mercoledì 18 dicembre 2024

La famiglia tradizionale non esiste. La rivoluzione della famiglia nella DDR - Nicolò Monti

Da: https://www.facebook.com/nico12.666 - Nicolo Monti, classe 1991, già segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). 

Nella Repubblica Democratica Tedesca esisteva un’agenzia stampa che stampava opuscoli atti a raccontare nel dettaglio cos’era la DDR. Tutti gli opuscoli venivano scritti in più lingue e pubblicati in più paesi, soprattutto in Europa. In uno di questi, intitolato “La Vita nella DDR” c’è un intero capitolo dedicato al concetto di famiglia che vigeva nella Germania Socialista. Per ogni argomento si spiega quali leggi e diritti concorrono alla formazione e alla sicurezza delle famiglie tedesche. Nella prima pagina del capitolo la frase iniziale dice già molto: “La famiglia media non esiste”. Perché i comunisti sono “contro” la famiglia? No, sono contrari solo a quella borghese. Il libro continua infatti la frase con: “poiché ogni famiglia vive in maniera diversa dalle altre, in modo del tutto individuale, secondo la propria concezione della felicità e dell’armonia.

È importante partire dal presupposto che il femminismo rivoluzionario è parte fondamentale nella concezione di famiglia e di conseguenza anche nella sua strutturazione. Nella DDR la parificazione legale, cioè dinanzi alla legge, di uomini e donne non era il punto di arrivo del socialismo, bensì il presupposto per l’avvio di un percorso di emancipazione e decostruzione che comprendeva entrambi i sessi. Seguendo l’idea marxista per la quale cambiando le condizioni materiali si potrà cambiare la coscienza delle persone, nella DDR l’intervento dello stato era concentrato non nel decidere quale “modello” di famiglia imporre, ma nel garantire materialmente la più ampia libertà di scelta agli individui, fornendo a tutti una consolidata sicurezza sociale. Su queste premesse, se la DDR fosse sopravvissuta avremmo avuto anche i matrimoni omosessuali, come oggi li ha Cuba nel Codice delle Famiglie più avanzato del globo.

Il Codice della Famiglia della DDR del 1965 stabiliva i diritti e i doveri di donne, uomini e bambini come membri uguali della società, sia all'interno che all'esterno del matrimonio. Nel testo si legge che "entrambi i coniugi si assumano la loro parte nell'educazione e nella cura dei figli e nella gestione della casa" e che "le relazioni tra coniugi devono essere concepite in modo tale che le donne possano combinare le loro attività professionali e sociali con la maternità". Lo stato socialista era consapevole che la sola parità legale non avrebbe scalfito la disparità sociale tra uomo e donna, per questo le leggi sulla famiglia erano molto più incentrate sul favorire l’emancipazione della donna in un mondo dove il lavoro di cura nella famiglia tipica borghese era a carico delle sole donne. La DDR, anche se per realismo politico doveva avere un occhio di riguardo più per le “madri”, si prodigò affinché progressivamente i compiti interni ad una famiglia fossero condivisi e interconnessi per entrambi i sessi.

Nella concretezza della nascita di un nucleo familiare della Germania socialista, che seppur non discriminasse nessun tipo di scelta individuale si concretizzava per la stragrande maggioranza dei casi nel matrimonio, la presenza dello stato è evidente fin dal primo passo. L’età media di matrimonio era di 23 anni per gli uomini e di 21,5 per le donne. Nell’ambito di una società socialista, quindi con la sicurezza universale di avere un posto di lavoro intoccabile e garantito, assieme all’istruzione altresì universale, gratuita e garantita, la scelta del matrimonio avveniva dopo il raggiungimento di indipendenza economica e di livello d’istruzione scelto. Il primo intervento dello stato riguardava la casa, le fondamenta per una vita dignitosa di ogni essere umano. Ogni famiglia aveva diritto ad avere una casa, che aumentava di grandezza in base al numero dei componenti del nucleo familiare.

Per i giovani Berlino Est aveva istituito un concreto aiuto economico sotto forma di credito. Esistevano due tipi di credito: quello per l’acquisto di una casa tramite cooperativa, o ristrutturazione e/o costruzione di una casa unifamiliare e quello per l’arredamento della casa. Entrambi i crediti erano di 5000 marchi e senza interessi, restituibili in 8 anni. Per ogni figlio che nasceva lo stato abbuonava parte del credito, 1000 marchi con il primo figlio e a salire per ogni altra nascita. Considerando che il salario medio di lavoratore era di circa 1030 marchi, due persone avevano a disposizione un salario di più di 2000 marchi mensili per la propria famiglia. La politica di controllo dei prezzi e lo stato sociale universale che garantiva gratuitamente l’accesso ai servizi essenziali come scuola, sanità, trasporti etc. comportavano un rapporto tra salario e costo della vita che differisce totalmente da quello di un paese capitalista. Per la casa, ad esempio, il costo dell’affitto era tra gli 0,80 e 1,20 marchi al metro quadro e pesava per il 2,7% sul reddito familiare. Le classiche bollette (gas, luce, riscaldamento) pesavano per l’1,5% del reddito.

