martedì 8 aprile 2025

Gli aspetti controversi dell’accordo Usa/ Russia e la questione delle famose terre rare - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lantidiplomatico.it -  Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). - 


Dalle ultime notizie sappiamo che il decaduto presidente dell’Ucraina Zelensky ha ricevuto la nuova bozza dell’accordo genericamente definito sulle terre rare, ma che concerne ben altro. Ha dichiarato che l’Ucraina pagherà per i rifornimenti Usa futuri e non per quelli passati, come del resto era stabilito all’inizio della guerra.

In effetti, quando si è cominciato a parlare di pace, l’ignaro Zelensky aveva proposto al presidente Trump, che fa sempre il furbo, di dare i minerali critici e le terre rare del suo paese in cambio della continuazione dei rifornimenti umanitari, armamentistici, di intelligence da parte degli Usa. Il suo “alleato” aveva colto la palla al balzo e gli aveva comunicato che intanto l’Ucraina avrebbe dovuto pagare tutto quello che aveva già ricevuto, prefigurando un accordo, reso pubblico a fine febbraio, che implicava lo sfruttamento congiunto e indefinito (Usa/Ucraina) delle "risorse naturali" ucraine di proprietà del governo, in cambio delle quali gli Usa davano alquanto vaghe garanzie di sicurezza. Accordo che poi non è stato firmato. Ora la nuova bozza prevede un controllo totale da parte degli Usa su tutte le risorse minerarie del paese, insieme al controllo delle infrastrutture (porti, ferrovie, strade, impianti di lavorazione) e il trasferimento dei profitti generati da queste attività a un fondo di investimento gestito con gli Stati Uniti. Inoltre, gli Usa esigono persino una sorta di Jus primae noctis, ossia che le loro multinazionali siano le prime a ricevere le proposte di investimento, e ciò ovviamente ai danni di quelle dei paesi europei, che hanno designato Macron e Starmer a rappresentare l’Ue nei negoziati sulla guerra, da cui finora sono stati esclusi. Se Zelensky non accetta -ha dichiarato Trump con suo solito fare minaccioso- avrà seri problemi. Mi pare che li avrà anche se accetta.

A dire di Trump, “assai preoccupato” per le vittime della guerra, l’accordo frutterebbe agli Usa 500 miliardi dollari e sarebbe firmato a breve, mentre sempre a suo parere in Arabia Saudita “i colloqui stavano procedendo in modo creativo”. Purtroppo il ministro degli esteri russo Lavrov non sembra essere stato della stessa opinione sulle possibilità di stabilire la pace, dopo la limitata tregua concordata sugli attacchi alle infrastrutture energetiche, non rispettata dall’Ucraina. Egli ha chiesto al presidente ucraino Volodymyr Zelensky “chiare garanzie” sulla possibilità di riprendere la navigazione sicura nel Mar Nero, ma si è detto convinto che ciò può essere solo “il risultato di un ordine di Washington”. Inoltre, ha ribadito che la Russia non vuole essere esclusa dal mercato dei cereali e dei fertilizzanti, perché vuole ottenere un giusto profitto e perché vuole sostenere con le sue risorse i paesi africani, bisognosi di grano. Inoltre, è anche interessata a che Rosselkhozbank (Banca Agricola Russa) e altre istituzioni finanziarie siano riammesse nel sistema internazionale dei pagamenti SWIFT per rientrare nell’economia globale. Quanto all’idea dell’invio di truppe di pace, in cui si è tentato nei giorni passati di coinvolgere anche la Cina, Lavrov ha dichiarato che i leader europei oltre ad essere dei sognatori sono degli incompetenti politici.

Nella seconda fase dei colloqui, cui si era deciso di procedere lo scorso 18 marzo, Russia e Stati Uniti si sono accordati sui punti indicati in precedenza, come risulta dalla Dichiarazione congiunta pubblicata sul canale ufficiale del Cremlino su Telegram, dichiarandosi pronti a garantire la sicurezza della navigazione nel Mar Nero e la ripresa del commercio russo, ma il processo si è arrenato. Putin ha una visione di più ampio raggio: vuole risolvere le cause profonde del conflitto, vuole rinegoziare un trattato sulla sicurezza europea (prefigurato già dall’Unione sovietica) e vuole rilanciare l’economia russa, facendo pressione sulle sanzioni illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Inoltre, si preoccupa giustamente del fatto che da maggio Zelensky, già di per sé inaffidabile, è un presidente decaduto, e pertanto qualsiasi documento firmato da lui sarebbe carta straccia. Per questa ragione chiede che, sotto gli auspici delle NU, degli Usa e dei paesi europei e con l’apporto degli alleati e amici della Russia (in primis la Cina) sia discussa la possibilità di istituire un governo provvisorio in Ucraina. Governo in grado di celebrare elezioni democratiche da cui scaturisca un nuovo governo scelto dal popolo. D’altra parte, anche il cosiddetto accordo sulle terre rare, se firmato dal comico ucraino, non varrebbe nulla.

Incapace di visioni a lungo termine e pressato da profondi conflitti interni (per es. le proteste contro Musk e la diminuzione della sua popolarità), Trump non vuole esser ricordato come quello che ha perso la guerra in Ucraina e quindi vuole un accordo prima che i suoi “alleati” vengano definitivamente sconfitti.

