giovedì 9 giugno 2022

Holodomor: nuovo avatar dell’anticomunismo “europeo” - Annie Lacroix-Riz

Da: www.historiographie.info/arch/holodomor08.pdf - Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare. 

Annie Lacroix-Riz, docente di Storia contemporanea all’Università di Parigi 7

Leggi anche: Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo"  

L'Holodomor, la propaganda liberale e le rimozioni storiche dell'Occidente [1] - Domenico Losurdo


Dal novembre 1917 si sono succedute senza tregua campagne antibolsceviche tanto violente quanto diverse, ma quella della “carestia in Ucraina” lanciata nel 1933 ha da vent' anni preso il sopravvento. Si scatena quando i grandi imperialismi, Germania e Stati Uniti in testa, bramosi dopo il diciannovesimo secolo di saccheggiare le immense risorse dell'Ucraina, pensano di riuscirci. La congiuntura sorride al Reich nel 1932-1933, quando il sud dell'URSS (Ucraina ed altre “terre nere”, il nord del Caucaso e del Kazakistan) venne colpito da un considerevole abbassamento dei raccolti e l'insieme dell'Unione ha difficoltà di approvvigionamento che portarono al ritorno di un rigoroso razionamento. Grave “scarsità”, soprattutto durante il periodo di “soudure” (tra i due raccolti) non specificamente ucraina, secondo la corrispondenza diplomatica francese; “carestia” ucraina secondo i rapporti del 1933-1934 dei consoli tedeschi ed italiani, utilizzati dagli Stati o dai gruppi impegnati nella secessione dell'Ucraina: Germania, Polonia, con il maggiore centro di agitazione a Lwow [Leopoli - in Polonia fino al 1939, ndr], e il Vaticano.

Questa scarsità o questa carestia dipendevano da fenomeni naturali e sociopolitici: una siccità catastrofica fu raddoppiata negli effetti a causa del crescente rifiuto delle consegne (compreso l’abbattimento del bestiame), nel corso degli anni venti, da parte dei vecchi kulaki (i contadini più ricchi) ribelli verso la collettivizzazione. Questa frazione, in lotta aperta contro il governo sovietico, costituiva, in Ucraina, una delle basi del sostegno all’”autonomismo”, velo semantico della secessione, a favore del Reich, della regione agricola regina delle “terre nere” ed inoltre il primo bacino industriale del paese.
 
L'appoggio finanziario tedesco, massiccio prima del 1914, si era intensificato durante la Prima Guerra mondiale, nel corso della quale la Germania trasformò l'Ucraina, come i Paesi Baltici, in una base economica, politica e militare dello smantellamento dell'impero russo. La Repubblica di Weimar, fedele al programma di espansione del Kaiser, continuò a finanziare l'autonomismo ucraino. Gli hitleriani fissarono, al loro arrivo al potere, il piano per impadronirsi dell'Ucraina sovietica, e tutto l'autonomismo ucraino (beneficiario di risorse poliziesche, diplomatiche e militari), si riunì tra 1933 e 1935 intorno al Reich, allora più cauto nelle sue mire sul resto dell'Ucraina.

martedì 7 giugno 2022

Le menzogne della guerra - Pasquale Pugliese

Da: http://www.vita.it/it/blog - https://comune-info.net - Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).


Giovanissimi statunitensi si armano e fanno stragi di bambini. Il presidente Usa dice che occorre fare qualcosa, eppure qualche giorno fa aveva visitato con orgoglio la più grande fabbrica di armi del mondo. Anche giovanissimi russi e ucraini si armano: loro vanno in guerra. In Italia, intanto, dei giovanissimi ascoltano il presidente del consiglio secondo il quale alla violenza si risponde con una violenza più grande e di gruppo. Sul corto circuito tra violenza ed educazione, tornano in mente le parole di Andrea Canevaro pronunciate pochi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti occidentali su Baghdad a una platea di educatori. 

