*Da: http://www.gianfrancopala.tk/ (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
Marx rimproverò che “Hegel osserva in un punto delle sue
opere che tutti i grandi fatti della storia del mondo e i loro personaggi
compaiono, per così, a due riprese. Egli ha dimenticato di aggiungere: la prima
volta in tragedia, la seconda in farsa”. Il dispotismo che si
ripresenta puntualmente nell’involuzione della società borghese capitalistica
è storia vecchia, che con lo scorrere del tempo sarà sempre più evidente e
dura, ma anche drammaticamente ridicola – se si tiene conto che ormai si è
giunti alla terza, quarta volta o più. Le gesta di Berlusconi hanno precedenti
illustri, nella finzione letteraria e nell’analisi scientifica. Da Brecht a
Benjamin, da Marx a Engels (per limitarsi agli autori qui parafrasati), ma
senza dimenticare altri nomi del calibro di Vico, Lafargue, Lu Hsün, Kraus, hanno
visitato ampiamente il tema, di cui qui si vuole offrire un sintetico
campionario [repetita juvant].
L’ordinamento giuridico borghese e il delitto, secondo le
regole del romanzo poliziesco, sono tra loro antagonisti. Nel romanzo
poliziesco Il partito di Mackie Messer, il rapporto fra ordinamento
giuridico borghese e delitto è rappresentato in modo conforme alla realtà.
L’ultimo si rivela come un caso particolare dello sfruttamento che è
sancito dal primo. Nei manuali di criminologia i delinquenti sono indicati
come elementi asociali. Ma per alcuni la storia contemporanea ha confutato
questa definizione. Facendosi delinquenti, secondo la nuova scuola, molti sono
diventati modelli sociali. Chi segue tale scuola ha la natura di un capo. Le
sue parole hanno un tono statale, le sue azioni un tono commerciale. I compiti
di un capo non sono mai stati più difficili di oggi. Non basta usare la forza
per la conservazione dei rapporti di proprietà. Non basta obbligare
gli stessi espropriati al proprio sfruttamento. Questi compiti pratici esigono
di essere risolti. Ma come da una ballerina non si pretende solo che sappia
danzare, ma anche che sia graziosa, così il fascismo non esige solo un
salvatore del capitale, ma anche che egli “appaia” come un gentiluomo. È
questo il motivo per cui un tipo così, in questi tempi, ha un valore inestimabile.
Egli è capace di ostentare ciò che il piccolo borghese intristito ritiene
tipico di una personalità. Nessuno vuole dargli spiegazioni, uno deve farlo.
Ed egli lo può. Poiché questa è la dialettica della cosa: dato che egli vuole
assumersi la responsabilità, i piccoli borghesi lo ringraziano con la
promessa di non chiedergli conto di nulla.
Lui – il Comediavolosichiama – non si lascia
sfuggire nessuna occasione di farsi vedere. Egli dimostra “che si può dire
tutto”, a es. quanto segue: “secondo la mia opinione, noi non abbiamo le
persone giuste al vertice dello stato. Appartengono tutte a qualche partito, e
i partiti sono egoisti. Abbiamo bisogno di persone che stiano al di sopra dei
partiti. Noi vendiamo la nostra merce ai poveri e ai ricchi. La direzione
dello stato è un cómpito morale. Bisogna ottenere che gli imprenditori
siano buoni imprenditori, gli impiegati buoni impiegati, insomma i ricchi
buoni ricchi e i poveri buoni poveri. Sono convinto che verrà il tempo in cui
lo stato sarà guidato in questo modo. Un governo così mi conterà tra i suoi
sostenitori”.
Il Comediavolosichiama fu d’un tratto sulle labbra di
tutti. Quest’uomo eminente già da anni aveva raccolto intorno a sé, in una
città di provincia, una quantità di piccoli borghesi, assicurando loro, con
una verbosità insolita, che stava per inaugurare una grande epoca. Dopo
essersi esibito qualche anno nel circo e nell'avanspettacolo, si guadagnò la
fiducia del presidente. Chi, però, una grande epoca l’aveva già vissuta, si
cercò in fretta un posto e lasciò il paese in quattro e quattr’otto. Sentì
parlare per la prima volta del fascismo anni fa; e come di un movimento diretto
contro l’eterno ritardo dei treni italiani e smanioso di restaurare la grandezza
dell’antico Impero Romano. Sentì dire che i suoi membri portavano camicie
nere. [Però sembra un’idea sbagliata, questa, che sul nero lo sporco non si
veda. Per questo le camicie brune sono molto più pratiche; ma questo movimento
sorse dopo e poté perciò sfruttare l’esperienza del primo].
