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venerdì 19 marzo 2021

"I partiti e la massa"* di Antonio Gramsci – a cura di Giorgio Gattei

 Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna.

Leggi anche: Il nostro Marx*- Antonio Gramsci

Cadaveri e idioti - Antonio Gramsci

CHE FARE? - Antonio Gramsci

«Capo» - Antonio Gramsci

L'Università popolare*- Antonio Gramsci

La via maestra*- Antonio Gramsci

Operai e contadini - Antonio Gramsci

Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi - Antonio Gramsci

Perché studiare il latino e il greco?*- Antonio Gramsci

La Rivoluzione contro il Capitale*- Antonio Gramsci

Su Gramsci e la fondazione del Pci - PIERO GOBETTI

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Gramsci e gli intellettuali

GRAMSCI E LA “RIVOLUZIONE IN OCCIDENTE”* - Renato Caputo

Vedi anche: Antonio Gramsci. Ritratto di un rivoluzionario - Angelo D'Orsi 


Dopo la scissione del Partito Socialista Italiano, che a Livorno nel gennaio 1921 aveva portato alla fondazione del Partito Comunista d’Italia, Antonio Gramsci s’interroga a settembre, sulla rivista “L’Ordine Nuovo” che era passata da settimanale a quotidiano ufficiale del nuovo partito, sulle prospettive politiche che si potevano aprire ai comunisti sulla base di un ragionamento che aveva introdotto l’anno prima, e cioè la dipendenza della sorte dei partiti politici dalle classi sociali di riferimento. Allora aveva spiegato che «i partiti politici sono il riflesso e la nomenclatura delle classi sociali» e sorgono, si sviluppano e si decompongono secondo le variazioni d’esistenza che subiscono le classi rispettive quando «acquistano una maggiore e più chiara consapevolezza di sé e dei propri vitali interessi» (O.N., 9 ottobre 1920).

Le classi dunque, che sostanzialmente sono tre: la borghesia fondiaria e industriale, che detiene il controllo dello Stato; il proletariato di fabbrica e di campagna, che sta all’opposizione; e un coacervo di “ceti medi” in cui confluiscono piccoli borghesi, sia agrari che urbani, impiegati privati e pubblici e ceti professionali e intellettuali. Data la sua eterogeneità sociale, questa “classe media” è politicamente ondivaga, costantemente pencolando tra l’adesione agli interessi della borghesia oppure a quelli del proletariato.

Invece i partiti politici nelle elezioni del maggio 1921 erano stati sostanzialmente cinque: un Blocco Nazionale di diverse sigle di partiti borghesi che aveva raccolto 105 seggi; i due partiti del proletariato con il vecchio PSI che, nonostante la confusione d’indirizzo dimostrata nella convulsione del dopoguerra, aveva guadagnato 123 seggi, mentre il neonato PCdI si era fermato a 15 seggi; e infine le classi medie che si erano presentate con le due novità del Partito Popolare, d’ispirazione cattolica e d’espressione soprattutto contadina, che aveva ottenuto 108 parlamentari ed il Partito fascista, di estrazione più cittadina e d’ispirazione dichiaratamente eversiva, che aveva preso solo 35 parlamentari (peraltro eletti all’interno del Blocco Nazionale che aveva dato loro ospitalità).

venerdì 6 gennaio 2017

Marc Bloch oltre la nouvelle histoire: prospettive teoriche da riscoprire*- Adriana Garroni



Con questo articolo si ripercorrere una tappa fondamentale della storia della storiografia moderna: la reazione contro il positivismo del tardo XIX sec. fino all’elaborazione di nuovi metodi e nuovi oggetti della ricerca storica novecentesca. Si propone un’analisi del dibattito storiografico francese novecentesco, dalla storia totale di Marc Bloch e Lucien Febvre alle riflessioni di Le Goff e altri storici sulla antropologia storica e sulla, tanto celebrata quanto criticata, dilatazione dell’ambito della ricerca storica. Si sostiene la necessità di riscoprire quegli strumenti intellettuali di analisi e di sintesi, ravvisabili certamente nell’opera di Bloch, coi quali elaborare non solo nuove sintesi della conoscenza storica, ma anche una interpretazione complessiva delle nostre società, che è condizione necessaria per il loro miglioramento



Gli ultimi decenni del XIX sec. furono caratterizzati da una vera e propria “rivolta contro il positivismo”;1 come ha scritto lo studioso italiano Angelo D’Orsi, dall’«avvento di una nuova epistéme, ossia l’insieme delle concezioni e dei modi di considerare e organizzare i processi della conoscenza»,2 ponendo così le basi per il salto qualitativo della storiografia novecentesca.