Lo scorso 30 marzo Trump ha affermato di essere "molto arrabbiato", addirittura "furioso" per questa proposta di Putin, cui aveva assegnato “una scadenza psicologica” per concludere l’accordo. Ha anche detto che avrebbe chiamato il presidente russo e, nel caso, di un suo rifiuto a firmare avrebbe introdotto sanzioni secondarie, ossia sui paesi che comprano il petrolio dalla Russia. Misura pare di difficile attuazione. Certo la fretta di Trump non si spiega con il fatto che non intenda svendere l’Ucraina alla Russia, come sostengono alcuni suoi apologeti, ma con il fatto che in realtà se la vuole accaparrare lui tutta intera (quello che resta), infischiandosene anche delle brame dei suoi indefessi alleati europei. A questo punto, dunque, è molto difficile prevedere cosa accadrà dopo queste avvisaglie di tregua che sollevano tanti problemi tra le parti. D’altronde, è bene ricordare, per esempio, che poche ore prima dell’annuncio dell’accordo la direttrice dell’Intelligence nazionale Tulsi Gabbard ha affermato che la Russia costituisce una grave minaccia per la sua capacità di sferrare attacchi cibernetici e militari. Inoltre, i messaggi relativi agli attacchi allo Yemen, trapelati in seguito a una fuga di notizie, pubblicati poi dal giornale The Atlantic, sulla cui fede non si può dubitare, hanno messo in evidenza che Regno unito e Usa agiscono sempre di concerto; perciò probabilmente Trump non guarda con sospetto alla nuova coalizione dei volonterosi, che costituisce un’altra minaccia sia pure per ora simbolica per la Russia.

Dopo aver tracciato brevemente il quadro complicato delle trattative in corso forse arrenate, sembra opportuno soffermarsi sull’affare multimiliardario, nelle parole di Trump, relativo alla famose e fantomatiche terre rare ucraine, facendo una prima distinzione. Le terre rare fanno parte delle materie prime critiche che sono risorse naturali essenziali per l'economia. Sono indispensabili per la produzione di tecnologie avanzate, come quelle utilizzate in elettronica, automotive, energia rinnovabile, aerospaziale e militare. In particolare, le terre rare comprendono 17 metalli caratterizzati da proprietà magnetiche e conduttive, che non variano col variare del numero atomico, e non sono meno importanti delle altre materie prime e strategiche. Si usa l’espressione terre rare perché in passato si pensava fossero presenti solo in minerali rari, ma in realtà questi elementi si trovano in quantità diverse in un centinaio di minerali.

Data l’importanza di queste materie prime critiche è indispensabile conoscere la loro diffusione e le effettive possibilità di sfruttarle. Dove sono presenti?

Secondo gli esperti i paesi più ricchi di materie prime critiche, tra cui le cosiddette terre rare, sono Australia, Cile, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Indonesia e Sud Africa; ad essi possiamo aggiungere in subordine anche gli Usa e la Russia, la quale nelle parole del suo presidente ha già espresso la volontà metterle a disposizione dei primi. Per quanto riguarda l’Ucraina i siti governativi informano che essa possiederebbe il 5% delle risorse mondiali e custodirebbe un vero tesoro di litio, ma non si può fare a meno di osservare che la maggior parte della ricchezza mineraria del paese si trova nel cosiddetto Scudo ucraino, che comprende territori come Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhya e Dnipropetrovsk, ormai in gran parte sotto il controllo russo. Inoltre, la guerra ha distrutto gran parte degli apparati produttori di energia e l’attività mineraria è tra le industrie che ha maggiore necessità di quest’ultima e per questo è anche fortemente inquinante.

Secondo alcuni calcoli, non so quanto credibili, fatti pensando alla notoria transizione energetica, sarebbe necessario aumentare in maniera esponenziale l’estrazione di questi materiali critici entro il fatidico 2030, per soddisfare l’accresciuta produzione di mezzi in grado di produrre e impiegare energie alternative a quelle generate dai combustibili fossili. Per portare nel 2030 le emissioni di carbonio a zero dovranno essere aperte altre 50 miniere di litio, 60 di nichel e 17 di cobalto. Purtroppo, il serpente si mangia la coda; infatti, come si è detto, l’estrazione delle materie critiche implica l’uso di molta energia, per ora fossile, produce carbonio e moltissimi rifiuti di cui non si sa cosa fare.

La classe dirigente attuale sembra essere una specialista nel riuscire a trovare soluzione ai nostri problemi, generando problemi se non peggiori, tuttavia assai gravi.

Ma torniamo all’Ucraina. Se consultiamo gli elenchi delle materie prime critiche indicate nei siti governativi, che sarebbero presenti in quel paese, noteremo che la maggior parte di esse non è ancora stata sfruttata e che la loro effettiva consistenza è ancora in fase di esplorazione. A questo proposito, Robert Muggah, direttore di SecDev, una società di consulenza sui rischi geopolitici, ha sottolineato che la gamma dei minerali critici estraibili in Ucraina è probabilmente ampiamente sopravvalutata. Opinioni simili sono state espresse a Business Insider da Laura Lewis, docente di ingegneria chimica, meccanica e industriale presso il College of Engineering della Northeastern University, la quale ha dichiarato "non riesco a trovare prove credibili di depositi di terre rare in Ucraina”. Ciò è stato confermato da Erik Jonsson, geologo senior presso il Geological Survey of Sweden, il quale ha detto che "l'Ucraina ha una solida industria mineraria, ma non si basa sulle terre rare".

Eppure Trump, con la sua teatrale faciloneria, continua ad insistere, alzando addirittura la posta e dichiarando che si tratta di un affare da mille miliardi di dollari, mentre gli esperti non abbandonano il loro scetticismo. Probabilmente, tuttavia, vi deve essere una razionalità in questo atteggiamento: un’occupazione economica ed estrattiva dell’Ucraina da parte delle grandi corporazioni Usa giustificherebbe la continuazione della consistente presenza di una forza militare, mentre formalmente il paese sarebbe escluso dalla NATO, come ripete minaccioso l’aspirante al terzo mandato presidenziale.

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