Prima di prospettare soluzioni semplicistiche e meramente tecnologiche a problemi complessi riconducibili alla natura del sistema capitalistico, sarebbe il caso – come a proposito della transizione energetica – di verificarne accuratamente la praticabilità.
Il libro Crisi o transizione energetica (Come il conflitto in Ucraina cambia la strategia europea per la sostenibilità) di Stefano Fantacone e Demostenes Floros, recentemente pubblicato da DIARKOS, si propone di esaminare i limiti della strategia adottata dall’Europa per garantire ai Paesi del continente la sicurezza energetica, avendo come obiettivo quello di rompere i legami di dipendenza con la Federazione russa. Si tratta di un bel saggio estremamente interessante che sfata molti luoghi comuni, come per esempio che la crisi energetica sia scoppiata insieme all’attuale conflitto, quando invece essa ha cominciato ad affacciarsi all’orizzonte già nel marzo del 2021, ossia quando l’economia mondiale sembrava riprendersi dopo le fasi più acute della pandemia. Inoltre, mette in evidenza un tema poco trattato, ma noto agli specialisti, i quali sanno bene che nel periodo che va da oggi al 2050 la disponibilità dei combustibili fossili necessari a coprire il fabbisogno energetico mondiale è destinata a calare dall’80% al 33%. Se questa considerazione fosse corretta, Fantacone e Floros ipotizzano che la richiesta di queste risorse dovrebbe diminuire del 2% l’anno, comportando una graduale riduzione del loro prezzo. Ora i due autori mettono proprio in discussione questa semplicistica relazione economica, facendo presente che la guerra in Ucraina ha palesato che sulla disponibilità e sul prezzo dell’energia giocano un ruolo importantissimo anche fattori geopolitici, certamente sottovalutati dall’Ue (pp. 22-23), ma non credo dagli Usa.
Prendendo spunto da queste complesse questioni, formulate in un libro che consiglio fortemente di leggere, vorrei riassumere brevemente il punto di vista di un fisico spagnolo, Antonio Turiel Martínez, autore de El otoño de la civilización (2022), a proposito della reale possibilità di realizzare un’effettiva transizione energetica. Questione su cui, del resto, mostrano scetticismo anche Fantacone e Floros, quando scrivono che, considerando il gas naturale come ponte verso quest’ultima, la stessa Commissione europea ha riconosciuto indirettamente “l’impossibilità di sostituire le fonti fossili con le rinnovabili nel breve-medio periodo” (p. 141).
Turiel è esperto in risorse energetiche e in oceanografia, lavora come ricercatore presso l’Istituto di Scienze del mare dell’Università di Barcellona, è stato consultato anche dal senato dello Stato spagnolo proprio sul tema della transizione energetica. In una recente intervista il nostro esperto ribadisce quanto si diceva prima: l’attuale conflitto ha solo esasperato la questione energetica, dato che da decenni ormai si prevede che la quantità di energia e di risorse materiali è destinata inevitabilmente a diminuire per ragioni di esaurimento geologico. Fenomeno che non si verificherà di colpo, ma che si sta attuando nel caso del petrolio, dell’uranio e forse del carbone; quanto al gas naturale mancano ancora alcuni anni. La fine della guerra potrà produrre solo un effimero miglioramento, ma il processo di impoverimento delle risorse continuerà ineluttabile. A suo avviso non si tratta di fronteggiare una situazione apocalittica (a meno che qualche pazzo lanci una bomba nucleare), ma di una situazione nuova cui soprattutto gli abitanti del mondo a capitalismo avanzato debbono adattarsi, modificando nella sostanza il modello socio-economico loro imposto. Si tratta di porre termine a un mondo depredatore e distruttivo, che proprio per queste sue caratteristiche è meglio per noi tutti che cessi di esistere.
Per come interpreto il pensiero di Turiel, egli non propone la cosiddetta decrescita felice fondata sull’assunzione da parte dei consumatori della responsabilità di diminuire i loro consumi, per poi magari essere accusati del loro mancato impegno; si tratta piuttosto di un’aspra critica a un sistema basato sulla crescita infinita in un pianeta con risorse finite che deve essere inesorabilmente trasformato dal punto di vista sociale ed economico, se vogliamo salvaguardare la vita in tutte le sue forme sulla terra. A mio parere, ciò significa che la necessità della costruzione di una società socialista, in cui sia centrale la pianificazione e quindi l’uso razionale ed equo delle risorse, è oggi dimostrata anche dalle nostre conoscenze scientifiche che mostrano in maniera sempre più stringente l’insostenibilità di questo sistema, senza contare poi lo spreco delle risorse nelle guerre che costituiscono anche formidabili fonti di inquinamento.
