Da: Festival della Mente Sarzana - Alessandro Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare.
Vedi anche: "Quid deinde fit?" - Alessandro Barbero
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
Da: Festival della Mente Sarzana - Alessandro Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare.
Vedi anche: "Quid deinde fit?" - Alessandro Barbero
Se siamo convinti che esiste un’unica strada per uscire dal capitalismo e dalla sua disumanità, dato che esso appare sempre più irriformabile e avvitato in una spirale devastante, dato che le terze vie sono tutte fallite, occorre riconquistare la nostra identità sbriciolatasi in numerose e debolissime varianti, che si fanno genericamente paladine del popolo, degli sfruttati, degli umili. Nonostante il marxismo abbia una storia complessa e contraddittoria, che bisognerebbe apprendere a fondo, il suo nucleo centrale sembra costituire ancora oggi, in un orizzonte alquanto diverso da quello ottocentesco, un’adeguata chiave interpretativa della società contemporanea: il concetto di classe e il suo derivato la lotta di classe. Basti un esempio. Numerosi marxisti hanno interpretato la fase neoliberale come il tentativo riuscito di una restaurazione di classe dinanzi alla crisi dell’accumulazione, che non poteva più tollerare il compromesso keynesiano tra capitale e lavoro del dopoguerra. E hanno anche collegato tale impresa socio-economica all’imposizione di ideologie elogiative dell’individualismo identitario, miranti alla frammentazione dei lavoratori, del resto già divisi e separati da barriere quali il sesso, l’appartenenza etnica, religiosa ecc. Ideologie che purtroppo hanno profondamente colonizzato la cosiddetta nuova sinistra, che le ha fatte proprie soprattutto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il ripudio dello stalinismo, facendosi affascinare dal culturalismo contrapposto in maniera binaria e semplicistica al volgare economicismo.
Due osservazioni su questi temi. Le barriere cui ho fatto cenno sono ovviamente superabili, se si recupera un elemento unificante e questo non può che essere l’appartenenza di classe, la cui “scoperta” non può che funzionare come punto di partenza per la costruzione di nuova coscienza senza la quale non si possono stabilire obiettivi e modalità di lotta comune. Seconda osservazione relativa al fallimento del socialismo sovietico, seppure a mio parere e di quello più autorevole del Che Guevara, si trattasse di un socialismo non compiuto e con inevitabili aspetti problematici. La fine dell’Unione Sovietica fu dovuta – come scrive lo storico Luciano Beolchi (La de-modernizzazione della Russia, p. 6, in “Alternative per il socialismo”, n. 64, 2022) – alla “crisi della transizione dal sistema socialista a quello di mercato non pianificato”; quindi non crisi del socialismo in sé, ma disarticolazione voluta e eterodiretta di un sistema economico sicuramente da riformare, ma certamente da non distruggere.
Da: http://www.laboratorio-21.it - Domenico Moro è ricercatore presso l’Istat, dove si occupa di indagini economiche strutturali sulle imprese. Ha lavorato nel settore commerciale di uno dei maggiori gruppi multinazionali mondiali ed è stato consulente della Commissione Difesa della Camera dei deputati.
Vedi anche: Stagflazione e crisi del dollaro - Domenico Moro
Da: https://contropiano.or - Jonathan Cook è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese e vincitore del Premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. Il suo sito Web e il suo blog sono disponibili all’indirizzo https://www.jonathan-cook.net
Israele si è avvicinata alla guerra civile durante il fine settimana come mai avvenuto in qualsiasi momento della sua storia. Lunedì sera, nel tentativo di evitare il caos, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha accettato di sospendere temporaneamente i suoi piani per neutralizzare i tribunali israeliani.
A quel punto, i centri cittadini erano stati bloccati da rabbiose proteste di massa. Il procuratore generale del paese aveva dichiarato che Netanyahu agiva illegamente . La folla aveva assediato l’edificio del Parlamento a Gerusalemme. Le istituzioni pubbliche sono state chiuse, compreso l’aeroporto internazionale di Israele e le sue ambasciate all’estero, in uno sciopero generale. A questo si è aggiunto a un quasi ammutinamento nelle ultime settimane da parte di gruppi militari d’élite, come piloti da combattimento e riservisti.