La cosa più importante sembra che il Coso promettesse
al popolo italiano una “vita pericolosa”. A sentire i giornali italiani, pare
che questa promessa sollevasse un’ondata di entusiasmo nella popolazione.
Questi movimenti “fascisti” si autodefiniscono dappertutto movimenti
popolari. Loro infatti dicono di andare verso il popolo, cioè verso i
nullatenenti. Spesso usano un tono molto aspro contro i ricchi. In
contraccambio, però, devono pur fare qualcosa. In generale si pretende troppo
dai grandi uomini. Non è meraviglia che non possano adeguarsi a queste tremende
pretese.
Si pretende che siano disinteressati. Vorrei sapere come potrebbero
esserlo, e perché proprio loro. Ma loro devono continuamente assicurare che
non ne ricavano nulla, se non pene preoccupazioni e notti insonni, e il Comediavolosichiama
deve pubblicamente versare litri di lacrime per dimostrare l’onestà delle sue
intenzioni. Infatti il popolo lo segue in guerra solo se il Comediavolosichiama
la scatena per puro idealismo, e non per sete di guadagno. Qualche anno fa
tenne addirittura un discorso per dire che lui non possiede né feudi né conto
in banca. È interessante vedere quanta pena si danno per dimostrare che il
macello di milioni di esseri umani e l’oppressione e la mutilazione spirituale
di interi popoli lo fanno gratis, senza riscuotere nessun compenso.
Il fatto è che, se il proletariato non si è battuto in
massa, vuol dire che era perfettamente consapevole del suo rilassamento e della
sua impotenza, e si è abbandonato con fatalistica rassegnazione nel rinnovato
giro di repubblica, impero, restaurazione, fin tanto che non avrà raccolto
nuove forze attraverso qualche anno di miseria sotto il dominio del maggior
ordine possibile. Sembra che questa sia stata l’istintiva posizione che ha
dominato tra il popolo dopo il ristabilimento del suffragio “maggioritario”.
Se il proletariato vuole aspettare fino a che il suo problema gli venga posto
dal governo, può attendere un pezzo. L’ultima occasione, in cui la questione
tra proletariato e borghesia fu posta abbastanza direttamente, fu per la legge
elettorale, e allora il popolo preferì non battersi. Dopo l’abolizione
del suffragio “proporzionale”, dopo la cacciata del proletariato dalla scena
ufficiale, si è davvero preteso troppo attendendosi dai partiti ufficiali che
ponessero la questione in modo che convenisse al proletariato. Se il “partito
rivoluzionario” comincia a lasciar passare delle svolte decisive senza dire la
sua parola, o, se vi si immischia, senza vincere, lo si può considerare con
sufficiente certezza a terra per un certo periodo.
E non si può neanche negare che l’effetto del ristabilimento
del suffragio “maggioritario” sulla borghesia, piccola borghesia e in
fin dei conti anche su molti proletari (ciò risulta da tutte le informazioni)
getti una strana luce. È palese che molti non hanno pensato affatto a quanto
sia sciocca la questione posta da “Napoleone” sul voto; la maggior
parte però deve aver capito l’imbroglio e ciononostante deve essersi detta
che ora le cose vanno benissimo, pur di avere un pretesto per non battersi.
Tutta la farsa delle elezioni si risolve in nulla. (Cittadini timorosi votano
per Lui, insieme a contadini stupidi; oltre a “sbagli di calcolo”). “Napoleone”
dichiarerà la nazione in stato di alienazione mentale e si proclamerà l’unico
salvatore della società, e poi la merda sarà chiaramente visibile e Lui
starà nel bel mezzo di essa. Ma proprio con questa storia delle elezioni la
cosa potrebbe diventare per Lui molto spiacevole, se dopo ci fosse
ancora in generale da attendersi una seria resistenza. Ma non c’è più
l’“informazione”: nessuno può verificarlo.
Il potere di stato centralizzato, con i suoi organi
dappertutto presenti, con il governo posto sotto il controllo del parlamento,
cioè sotto il controllo diretto delle classi possidenti, non è diventato
solamente una fabbrica di enormi debiti nazionali e di imposte schiaccianti;
con la irresistibile forza di attrazione dei posti, dei guadagni e delle
protezioni esso, non diventò solamente il pomo della discordia tra le frazioni
rivali e gli avventurieri delle classi dirigenti, ma anche il suo carattere
politico cambiò insieme con le trasformazioni economiche della società.