Secondo il fisico spagnolo la dipendenza dal gas russo appare con la sostituzione del carbone nella produzione industriale e dell’elettricità, verificatasi tra la fine del secolo passato e l’inizio di questo. Questo trapasso aveva due motivazioni: la lotta contro il cambiamento climatico, dato che il gas emette meno CO2 per unità di energia prodotta, e per il suo minore costo, in quanto costituisce un sottoprodotto dell’estrazione di altri combustibili fossili.
Sulla complessa questione se la cosiddetta transizione ecologica costituisce la reale risoluzione alla crisi energetica, la risposta di Turiel è assai articolata. In primo luogo, sottolinea che è più opportuno parlare di transizione energetica che ecologica, da lui definita REI (Modello di energia elettrica rinnovabile), e che essa presenta significativi limiti sempre occultati. Questi ultimi impediscono che questo modello possa essere utilizzato a grande scala e certamente non ha alcun senso pensare che sia in grado di sostituire del tutto l’impiego dei combustibili fossili ai livelli attuali. Entrando nel dettaglio, il fisico spagnolo continua: il potenziale massimo di produzione di energia rinnovabile è finito e, secondo stime recenti, potrebbe coprire solo il 40% dei consumi attuali, ammesso che non ci sia una loro crescita costantemente stimolata dal nostro sistema economico.
L’altro aspetto problematico del REI sta nel fatto che esso dipende da materiali che sono scarsi; infatti, non sono disponibili nel nostro pianeta quantità sufficienti di litio, cobalto, nichel, manganese, argento, neodimio o rame che possano consentire la sua sistematica implementazione. Per estrarli si incrementerebbe l’attività mineraria, la quale prolungherebbe il processo del loro esaurimento e allontanerebbe nel tempo il trapasso alla transizione. Oltre a ciò, il REI non è alimentato da energia rinnovabile: tutti i processi che lo coinvolgono (estrazione, trasporto, produzione dei pezzi per il trasporto, l’installazione, il mantenimento e l’eventuale smantellamento) avvengono con il supporto dei combustibili fossili, a oggi non è noto se sarà possibile impiegare solo energia rinnovabile nel loro ciclo di vita. Quanto all’uso dell’elettricità, che costituisce un vettore energetico molto utile, attualmente rappresenta solo il 20% del consumo mondiale di energia, e il 25% nel caso dei Paesi più avanzati, in decrescita a partire dal 2008.
Secondo Turiel le due tecnologie, che dovrebbero far aumentare il consumo dell’elettricità (l’auto elettrica e l’idrogeno verde) [1], non possono essere impiegate in maniera massiccia a causa della scarsità dei materiali necessari, della loro dipendenza dalle fonti fossili e della loro inefficacia, documentata dall’Agenzia internazionale dell’energia, dall’Agenzia europea dell’ambiente e dal Gruppo intergovernativo per il cambiamento climatico. Purtroppo, - continua lo scienziato – vendendole come ecologiche, si fa di queste due tecnologie un uso politico che si palesa nel propagandato progetto dell’interconnettore energetico tra Barcellona e Marsiglia (H2Med), che dovrebbe trasportare soprattutto l’idrogeno verde dalla Spagna alla Francia e da qui all’Europa, dato che esso non ha nessun fondamento tecnico. A suo parere si tratta di un progetto “basato sulla disinformazione e sulla confusione delle nostre élite politiche”, e che è straordinariamente complesso e costoso, per cui egli ritiene quasi impossibile che venga realizzato.