La crisi è culminata domenica sera con il licenziamento del ministro della Difesa da parte di Netanyahu, dopo che Yoav Gallant aveva avvertito che la legislazione stava facendo a pezzi i militari e minacciava la prontezza al combattimento di Israele. Il licenziamento di Gallant ha solo intensificato la furia dei manifestanti .
Da: https://www.altrenotizie.org - Fabrizio Casari, direttore del sito Altrenotizie
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=t8jF1M7lqic
Da: http://www.consecutio.org - Federico Simoni ,Università di Bologna (federico.simoni3@studio.unibo.it).
Vedi anche: Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore
Leggi anche: Teoria critica della società? Critica dell’economia politica. Adorno, Backhaus, Marx* - Tommaso Redolfi Riva
Hans Georg Backhaus, Dialettica della forma di valore* - intervista a Tommaso Redolfi Riva
1. Introduzione
Diversi studiosi marxiani hanno recentemente sostenuto che nel Capitale Marx elaborerebbe, più o meno consapevolmente, una vera e propria rivoluzione epistemologica. Secondo Michael Heinrich, il pensatore di Treviri presenta nel primo capitolo dell’opera il concetto, del tutto originale, di “forma [sociale] oggettuale di una cosa”, rapporto sociale “che si presenta (darstellt) in una cosa”1 . Tale concetto innerverebbe sia la sua teoria del valore sia quella del feticismo delle merci, entrambe presentate in tale capitolo. Esso non è in effetti altro che il valore delle merci:
La forza-lavoro umana allo stato fluido, ovvero il lavoro umano, costituisce valore, ma non è valore. Esso diventa valore allo stato coagulato, in forma oggettuale [gegenstandlicher Form ]. Per esprimere il valore della tela come gelatina di lavoro umano, esso deve essere espresso come una ‘oggettualità’ [ Gegenstandlichkeit] che sia distinguibile, cosalmente [dinglich], dalla tela stessa e che, allo stesso tempo, sia ad essa in comune con altre merci2.
Per Tommaso Redolfi Riva, in Marx “il carattere di feticcio che assume la socializzazione del lavoro nel modo di produzione capitalistico, il suo carattere oggettuale, è l’origine del feticismo nell’economia politica”3. Il nesso sociale tra produttori privati si trova, in questo “valore”, per così dire tradotto in forma di rapporto di cose. Il valore non rappresenta perciò una qualità dei prodotti come tali (in sé indipendente da questa forma determinata, socialmente e storicamente, dello scambio). Esso è però parimenti forma oggettuale, ovvero compare necessariamente in forme e rapporti di cose, dei prodotti del lavoro, in virtù diretta di tale nesso. Questo per Marx diviene ed opera realmente come un’oggettualità di fronte ai soggetti sociali stessi che lo attuano, predeterminando la forma della loro “azione sociale”4.
È questo il carattere di feticcio (Fetischcharakter) assunto dal lavoro in forma di valore e dai suoi prodotti in quanto merci, denaro e capitale, le ‘categorie’ economiche dell’economia politica coeva. Tale carattere dà dunque luogo per Marx a strane antitesi, veri e propri enigmi. Per cui, ad esempio, queste forme e rapporti sociali paiono, relativamente al denaro, effetto di una proprietà naturale dei metalli nobili, che qui ne recitano la parte. È il feticismo (Fetischismus) delle merci e del denaro, il quale naturalizza, spogliandole del loro carattere sociale e storico, tali forme ‘oggettuali’ come forme delle cose stesse e, quindi, i rapporti sociali ‘tra persone’ che le conferiscono.
Prima di prospettare soluzioni semplicistiche e meramente tecnologiche a problemi complessi riconducibili alla natura del sistema capitalistico, sarebbe il caso – come a proposito della transizione energetica – di verificarne accuratamente la praticabilità.
