Da: https://www.carmillaonline.com - Fabio Ciabatti - Enzo Traverso è uno storico italiano, da anni attivo in Francia.
I militanti dei partiti comunisti del secolo scorso erano convinti di marciare nel senso della storia e per questo di appartenere a un movimento che trascendeva il loro destino individuale. Convinzione che li aiutava a combattere anche nei momenti più tragici e a riprendere la lotta dopo ogni sconfitta. L’esperienza di questo tipo di soggettività, legata alla costellazione pratico-teorica del comunismo novecentesco, si è esaurita, sostiene Enzo Traverso nel suo ultimo libro Rivoluzione. 1789-1989: un’altra storia. I movimenti anticapitalisti emersi negli ultimi anni, infatti, non appartengono a nessuna delle tradizioni della sinistra del passato, fatte salve alcune affinità con l’anarchismo. Generalmente disinteressati ai grandi dibattiti strategici della tradizione rivoluzionaria e indifferenti ad una dimensione teleologica della storia, hanno inventato nuove forme di organizzazione e sperimentato nuove forme di vita basate sull’autogestione, sulla riappropriazione dello spazio pubblico, sulla partecipazione, sulla deliberazione collettiva, sull’inventario dei bisogni e sulla critica della mercificazione dei rapporti sociali. “In quanto orfani, devono inventare la propria identità. Questa è a un tempo la loro forza, perché non sono prigionieri di modelli ereditati dal passato, e la loro debolezza, perché mancano di memoria”.1 Per questo “se le rivoluzioni del nostro tempo devono inventare i propri modelli, non possono farlo su una tabula rasa, senza incarnare una memoria delle lotte passate, sia le conquiste, sia le assai più frequenti sconfitte”.2 Non si tratta di conservare feticisticamente un retaggio inviolato di prassi e teorie, ma di fare una duplice operazione attraverso l’elaborazione critica della storia: superare il passato e, al contempo, salvare il significato di quell’esperienza storica chiamata rivoluzione.
Per fare questo bisogna liberarsi dalle illusioni del passato. A partire dall’idea che la successione di sollevamenti e insurrezioni popolari che si sono succeduti nei secoli scorsi faccia parte di
Sarebbe però altrettanto sbagliato, come va oggi di moda, invertire la direzione delle vecchie “leggi della storia” e rappresentare la sconfitta delle rivoluzioni come un esito ineluttabile. Le rivoluzioni sono piuttosto processi oggettivamente condizionati “in cui gli esseri umani agiscono sulla base delle proprie scelte, obiettivi e passioni, ma all’interno di una data struttura, che non è immutabile ma neppure eludibile”.4 Si possono spiegare soltanto a partire dall’intreccio tra causalità e azione umana, tra determinismo strutturale e soggettività politica.