La nuova storia si proponeva di accogliere i migliori risultati della storiografia positivista e le innovazioni metodologiche e interpretative apportate dalle altre scienze sociali. Influenzati dal marxismo, gli storici statunitensi furono i primi a parlare di new history3 e a dare nuova enfasi ai fattori socio-economici nella spiegazione storica. Cominciarono a occuparsi di intellectual history e respinsero le divisioni disciplinari per concentrarsi sui legami che le diverse attività umane intrattengono con la storia delle società. E così, nel corso del Novecento si affermò in Europa e negli Stati Uniti l’attenzione verso la storia della cultura in senso generale, delle idee e delle abitudini mentali degli uomini in una data epoca e in un dato ambiente. Si trattò di una trasformazione complessiva della scienza storica, dei suoi oggetti e del suo metodo, che avrà esiti diversi nei diversi ambienti intellettuali. A questo proposito D'Orsi ha osservato che:

Una dilatazione dell’ambito disciplinare appare insomma l’asse su cui si indirizza prevalentemente la storiografia della prima metà del Novecento, a partire da suggestioni ottocentesche. Il cinquantennio seguente non farà che sviluppare questa tendenza, portandola talora all’estremo, sino, in qualche caso, a far perdere a taluna disciplina storiografica il proprio baricentro.4

martedì 23 luglio 2019

"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano -
Angelo_D'Orsi, Università degli Studi di Torino - Guido Carpi (http://docenti.unior.it), Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"

                                                                           

giovedì 10 febbraio 2022

Italia: una “memoria condivisa” fatta di vittimismo e negazione del conflitto Una conversazione con Davide Conti

Da: https://www.facebook.com/Odradek.edizionihttps://www.odradek.it - https://www.pane-rose.it - 

Davide Conti/, storico, è consulente dell'Archivio Storico del Senato della Repubblica, della Procura di Bologna (inchiesta sulla strage del 2 agosto 1980) e della Procura di Brescia (inchiesta sulla strage del 28 maggio 1974). È inoltre autore della ricerca sulla Guerra di Liberazione a Roma 1943-1944 che ha determinato il conferimento della Medaglia d'oro al Valor Militare alla città di Roma da parte del Presidente della Repubblica.

Leggi anche: L’occupazione italiana nei Balcani - Angelo Del Boca

Vedi anche: La narrazione intorno alle foibe. Un'ambigua verità di stato - Angelo d'Orsi


Spesso, in questi anni, come forze dell’antagonismo sociale e della sinistra di classe abbiamo realizzato iniziative volte a contrastare la rilettura ufficiale della storia italiana. Uno sforzo meritorio, che ha prodotto momenti di discussione utili, anche sul piano della formazione di chi vi ha partecipato. Mai come oggi è necessario rafforzare questo impegno, fondandolo su una piena comprensione delle ragioni che hanno spinto a definire i nuovi criteri di interpretazione della vicenda italiana. In questa intervista, Davide Conti – autore di L’occupazione italiana dei Balcani (2008) e Criminali di guerra italiani (2011) – si sofferma sulle caratteristiche di quella “memoria condivisa” che si è andata delineando a partire dalla fine della Prima Repubblica. E che negli ultimi anni è stata sancita attraverso una precisa, ragionata calendarizzazione, tesa a sottacere le verità più scomode e capace di rifunzionalizzare alle nuove esigenze antichi miti, come quello degli “italiani brava gente”. Per il suo carattere complessivo, il discorso di Conti deve essere preso in considerazione da chiunque voglia contrastare la narrazione storica oggi dominante. Anche per superare quella frammentarietà – legata alla necessità di intervenire volta per volta su singoli aspetti del dibattito pubblico sulla memoria – che ha inevitabilmente segnato la nostra azione su questo terreno.


Anzitutto, sulla base della tua ricerca sui criminali di guerra italiani, ci puoi spiegare come hanno fatto costoro ad eludere le richieste di giustizia e quali sono stati gli interessi che hanno favorito questa soluzione? 