Nei giorni scorsi abbiamo appreso la notizia della morte del professor Andrea Canevaro, straordinaria figura di pedagogista dell’Università di Bologna, educatore di generazioni di educatori (leggi anche Che strano il mondo senza di lui), che ho avuto la fortuna di incontrare molte volte nella mia professione educativa. Una di queste è stata al Convegno nazionale “Progettare futuri” che svolgemmo al Teatro Ariosto di Reggio Emilia dal 24 al 26 marzo del 2003, pochi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti occidentali su Baghdad con i quali partiva l’illegale e pretestuosa occupazione militare dell’Iraq (20 marzo), con il diretto coinvolgimento italiano, che avrebbe provocato centinaia di migliaia di morti tra i civili. Mi colpì, in quella occasione, che Canevaro sentì – come sentii anch’io che intervenivo come educatore – il bisogno di modificare il tema dei suoi interventi rivolti a una platea di educatori e centrarli proprio sulla menzogna della guerra, sulla sua funzione diseducativa, al contrario dell’educazione ai conflitti, e sul bisogno di alzare una barriera educativa contro la violenza.

Andrea Canevaro: la vergogna e la menzogna della guerra 

domenica 5 giugno 2022

RICORDO DI ALESSANDRO MAZZONE concetti hegeliani e materialismo storico - Roberto Fineschi, La Contrddizione

 Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzone, ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels. (Marx. Dialectical Studies). 

Leggi anche: Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone

AUTOGOVERNO E TIRANNIDE*- Alessandro Mazzone

Classe lavoratrice, sindacato, storia del Movimento Operaio* - Alessandro Mazzone

Modo di produzione capitalistico*- Alessandro Mazzone

Classi e lotta di classe dopo la “crisi del marxismo”?* - Alessandro Mazzone

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Il 1 giugno è stato il decennale della morte di Alessandro Mazzone, mio compianto maestro. Allego qui il link - https://ilconfrontodelleidee.blogspot.com - a un articoletto che scrissi a suo tempo sia sul rapporto intellettuale che si era creato in venti anni di frequentazione sia su alcuni aspetti salienti del suo contributo teorico (ci sono anche dei link ad altre pubblicazioni). In questo credo/spero di cogliere anche il sentimento comune dei “mazzoniani” di allora. 

Colgo l’occasione per pre-annunciare la nascita di un’associazione culturale - “Laboratorio critico” - che tra i suoi scopi si pone anche la valorizzazione del suo lascito teorico e librario. (R. F.)


Se consideriamo la società borghese nel suo complesso, compare come risultato ultimo del processo sociale di produzione, compare sempre la società stessa, cioè l’uomo nelle sue relazioni sociali.
Tutto quello che ha forma fissata, come prodotto ecc., compare come momento dileguante in questo moto.
Anche il processo di produzione immediato compare qui solo come momento.


[Karl Marx, Lineamenti, La vera comprensione del processo sociale di produzione] 


1. La mia frequentazione diretta con Alessandro Mazzone è durata quasi venti anni. Con lui ebbi la mia prima lezione universitaria nell’ottobre del 1992, un corso di Filosofia della storia, dove si leggeva la Filosofia del diritto di Hegel. Inutile negare che tutti noi studenti, per lo più al primo o al secondo anno, subimmo il fascino di un professore molto diverso dagli altri che avevamo o avremmo conosciuto. Eravamo probabilmente giovani ed ingenui, ma avevamo la chiara sensazione che, grazie a quelle lezioni, venivamo introdotti nel mondo rarefatto e sofisticato della vera filosofia, vale a dire del pensiero capace di pensare le cose. Non era come negli altri corsi, dove si faceva il conto dei libri per l’esame, tot pagine dal manuale, tot dal seminario, ecc.; delle fotocopie fatte in copisteria senza la bibliografia per risparmiare i soldi. Era una cosa molto diversa. La consapevolezza che stavamo vivendo un’esperienza per molti aspetti unica, ci spinse a tenere duro quando ci spaccavamo la testa sulle sottigliezze concettuali hegeliane; capivamo la differenze fra ripetere a pappagallo le formule trinitarie e comprendere la dialettica intrinseca delle cose nel loro svolgimento. Accettammo di studiare per un solo esame, quanto altri non studiavano nemmeno per la tesi. Si creò in questo modo la comunità dei “mazzoniani”, un gruppo di strani personaggi innamorati della filosofia marx-hegeliana e guidati da quella singolarissima figura che era Alessandro Mazzone. Difficile spiegare l’ef­fetto delle sue lezioni a chi non vi abbia assistito. Era forse la percezione della incredibile profondità del suo sapere ad impressionarci; come la capacità di leggere, parlare e scrivere in cinque o sei lingue (per noi che a stento parlavamo italiano). Ci sembrava, in poche parole, che il sapere stesse personificato di fronte a noi e che noi avessimo la grande occasione di parlare con lui guardandolo negli occhi. 

