**Collettivo di Formazione marxista Stefano Garroni
La polarità idealismo-materialismo ha caratterizzato a lungo, e fino ai
nostri giorni, il dibattito sulla relazione fra il pensiero di Hegel e quello
di Marx. Ma si potrebbe tentare, come d'altra parte già è stato fatto, una
lettura dei due filosofi che superi questa secca contrapposizione e lo
schematismo che, a partire da Materialismo
ed empiriocriticismo di Lenin, ha segnato uno dei nodi teorici più
importanti in seno al movimento comunista.
Prendo le mosse da un'arcinota definizione di Hegel, che si
trova nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto,
riguardante l'essenza della filosofia. "La filosofia" scrive Hegel in
quel testo "è il proprio tempo appreso in pensieri." Scrutando bene
in questa definizione si possono mettere in evidenza due cose:
- esiste qualcosa come "il proprio tempo"
- questo "qualcosa" non coincide con il pensiero ma è da quest'ultimo fatto proprio attraverso un processo di apprendimento
Il "proprio tempo" è dunque "esterno" al
pensiero: fra le due istanze esiste una relazione ma non un'identità.
Un'analoga relazione si può rintracciare nel Marx dellaIntroduzione
alla critica dell'economia politica (1857). Scrive Marx in questo
frequentatissimo testo: "Il concreto è concreto perché è la sintesi di
molte determinazioni, cioè unità del molteplice... il metodo di risalire
dall’astratto al concreto è il solo modo per il pensiero di appropriarsi del
concreto, di riprodurlo come concreto nello spirito. Mai però il processo di
genesi del concreto stesso."
È possibile sostenere che fra l'hegeliano "proprio
tempo" e il marxiano "concreto" esista
un'omologia di significato?
Questa domanda che, ovviamente, non sono il primo a pormi,
si situa sul crinale affilato di una polemica che ha attraversato, con punte di
impervia durezza, il dibattito teorico comunista e che, ancora oggi, mantiene
una sua attualità. Vale a dire che qui ci troviamo dentro l'opposizione
idealismo/materialismo che, a partire per lo meno daMaterialismo ed
empiriocriticismo di Lenin (1908), ha influenzato a lungo
l'interpretazione che in campo comunista venne data di Hegel e, di conseguenza,
del rapporto del suo pensiero con quello di Marx.
Quando parlo di "impervia durezza" intendo
riferirmi, in particolare, allo scontro che oppose il giovane Lukács
all'Internazionale Comunista in occasione della pubblicazione di Storia e
coscienza di classe dello stesso Lukács. Anche allora i termini del dibattito,
che per molti aspetti ebbe il tono di un vero e proprio processo, si
concentrarono sull'endiadi materialismo/idealismo, e proprio di una sua caduta
in quest'ultimo fu accusato il filosofo ungherese.
Il cuore della faccenda stava in ciò, che Lenin, nel testo
citato, aveva posto al centro della sua polemica contro il machismo e il
kantismo (che egli raggruppava sotto la categoria "idealismo") una
lettura, direi estrema, di una affermazione che, effettivamente, è rintracciabile
in Marx, vale a dire la nota formula de L'ideologia tedesca secondo la quale
"non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma è, al
contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza."
È opportuno, a mio avviso, mettere a confronto questa
affermazione con il famoso passo del Capitale in cui Marx riconosce che la
differenza fra il lavoro umano e l'attività animale (Marx utilizza come esempi
un'ape e un architetto) risiede nell'essere il lavoro umano un'attività conforme
allo scopo in cui tale scopo compare, letteralmente, come "sua
legge".
E dunque: Marx pone o non pone, in questo passo, una
dimensione ideale (il progetto dell'architetto) come "legge" di una
attività umana inerente in modo determinato alla produzione materiale della
vita umana stessa? Non sarebbe possibile, allora, accusare Marx di
"idealismo"? Nel caso dell'architetto non è forse la coscienza - lo
scopo come "legge" dell'azione - a generare l'essere? Ma torniamo
alla domanda posta in precedenza sulla possibile vicinanza di significato fra
il "proprio tempo" di Hegel e il "concreto" di Marx.
Quando Hegel stabilisce una non-identità fra "il
proprio tempo" e il pensiero, non si pone forse in modo
"materialistico" affermando che l'essere del tempo, o dell'epoca,
precede il pensiero che è chiamato ad apprenderlo a riconoscerlo come suo
contenuto? E quando Marx parla, nell'"Introduzione" citata sopra, di
riproduzione del "concreto" nello spirito, sta dalla parte
dell'idealismo o del materialismo? Che cos'è lo spirito se non quell'attività
umana capace di ricostruire nel pensiero la totalità del reale e, proprio in
virtù di ciò, di progettare nuove forme del reale stesso? E in quest'ultimo
caso non sarebbe l'essere a seguire il pensiero?
Sicuramente, io credo, la tematizzazione di
idealismo-materialismo ha risentito di un'epoca in cui attorno a queste parole,
che oggi possono sembrare astratte e accademiche, si annodavano problemi
politici gravi e non eludibili, primo fra i quali la situazione oggettiva nella
quale era costretta a vivere e a svilupparsi l'Unione Sovietica.
Detto ciò, è necessario, io ritengo, essere consapevoli che
l'ambito in cui si collocano queste riflessioni sembra oggi qualcosa di
definitivamente consegnato al passato, una sorta di archeologia filosofica di
cui il pensiero - o meglio l'ideologia dominante - non ha più alcuna
consapevolezza perché tutto questo è diventato inutile. Utilizzo questo termine
allo scopo di sottolineare la forma rozzamente utilitaristica in cui la classe
dominante, ormai formata in massima parte da "mosche del capitale",
nega di fatto qualsiasi forma razionale di conoscenza del reale. Ciò che negli
anni venti-trenta dello scorso secolo aveva rilevanza teorica e politica in
relazione all'effettivo sviluppo storico e alle polemiche che lo
accompagnavano, giace oggi nelle maglie soffocanti del pensiero unico (benché
il termine "pensiero" sia troppo nobile per indicare il nulla che
occupa l'anima rinsecchita di ciò che resta della borghesia).
E anche questo Hegel e Marx ci hanno insegnato, vale a dire
che nessuna epoca storica si pone problemi che non può risolvere. Ma, come
diceva Marx, non si possono ordinare stanze nelle osterie del futuro.
Voglio concludere con un'ultima citazione da Hegel, poco
frequentata, forse, ma che ci trasmette, in forma sintetica e smagliante, ciò
che lo stesso Hegel intendeva per idealismo.
"La proposizione - scrive
Hegel - che il finito è ideale, costituisce l'idealismo. L'idealismo della
filosofia consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come un
vero essere".
È possibile sentire in queste parole l'anticipazione della
critica dell'economia politica sviluppata da Marx? E dunque della dialettica di
Marx? Perché, ed è questo il punto che vorrei porre in evidenza, qui non si
tratta di domandarsi se sia l'essere a precedere la coscienza o il contrario,
ma di cogliere quel nesso che lega ogni determinazione al proprio opposto e
dunque solo in questo nesso contraddittorio scorge la natura del reale al di
fuori dell'isolamento empirista.
"Il finito è ideale": dunque
qualunque oggetto "in sé" è ideale. Il reale risiede nella relazione
fra gli oggetti che solo una coscienza può porre e indagare. Quando Marx ci
parla di "riproduzione del concreto nello spirito" non è sulla stessa
lunghezza d'onda? E si tratta di materialismo o di idealismo?
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