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martedì 1 agosto 2017

Noi tutti, comunisti compresi, ci siamo abituati a vivere nel capitalismo... - Aristide Bellacicco*-(1/08/2012)-

*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2013/12/contributo-una-discussione-aristide.html

Insomma, è vero o no che il capitale non riesce più a valorizzarsi attraverso la vendita delle merci? E che questo è il primum movens della crisi che colpisce la maggioranza di noi tutti? E' vero o no, in altri termini, che la cosiddetta "crisi finanziaria" è in realtà l'effetto di una crisi di sovrapproduzione? Sì, è vero: e non tanto e non solo perchè "ce lo insegna Marx" ma perchè chiunque si sottoponga allo sforzo di un minimo approfondimento della letteratura economica internazionale (un fiume di parole) può constatare che tale consapevolezza giace nell'inconscio del capitale allo stesso modo di un ricordo o di una scena primaria vittima della rimozione nell'inconscio freudiano.

Dunque, il capitale "sa" - ma nella maniera vile e ipocrita che gli è solita - che l'economia da esso generata poggia sulla sabbia. Spesso, nei periodi di crisi, tale consapevolezza è affiorata: la soluzione roosveltiana del '29 e il pensiero economico di Keynes ne costituiscono, credo, due delle maggiori testimonianze nel ventesimo secolo.Ma il capitale è il capitale: non ci si può aspettare che si superi o si neghi da sè, così come non si può chiedere a un nevrotico di prendere coscienza, senza, appunto, l'intervento di un altra "coscienza", dei problemi che lo affliggono.Allora viene la tentazione di prendere per buona la seguente domanda: chi è, o chi può essere, "l'analista" del capitale? Chi può "aiutarlo"?Ma è una domanda sbagliata e, dunque, non prevede risposte. Tutti coloro, PD in testa, che hanno votato le norme sulla stabilizzazione del bilancio pubblico (orribilmente denominate fiscal compact) sono caduti, consapevolmente o meno, in una sorta di trappola logica o psicologica. Qualsiasi tentativo, infatti, di ripristinare condizioni favorevoli alla ripresa della vendita di merci non farebbe altro che riprodurre, nel caso improbabile di un esito positivo, lo stesso meccansimo che genera le crisi.

So perfettamente che si tratta di un'analisi estremamente semplificata e addirittura rozza: ma non più rozza e superficiale della maniera in cui il capitale pensa se stesso - ammesso che lo faccia. Non si può aiutare il capitalismo: l'unica via è abbatterlo. E' il compito principale che il genere umano si trova davanti. Ma è qui e ora, in modo determinato, che questo problema si pone, non in astratto o in generale. E' "questo" capitalismo che deve essere abbattuto; siamo nel punto più basso di uno dei cicli periodici di cui parlava Trockij, e la determinatezza della situazione storica richiede risposte altrettanto determinate. La classe operaia (Italia, Spagna, Grecia) è in condizioni di estrema difficoltà: quando scende in campo, come nel caso dell'Illva è solo per difendersi, per salvare posti di lavoro e salari.E anche le forme più di "sinistra" del sindacalismo italiano (FIOM) giocano partite in difesa.Sul fronte dell' intellighenzia ufficiale c'è il più assoluto silenzio o il puro e semplice servaggio ideologico.E'come in uno di quei sogni dove ti sembra di non poterti muovere benchè il mostro sia lì a due passi e stia per sbranarti: ma tu sei fermo e provi solo angoscia.

Se le persone - tutte - non impareranno nulla da questa crisi - e tutto ciò che c'è da imparare è che il capitalismo deve essere rovesciato - allora sarà il capitale a prevalere: e la sua vittoria di Pirro trascinerà tutti con sé nella sconfitta, le cui dimensioni sono difficilmente immaginabili.E' necessario che i comunisti abbandonino slogan e parole d'ordine che oscillano fra la nostalgia e il velleitarismo e che si dedichino seriamente allo studio e al'analisi del reale. I comunisti non possono fare tutto da soli, è evidente: ma appare sempre più chiaro che l'assenza di un Partito Comunista degno di questo nome è, insieme, una delle cause e uno degli effetti della situazione che si sta attraversando.Mai come oggi il socialismo è all'ordine del giorno come unica soluzione razionale e ragionevole: mai come oggi sembra lontano il momento di una ripresa di un pensiero critico che sappia farsi largo fra le masse.

E una delle ragioni di ciò, a mio avviso sta in questo:noi tutti, comunisti compresi, ci siamo abituati a vivere nel capitalismo e per tanti anni la deriva riformistica del PCI - pur riconoscendo l'importanza di quell'esperienza - ha contribuito a questo processo. Bisogna uscire dal sogno e dall'incubo. E' vero che le teorie da sole non cambiano magicamente la storia, ma è altrettanto vero che le teorie fanno parte integrante della storia. La ricostituzione di un'avanguardia politica e culturale è il primo dei nostri compiti: la frase di Marx che dice "le società si pongono solo i problemi che hanno la capacità di risolvere" non è una profezia ma un'indicazione di lavoro.

lunedì 16 maggio 2022

Le ragioni della Russia - Aristide Bellacicco

Da: https://www.lacittafutura.it - Aristide Bellacicco, "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni"

Leggi anche: La fabbrica della “russofobia” in Occidente - Sergio Cararo

Liquidare la Russia e isolare la Cina - Lucio Caracciolo (12.04.2021)

La conflittualità valutaria e l’enigma del gas valutato in rubli - Francesco Schettino

Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo"

Quale idea di Occidente? Un’analisi filosofica del conflitto - Vincenzo Costa



Un esame delle ragioni del conflitto alla luce non dello “scontro fra potenze” ma della volontà di potenza statunitense.

È necessario che nella questione Ucraina si operi una scelta di campo: non soltanto da parte marxista ma da parte di tutti coloro che sono ancora in grado di confrontarsi col mondo e con la situazione internazionale sulla base di un atteggiamento razionale che tenga conto della natura storica degli avvenimenti in atto.

La fine della seconda guerra mondiale ha decretato il ruolo egemonico degli Stati Uniti d’America e, insieme, un assetto geopolitico che è stato definito “guerra fredda” nei suoi effetti militari e politici e, sul piano ideologico, ha dato luogo alla contrapposizione fra “democrazie occidentali” e “totalitarismi”.

Paradossalmente, ma non tanto, questa visione ha legittimato nel secolo scorso, e segnatamente dopo la fine dell’Unione Sovietica –vale a dire del principale paese classificato come “totalitario”- la libertà degli Stati Uniti di proporsi e agire come poliziotto del “mondo libero” intervenendo militarmente ovunque l’abbiano ritenuto opportuno in base ai propri interessi: Jugoslavia, Iraq (due volte), Afghanistan ecc.