Il libro Crisi o transizione energetica (Come il conflitto in Ucraina cambia la strategia europea per la sostenibilità) di Stefano Fantacone e Demostenes Floros, recentemente pubblicato da DIARKOS, si propone di esaminare i limiti della strategia adottata dall’Europa per garantire ai Paesi del continente la sicurezza energetica, avendo come obiettivo quello di rompere i legami di dipendenza con la Federazione russa. Si tratta di un bel saggio estremamente interessante che sfata molti luoghi comuni, come per esempio che la crisi energetica sia scoppiata insieme all’attuale conflitto, quando invece essa ha cominciato ad affacciarsi all’orizzonte già nel marzo del 2021, ossia quando l’economia mondiale sembrava riprendersi dopo le fasi più acute della pandemia. Inoltre, mette in evidenza un tema poco trattato, ma noto agli specialisti, i quali sanno bene che nel periodo che va da oggi al 2050 la disponibilità dei combustibili fossili necessari a coprire il fabbisogno energetico mondiale è destinata a calare dall’80% al 33%. Se questa considerazione fosse corretta, Fantacone e Floros ipotizzano che la richiesta di queste risorse dovrebbe diminuire del 2% l’anno, comportando una graduale riduzione del loro prezzo. Ora i due autori mettono proprio in discussione questa semplicistica relazione economica, facendo presente che la guerra in Ucraina ha palesato che sulla disponibilità e sul prezzo dell’energia giocano un ruolo importantissimo anche fattori geopolitici, certamente sottovalutati dall’Ue (pp. 22-23), ma non credo dagli Usa.
Prendendo spunto da queste complesse questioni, formulate in un libro che consiglio fortemente di leggere, vorrei riassumere brevemente il punto di vista di un fisico spagnolo, Antonio Turiel Martínez, autore de El otoño de la civilización (2022), a proposito della reale possibilità di realizzare un’effettiva transizione energetica. Questione su cui, del resto, mostrano scetticismo anche Fantacone e Floros, quando scrivono che, considerando il gas naturale come ponte verso quest’ultima, la stessa Commissione europea ha riconosciuto indirettamente “l’impossibilità di sostituire le fonti fossili con le rinnovabili nel breve-medio periodo” (p. 141).
Da: Traduzioni marxiste. Link all’articolo originale in francese Centre Atlantique de Philosophie - Lilian Truchon, Università di Nantes, Dottorando. Epistemologia, materialismo, darwinismo, marxismo.“Darwinismo in Cina. Accoglienza e influenza alla fine dell'Ottocento e nel Novecento”.
Quando nel 1980, Patrick Tort, storico delle idee e specialista francese dell’opera di Charles Darwin, presenta pubblicamente le sue prime analisi del libro di quest’ultimo, L’origine dell’uomo e la selezione naturale (The Descent of Man, 1871) [1], analisi che porteranno – nel 1983 – alla pubblicazione di La pensée hiérarchique et l’évolution, il «grande pubblico», così come gli accademici, scoprono l’esistenza di un pensiero inedito del naturalista inglese circa l’uomo e la civilizzazione. Questa rivalutazione, che da allora ha obbligato a leggere quest’opera di Darwin (vittima di un’incomprensione pressoché generale), si è accompagnata alla critica di un dogma «marxista» basato proprio su un disconoscimento di tale antropologia darwiniana [2] (benché in realtà non derivante dal corpus marxista e proveniente principalmente dalle lettere di Marx ed Engels sulle scienze naturali [3]).
