vertice dell’Unione. Non sono i progetti marziali della Commissione a facilitare la pace, ma le formidabili pressioni di Trump: martedì notte la Casa Bianca ha annunciato la sospensione di ogni aiuto all’Ucraina, compresi gli aiuti dei Servizi segreti, e il giorno dopo Zelensky ha accettato la mediazione Usa e proposto un’interruzione delle operazioni di aria e di mare. È quello che Papa Francesco un anno fa chiamò il “coraggio della bandiera bianca”. Viene l’ora di trattare con Putin, per fortuna non più paragonato a Hitler. L’apertura di Zelensky è giudicata positiva da Mosca. 

venerdì 7 marzo 2025

Unione Europea, impresa di morte - Luca Cangemi

Da: https://www.kulturjam.it - Luca Cangemi Docente di Filosofia e Storia, dottore di ricerca in Scienze Politiche, fa parte della segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano. 

Leggi anche: Il governo della guerra attacca la scuola - Luca Cangemi 

Un blocco imperialista digitale? - Luca Cangemi 

Il mondo di Lenin. Passaggio a Oriente - Luca Cangemi 


“RearmEurope” – un nome agghiacciante, evocativo degli anni Trenta – è il piano criminale presentato da Ursula von der Leyen, che trasforma definitivamente l’Unione Europea in un’impresa di guerra e devastazione sociale. 


RearmEurope, impresa di morte

Il nuovo compito dell’UE, intrecciato a quello consueto di promuovere e imporre il mercato e le privatizzazioni, è ora l’orientamento verso la guerra, in particolare la costruzione di armamenti, destinandovi enormi risorse finanziarie, industriali e tecnologiche, che devono essere sottratte – lo si afferma esplicitamente – alla vita civile. Questa scelta comporta un ulteriore e accelerato ridimensionamento delle garanzie che furono proprie del cosiddetto modello sociale europeo.

Si tratta di una svolta dura e impressionante, soprattutto per l’entità delle risorse finanziarie annunciate dalla presidente della Commissione europea. Tuttavia, non possiamo considerarla una sorpresa assoluta. Storicamente, e nonostante le sciocchezze spesso riportate nei documenti del PD, lo stato sociale in Europa è stato costruito nell’ambito degli Stati e sotto la spinta delle lotte popolari.

Al contrario, le istituzioni europee – prima la CEE, poi, con maggiore capacità di condizionamento, l’UE e la BCE – hanno sempre agito come guardiani del mercato, imponendo politiche economiche neoliberiste e persino norme costituzionali, con esiti regressivi spesso tragici, come in Grecia, e sempre estremamente pesanti.

Sul piano militare, dopo il fallimento della Comunità Europea di Difesa negli anni ’50 (una vicenda storica su cui varrebbe la pena tornare), il protagonismo “europeista” è rimasto sottotraccia.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che, negli ultimi trent’anni, NATO e Unione Europea hanno proceduto congiuntamente nell’espansione verso Est e, in particolare, negli ultimi tre anni, le istituzioni continentali – basti pensare ai deliri messi in scena al Parlamento Europeo – sono diventate le roccaforti della retorica bellicista e hanno iniziato a sperimentare soluzioni di finanza di guerra.

Ora, von der Leyen tenta una forzatura nel bel mezzo della crisi nei rapporti atlantici, esplosa con le iniziative di Trump, in particolare sulla questione ucraina. Attenzione: è fondamentale interpretare correttamente la situazione e non vedere nel riarmo europeo un possibile strumento di autonomia dell’Europa rispetto agli USA, come fanno tante anime belle.

Il riarmo promosso da von der Leyen, esplicitamente orientato in senso anti-russo, esprime in realtà la volontà di ricompattare l’Occidente, in continuità con l’ideologia diffusa a piene mani negli ultimi anni. Certo, nelle profondità di alcuni settori delle classi dirigenti europee – in particolare inglesi e francesi – permane un (stanco) riflesso imperiale, ma manca completamente una visione strategica di un nuovo sistema multipolare, in cui un’Europa capace di un ruolo autonomo possa essere protagonista.

Anzi, come non vedere che l’aumento della spesa militare europea corrisponde esattamente alla prima richiesta di Trump? Inevitabilmente, questo rappresenta un enorme finanziamento per l’industria militare americana, da cui verrà acquistata gran parte dei sistemi d’arma, rafforzando così la stabilità economica e sociale interna degli Stati Uniti, un aspetto di cui non si valuta mai abbastanza la centralità.