Ma ancor prima che l’URSS implodesse, l’azione dei servizi e dell’esercito nordamericano si era rivolta con estrema determinazione contro varie esperienze riconducibili a movimenti di indipendenza nazionale e di carattere antiimperialista: basti qui ricordare il Vietnam, Cuba e il Cile.

martedì 20 ottobre 2020

Epidemia e potere - Aristide Bellacicco

 Da: https://www.lacittafutura.it - Aristide Bellacicco (Medico) fa parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni" 

Ascolta anche: https://www.spreaker.com/user/11689128/il-caffe-della-mattina-20-ottobre


Quale è il vero significato del prolungamento dello stato di emergenza e dell’imposizione delle mascherine anche all’esterno? Misure severe quando nello stesso tempo si registrano indebolimenti dei controlli in altri ambiti



Appare evidente che le misure prese dai diversi Stati in conseguenza dell’epidemia da Coronavirus stanno producendo, sia pure in grado diverso, effetti significativi sulla vita sociale e politica dei cittadini e delle società in tutto il mondo. A uno sguardo non superficiale, si deve riconoscere come tali effetti si spingano ben al di là dell’obiettivo di contenere l’epidemia e, col trascorrere dei mesi, acquistino sempre più il carattere di modificazioni tendenzialmente stabili delle forme attraverso le quali si rende possibile l’esistenza sociale e individuale.

È bene chiarire che qui non si sostiene alcuna ipotesi di complotto o di regia occulta: siamo davanti a fenomeni oggettivi che traggono origine e, nello stesso tempo, rivelano la natura essenzialmente autoritaria di qualsiasi Stato, a prescindere dal suo regime politico.

Limitandoci per il momento al panorama italiano, si consideri che ci si sta avviando verso un ulteriore (il terzo, se non erro) prolungamento dello stato di emergenza che, a quanto pare, verrà esteso fino al 31 gennaio dell’anno venturo, raggiungendo così la durata di un anno circa dall’esordio dell’epidemia; e credo che a nessuno sfugga la possibilità che si vada ancora oltre. 

È legittimo chiedersi cosa renda necessario un tale stato di cose e perché non si possa affrontare la situazione sanitaria – perché di questo e di nient’altro dovrebbe trattarsi – mantenendo inalterate le ordinarie garanzie vigenti in un sistema di democrazia formale e, in primo luogo, l’equilibrio dei poteri soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra organi esecutivi e assemblee rappresentative a qualsiasi livello.

venerdì 13 novembre 2020

I veri responsabili della pandemia e delle sue drammatiche conseguenze - Alessandra Ciattini e Aristide Bellacicco

 Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini (Antropologa) e Aristide Bellacicco (Medico) fanno parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni".

Ascolta anche: Fabio Marcelli: Covid, Trump e Bolsonaro, i flagelli del momento - https://www.spreaker.com/user/11689128/covid-trump-e-bolsonaro-i-flagelli-del-m 

Pandemie: cattiva gestione, uso politico della scienza e disinformazione. A. Ciattini intervista Ernesto Burgiohttps://www.spreaker.com/user/11689128/121120-intervista-burgio


Stiamo vivendo in una situazione assurda e drammatica, chiediamoci chi ci ha portato a questo punto.


Siamo tutti i giorni informati e allertati sull’andamento della pandemia, che è certamente un fatto innegabile e che mette a rischio soprattutto coloro che per vivere debbono uscire di casa ogni giorno, lasciando alla cura di qualcuno (la scuola?) i loro figli. Nonostante questa gran mole di informazioni, spesso contraddittorie e confuse, che suscitano stati d’ansia e di forti preoccupazioni, nulla ci viene detto, a parte la famosa favola della zuppa di pipistrello, sulle origini del virus. Eppure sappiamo che questi virus, il cui arrivo del resto era stato annunciato almeno dal 2003, si producono a causa dell’allevamento intensivo degli animali, da cui si ricava la cattiva carne di cui ci nutriamo. A ciò bisogna aggiungere la deforestazione e la conseguente estinzione di specie animali e vegetali, l’urbanizzazione disordinata che ha provocato l’addensamento abitativo in dimore insalubri e inadeguate; fenomeni questi che hanno fatto saltare le barriere protettive tra mondo umano e mondo animale, dal quale derivano questi virus che trasformandosi colpiscono l’uomo.

Nessuno può affermare che le misure prese dai vari governi abbiano tentato di incidere su questo aspetto, limitandosi questi a blaterare di vaccini che risolveranno tutti i problemi, quando invece, se la complessiva spoliazione della natura continua in questo modo, nuove pandemie si ripresenteranno e saranno necessari sempre nuovi vaccini, nell’attesa dei quali la gente si ammalerà e in alcuni casi morirà. Né per ora ci si è preoccupati di risanare il servizio sanitario nazionale che, come mostrano queste situazioni di emergenza, deve essere completamente ristrutturato per adeguarlo alle necessità attuali, né si sono presi provvedimenti adeguati a rendere pienamente sicure le scuole e le università, i luoghi di lavoro, affidando agli stessi lavoratori – i maggiori interessati – il controllo dell’efficacia delle misure e la loro piena applicazione.

Uno solo è il responsabile delle cause della pandemia e dell’inefficacia del suo controllo: il capitalismo nelle sue forme rapaci quale si è sviluppato dalla fine del miracolo economico per riprendersi i suoi profitti e che, in particolare, nei paesi europei, tra i quali l’Italia, non ha utilizzato i mesi tra la prima ondata e la seconda per affinare le metodologie antipandemia.

sabato 27 gennaio 2018

Ausmerzen - Marco paolini

Da: Jolefilm  - Marco_Paolini è un drammaturgo, regista, attore, scrittore e produttore italiano. 
Leggi anche: Wannsee Aristide Bellacicco 

«Ausmerzen ha un suono dolce e un’origine popolare. È una parola di pastori, sa di terra, ne senti l’odore. 
Ha un suono dolce ma significa qualcosa di duro, che va fatto a marzo. 
Prima della transumanza, gli agnelli, le pecore che non reggono la marcia vanno soppressi». 


lunedì 13 giugno 2016

Sguardi incrociati sui luddisti ed altri distruttori di macchine* - Michel Barillon

*Da:   CAIRN.INFO        http://francosenia.blogspot.it/
   
"Che il pensiero di Marx sia figlio della rivoluzione industriale lo sappiamo tutti, come sappiamo che non sarebbe esistito nessun Marx senza il progressivo e sempre più compiuto sviluppo del modo di produzione capitalistico. Ho spesso pensato (ma non è solo l'opinione mia) che lo stesso Das Kapital rappresenti in fondo il punto più alto dell'autocoscienza della stessa società capitalistica. Oltre questo punto tale società, sul piano del pensiero filosofico, è regredita a forme di irrazionalismo e non ha più toccato la ricchezza e la profondità di visione di Marx. Dunque, io credo che mettere Marx dalla parte del torto non abbia un significato storico effettivo.