Con Mazzone abbiamo, tutti noi, imparato a studiare; abbiamo capito che senza una solida base non si ha la strumentazione per capire un bel niente; che educazione popolare non significa banalizzare le cose difficili, ma fornire i mezzi per capirle; le scorciatoie purtroppo non esistono. Così siamo cresciuti; abbiamo cercato di imparare le lingue, di leggere i classici, di pensare – pur con tutti i limiti personali – in grande. Questo è il grande insegnamento umano e di metodo che Alessandro Mazzone mi/ci ha dato. 

venerdì 3 giugno 2022

A quale costo il sistema capitalistico può oggi riprodursi? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza.


Il sistema capitalistico potrebbe sopravvivere all’attuale crisi sistemica, accentuata dalla pandemia e dalla guerra, ma pesante sarà per noi il costo della sua riproduzione.


Secondo l’eminente studioso britannico David Harvey, non si può escludere del tutto che il capitale [1] possa sopravvivere alle diciassette contraddizioni che egli ha dettagliatamente esaminato nel suo libro intitolato appunto Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, pubblicato nel 2014. In questa sede ovviamente non illustreremo tutte le contraddizioni indagate da Harvey, per cui rimandiamo il lettore al suo interessante libro; ci interessa sottolineare, invece, come il capitale sia stato finora in grado di superare gli ostacoli che il suo stesso sviluppo con l’obiettivo dell’accumulazione senza fine ha generato, e come potrebbe esser possibile che superi anche la crisi scatenata dalla pandemia e dall’attuale scontro tra gli Stati Uniti, con il loro strumento armato rappresentato dalla Nato, e la Russia. Crisi che si palesa, inoltre, nel contesto delle enormi difficoltà che il sistema capitalistico incontra per riprodursi, sia pure con inevitabili trasformazioni.

Ricordo, tuttavia, che per Harvey, le contraddizioni pericolose – non fatali – per il capitale sono costituite dall’accumulazione esponenziale senza fine (o la mera ricerca del profitto), la relazione del capitale con la natura, la generalizzata alienazione dell’uomo nella società capitalistica. Scrive sempre lo studioso britannico che il capitale potrebbe riuscire ancora una volta a farla franca con l’aiuto di una élite oligarchica che si preoccupasse di sterminare gran parte della popolazione superflua e per questo eliminabile, schiavizzando il resto dell’umanità e rinserrandosi in luoghi protetti e sorvegliati, per difendersi dalla rivolta della natura e degli esseri umani ridotti a uno stato subumano (Harvey, v. Contraddizione diciassettesima). Naturalmente questa élite, per mantenersi tale, avrebbe bisogno di una continua vigilanza poliziesca totalitaria, sia fisica che mentale (Ibidem, p. 218), cui ci hanno abituato le recenti misure repressive adottate per contrastare la non scomparsa pandemia. E a ciò dobbiamo aggiungere la propaganda di guerra, non solo unilaterale e distorsiva, ma anche in mancanza di argomenti poggiata su insulti e denigrazione volgare dell’avversario additato all’odio della maggioranza ritenuta omologata, ma in realtà piuttosto sfiduciata e scettica. Inoltre, tutto ciò accade mentre si parla di “democrazia liberale” e di libertà contrapposte all’autoritarismo russo, che mette “il bavaglio ai media proprio come si sta facendo dalle nostre civilissime parti.