Il senso profondo di questo europeismo bellicista è dunque la ricostruzione e ricontrattazione dei legami atlantici. Sul piano interno, si configura come una risposta autoritaria e centralizzata alla crisi economico-sociale, particolarmente acuta in Germania. Non a caso, gli ultimi due dei cinque capitoli del “RearmEurope” sono dedicati alla mobilitazione del capitale privato attorno alle necessità belliche: con l’industria della morte, si cerca una via di ripresa per l’indebolita economia europea, con l’idea di plasmare l’intera società integrando nel sistema militare-industriale gli apparati produttivi, tecnologici e formativi, ma anche i meccanismi di costruzione del consenso.

È il modello israeliano. E non è un bel modello. 

giovedì 6 marzo 2025

Michele Serra e la corsa sul cavallo morto - Marco Bersani

Da: https://attac-italia.org - Marco Bersani, filosofo, dirigente pubblico e fondatore di Attac 

Leggi anche: PERCHÉ NON TI FANNO RIPAGARE IL DEBITO - Marco Bersani

Vedi anche:"Dacci oggi il nostro debito quotidiano" - Marco Bersani 

Dice un proverbio degli indiani Dakota: “Quando il cavallo è morto, la cosa più intelligente da fare è scendere”. Quello che invece viene normalmente fatto è aumentare a dismisura le frustate affinché il cavallo riparta.

Credo sia questa la cifra che ha spinto Michele Serra, autore satirico che questa volta si è incredibilmente preso sul serio, a chiamare una piazza per l’Europa, una piazza “emotiva” che esprima “l’orgoglio europeo”. Naturalmente, decine di fantine e di fantini sono immediatamente balzate a cavallo e, dimenticando la saggezza Dakota, hanno iniziato a incitarlo e a spingerlo.

Una farsa, se non fossimo immersi nella tragedia.

Nell’immaginario collettivo, l’Unione europea è nata su tre valori fondanti: pace, giustizia sociale, democrazia. Ovviamente, si è sempre trattato di un immaginario intriso di cultura coloniale, perché il benessere dell’Europa era intimamente legato all’espropriazione e allo sfruttamento del sud del mondo. Tuttavia, dopo due devastanti guerre mondiali, l’idea che i Paesi europei si associassero per bandire la guerra, per costruire un welfare che garantisse una serie di diritti sociali e per farlo in un contesto di democrazia, per quanto spesso formale più che sostanziale, aveva coinvolto milioni di persone dentro la speranza di un futuro più dignitoso.

Che ne è stato di quelle promesse?

mercoledì 5 marzo 2025

La lotta (sotterranea) tra Londra e Usa per le risorse ucraine - Fabrizio Poggi

Da: https://www.lantidiplomatico.it - Fabrizio Poggi ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità. Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale) 


Non accennano a placarsi le lacrime dell'italica stampa euroguerrafondaia per la «scena di bullismo internazionale che è andata in onda alla Casa Bianca» (La Stampa) venerdì scorso e le lamentazioni per «la violazione del diritto internazionale e la sicurezza dell'Europa dell'Est» (idem) minacciata, ca va sans dire, dall'”autocrate del Cremlino” che, dopo l'Ucraina, punterà certamente «a Romania e Moldavia», per poi, c'è da giurarci, seguire le orme dello zar Alessandro I e arrivare fino a Parigi dove, in mancanza di una figura degna della storia mondiale come quella del grande Napoleone I, avrà a che fare coi nani eurobellicisti della UE orfani di leader.

Ma, come sono andate davvero le cose tre giorni fa allo studio ovale della Casa Bianca? La più che meritata pubblica fustigazione del jefe de la junta golpista ucraina è stata davvero una “improvvisata” senza copione e senza suggeritori?

A parere del politologo ucraino Ruslan Bortnik, che ne parla sul proprio blog, la vera ragione del fallimento dei negoziati di Zelenskij a Washington è che c'è una lotta sotterranea tra americani e britannici per il controllo delle ricchezze naturali e dei porti dell'Ucraina. E inoltre, nello specifico della baruffa in diretta TV, Zelenskij sarebbe andato a Washington senza aver concordato il futuro accordo: esattamente tutto il contrario di come vengono organizzati gli incontri a tali livelli. Insomma: abbastanza difficile da credere.