La cosa importante non è, a mio avviso, che egli personalmente credesse o meno nelle "magnifiche sorti e progressive" del modo di produzione capitalistico, ma che ne abbia saputo mettere in chiaro la struttura e la dinamica inevitabilmente contraddittorie anche in assenza, o nei periodi di indebolimento, del conflitto 
capitale-lavoro.
Sappiamo benissimo che questa non è la sola contraddizione del capitale e come quest'ultimo entri  in conflitto con se stesso e con la propria dinamica di sviluppo anche senza lotta di classe operaia. In fondo, la crisi del 2008 non ci dimostra anche questo?"                            [Aristide Bellacicco (C.F.M. Stefano Garroni)] 


Il ruolo della tecnica nella problematica del mutamento sociale.   Pubblicato su "Ecologie & politique" n°37 2008/3 

Quelli che ci trattano da "distruttori di macchine", dovremmo trattarli noi, in cambio, da "distruttori di uomini."
Günther Anders [*1] 

Per una rilettura della Rivoluzione Industriale

Recentemente, nello spazio di un anno, senza alcuna concertazione, le case editrici francesi hanno pubblicato quattro opere che riguardano la distruzione delle macchine [*2]. Fino ad allora, gli editori, riflettendo in questo l'attitudine della maggior parte degli storici, avevano dimostrato assai poco interesse alle rivolte contro le macchine avvenute all'alba della Rivoluzione industriale. Ciò era essenzialmente dovuto al fatto che quei movimenti venivano percepiti come la manifestazione di un "oscurantismo tecnologico", una reazione arcaica nei confronti di una dinamica storica che si presume si svolgesse sotto gli auspici del "Progresso". Lo attestano i manuali di storia: così, quando i fatti in questione non vengono puramente e semplicemente ignorati, vengono presentati come un "reazione primitiva" [*3]. Nell'arte della negazione, David S.Landes appare come un virtuoso: su circa 750 pagine di un libro consacrato alla nascita e alla crescita del capitalismo industriale, non dice niente dei disordini sociali che hanno segnato l'inizio dell'industria tessile in Inghilterra nei primi decenni del 19° secolo. Ai suoi occhi, "la Rivoluzione industriale insieme al matrimonio della scienza con la tecnica costituiscono il culmine di millenni di progresso industriale". E tale acme apre una nuova era di espansione illimitata, a partire da un "progresso cumulativo della tecnica e della tecnologia, un progresso autonomo" ancora più sfrenato dal momento che tradizioni e pregiudizi vengono abbandonati [*4]. Anche Paul Mantoux, che però disserta a lungo sul luddismo e su altre forme di distruzione delle macchine, usa ripetutamente l'epiteto "desueto" per descrivere il metodo di industria a domicilio, le regole che lo disciplinavano oppure gli argomenti portati avanti dagli operai al fine di difendere il loro mestiere [*5].

venerdì 23 ottobre 2020

Come si muove una pandemia. Il tallone d’Achille della globalizzazione

 Da: https://lascimmiachepensa.wordpress.com 

Leggi anche: Epidemia e potere - Aristide Bellacicco 

Zygmunt Bauman - La società individualizzata - Il Mulino, Bologna, 2002 - 



Esiste una contraddizione fra l'efficienza  di una società di mercato e la difesa della vita umana soprattutto in circostanze come le attuali. 

È una contraddizione che appare insanabile rimanendo all'interno di un sistema sociale ed economico basato sulla compravendita di merce su scala sempre più vasta ed in tempi sempre più brevi. È come se il virus seguisse la stessa dinamica del denaro, sebbene quest' ultimo, nella sua forma di moneta, non è mai stato indicato come possibile vettore di infezione. 

È pur vero che i grandi scambi capitalistici, quelli cioè che avvengono nell'ambito della produzione, non implicano lo spostamento fisico di masse di denaro, che invece mantiene una sua importanza sui mercati dei beni di consumo. 

E dunque, i grandi capitalisti si sono arricchiti, e si arricchiscono, durante l'epidemia accumulando profitti, in un certo senso, smaterializzati; al contrario, i puri e semplici consumatori, se esistono, si contagiano mentre vanno al mercato a produrre il profitto degli altri. 

Come i puri e semplici comuni mortali, i lavoratori, soprattutto quelli che vanno in fabbrica, alle casse dei supermercati, a fare le pulizie. Ancor più quelli che si svegliano all'alba e sacrificano ore di sonno (fondamentale per le difese immunitarie) per poter portare il pane a casa ed arricchire i capitalisti. Quelli che non possono permettersi di fare 80 Km al giorno con il proprio mezzo, ed affollano treni, metro ed autobus, dove ovviamente la prevenzione dal coronavirus è impossibile.

E gli stessi medici ed infermieri. (il collettivo)

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Osservando i numeri di questa seconda ondata, inizia a prendere corpo la consapevolezza che non solo non #andràtuttobene, ma probabilmente fermare l’aumento di contagi sarà semplicemente impossibile.

Nonostante le misure che, almeno sulla carta, dovrebbero contenere i casi di Covid-19, il rapporto tra sforzi e risultati sembra essere inspiegabilmente sfavorevole, come un ingranaggio che gira a vuoto.
Fino ad ora sono state prese in esame principalmente le caratteristiche di SARS-CoV-2 da un punto di vista virologico: la sua letalità, la sua struttura, le modalità di infezione, il quadro clinico dei malati.
Quelle che tuttavia sono state tralasciate, o non del tutto comprese, sono le dinamiche di diffusione da un punto di vista sistemico, che prescindono dalla specifica tipologia di virus poiché hanno a che fare con il tessuto sottostante sul quale il virus si muove.
Per capirlo bisogna fare qualche passo indietro.

domenica 11 settembre 2022

Il conflitto in Ucraina accelera la fine del dominio dell’Occidente - Thierry Meyssan

Da: https://www.voltairenet.org - https://www.sinistrainrete.info - Thierry Meyssan, consulente politico, presidente-fondatore della Rete Voltaire. Ultima opera in italiano

Leggi anche: Il sabotaggio della pace in Europa - Thierry Meyssan 

"La messa in scena come metodo della politica occidentale" - S.V. Lavrov

La logica della crisi corrente - Andrea Zhok

Le ragioni della Russia - Aristide Bellacicco

Cosa sta succedendo dentro l’ONU?