Il concetto borghese di “famiglia tradizionale” nella DDR era stato concretamente cancellato e nei suoi 40 anni di esistenza il processo di emancipazione della donna, su cui tradizionalmente gravava un peso gigantesco e opprimente, aveva fatto passi eccezionali, anche se ancora molto doveva essere ancora fatto in questo senso. Il fulcro della politica della DDR per alimentare il processo di emancipazione della donna e nel raggiungimento della parità concreta con l’uomo avveniva nel mondo del lavoro e nel creare le condizioni per le quali ogni persona, ancor di più per le donne, scegliesse liberamente della propria vita, dalla costruzione della famiglia fino all’organizzazione del tempo libero passando per la partecipazione alla politica. Nel 1989 il 92,4% delle donne della DDR aveva un lavoro e piena indipendenza economica. Questo significò, per tutta la vita della DDR, un tasso di divorzi molto più alto rispetto all’occidente. Non perché “le femmine sono cattive con i poveri maschi”, come qualche libtard potrebbe pensare.

Il divorzio nella DDR era molto più semplice rispetto alle legislature occidentali e comprendeva sia l’equa ripartizione dei beni e soprattutto l’obbligo per entrambi i separati di continuare ad occuparsi dei figli con uguali diritti e doveri. Il fatto che oltre il 60% delle domande di divorzio arrivassero dalle donne è ben spiegato dal fatto che in una società socialista la parità di diritti nel lavoro e in generale nella vita quotidiana ha fatto sì che le donne non fossero più costrette a rimanere in matrimoni senza amore, senza significato, senza collaborazione o con partner violenti. L’indipendenza economica e le sicurezze garantite dallo stato permettevano una libertà nelle relazioni che in occidente ancora ci sogniamo. In occidente le madri sole sono discriminate dalla legge e dalla “morale” pubblica. Nella DDR le madri (e i padri) senza partner avevano gli stessi diritti delle coppie sposate e anzi avevano diritti particolari, come l’ulteriore congedo fino a 13 settimane lavorative l’anno per bilanciare al meglio la vita fuori da lavoro. Nessuno era costretto a trovare un partner, tantomeno le donne lo erano nel “trovarsi un uomo”.

Avere figli nella Repubblica Democratica Tedesca non comportava nessuno dei dubbi e dei pensieri ansiosi sul riuscire a mantenerli o a scegliere tra maternità/paternità o il lavoro e il tempo libero. L’assistenza all’infanzia era totale e accompagnava le famiglie dal concepimento fino alla laurea. La rete fittissima di strutture destinate all’infanzia, come asili nido, materne e, in aggiunta, anche le organizzazioni di massa come i Pionieri che avevano lo scopo di insegnare ai bambini e le bambine i valori del vivere collettivamente e nel segno della solidarietà, permettevano ai genitori di non essere obbligati a scegliere, ma di poter vivere la propria vita a prescindere da quanti figli venissero alla luce. Allo stesso tempo il diritto all’aborto, introdotto nel 1972 (nella Germania Ovest solo nel 1992 e solo perché le donne dell’Est dopo la riunificazione lottarono per averlo come nella DDR), era garantito ad ogni donna che volesse interrompere la propria gravidanza. La legislazione non prevedeva alcun ostacolo ed era concentrata unicamente sulla tutela della salute della donna. Nessuna condizione era imposta e non esistevano obiettori di coscienza. Nonostante ciò, alla faccia dei liberalconservatori, la crescita demografica crebbe ininterrottamente fino al 1989.

La DDR non era certamente un “paradiso” nel senso più alto del termine, e di problemi sociali, politici ed economici irrisolti ne aveva anzi molti. La dirigenza del SED, nonostante gli innegabili traguardi raggiunti in un paese con risorse limitate e scarsi mezzi a disposizione, non seppe trovare la via per riforme strutturali che erano necessarie, soprattutto negli anni 80, e non sono state affrontate. In questo, anche se non solo, va ritrovato il motivo della caduta della Germania Socialista. Senza abbandonare lo spirito critico e autocritico verso la storia della DDR, è doveroso ricordare al mondo e alle generazioni che verranno il valore umano altissimo che la Repubblica Democratica Tedesca ha saputo far nascere, crescere ed evolvere affinché un nuovo mondo sorgesse dalle rovine del sistema capitalista. Una società nuova per una nuova umanità. Quando sentite parlare oggi astrattamente dei diritti delle donne, dei lavoratori, dei figli, della famiglia e di come sia “impossibile” immaginare alternative alla estrema disuguaglianza, siate consapevoli che l’alternativa non solo è possibile e necessaria, ma c’è stata ed è straordinaria.

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