Prima di affrontare la problematica di questa antropologia nel suo rapporto col marxismo, è importante vedere in cosa consiste l’«effetto reversivo dell’evoluzione», nozione mai nominata nell’opera di Darwin e, tuttavia, operante in diversi rilevanti capitoli del suo volume del 1871. Darwin osserva che, grazie alla selezione degli istinti sociali e al correlato accrescimento delle capacità mentali, nonché delle tecnologie razionali (igiene, medicina, esercizio fisico), ciò che per comodità viene definito «cultura» (o civilizzazione) prevale sulla «natura»: l’altro, in quanto essere umano, è riconosciuto come simile, dunque il sentimento di simpatia si estende, così come la solidarietà e il soccorso agli «inadatti». Questa tendenza evolutiva oggettiva e di recente egemonica (in relazione al precedente corso evolutivo eliminatorio) si è imposto progressivamente alla tribù, alla nazione e poi all’umanità intera. In altre parole, «la selezione naturale seleziona la civilizzazione, la quale si oppone alla selezione naturale» [4]. Nessuno specialista e commentatore ha dimostrato, in modo serio, la falsità o il carattere forzato della rigorosa analisi fornita da Patrick Tort, in particolare nel suo studio delle sequenze testuali del discorso darwiniano circa l’uomo, così come proposto in particolare in un articolo fondamentale: «Darwinismo ed evoluzionismo filosofico» [5].
Da: https://www.lacittafutura.it - https://newcoldwar.org/ - Stefania Fusero, Friends of Socialist China, è editorialista de La Città Futura.
Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - https://www.facebook.com/donatella.dicesare - Donatella Di Cesare è una filosofa e editorialista italiana, professore ordinario di filosofia teoretica alla Università "La Sapienza" di Roma.
Leggi anche: I brutali sacrifici imposti ai cittadini per la guerra - Donatella Di Cesare
NOI COMPLESSISTI - Donatella Di Cesare
Adesso c'è da chiedersi quale limite si deve superare per l'entrata formale.
Da: https://www.geopolisonline.it - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq.
Lelio La Porta è membro del “Centro per la filosofia italiana” e della “International Gramsci Society Italia”. È studioso di Gramsci, Lukács e Arendt.
Leggi anche: Dante nei “Quaderni del carcere”: il canto decimo dell’Inferno di Antonio Gramsci. - Giorgio Gattei
Dire dove la storia andrà Tra Dante e Marx. Noterelle sull’azione storica - Roberto Fineschi
Marx apprende l’italiano leggendo Dante e Machiavelli. La Divina Commedia e specialmente l’Inferno, nonostante l’orientamento metafisico di Dante, risultano essere in linea con gli interessi della vita di Marx, come il Faust di Goethe e la traduzione di Lutero della Bibbia.
Vanno ricordati alcuni passi significativi dell’opera marxiana nei quali i versi danteschi assumono una torsione non soltanto descrittiva ma anche fortemente contenutistica se non perfino, in alcuni momenti, autobiografica. La conclusione della Prefazione del 1867 alla prima edizione del Capitale suona nel modo seguente:
Segui il tuo corso, e lascia dir le genti! 1
In realtà, Marx opera una variazione rispetto al verso originale che suona così:
Vien dietro me, e lascia dir le genti…
A parlare è Virgilio; sostituendosi al poeta mantovano è come se Marx affidasse a se stesso il compito di percorrere le strade della ricerca seguendo i propri interessi. Ancora: Marx condivide con Dante la sorte di esule. Rispondendo ad “un insultante articolo di fondo del Times” nei confronti degli esuli, in particolare dei rifugiati politici, Marx, dalle colonne del New York Daily Tribune del 4 aprile 1853, risponde con le parole con cui l’antenato Cacciaguida, nel canto XVII del Paradiso, predice a Dante l’esilio ricordandogli com’è amaro il pane degli altri, elemosinato nella povertà dell’esilio, e com’è duro e penoso il cammino nello scendere e salire le scale degli altri in cerca di aiuto e di protezione. Chiosa Marx:
- Beato Dante, un altro esponente di quella infelice categoria chiamata dei “profughi politici”, che i nemici non potevano minacciare con l’infamia di un articolo di fondo del Times! E ancor più beato il Times al quale non è capitato un “posto riservato” nel suo Inferno! -
Eppure anche Dante avrebbe trovato difficoltà a descrivere come luogo infernale una manifattura di fiammiferi del 1833, luogo in cui la disumanizzazione e la brutalità del capitalismo trovano un’esemplificazione così bestiale da non poter essere espressa con un linguaggio letterario2.