Vedi anche: Geopolitica. Gli USA perderanno anche la leadership energetica - Demostenes Floros


Il conflitto ucraino, presentato come un’aggressione della Russia, è invece l’applicazione della risoluzione 2202 del 17 febbraio 2015 del Consiglio di Sicurezza. Francia e Germania non hanno tenuto fede agli impegni assunti con l’Accordo di Minsk II, quindi per sette anni la Russia si è preparata allo scontro attuale. Mosca ha previsto le sanzioni occidentali con molto anticipo, sicché le sono bastati due mesi per aggirarle. Le sanzioni scompaginano la globalizzazione statunitense, perturbano le economie occidentali spezzando le catene di approvvigionamento, facendo rifluire i dollari verso Washington e provocando un’inflazione generale, causando infine una crisi energetica. Chi la fa l’aspetti: gli Stati Uniti e i loro alleati si stanno scavando la fossa con le proprie mani. Nel frattempo le entrate del Tesoro russo in sei mesi sono aumentate del 32%. 


Nei sette anni appena trascorsi spettava alle potenze garanti dell’Accordo di Minsk II (Germania, Francia, Ucraina e Russia) farlo rispettare. Non l’hanno fatto, sebbene l’intesa sia stata avallata e legalizzata il 17 febbraio 2015 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e a dispetto delle affermazioni sulla necessità di proteggere i cittadini ucraini, minacciati dal loro stesso governo.

Il 31 gennaio 2022, allorquando cominciavano a circolare notizie su un possibile intervento militare russo, il segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Difesa ucraino, Oleksy Danilov, sfidava Germania, Francia, Russia e Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dichiarando: «Il rispetto degli Accordi di Minsk significa la distruzione del Paese. Quando furono firmati sotto la minaccia armata dei russi - e sotto lo sguardo di tedeschi e francesi - era già chiaro a tutte le persone razionali che sarebbe stato impossibile applicarli» [1].

Sette anni dopo, quando il numero di ucraini uccisi dal governo di Kiev ha superato i 12 mila secondo la versione ucraina e i 20 mila secondo la Commissione d’inchiesta russa, solo allora Mosca ha lanciato un’«operazione militare speciale» contro i «nazionalisti integralisti» ucraini (come vogliono essere chiamati), che i russi definiscono «neonazisti».

Sin dall’inizio dell’operazione la Russia ha dichiarato che si sarebbe limitata a soccorrere le popolazioni e a «denazificare» l’Ucraina, non già a occuparla. Ciononostante gli Occidentali hanno accusata la Russia di voler prendere Kiev, di voler rovesciare il presidente Zelensky e annettere l’Ucraina; azioni che evidentemente i russi non hanno fatto. Soltanto dopo l’esecuzione di uno dei negoziatori ucraini, Denis Kireev, ucciso dai servizi di sicurezza del proprio Paese (SBU), e la sospensione dei colloqui da parte del presidente Zelensky, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato di voler inasprire le pretese russe. Ora la Federazione reclama la Novorussia, ossia tutto il sud dell’Ucraina, territorio storicamente russo dai tempi della zarina Caterina II, salvo un’interruzione di 33 anni.

mercoledì 13 maggio 2020

- Un culto di morte -

Da: http://ilpedante.org - https://www.facebook.com/giorgio.bianchi
Leggi anche:  Contro l’emergenza - Alessandra Ciattini e Aristide Bellacicco 
                         Covid-19 e Costituzione - Gaetano Silvestri 
                         IL COVID-19 BUSSA ALLA PORTA DELLA BARBARIE, NON DEL SOCIALISMO. - Paolo Ercolani 
                         La città appestata - Michel Foucault
Vedi anche:    https://youtu.be/qAKKA21pWfo


"I do not believe that a nation dies save by suicide. 
To the very last every problem is a problem of will; and if we will we can be whole."
(G.K. Chesterton)

I.

Non è facile commentare il periodo che stiamo attraversando. Mentre i più lo traducono nelle cronache e nei bollettini sanitari di una malattia che circolerebbe dall'inizio dell'anno, qualche avanguardia critica si spinge a denunciare gli errori con cui sarebbe stata gestita la collegata emergenza. È però ormai evidente che le reazioni e i pensieri innescati dalla patologia virale, su cui pure si fissa disciplinatamente il dibattito, evidenziano le piaghe di una patologia antropologica più vasta da cui emergono i limiti, se non forse anche la fine, di un intero modello antropologico e sociale.

Per restare nel dominio semantico che tiene banco, prima di valutare le cause e i rimedi occorre dare una chiara descrizione dei sintomi. In punto di fatto, la sospensione delle attività sociali oggi imposta per arginare la trasmissione di un virus non ha precedenti in tempi di pace e forse anche di guerra, scaricandosi ora l'intero potenziale offensivo e difensivo dello Stato sulla sola popolazione civile. Il combinato delle misure in vigore ha creato le condizioni di un esperimento, inedito per radicalità e capillarità, di demolizione controllata del tessuto sociale che parte dai suoi atomi per diramarsi verso la struttura. Alla base sono colpiti gli individui: terrorizzati dall'infezione e dalle sanzioni, braccati nella quotidianità con un accanimento e un dispiegamento di mezzi che è raro riscontrare nella repressione dei crimini più efferati, segregati tra le mura domestiche, allontanati dai propri cari, isolati nella malattia e nella morte, istigati alla delazione e al terrore - quando non direttamente all'odio - del prossimo, privati dei conforti della religione, senza istruzione, costretti alla disoccupazione e a vivere dei propri risparmi nell'attesa di un'elemosina di Stato, stipati come bestie in batteria e ridotti ad abitare il mondo attraverso gli ologrammi gracchianti di un telefonino. La speranza stessa della liberazione diventa fonte di angoscia per l'incertezza delle previsioni e l'enormità dei messaggi accreditati in cui si annunciano «rimedi» fino a ieri quasi indicibili per i nostri standard giuridici e morali: dal tracciamento digitale dei cittadini e del loro stato di salute, riservato finora solo alle specie selvatiche, alla somministrazione presumibilmente coatta di farmaci che ancora non esistono (se mai esisteranno) o, in alternativa, che nulla hanno a che fare con la patologia in oggetto; dalla smaterializzazione dei rapporti umani più stretti al prelievo forzoso degli «infermi», fino ai sogni più sfrenati di tatuaggi e certificati digitali per poter condurre una vita (si fa per dire) normale.

giovedì 23 aprile 2020

Passiamo alla fase 2? - Alessandra Ciattini , Aristide Bellacicco

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Antropologa) e Aristide Bellacicco (Medico) fanno parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni".
Leggi anche:   Covid-19 e Costituzione - Gaetano Silvestri 
                         Ipotesi sulle cause della pandemia provocata dal Coronavirus - Alessandra Ciattini 
                         Caratteristiche, origini ed effetti del nuovo Coronavirus - Ernesto Burgio



Ma stiamo veramente passando dalla fase 1 a alla fase 2? Prima di procedere è meglio capire cosa è successo.

