Da:
http://www.consecutio.org/2018/11/indice-8/ -
Carla
Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo.
1. Forza-lavoro al tempo del salario
Il concetto di «salario» è stato deliberatamente rimosso attraverso la stessa rarefazione del termine. Molti giovani del III millennio non ne hanno mai sentito parlare, e ricevono, per loro semplicemente, «denaro» – ovvero una «paga» (wage) – in cambio di lavoro, meglio “lavoretto” o “job” (posto di lavoro, incarico, compito) normalizzato, anche senza neppure un contratto, senza mansionario o orario, senza assunzione, senza neppure percepire, né sospettare di dover conoscere, quanto altro tempo di vita viene loro richiesto per ottenere quel compenso magari nemmeno pattuito, ma solo forzosamente accettato. Altri, giovani e non, sono costretti a erogare lavoro gratuito nella speranza di ottenerne uno retribuito in una prospettiva non definibile, ma ignorano di costituire, in diverse fasi, quella quota oscillante dell’«esercito di riserva» di cui Marx analizzò, già quasi due secoli fa, la necessità vitale per il sistema di capitale. Altri ancora, formalmente calcolati come occupati e per lo più stranieri, sono soggetti ai sistemi di caporalato con lavori stagionali, saltuari, intermittenti o a tempo parziale, se non proprio scomparsi dalle statistiche nel lavoro in nero, in base a cui la remunerazione dovuta evapora tra le mani dei mediatori e l’arbitrio padronale – insindacabile e quasi mai controllabile nella consueta elusione delle legislazioni vigenti – nel conteggio delle ore lavorate e nella quantità del denaro spettante. Il furto di lavoro, nella civiltà degli eguali su carta, riporta tutti nel passato della storia ove la disuguaglianza tra le classi era la norma e il lavoro era egualmente disprezzato nella forma svilita della schiavitù o della servitù. Se il capitale, cioè, non ha inventato lo sfruttamento lavorativo o pluslavoro, – ma solo il plusvalore poiché esso implica il valore – continua però a servirsene in quest’ultima forma, nella dicotomia salariata tra uso complementare sotterraneo a quello legalizzato e sua negazione giuridica e ideologica.
Scientificamente rispondente all’aumento della composizione organica del capitale, e risparmio di capitale variabile, la persistenza nei nostri tempi di questa realtà mondiale ha avuto la possibilità di sviluppare, ormai senza ostacoli, un assoluto comando sul lavoro nella procurata disgregazione, atomizzazione e perdita coscienziale di chi è sempre costretto a vivere nella dipendenza di datori di lavoro casuali o transitori. L’incremento della cosiddetta disoccupazione, legata anche al lavoro umano sempre più subordinato o affiancato all’uso di macchine o robot (dalla parola slava robota = lavoro pesante, o rabota = servo) richiede, o comunque legittima, uno sforzo di chiarificazione in direzione di un’analisi relativa ai meccanismi di questo sistema. Il salario, infatti, è di questo una parte fondante e non può essere schiacciato su un presente insignificante nella sua apparente empiria, ma deve essere riconoscibile alla luce di categorie teoriche tratte dal reale. I nostri tempi sono inoltre caratterizzati da un lungo periodo di crisi irresolubile, da parte di questo sistema in fuga continua dalle proprie ineliminabili contraddizioni, il cui risultato è la combinazione sociale dell’accumulazione in recessione da un lato e la perdita progressiva dei diritti civili dall’altro. Se infatti alle contraddizioni si corre al riparo con i soliti mezzi di contrasto (espulsione di lavoro vivo, riduzione e conversione produttiva, accordi commerciali favorevoli o bilaterali, protezionismo, qualora permanga il formale multilateralismo, guerre per interposta persona, ecc.), alla eliminazione programmatica dei diritti collettivi concorre favorevolmente l’attuale e non proprio casuale migrazione mondiale, sulla cui apparente accidentalità e fondata importanza si dirà più avanti.