lunedì 14 aprile 2025

Il Partito Comunista Cinese e lo Stato in economia -

Da: https://www.facebook.com/nico12.666 - Nicolo-Monti già segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). 

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Nel 1978 il presidente della Repubblica Popolare Cinese Deng Xiaoping, con la nuova linea politica intitolata “Riforma e Apertura”, diede inizio all’era del Socialismo con Caratteristiche Cinesi. La Cina passa da quel momento da un’economia pianificata basata sul modello sovietico, ad una socialista di mercato. Un sistema dove l’orientamento e la pianificazione dell’economia definite dai Piani Quinquennali vengono affiancate dal mercato, in cui la imprese hanno un rapporto diretto con i cosiddetti consumatori finali. La differenza, enorme, tra la Cina e un paese a capitalismo avanzato occidentale sta nel ruolo che giocano lo Stato e le imprese statali. 

Esemplificativa è la struttura dei Piani Quinquennali, decisi nei congressi del Partito Comunista Cinese e divisi in tre settori di interesse e intervento:
- Macroeconomico, che riguarda il raggiungimento di obiettivi sociali e politici in ambito educativo, culturale, sanitario, ecologico.
- Intermedio, che riguarda il superamento di squilibri interni pianificando il rimedio allo sviluppo inadeguato delle forze produttive e agli squilibri nell’assegnazione delle risorse pubbliche.
- Microeconomico, che riguarda i rapporti diretti e concreti tra aziende e popolazione. 

Ed è solo l’inizio. 

La dirigenza cinese di fine anni 70 comprese che una economia completamente gestita dallo stato, dalle scarpe all’industria pesante, riusciva sì a garantire i bisogni essenziali e di base a tutta la popolazione in modo estremamente efficiente, ma che di contro nel lungo periodo sarebbe caduta in una stagnazione potenzialmente mortale. Uno dei punti più fragili dell’economia sovietica, ad esempio, riguardava la cosiddetta industria leggera, quella dei beni di consumo. Sebbene la storia smentisca l’assunto per la quale senza la promessa del profitto non ci può essere innovazione e crescita (lo sviluppo dell’URSS da paese feudale a potenza mondiale sta li e testimoniarlo), gestire collettivamente tutti i beni di consumo a livello statale ha dei limiti pesanti, perché lo stato deve garantire il livello di benessere, non la varietà di singoli prodotti. 

Fu il successore di Deng, Jiang Zemin, che pose l’accelerazione delle politiche di riforma del ruolo dello stato nell’economia socialista. Nel 1996 fu inaugurata la politica del “afferrare le grandi, lasciando andare le piccole”, nella quale il PCC lasciò andare la gestione di tutte le miriadi di medio piccole e piccole imprese, a favore di un nascente mondo imprenditoriale che ne prendeva le redini. Allo stesso tempo il PCC concentrava l’intervento e la gestione economica statale nei settori strategici e fondamentali, garantendo una continuità socialista e impedendo qualsiasi tentativo di terapia shock alla Eltsin. Il liberismo non ha mai toccato il suolo cinese e per il Politburo del PCC, anche nella fase di fortissimo accumulo di capitali e di liberalizzazione, è sempre stato un caposaldo da non violare mai. 

Il socialismo con caratteristiche cinesi prevede la presenza di aziende sia di proprietà mista, cioè possedute in parti non predefinite divise tra stato, privati e stranieri, sia aziende private a capitale cinese o straniero, o un mix dei due. Per non permettere ai privati, nazionali o stranieri, di ottenere nè potere economico o politico, nel 2015 Xi Jinping rese ufficiale quella che era già una prassi consolidata: le aziende statali e miste sono obbligate a definire chiaramente nei loro statuti la centralità delle organizzazioni del PCC al loro interno. La figura del segretario del Comitato di Partito (CdP) e il presidente del consiglio di amministrazione (CdA) devono essere la stessa persona. Una direttiva che investe anche le aziende che non hanno alcuna presenza dello stato, sia nazionali che straniere. 

L’articolo 33 dello Statuo del PCC, emendato nel congresso dell’Ottobre 2022 prevede che le organizzazioni di base del Partito nelle aziende del settore privato devono attuare i principi e le politiche del Partito, vigilare sull’osservanza delle leggi da parte delle aziende, esercitare la direzione sui sindacati promuovere l’unità tra i lavoratori e il personale amministrativo e dirigente, salvaguardare i legittimi interessi di tutte le parti e promuovere lo sviluppo sano delle aziende. Questo si traduce nella presenza di componenti del Partito Comunista nei CDA e nelle dirigenze delle aziende private nazionali che in quelle a capitale interamente estero. Le aziende che rifiutano la presenza del Partito sono pesantemente penalizzate nei loro investimenti. Nel 2023 il 70.8% di tutte le aziende straniere installate in Cina avevano i Comitati di Partito nel loro organigramma. 

I settori dell’economia dove lo stato ha un ruolo pressoché monopolistico sono: difesa, telecomunicazioni, tecnologia informatica, logistica, infrastrutture, trasporti, edilizia e materie prime. Tutti settori considerati strategici da qualsiasi governo e che in Cina sono preclusi ad aziende private, che siano nazionali o straniere. Ad oggi esistono in Cina 391 mila aziende statali (gennaio 2024), di cui 96 amministrate centralmente dalla Commissione del Consiglio di Stato per l’Amministrazione e la Supervisione dei Beni di Proprietà Statale (l’IRI cinese, per intenderci). Alla fine del 2023 l’operatività totale delle imprese statali cinesi è stata di 85mila miliardi di yuan, circa 10mila miliardi di euro. Le politiche portate avanti da Xi Jinping puntano ad un ruolo sempre più centrale delle stesse. 

Il ruolo del settore statale cinese non è solo puramente rivolto alla produzione e alla crescita economica, ma, assieme al governo, svolge un ruolo di stretta regolamentazione del mercato e ha un ruolo molto importante nella redistribuzione della ricchezza, la celebre politica della “Prosperità Comune” di Xi Jinping con la quale il PCC impone ai privati la redistribuzione della ricchezza accumulata in anni di crescita economica. Le imprese statali sono le protagoniste dello sviluppo infrastrutturale, sociale ed economico che ha permesso di sradicare la povertà. Obiettivo raggiunto nel 2020 e parliamo di 800 milioni di persone in 40 anni uscite dalla povertà. Un risultato gargantuesco del socialismo. Assieme agli enti regolatori del mercato, le aziende pubbliche permettono il contenimento di ogni pretesa monopolistica e predatoria delle aziende private. Basti vedere il caso Alibaba. 

Se nei paesi a capitalismo avanzato in occidente le imprese statali o sono scomparse, privatizzate e smembrate, o fungono da bancomat delle corporazioni multinazionali e nazionali private, in Cina, grazie allo sviluppo continuo del socialismo, tutto ciò è impossibile. Mentre l’occidente, preso dall’isteria, profetizza continui crolli e fallimenti del socialismo cinese, il PCC dimostra al mondo come l’alternativa al capitalismo esista e che ha la assoluta necessità di evolversi e di svilupparsi al fianco della società in cui vive per affermarsi. Xi Jinping ha affermato che “Il marxismo ha perlustrato per la prima volta il sentiero per la libertà e liberazione dell'umanità dalla posizione del popolo, e ha indicato la direzione, attraverso una teoria scientifica, verso una società ideale senza oppressione né sfruttamento, in cui ogni persona possa godere di eguaglianza e libertà.” 

Dinanzi a ciò, cosa sono i dazi di Trump? Polvere.

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