Quanto all’auto elettrica, mi sembrano molti interessanti e chiarificatori i conti fatti da Turiel. Attualmente si estraggono in un anno circa 100.000 tonnellate di litio, indispensabile insieme ad altri minerali rari per costruire le batterie; con queste 100.000 tonnellate oggi, date le nostre conoscenze tecniche e utilizzandole solo per costruire auto (no cellulari, no computer ecc.), possiamo costruire 8 milioni di veicoli l’anno che sono anche assai cari; purtroppo, i veicoli impiegati al mondo sono circa un miliardo e 400 milioni, per cui si deduce che per sostituirli ci vorrebbero almeno 175 anni. Aspetto che farebbe dell’auto qualcosa di destinato solo ad alcuni privilegiati, inoltre, credo che nessuno di noi possa aspettare tanto.
Quanto poi ai già citati pannelli solari, aggiungo io, si tenga conto che la Cina è all’avanguardia in questo campo e probabilmente proibirà le sue esportazioni per rispondere alle limitazioni decise dagli Usa nella diffusione della tecnologia relativa ai microchip. Un altro bel problema per l’Occidente che tenta disperatamente di emanciparsi, ma cambiando semplicemente colui da cui inevitabilmente dipende.
Un altro problema del REI sta nel fatto che l’erogazione dell’energia con le fonti rinnovabili è instabile, per cui è assolutamente necessario dotarli di sistemi di stabilizzazione, cosa che attualmente si fa utilizzando gas naturale e quindi consumando in maggiore quantità questo combustibile. D’altra parte, se non si agisse in questo modo ci sarebbe il rischio di caduta della rete di alta tensione europea.
“Non esiste una soluzione semplice, né un modello di transizione rapido e conveniente”, incalza il nostro, il quale ribadisce che è indispensabile la riduzione razionale dei consumi e che sarebbe ora di riconoscere l’impatto ambientale delle energie rinnovabili. Infatti, esse presentano lo stesso problema inerente a tutte le attività umane, ossia la produzione di residui contaminanti. Per esempio, l’estrazione dei minerali su menzionati, necessari per implementarle, che si è visto esser scarsi, richiede una grande quantità di energie fossili e inevitabilmente produce rifiuti tossici. Pertanto, è sempre opportuno valutare a fondo l’impatto ambientale e i benefici ricavabili. Inoltre, un’altra questione sta nel riciclaggio degli strumenti che producono l’energia rinnovabile, come le placche fotovoltaiche e le pale eoliche; processo estremamente costoso e che necessita la produzione di prodotti facilmente riutilizzabili.
Un altro problema individuato da Turiel consiste nella mancanza di equità nelle opportunità di far ricorso all’energia solare, dato che sono le famiglie dotate di alti redditi che vivono in abitazioni ampie ed unifamiliari a ricevere aiuti per installare le placche fotovoltaiche necessarie alle loro esigenze. Mentre quelle famiglie che abitano in appartamenti situati in grandi edifici magari con una cattiva esposizione non possono usufruire di queste facilitazioni.
Quali sono le conclusioni che il fisico spagnolo ricava da questa dettagliata e documentata analisi? La risposta l’abbiamo in parte anticipata e può esser così espressa in maniera più compiuta: la crisi energetica costituisce un’opportunità che ci dovrebbe indurre ad abbandonare l’attuale modello, non cercando semplicemente nuove tecnologie che ci consentano di passare alle fonti rinnovabili. Si tratta di una trasformazione più radicale che si deve dispiegare sul piano socio-economico, praticando la riduzione dei consumi inutili e abbandonando il modello economico crescentista; scelta che ci permetterebbe di mantenere i nostri livelli di vita, magari migliorando anche quelli degli altri, consumando solo il 10% dell’energia che consumiamo. Ossia, in altre parole, mettere termine all’imperativo dell’accumulazione infinita.
Note:
[1] L’idrogeno verde si produce utilizzando l’elettricità generata dalle fonti rinnovabili per trasformare l’acqua in idrogeno mediante elettrolisi. Bisogna notare che esso non costituisce una fonte di energia, ma un vettore energetico, ossia il luogo dove conservarla. I vari svantaggi che esso presenta sono dovuti al fatto che nel processo di estrazione, sia per elettrolisi che operando sul gas naturale, si producono grandi perdite di energia; oltre a ciò, essendo la molecola di idrogeno molto piccola è molto facile che si disperda, per cui deve essere immagazzinato in depositi con pareti spesse e ciò nonostante si registrano perdite giornaliere del 2%. Per approfondire v. Turiel https://crashoil.blogspot.com/2020/10/asalto-al-tren-del-hidrogeno.html.
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