Questa tesi non è nuova, era già presente nel libro di Susan George, Rapporto Lugano. La salvaguardia del capitalismo del XXI secolo (Trieste, 2000), in cui si parte dall’ipotesi fantasiosa di un rapporto stilato da eminenti scienziati, economisti, accademici, incaricati da misteriosi committenti, con lo scopo di “proporre strategie, misure concrete e svolte in grado di massimizzare la probabilità che il sistema capitalista globale di libero mercato rafforzi la sua supremazia” (p. 17). Utilizzando documenti elaborati da importanti organismi internazionali, la George delinea un quadro tragico della situazione mondiale, nella quale i perdenti, o la popolazione in eccesso e quindi necessariamente scartabile (usa e getta), non può sopravvivere e deve sacrificarsi per garantire ai pochi vincenti la continuazione di un sistema che concede loro straordinari vantaggi e privilegi. Ciò sarebbe il risultato della vittoria delle cosiddette leggi di mercato sul contratto sociale tra capitale e lavoro, stipulato alla fine della Seconda Guerra Mondiale; vittoria dalla quale sarebbe scaturita la società contemporanea così descritta: “Il sistema attuale è una macchina universale per devastare l’ambiente e per produrre perdenti dei quali nessuno sa cosa fare” (George 2000, p. 211).

giovedì 2 giugno 2022

Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra - Emiliano Brancaccio

 Da: https://www.econopoly.ilsole24ore.com - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - www.emilianobrancaccio.it 

Leggi anche: Guerra in Ucraina, intervista a Emiliano Brancaccio - Daniele Nalbone

La narrazione della guerra è ormai polarizzata su due opposte retoriche. Putin e i suoi giustificano l’aggressione all’Ucraina con l’urgenza di denazificare il paese e salvaguardare il diritto di autodeterminazione delle popolazioni filo-russe. Il governo USA e gli alleati NATO, invece, sostengono sia doveroso partecipare più o meno direttamente alle operazioni belliche per tutelare la sovranità di un paese libero e democratico aggredito. Queste due propagande, pur contrapposte, risultano dunque uguali nel richiamarsi continuamente ai diritti, alla lealtà, all’ideologia, all’integrità delle nazioni, alla protezione dei popoli. Come se nelle stanze del potere si discutesse solo di tali nobili argomenti. Mai d’affari. 

Che in un tale bagno di idealismo affondino i rozzi propagandisti che vanno per la maggiore non suscita meraviglia. Più sorprendente è il fatto che nel medesimo stagno si siano calati anche studiosi interpellati dai media: filosofi, storici, esperti di geopolitica e di relazioni internazionali, economisti mainstream. La ragione di fondo, a ben guardare, è di ordine epistemologico. I più sembrano infatti accontentarsi di una metodologia di tipo aneddotico. Ossia, una serie di fatti giustapposti, una concezione della storia come fosse banalmente costituita dalle decisioni individuali dei suoi protagonisti, una sopravvalutazione delle spiegazioni ufficiali di quelle decisioni. E sopra ogni cosa, una espressa rinuncia: mai pretendere di ricercare “leggi di tendenza” alla base dei conflitti militari. Da Allison Graham a Etienne Balibar, nessuno osa oggi parlare delle “tendenze” su cui invece indagavano i loro grandi ispiratori, da Tucidide ad Althusser. [1]

La conseguenza di questo involuto metodo di analisi è che nel dibattito prevalente si avverte la pressoché totale assenza di indagini dedicate agli interessi materiali sottesi ai movimenti di truppe e cannoni. Manca cioè un esame delle tendenze strutturali che alimentano i venti di guerra di questo tempo.

martedì 31 maggio 2022

Kiev, un esercito senza ricambio. E le nostre armi “aiutano” Mosca - Fabio Mini

Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - Fabio Mini è un generale italiano, già comandante della missione KFOR in Kosovo dal 2002 al 2003. Commentatore di questioni geopolitiche e di strategia militare, scrive per Limes, la Repubblica, l'Espresso ed il Fatto Quotidiano dal 2015, è membro del Comitato Scientifico della rivista Geopolitica ed è autore di diversi libri. 