Il passato 2 aprile il Sole 24 ore, noto organo della Confindustria, ha pubblicato un articolo firmato da 150 scienziati ed accademici che, di fronte all’ipotesi di una perdita del PIL del 10% nel primo semestre del 2020 e di altri elementi assai preoccupanti, propone di avviare in maniera graduale il passaggio alla fase 2. Nello specifico, richiamandosi all’esempio della Corea del Sud, paese dove i contagi e le morti sono state consistenti ma bloccati, i firmatari sostengono: “Occorre iniziare ad elaborare rapidamente una fase 2 che consenta di tutelare al meglio la salute dei cittadini e nel contempo rimettere in moto l’Italia, evitando tuttavia il riaccendersi virulento della pandemia”.

È abbastanza logico che questo appello appaia sul quotidiano della Confindustria, giacché – come sappiamo – nonostante molte imprese anche non essenziali non si siano fermate, gli imprenditori delle regioni più industrializzate (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) premono perché si decida quella che loro chiamano enfaticamente la “ripartenza” [1], come se alle nostre spalle non avessimo decenni di arretramento su tutti i fronti. Cautela, invece, è dimostrata dall’infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano Massimo Galli, il quale ha dichiarato alla Stampa che l’emergenza non è finita e che non è ancora il momento di riaprire, mettendo in evidenza che ci sono molte persone asintomatiche in casa che potrebbero diffondere il virus, se messe in circolazione.

Ciononostante, con un ennesimo Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, Conte ha previsto alcune parziali riaperture ed ha istituito un comitato di esperti in materia economica e sociale, in cui non è presente nessun lavoratore o suo rappresentante, diretto da Vittorio Colao, ex amministratore della Vodafone.

Prima di valutare questa ipotesi, sarà il caso di analizzare criticamente la fase 1 e la validità di tutte le misure ad essa connesse, dato che i più esposti non sono certo gli imprenditori, chiusi per lo più nei loro comodi uffici, ma i lavoratori, i vecchi senza assistenza, i precari, i senza tetto etc. [2], e che nonostante ciò non sono chiamati a decidere sul loro prossimo futuro.

Ma quando è iniziata realmente la “fase 1”? E qual è l’effettivo significato di questa dizione che, in fondo, non è altro che uno slogan? 

lunedì 10 giugno 2013

In margine a un vecchio libro di Maurice Dobb - Aristide Bellacicco -

Sono passati più di settant’anni da quando l’economista marxista Maurice Dobb pubblicò il suo “Economia politica e capitalismo”. Il libro uscì in edizione inglese nel 1937, in piena epoca stalinista e alla vigilia della seconda guerra mondiale: Dobb aveva sotto gli occhi, come fenomeni di prima grandezza, da un lato il tumultuoso processo di industrializzazione dell’Unione Sovietica e, dall’altro, l’affermarsi dei regimi fascisti in Italia e in Spagna e del nazismo in Germania. Queste drammatiche circostanze storiche si riflettono in modo evidente nel particolare carattere del libro che, oltre a rappresentare un contributo di pensiero ancora utile e prezioso, rivela un’ atteggiamento di fondo di cui oggi si avverte, e in modo assai acuto, la mancanza: mi riferisco al fatto che Dobb, come uomo di scienza, non solo analizza e spiega ma si schiera. E si schiera – dalla parte del socialismo e della classe operaia - proprio perché è un uomo di scienza.
Solo una breve citazione dalla chiusa dell’ultimo capitolo per chiarire meglio questa affermazione:
“Quando l’interesse ostacola la ragione” scrive Dobb “parlare il linguaggio della ragione è inutile, salvo che ciò non significhi predicare l’abbandono dell’interesse…Per infondere la vita nello scheletro delle nozioni astratte, (l’economista) deve non solo uscire dal suo chiostro per camminare sulle piazze di mercato del mondo, ma prender parte alle loro battaglie… E ciò non significa alienare la propria primogenitura, bensì camminare nelle migliori tradizioni dell’economia politica. Ad ogni modo, se egli non si decide a far questo, il mondo, e il suo chiostro con esso, può cominciare ben presto a sconvolgersi intorno a lui.”
Dunque, il mondo e il chiostro: una metafora che rovescia l’ aforisma cristiano che prescrive di “essere nel mondo ma non del mondo” per affermare non solo il dovere morale, ma la necessità storica, che lo scienziato e l’intellettuale siano non solo nel mondo, bensì del mondo.
Nello sconfortante paesaggio in cui siamo immersi, fatto di chiacchiere, opportunismo e completa sottomissione al pensiero unico del capitale, le parole di Dobb suscitano, in ogni coscienza vigile e non subalterna, un senso di rabbia e di rivolta. Siamo fin troppo abituati ai numeri da avanspettacolo di “economisti” di varia tendenza che si affacciano dai teleschermi per somministrarci lezioncine e proporre ricette “per uscire dalla crisi” che fanno venire in mente il delirio di un medico che si proponesse di curare il cancro con l’aspirina. E tutti con l’aria di dire: “noi non c’entriamo per nulla, sono le leggi dell’economia.”
Raccontano bugie sapendo di raccontarle: e i più “a sinistra” fra loro sono i più colpevoli, perché non hanno, in molti casi, nemmeno la ridicola scusa di non aver letto Marx e quindi di ignorare che nelle cosiddette “leggi” dell’economia non c’è proprio nulla di naturale.
Ora, è trascorso più un secolo e mezzo da quando proprio Marx rese chiaro quale poteva e doveva essere il ruolo di un intellettuale, e di uno scienziato, sotto il capitalismo: quello di prendere posizione contro. 
Nel ventesimo secolo molte fra le migliori menti imboccarono, anche se con tonalità diverse, questa strada: e non parlo solo dei marxisti “doc”- si pensi a un personaggio come Wittgenstein e, in parte, allo stesso Bertrand Russell: nessuno di loro, per fare un esempio, è mai caduto nella volgarità di credere o dire che la società di classe fosse un fenomeno naturale.
Non esiste la cultura proletaria come non esiste una scienza operaia: Trockji lo sosteneva apertamente. Gli intellettuali, per ovvi motivi storici e sociali, sono tutti borghesi: Marx lo era, Engels lo era, lo era anche Dobb, e tanti altri, compreso Trockij e lo stesso Lenin.
Ma la grande forza che si sprigionò nella prima metà del ventesimo secolo, e che portò all’Ottobre, fu proprio la conseguenza della alleanza fra il meglio dell’eredità intellettuale – filosofica, scientifica ecc- “borghese” e le istanze di emancipazione della classe operaia (Stalin no, lo stalinismo fu il frutto di un processo completamente diverso e, anzi, opposto).
Se mai è esistito un periodo nella storia in cui si possa toccare con mano quanto la borghesia abbia esaurito il suo ruolo storico e stia semplicemente, e ferocemente, sopravvivendo a se stessa, ebbene, questo è proprio il tempo in cui viviamo: eppure il sistema capitalistico non è morto e sembra più che mai disposto a far pagare a caro prezzo all’umanità il prezzo del suo sopravvivere: come un “cadavere vivente”, per citare Stefano Garroni.
Gli intellettuali e gli uomini di scienza portano in tutto ciò il peso di una responsabilità a cui non possono sottrarsi. Se qualcosa in loro si ribella ancora alla sottomissione ed al servaggio, questo è il momento di farsi avanti: per schierarsi contro, per dire la verità e per uscire, riprendendo Dobb, dal chiostro, o meglio, dall’ovile.