Naturalmente le ragioni che hanno permesso una sostanziale impunità per i presunti criminali di guerra italiani (adotto questa formula proprio perché non sono stati fatti i processi), non vanno rintracciate nella dimensione giuridica.
Semmai le motivazioni sono state in primo luogo di carattere geopolitico ed in second'ordine legate a questioni interne. Dal punto di vista geopolitico - cioè dell'asse portante del paradigma dell'impunità dei criminali di guerra italiani - sicuramente la collocazione del nostro paese nell'ambito del dispositivo internazionale della NATO ha prodotto, per gli alleati, la necessità di evitare processi contro i vertici ed i quadri medio-alti e medi del Regio Esercito. Si voleva impedire quella decapitazione di fatto del nostro corpo militare, che sarebbe stata la naturale conseguenza di una seria procedura di epurazione in seno all'esercito. L'idea era invece quella di riarmarlo e di reintegrarlo in un nuovo dispositivo bellico, perciò gli alleati rinunziarono a processare quei criminali di guerra che loro stessi avevano indicato in liste apposite, consegnate alle Nazioni Unite. Parliamo della Francia, degli USA e dell'Inghilterra. Per quanto riguarda gli altri paesi, fummo aiutati dalle stesse ragioni geopolitiche: la contrapposizione col blocco orientale consentì all'Italia, appoggiata dagli alleati, di non consegnare gli accusati di pratiche e condotte militari illecite soprattutto in Unione Sovietica ed in paesi balcanici come Jugoslavia ed Albania. Un discorso a parte andrebbe fatto per la Grecia, che fa parte dell'area dei Balcani ma trovandosi nello stesso schieramento geopolitico dell'Italia, quello occidentale, rinunciò con un accordo segreto siglato nel 1948 a vedersi consegnati i presunti criminali di guerra. Di più, essa sbloccò di fatto delle procedure che permisero il progressivo rientro anche di quei militari italiani che, essendo stati già processati e condannati, stavano scontando la pena nelle carceri greche.
Questo è il quadro generale. Il risultato, sul piano interno, fu la possibilità sostanziale per i governi a maggioranza conservatrice di mantenere quella continuità dello Stato che è stato il tratto caratteristico del dopoguerra italiano.

mercoledì 22 giugno 2022

sabato 30 gennaio 2021

Introduzione a "Scritti politici di Rosa Luxemburg". La Rivoluzione - Lelio Basso

 Da: http://latradizionelibertaria.over-blog.it - Lelio Basso è stato un avvocato, giornalista, antifascista, politico e politologo italiano. [Tutti gli scritti di Lelio Basso li trovate su http://www.leliobasso.it/]

Leggi anche: Socialismo e rivoluzione nella concezione di Rosa Luxemburg - Lelio Basso  

Il voto alle donne e la lotta di classe (1912) - Rosa Luxemburg

Il secondo e terzo volume del Capitale di Marx - Rosa Luxemburg (1919) 

Che cosa vuole la Lega Spartaco - Rosa Luxemburg (1918) 


Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel"

Vedi anche: Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi

Luxemburg francobollo 1974


LINK al post originale: Introduzione 


La rivoluzione 

Le difficoltà del compito non stanno nella forza dell’avversario, nella resistenza della società borghese. (...) La difficoltà sta nel proletariato stesso, nella sua immaturità, o piuttosto nell’immaturità dei suoi capi, dei partiti socialisti. ROSA LUXEMBURG


Il metodo e la strategia di Rosa Luxemburg, che abbiamo sin qui delineato, si riferiscono in generale alla lotta di classe che si combatte nel quadro della società capitalistica con lo scopo di preparare e affrettare l’urto decisivo: vediamo ora come si articolasse questa strategia nel corso della lotta rivoluzionaria vera e propria.

Abbiamo già rilevato che uno dei più importanti contributi di Rosa Luxemburg alla teoria rivoluzionaria fu il legame stabilito fra rivoluzione e guerra piuttosto che fra rivoluzione e crisi. Abbiamo pure segnalato, come un’altra importante caratteristica della posizione luxemburghiana, il suo sforzo di operare una sintesi delle esperienze russa e occidentale: se quest’ultima poteva offrire l’esempio di una classe operaia più matura, e più direttamente partecipe alla lotta politica moderna, quindi più dotata delle qualità necessarie per diventare classe dirigente, la classe operaia russa doveva invece offrire l’esempio di un maggior vigore combattivo, di un più ricco slancio rivoluzionario, soprattutto di una minore integrazione allo Stato capitalistico e quindi di una maggiore possibilità di rottura radicale con il sistema. In altre parole, pur riconoscendo alla classe operaia tedesca e al suo partito una funzione dirigente quanto a capacità politica in vista di una futura gestione del potere e quanto a metodi di lotta in una società capitalistica avanzata, Rosa Luxemburg attendeva più facilmente dalla Russia una spinta rivoluzionaria. Nelle sue tenaci polemiche con il Partito socialista polacco, che aveva nel suo programma l’obiettivo della ricostituzione dello Stato polacco, e contro i socialisti occidentali che lo sostenevano in nome dell’antica avversione al regime zarista, essa aveva sempre affermato che era ormai un errore considerare la Russia come baluardo della reazione perché, al contrario, stavano maturando in seno alle masse russe germi rivoluzionari capaci di dare frutti copiosi [165].