A misura che il progresso dell’industria moderna
sviluppava, allargava, accentuava l’antagonismo di classe tra il capitale
e il lavoro, il potere dello stato assumeva sempre più il carattere di potere
nazionale del capitale sul lavoro, di forza pubblica organizzata per
l’asservimento sociale, di uno strumento di dispotismo di classe – un regime
di terrorismo di classe aperto e di deliberato insulto della “vile
moltitudine” – e attribuiva all’esecutivo poteri di repressione sempre più
vasti, in pari tempo spogliando la stessa fortezza parlamentare di tutti i suoi
mezzi di difesa contro l’esecutivo, l’uno dopo l’altro.
L’“impero”, col colpo di stato come certificato di
nascita, il suffragio universale come sanzione e la spada come
scettro, pretendeva di salvare la classe operaia distruggendo il parlamentarismo,
e, insieme con esso, l’aperta sottomissione del governo alle classi
possidenti. Pretendeva di salvare le classi possidenti mantenendo la loro
supremazia economica sulla classe operaia. Finalmente pretendeva unire tutte
le classi ravvivando per tutte la chimera della gloria nazionale. La speculazione
finanziaria celebrò delle orge cosmopolite; la miseria delle masse fu messa in
rilievo da un’ostentazione sfacciata di un lusso esagerato, immorale,
delittuoso. Il potere dello stato, apparentemente librato al di sopra
della società, era in pari tempo lo scandalo più grande di questa società e il
vivaio di tutta la sua corruzione. La sua decomposizione, e la decomposizione
della società che esso aveva salvato, vennero messe a nudo. L’imperialismo
è la più prostituita e l’ultima forma del potere di stato.
L’ironia della storia capovolge ogni cosa. I “partiti
dell’ordine”, com’essi si chiamano, trovano la loro rovina nell’ordinamento
legale che essi stessi hanno creato. Essi gridano disperatamente: la
legalità è la nostra morte! Alla fine non rimarrà loro altro che spezzare
essi stessi questa legalità divenuta loro così fatale. Essi possono opporre
solo la sovversione propria del “partito dell’ordine”, la quale non può vivere
senza violare le leggi. Violazione della costituzione, dittatura,
ritorno all’assolutismo, regis voluntas suprema lex! Il compromesso
finisce col lasciare l’amministrazione nelle mani di una terza casta: la burocrazia.
L’autonomia di questa casta, che apparentemente sta al di fuori e per così dire
al di sopra della società, dà allo stato il lustro dell’autonomia rispetto alla
società.
Gli industriali hanno sinora tenuto lontana la burocrazia
con la corruzione. Ma questo mezzo li libera solo dalla metà meno pesante
del gravame; prescindendo dall’impossibilità di corrompere tutti i funzionari
con cui un industriale viene a contatto, la corruzione non lo libera dal pagamento
dei diritti d’ufficio, degli onorari degli avvocati, architetti, ingegneri e di
tutte le altre spese causate dalla sorveglianza statale. E quanto più si sviluppa
l’industria, tanto più spuntano fuori “funzionari coscienziosi”, i quali
infliggono agli industriali le più gravi angherie. La burocrazia disdegna
sempre più di considerare l’ammanco di cassa come unico mezzo per migliorare
lo stipendio e dà la caccia ai posti ben più lucrosi che si hanno
nell’amministrazione delle imprese industriali, con “interessenze” nelle
ferrovie, con la speculazione in borsa, ecc. Per non parlare di quei signori
che hanno investito il loro “capitale di circolazione” in titoli, facendo
ricorso al credito per rimpiazzare tale capitale nei loro affari “legittimi”.
Tutto ciò, per lorsignori, si spiega con un “senso morale dell’accresciuto
valore del proprio denaro”.
La borghesia è dunque posta nella necessità di spezzare il
potere di questa burocrazia petulante e vessatrice. Nel momento stesso in cui
l’amministrazione dello stato e la legislazione cadono sotto il controllo
della borghesia, crolla l’indipendenza della burocrazia; anzi, da questo
momento i tormentatori dei borghesi si trasformano in servi sottomessi. La
borghesia è costretta a compiere il più rapidamente possibile questi cambiamenti,
a sottoporre a una revisione radicale l’intero sistema legislativo,
amministrativo e giudiziario. I borghesi, per le cause riguardanti la
proprietà e per i processi criminali abbisognano di una giuria, cioè di un
controllo permanente esercitato sulla giustizia. Nulla può caratterizzare
l’idiozia della borghesia attuale meglio del rispetto con cui essa venera la
“logica” dei miliardari, questi aristocratici da letamaio.
[brani tratti
da Walter Benjamin, “Il romanzo da tre soldi” di Brecht; Bertolt
Brecht, Dialoghi di profughi; Friedrich Engels, Lettera a Marx,
11 dicembre 1851; Karl Marx, Il Capitale, III.26; La guerra
civile in Francia].
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