lunedì 27 aprile 2015

Storia patria - Aristide Bellacicco

 Sissignore, ho ordinato io al ragazzo di salire sull’albero. Certo, mi scusi. Gliel’ho solo chiesto, non era un vero e proprio ordine. Era poco più di un bambino, sì.
Naturalmente, signore. Sapevo perfettamente che il nemico era a non più di cinque o seicento metri. Stavano fra gli alberi lungo il fiume. Bè, no. Voglio dire, non avevo mandato ricognitori in avanscoperta. Era troppo rischioso. Non potevo permettermi altre perdite.
Ho capito, signore, ma il fatto che lo sapessi non significa che ne fossi assolutamente sicuro.
E’ vero, prima ho detto che lo sapevo “perfettamente”, ma si trattava in realtà di un…di una intuizione, ecco. Faccio notare però che ero nel giusto. In effetti, il nemico era proprio lì.
Con tutto il rispetto, signore, prima di chiedere rinforzi desideravo avere qualche certezza in più. Non mi sembrava il caso di scomodare l’artiglieria per niente. Potevano anche essersi spostati. In fondo, l’ultimo avvistamento risaliva a parecchie ore prima.
Ah, non lo so. Potevano aver guadato il fiume, che in quel punto è basso, oppure potevano essersi spostati più giù lungo la fila degli alberi, rimanendo al coperto. La fanteria nemica sa il fatto suo, signore. Guai a sottovalutarla. Sono dei diavoli, quelli lì, dei maledetti diavoli, se mi passa l’espressione.
Nossignore, non ho mai pensato di ritirarmi. Perché avrei dovuto farlo? Fino a prova contraria, eravamo perfettamente in grado di tenere la posizione. Dipendeva solo dall’entità della forza nemica, e su questo non avevo informazioni tali da…Sissignore, lo terrò presente. No, mi creda, non è mia abitudine esporre gli uomini a rischi inutili o sproporzionati. Ma non ho nemmeno simpatia per gli eccessi di prudenza. La mia opinione è che spesso la troppa prudenza nasconda la codardia.
In coscienza, signore, credo di essermi comportato come qualsiasi altro comandante al mio posto. Non ho nulla da rimproverarmi. Certo, sono addolorato per il ragazzo. Per il bambino, sì.
Nossignore, su questo punto mi permetto di dissentire. Quelle informazioni erano assolutamente vitali. Indispensabili, direi, dal punto di vista tattico. Non avevo scelta. Grazie, signore, ero certo che avrebbe concordato su questo punto.
Naturalmente. Certo, il giornalista era lì. Certo che lo sapevo, era con noi dall’inizio dell’operazione. Con tutto il rispetto, signore, ma è lo Stato Maggiore che…certo, mi rendo conto. L’informazione, capisco benissimo. Assolutamente no, signore. La mia non era una critica. Solo un’osservazione.
E’ che poi succedono queste cose, capisce? Chiedo scusa, signore. Ma no, non volevo mettere in dubbio la sua intelligenza, ci mancherebbe altro. Lo so che capisce.
Però adesso abbiamo un problema mi pare. C’è quella foto su tutti i giornali. E c’è anche il mio nome e, mi scusi, anche il suo.
No, mi lasci dire la prego. Sono interessato quanto lei a fare in modo che questa faccenda si risolva senza troppi strascichi. A questo proposito vorrei rispettosamente esporre una mia idea. Grazie, signore. Molto sinteticamente, sì.
Vede, quel ragazzo, va bene, quel bambino, non è che avesse proprio tutte le carte in regola. Era un viet e collaborava con noi. Nossignore, su questo punto dobbiamo tenere duro. Sono tutti viet, laggiù. Al massimo, fanno finta di non esserlo quando gli conviene o quando hanno troppa paura.
Nella fattispecie, signore, direi il secondo caso. Aveva molta paura di noi, e lo credo bene. Per questo ha accettato di  salire su quel dannato albero. Bene, cosa pensa che gli avrebbero fatto i suoi se l’avessero saputo? Altro che una fucilata e via. L’avrebbero cosparso di benzina e gli avrebbero dato fuoco un po’ alla volta. Quella non è gente che scherza, signore, non debbo mica insegnarglielo io, questo. E vede, dal loro punto di vista, avrebbero avuto ragione. Quel ragazzo, va bene, bambino, era, in senso oggettivo voglio dire , bè, era un traditore. Come altro lo si può considerare? Se uno di nostri avesse fatto la stessa cosa, non si sarebbe salvato dal plotone di esecuzione, penso. Naturalmente, signore, è ovvio. Ed è altrettanto ovvio per quello lì. Era un traditore e ha avuto il fatto suo. Ecco la linea che a mio avviso dobbiamo tenere. Senza farci ricattare da facili sentimentalismi o dalla propaganda umanitaria. I bambini sono uomini, signore. E’ solo questione di tempo. Quello lì non sarebbe andato bene per nessuno, né per noi né per i viet. Quella razza lì fa solo danno. I traditori e i codardi, voglio dire.
I viet uccidono un traditore di dodici anni: questo, a mio parere, sarebbe un buon titolo. Sono sicuro che la gente saprebbe giudicare con mente lucida.
In fondo, i nostri muoiono a decine, e molti sono poco più che ragazzi. Dobbiamo battere su questo punto, mi dia retta.
Ma certo, signore. Naturalmente. Sul piano umano dispiace anche a me, è ovvio.
Ma non è con l’umanità che si vincono le guerre. Certo, signore. Purtroppo.