martedì 15 gennaio 2019

Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel"

Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco - [Die Fackel, nr. 546-550, luglio 1920, pp.6-9; e nr. 554-556, novembre 1920, pp. 6-12] -





Vedi anche:
ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986)

Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi



Leggi anche: 
https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/05/rosa-luxemburg-rivoluzionaria-donna.html



Dedico alla memoria della più nobile vittima la lettura della seguente lettera, che Rosa Luxemburg scrisse dal carcere femminile di Breslavia a Sonja Liebknecht a metà dicembre 1917.

«Ormai è un anno che Karl è in carcere a Luckau. In questo mese ci ho pensato spesso: proprio un anno fa Lei era a casa mia, qui a Wronke, e mi ha donato quel bell’albero di natale…Quest’anno me ne sono procurato uno,ma me lo hanno portato molto scadente e con qualche ramo mancante – non c’è confronto con quello dell’anno scorso. Non so come potrò appenderci le otto piccole luci che mi sono porcurata. E’ il mio terzo Natale in carcere , ma non la prenda sul tragico. Io sono tranquilla e serena come sempre. Ieri sono rimasta sveglia a lungo – ormai non riesco a prender sonno prima dell’una, ma devo coricarmi già alle dieci – e poi nel buio mi abbandono a tanti sogni dunque pensavo: è strano come io viva costantemente in una lieta ebrezza – e senza alcun motivo particolare. Così, per esempio, giaccio in questa cella buia su un materasso duro come la pietra, tutto intorno a me regna il solito silenzio di tomba, sembra di essere già morti: dalla finestra si staglia sulla coperta il riflesso di un lampione, che arde tutta la notte davanti al carcere. Di quanto in quanto si sente, smorzato, lo strepito lontano di un treno che passa o, vicinissimo sotto la finestra, il tossicchiare della sentinella che, per sgranchirsi le gambe irrigidite, fa due passi lentamente nei suoi pesanti stivali. Sotto questi passi la sabbia scricchiola così disperatamente, che tutto il vuoto e l’inesorabilità dell’esistenza risuonano nella notte umida e oscura. Ed io giaccio sola, avvolta nei molteplici panni neri delle tenebre, della noia, della prigionia dell’inverno – ma il mio cuore intanto batte di un’intima gioia sconosciuta, inconcepibile, come se camminassi su un prato fiorito nella chiara luce del sole. Nel buio io sorrido alla vita, come se fossi consapevole di un magico segreto, che annulla il male e la tristezza e li trasforma in pura luminosa felicità. Cerco un motivo per questa gioia, non lo trovo e sorrido di me stessa. Penso che il segreto non sia che la vita stessa; le profonde tenebre notturne sono belle e morbide come il velluto, basta saper guardare. Ed anche nello scricchiolio della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della sentinella, risuona un piccolo e dolce canto sulla vita – basta saper ascoltare. In questi momenti io penso a Lei, e vorrei comunicarLe la chiave magica, perché possa cogliere, sempre ed in ogni circostanza, la gioiosa bellezza della vita, perché anche Lei possa vivere in questa ebrezza e camminare come su un prato fiorito. Non voglio certo propinarLe ascetismo e gioie immaginarie: Le auguro tutte le reali gioie dei sensi. A queste vorrei solo aggiungere la mia inesauribile gioia interiore, per essere tranquilla sul Suo conto, per essere sicura che Lei affronti la vita avvolta in un mantello trapunto di stelle, che La protegga da ogni piccineria, volgarità angoscia. Nel parco di Steglitz Lei ha colto un bel mazzo di bacche nere e rosso-viola. Per quelle nere, si può trattare di sambuco – le sue bacche pendono in pesanti e fitti corimbi fra grandi foglie pennate, le conosce certamente – o di ligustro: piccole, esili pannocchie dritte, tra foglie sottili e lanceolate- Le bacche rosa-viola, nascoste tra le piccole foglie, potrebbero essere quelle del nespolo nano; in realtà sono rosse, ma in questa stagione avanzata sarebbero fin troppo mature, e un po’ marcite appaiono spesso di un rosa violetto; le foglioline sono simili a quelle del mirto, piccole e aguzze in cima, di un verde scuro, ruvide nella parte inferiore e simili al cuoio in quella superiore.