Anche se la quota salari presenta delle fluttuazioni legate
al ciclo economico, è evidente una tendenza di lungo periodo negativa: dalla
fine degli anni 1970 sino al 2007 vi è una riduzione della quota tra i 5 e i 10
punti di PIL. Solo dopo la crisi del 2007 la quota del lavoro aumenta. Le cause
vanno dunque ricercate nella crisi stessa – che nata come crisi finanziaria è
poi diventata, grazie in larga misura alle politiche di austerità, una crisi da
caduta della domanda interna.
La crisi genera un andamento sfavorevole della
produttività, che dopo una forte caduta nel 2008 e 2009 torna a crescere nei
due anni successivi, per poi declinare nuovamente rimanendo intorno ai livelli
raggiunti nel 2007, e provoca anche una riduzione dei prezzi nel settore
manifatturiero, sia in assoluto che relativamente all’indice dei prezzi al
consumo.
Conseguenza di questo è che i redditi da lavoro del settore
manifatturiero diminuiscono in termini di prezzi al consumo dopo il 2010, ma
aumentano in termini del valore della produzione manifatturiera. Tanto
l’andamento della produttività che la divergenza tra prezzi al consumo e prezzi
della produzione manifatturiera sono le cause della crescita della quota dei
salari sul PIL
Diversamente dall’analisi proposta da Confindustria, che
data l’inizio della crescita della quota salari al 1998, i dati qui presentati
mostrano che l’aumento della quota dei salari sul Pil è strettamente legato
alla crisi economica successiva al 2008; che i redditi medi da lavoro in
termini di potere d’acquisto sono stagnanti dal 2010, e che all’origine
dell’aumento della quota dei salari nell’industria manifatturiera e nel settore
privato vi sono fenomeni – la caduta/stagnazione della produttività e dei
prezzi, in particolare nel settore manifatturiero – strettamente legati
all’andamento negativo della domanda e del PIL.
Conclusioni
La richiesta da parte di Confindustria di rimediare alla
caduta della quota dei profitti e alla caduta degli investimenti attraverso una
compressione dei salari rischia di aggravare la situazione, come già segnalato
recentemente da numerosi economisti con l’appello Un contratto per il futuro. Ormai numerosissimi
studi applicati mostrano che una diminuzione della quota dei salari riduce la
domanda interna per consumi senza stimolare gli investimenti (cfr ad esempio
Stockhammer, 2011) e quindi una caduta del potere d’acquisto dei salari
approfondirebbe la crisi da domanda interna della economia italiana,
determinando, a livello macroeconomico, sia il proseguimento della contrazione
degli investimenti e con essi del sistema produttivo, sia effetti negativi
sulla crescita della produttività, che come abbiamo visto dipende in misura
rilevante dall’andamento della domanda aggregata e del PIL.
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