venerdì 13 marzo 2015

FUNZIONI DELLO STATO - DISTINZIONE FORMALE LOGICA ANALITICA - Stefano Garroni


"L'essenza dello Stato è l'universale in sé e per sé, la razionalità del volere. Ma, come tale che è consapevole di sé e si attua, essa è senz'altro soggettività; e, come realtà, è un individuo. La sua opera in genere, - considerata in relazione con l'estremo dell'individualità come moltitudine degli individui, - consiste in una doppia funzione. Da una parte, deve mantenerli come persone, e, per conseguenza, fare del diritto una realtà necessaria; e poi promuovere il loro bene, che dapprima ciascuno cura per sé, ma che ha un lato universale: proteggere la famiglia e guidare la società civile. Ma, d'altra parte, deve ricondurre entrambi, - e l'intera disposizione d'animo e attività dell'individuo, come quello che aspira ad essere un centro per sé, - nella vita della sostanza universale; e, in questo senso, come potere libero, deve intervenire nelle sfere subordinate e conservarle in immanenza sostanziale." (Hegel)


Nella “Critica alla filosofia del diritto pubblico di Hegel. Introduzione.” Marx, per la prima volta, individua nel proletariato l’unica classe capace di sovvertire l’intero ordinamento della società e dello Stato (la Germania, in quel caso).  Nel linguaggio fortemente dialettico delle sue opere giovanili, Marx così mette a fuoco la condizione proletaria e le potenzialità che ne derivano: “Dov’è dunque la possibilità effettiva   della emancipazione tedesca? Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, una classe della società civile che non sia una classe della società civile, un ceto che sia la dissoluzione di tutti i ceti.”
Contro questa classe “viene esercitata non un ‘ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro”, essa è “in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico” e non può “ emancipare se stessa  senza…emancipare  tutte le rimanenti sfere della società”. Il proletariato è “la perdita completa dell’uomo,  e può dunque  guadagnare nuovamente se stessa  attraverso il completo recupero dell’uomo”.

Nel momento in cui scrive questo articolo per gli “Annali  franco- tedeschi” Marx non ha  ancora intrapreso gli studi di economia cui si dedicherà anima e corpo negli anni successivi: non ha ancora messo a fuoco sul piano scientifico la struttura antinomica della società capitalistica né la centralità della contraddizione capitale – lavoro. In più, è da notare come egli, consapevole della condizione di arretratezza economica e sociale della Germania dei suoi tempi,  parli di “formazione” di una classe: significa che questa classe ancora non è pienamente sviluppata e che solo il suo sviluppo porrà le condizioni perché essa possa svolgere il ruolo storico che Marx le riconosce.
Voglio dire che il problema centrale, con cui Marx si confronta qui, non è ancora quello del superamento di un determinato sistema socio-economico fondato sulla separazione del lavoro dai mezzi di produzione: il tema dell’assoggettamento umano  appare, dunque,  non come  conseguenza   di particolari rapporti di produzione, bensì nella forma dell’opposizione fra l’uomo e lo Stato, fra “società civile” e Stato, fra l’“essenza umana”  e la sua negazione nello Stato – qualsiasi Stato.
E’ nozione di tutti come su questi temi  ( il “giovane Marx”, i suoi rapporti con l’hegelismo, il suo “umanesimo”, la successiva cosiddetta “rottura epistemologica ecc.) siano state scritte moltissime pagine – è sufficiente ricordare Althusser.

Ma è fuor di dubbio, a mio avviso, che in questo breve e difficile testo si possa scorgere un elemento in grado di illuminare un aspetto del pensiero – o meglio, del modo  di pensare – di Marx, che non solo non verrà meno nell’opera successiva, ma che ne costituirà, sempre, lo sfondo e il presupposto: mi riferisco all’originaria vocazione etico- morale di Marx, la stessa che lo avvicina, ma anche lo differenzia,  ad altri scrittori  socialisti o “comunisti” del suo tempo.

Nel parlare di  “vocazione etico- morale “, però, non intendo indicare qualcosa di assimilabile a un sentimento o a un “astratto furore” – per dirla col Vittorini di “Conversazione in Sicilia”: c’è sicuramente del sentimento in Marx, e senz’altro anche del furore e una genuina indignazione, che spesso si scaricano in ironia e sarcasmo, ma non sono questi i fondamenti della sua posizione etica.
Piuttosto Marx, a partire dai suoi primi scritti,  si presenta come il più coerente prosecutore della linea che dall’Illuminismo porta alla Rivoluzione  Francese. Quella linea, cioè, che riconosce nell’uomo (ma c’era già in Vico) l’unico costruttore della propria storia e, dunque, anche dello Stato della società in quanto prodotti storici. La novità di Marx (ma rintracciabile anche in altri) sta però nel suo scorgere che lo stesso Stato che nasce dalla Rivoluzione giacobina, lo Stato ispirato dal “Contratto sociale di Rousseau e portato alle estreme conseguenze dal Robespierrismo di sinistra e dal radicalismo piccolo- borghese di Saint- Just, una volta rovesciati i tiranni si rovescia poi a sua volta al punto da diventare egli stesso un nuovo tiranno. Non per un errore degli uomini: ma per sua intrinseca natura, per una “legge” storica.

Marx, ovviamente, non nega il grande progresso costituito dalla Rivoluzione francese, al contrario:   egli contrappone nettamente lo Stato della Convenzione, e in generale gli Stati a costituzione democratico- rappresentativa, allo Stato  prussiano- tedesco“teologico”, autoritario, censore  e semi-feudale.

Ma, per usare un’espressione del linguaggio comune, quel progresso “non gli basta”. Un altro passo va compiuto sulla strada della liberazione umana, e questo passo corrisponde al superamento dello Stato in quanto tale, condizione sine qua non  perché l’uomo si ritrovi finalmente padrone assoluto di se stesso: non solo nei cieli della teoria ma nella concretezza della sua esistenza effettiva.
Si può parlare di Marx, almeno in questa  fase del suo pensiero, come di un  “anarchico razionale”? Forse a questa domanda si può rispondere affermativamente a patto di porre l’enfasi sul termine “razionale”, vale a dire sulla consapevolezza,  che in Marx è senz’altro presente, che non si tratta di distruggere fisicamente  un apparato più o meno oppressivo la cui semplice scomparsa restituirebbe magicamente agli uomini la completa libertà. Tutt’altro: la libertà umana è un  presupposto, non una conseguenza, del superamento dello Stato. Infatti, solo attraverso l’esercizio della libertà questo processo potrà compiersi: ma non della libertà formale, nemmeno di quella vigente nelle democrazie rappresentative, bensì di quella libertà  che Marx vede come propria dell’essenza umana e che fa degli uomini, in ogni circostanza, dei creatori di se stessi.

