martedì 12 aprile 2016

Le lacrime di Confindustria* - Antonella Stirati


Anche se la quota salari presenta delle fluttuazioni legate al ciclo economico, è evidente una tendenza di lungo periodo negativa: dalla fine degli anni 1970 sino al 2007 vi è una riduzione della quota tra i 5 e i 10 punti di PIL. Solo dopo la crisi del 2007 la quota del lavoro aumenta. Le cause vanno dunque ricercate nella crisi stessa – che nata come crisi finanziaria è poi diventata, grazie in larga misura alle politiche di austerità, una crisi da caduta della domanda interna. 

La crisi genera un andamento sfavorevole della produttività, che dopo una forte caduta nel 2008 e 2009 torna a crescere nei due anni successivi, per poi declinare nuovamente rimanendo intorno ai livelli raggiunti nel 2007, e provoca anche una riduzione dei prezzi nel settore manifatturiero, sia in assoluto che relativamente all’indice dei prezzi al consumo. 

Conseguenza di questo è che i redditi da lavoro del settore manifatturiero diminuiscono in termini di prezzi al consumo dopo il 2010, ma aumentano in termini del valore della produzione manifatturiera. Tanto l’andamento della produttività che la divergenza tra prezzi al consumo e prezzi della produzione manifatturiera sono le cause della crescita della quota dei salari sul PIL

Diversamente dall’analisi proposta da Confindustria, che data l’inizio della crescita della quota salari al 1998, i dati qui presentati mostrano che l’aumento della quota dei salari sul Pil è strettamente legato alla crisi economica successiva al 2008; che i redditi medi da lavoro in termini di potere d’acquisto sono stagnanti dal 2010, e che all’origine dell’aumento della quota dei salari nell’industria manifatturiera e nel settore privato vi sono fenomeni – la caduta/stagnazione della produttività e dei prezzi, in particolare nel settore manifatturiero – strettamente legati all’andamento negativo della domanda e del PIL.

Conclusioni

La richiesta da parte di Confindustria di rimediare alla caduta della quota dei profitti e alla caduta degli investimenti attraverso una compressione dei salari rischia di aggravare la situazione, come già segnalato recentemente da numerosi economisti con l’appello Un contratto per il futuro. Ormai numerosissimi studi applicati mostrano che una diminuzione della quota dei salari riduce la domanda interna per consumi senza stimolare gli investimenti (cfr ad esempio Stockhammer, 2011) e quindi una caduta del potere d’acquisto dei salari approfondirebbe la crisi da domanda interna della economia italiana, determinando, a livello macroeconomico, sia il proseguimento della contrazione degli investimenti e con essi del sistema produttivo, sia effetti negativi sulla crescita della produttività, che come abbiamo visto dipende in misura rilevante dall’andamento della domanda aggregata e del PIL.

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