L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo
dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
“Nominibus mollire licet mala”, recita un proverbio latino che in italiano ora, morta quella lingua, si può semplicemente dire “al nome è consentito addolcire il male”. Già, perché – nonostante la ricchezza di alcune lingue (e, vivendo ancora qui, si può dire di quella italiana in particolare), e forse proprio per codesta ricchezza la quale designa una profonda storia contenutistica di concetti che l’ideologia dominante vuol far presto dimenticare – il linguaggio si sta impoverendo e imbastardendo sempre più. Undici anni fa, l’inaugurazione di questa rubrica fu dedicata proprio a una breve considerazione di Engels e Marx sul “linguaggio”. Ci sembra perciò significativo, in questa occasione particolare, tornare sulla “critica del senso comune nell’uso ideologico delle parole”, che è quasi sempre un uso improprio delle “parole” stesse.
E neppure parliamo qui di grammatica e sintassi, congiuntivo
e condizionale, costruzione delle frasi, ecc. Inutile insistere neppure su
fastidiose imprecisioni relative all’italiano moderno, come “fila” che al
plurale, dal neutro latino, sta per fili e non va confuso con “file” che è il
plurale corretto del singolare femminile fila. Così, a es., non esiste più la
possibilità, ancorché su quasi tutta la stampa o nei cartelli e toponomastica
ufficiale se ne faccia uno sconsiderato uso, di scindere preposizioni
articolate – come “nel” o “del” – nei termini “ne il” o “de il”, giacché “ne” o
“de” hanno ben altri significati [cfr. anche il poi citato Lepri].
Scrivere oggi “ne "la Contraddizione"” o “de "Il capitale"”
è improprio e sbagliato. Chi si esprimerebbe con frasi tipo “de la medesima
hora” o “ne lo tuo inferno”, se non un saggista medievale? Attualmente più
nessuno. Quelle particelle infatti non designano più preposizioni semplici,
bensì pronomi o forme avverbiali (e possono essere ancora usati solo se con
l’apostrofo di elisione di una “i” finale, come de’ o ne’, per
“dei” o “nei”). Ma lasciamo queste piccinerie, insieme a tante altre.
Ci riferiamo, invece,
all’invadenza di anglicismi (a quell’abitudine niente affatto necessaria, cioè,
che non sia legata al progresso storico effettivo, e non certo al normale
impiego di termini evidentemente anglofoni da parte di persone di madrelingua
inglese), fatto soltanto in ossequio al balbettìo dei padroni imperanti, o pure
all’eccesso sconsiderato di acronimi (molti, per giunta, anglofoni) di cui
nemmeno i proni utilizzatori spesso conoscono il significato, o ancora allo
stravolgimento italiota di termini nati con ben altri significati (si pensi per
tutti a “rivoluzione”) o alla quasi sparizione di alcuni altri (come “imperialismo”
o “lotta di classe”). L’unico termine, forse, che qui per ora si salva
è “contraddizione”, il quale è probabilmente trascurato e quasi ignorato dal
sistema (anche sul piano brutalmente commerciale, e ne abbiamo avuto una
riprova empirica su internet), poiché è il concetto stesso di contraddizione
ciò di cui il pensiero e la società dominante non sanno che vuol dire e che
farsene.