Marx, si può dire in anticipo su se stesso, individua  nel proletariato l’iniziatore e il catalizzatore di questo processo. Lo fa ancora prima di diventare propriamente “comunista”, il che comunque avverrà da lì a poco. Lo fa perché crede che l’uomo sia qualcosa per cui valga la pena spendersi: in questo  è un grande erede dell’Illuminismo e ancora in questo sta la sua originaria ispirazione etica.
 Aristide Bellacicco (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni)

L'audio dell'incontro:         https://www.youtube.com/watch?v=-ZEUew5oY3c

giovedì 17 ottobre 2013

Wannsee - Aristide Bellacicco -

Aristide Bellacicco (Medico) fa parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni"

Gli uomini sono arrivati  con un  lieve anticipo e a tutti è stato servito del cognac. Si conoscono da tempo, si sono stretti la mano e qualcuno ha sbattuto i tacchi. La riunione comincia fra dieci minuti, forse anche prima, il Capo talvolta non è puntuale. Nell’attesa hanno acceso le sigarette e guardano dalle  finestre, c’è fra loro chi ammira la magnifica spalliera di rose che avvolge il cortile come una sciarpa. Di fuori, gli autisti chiacchierano  appoggiati alle carrozzerie schizzate di fango e fanno scricchiolare la ghiaia sotto gli stivali. Fra poco gli porteranno un po’ di vino e più tardi potranno mangiare  in cucina, scherzare con le serve e toccar loro il sedere. Ma forse non si arriverà a tanto, la riunione sarà più breve di quanto ci si aspetti e potrebbe concludersi prima di cena. In fondo si tratta solo di prendere un paio di decisioni, anzi, una sola,  e senza nemmeno entrare nel dettaglio.

Alcuni degli uomini trovano che tutto ciò sia una perdita di tempo e che non era il caso di distoglierli, sia pure per qualche ora,  dalle occupazioni della guerra. Ma ciascuno di loro sa di essere a Wannsee, dove molti altri, che pure lo desiderano, non potranno mai entrare nemmeno in sogno, e questo fa loro piacere, naturalmente.
A un certo punto la porta si apre e si chiude, entra il Capo, fa cenno di sedersi e gli uomini obbediscono volentieri, prendendo ciascuno il proprio posto attorno al tavolo.
Il cognac sparisce e le sigarette vengono spente di fretta. Anche noi dobbiamo uscire dalla stanza. La porta viene chiusa a chiave  e un ufficiale vestito di nero passeggia su e giù  nell’atrio,  le mani dietro la schiena, la destra chiusa attorno al polso della sinistra che stringe i guanti.
Da questo momento non possiamo  più ascoltare quello che verrà detto fra le mura di Wannsee. Siamo confinati in giardino, insieme agli autisti, che ci salutano distrattamente.

“Autisti, ma non siete curiosi?”

“E di cosa?”

“Di questo. Di Wannsee. Di quegli uomini nella stanza.”

giovedì 19 dicembre 2013

Contributo a una discussione - Aristide Bellacicco* -


*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")

1) Uno dei fenomeni più caratteristici degli ultimi anni è il fortissimo prevalere, nelle analisi e nelle interpretazioni della crisi del capitale, dell’elemento strettamente economico pensato nella sua assolutezza e autonomia. In particolare nella’area europea, il dibattito appare contraddistinto dalla divisione fra i sostenitori di una linea recessiva e di austerità (alla Merkel, per intenderci) e coloro i quali sostengono che sia necessaria una politica monetaria più espansiva per ridare fiato alla produzione e al consumo. Il fatto che queste misure di carattere neo-keynesiano rappresentino l’orizzonte comune di molti economisti di ispirazione marxista o genericamente “di sinistra”, è sufficientemente indicativo dell’ impasse teorica e politica in cui si trova impigliato, ormai da molti decenni, ciò che resta del pensiero critico e dello stesso movimento comunista. La situazione si può forse riassumere in questo modo: da un lato, o meglio, sullo sfondo, il persistere della consapevolezza che il sistema di produzione capitalistico è sbagliato perché violento e irrazionale; dall’altro, o in primo piano, l’apparentemente insuperabile soggezione alle sue logiche e alle sue “leggi”. Da qui, il primato dell’”economico” e l’appiattimento, quasi ossessivo, sui temi dei “mercati”, della “ripresa”, delle banche e così via. E sempre da qui, come una specie di sottoprodotto, quella sorta di coscienza diffusa, priva di un chiaro segno politico, che porta a concepire la situazione attuale come polarizzata fra un generico “grande capitale” mostruoso e vorace, chiamato anche sbrigativamente “Europa”, e “il popolo”, vale a dire tutti gli altri.

2) Detto ciò, non ci si può nascondere che questa visione è, in buona sostanza, il riflesso necessario dei rapporti fra le classi o fra i diversi raggruppamenti sociali, su scala europea e mondiale, così come sono andati configurandosi nell’epoca della reazione neo-liberista. Del quadro fanno parte il fallimento delle due esperienze novecentesche di ispirazione socialista in paesi più o meno capitalisticamente avanzati – il Cile e il Portogallo – e la crisi e il crollo del campo socialista e dell’ Unione sovietica ad est: il famoso tramonto della centralità operaia, di cui si vocifera da un trentennio almeno, trova forse in tutto questo una delle sue radici e, se si assume un certo pessimismo della ragione, una sua almeno apparente conferma.

sabato 9 aprile 2016

BREVI NOTE SU IDEALISMO E MATERIALISMO* - Aristide Bellacicco**

*Da:   http://www.lacittafutura.it/
**Collettivo di Formazione marxista Stefano Garroni


La polarità idealismo-materialismo ha caratterizzato a lungo, e fino ai nostri giorni, il dibattito sulla relazione fra il pensiero di Hegel e quello di Marx. Ma si potrebbe tentare, come d'altra parte già è stato fatto, una lettura dei due filosofi che superi questa secca contrapposizione e lo schematismo che, a partire da Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin, ha segnato uno dei nodi teorici più importanti in seno al movimento comunista. 



Prendo le mosse da un'arcinota definizione di Hegel, che si trova nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, riguardante l'essenza della filosofia. "La filosofia" scrive Hegel in quel testo "è il proprio tempo appreso in pensieri." Scrutando bene in questa definizione si possono mettere in evidenza due cose: 

  1. esiste qualcosa come "il proprio tempo"
  2. questo "qualcosa" non coincide con il pensiero ma è da quest'ultimo fatto proprio attraverso un processo di apprendimento
Il "proprio tempo" è dunque "esterno" al pensiero: fra le due istanze esiste una relazione ma non un'identità.

Un'analoga relazione si può rintracciare nel Marx dellaIntroduzione alla critica dell'economia politica (1857). Scrive Marx in questo frequentatissimo testo: "Il concreto è concreto perché è la sintesi di molte determinazioni, cioè unità del molteplice... il metodo di risalire dall’astratto al concreto è il solo modo per il pensiero di appropriarsi del concreto, di riprodurlo come concreto nello spirito. Mai però il processo di genesi del concreto stesso."

È possibile sostenere che fra l'hegeliano "proprio tempo" e il marxiano "concreto" esista un'omologia di significato?