Il paradosso dei rifornimenti. La Russia sta impiegando un quarto delle forze in servizio attivo, gli ucraini sono già arrivati a impiegare le riserve non qualificate. E i missili occidentali a lunga gittata danno ai russi i motivi e i pretesti per occupare di più

Libia, 1940-41. L’offensiva di settembre verso l’Egitto imposta al Maresciallo Graziani si arrestò a Sidi Barrani dove le truppe si sistemarono a difesa. I britannici preferirono ripiegare a Marsa Matruh, ma il 9 dicembre ripresero l’iniziativa e attaccarono le difese italiane. Nel giro di tre giorni caddero in mano inglese 38.000 prigionieri, 73 carri armati, 237 cannoni e migliaia di veicoli. Il 18 dicembre raggiunsero Bardia. La guarnigione italiana, costituita da 45.000 soldati e 430 cannoni, si arrese il 5 gennaio 1941 e i componenti furono fatti prigionieri. Il 21 gennaio anche Tobruk fu conquistata e furono catturati altri 30.000 soldati italiani e 236 cannoni. Il 7 febbraio la 10° armata italiana comprendente 10 divisioni si arrese e il giorno successivo l’offensiva britannica si fermò, per ordini superiori, a El Agheila. In due mesi i britannici avevano occupato la Cirenaica, fatto 130.000 prigionieri e catturati o distrutti 380 carri armati e 845 cannoni. Il generale Tellera fu ucciso e tre generali furono catturati. I britannici avevano avuto 500 morti, 1.373 feriti e 56 dispersi. Con l’arrivo di Rommel in Libia ripresero le operazioni italo-tedesche per la riconquista della Cirenaica. L’8 aprile 1941 tra El Mechili e Derna furono catturati centinaia di mezzi britannici e fatti prigionieri oltre 2000 soldati e sei generali. Il 21 giugno venne riconquistata Tobruk dove gli italo-tedeschi catturarono 25.000 britannici, centinaia di veicoli e di tonnellate di rifornimenti. La campagna d’Africa settentrionale si estese dall’Egitto alla Tunisia e al Marocco e si protrasse fino al 1943, con la sconfitta delle forze dell’Asse pressate da oriente e occidente dalle forze alleate che immisero nel teatro operativo altri 500.000 uomini e decine di migliaia di mezzi corazzati. Complessivamente l’Italia ebbe 13.748 morti, 8.821 dispersi, 250.000- 340.000 prigionieri; la Germania 18.594 morti, 3.400 dispersi e 180.000 prigionieri; il Regno Unito/Commonwealth ebbe 35.478 morti e 180.000 fra dispersi e prigionieri. 

Queste alcune delle lezioni apprese dalla campagna condotta essenzialmente da forze corazzate: 1) le operazioni si sviluppano in cicli relativamente brevi, un paio di mesi, con pause della stessa durata per la ricomposizione delle forze; 2) hanno un bisogno enorme di rifornimenti (carburante e munizioni) e ripianamenti delle perdite umane (morti, feriti, prigionieri); 3) la vittoria non è decretata dal numero maggiore o minore di perdite ma dalla capacità di alimentare, sostituire, avvicendare le forze di combattimento. 

domenica 29 maggio 2022

L'Holodomor, la propaganda liberale e le rimozioni storiche dell'Occidente [1] - Domenico Losurdo

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Domenico Losurdo è stato un filosofo, saggista e storico italiano. - http://domenicolosurdo.blogspot.com/

Vedi anche: Stalin oltre la doxa - Domenico Losurdo  

Ucraina: una crisi che può allargarsi - Domenico Losurdo (2014) 


  1. L’olocausto ucraino quale bilanciamento dell’olocausto ebraico

 Le due personalità criminali [Hitler e Stalin ndr], reciprocamente legate da affinità elettive, producono due universi concentrazionari tra loro assai simili: così procede la costruzione della mitologia politica ai giorni nostri imperversante. Per la verità, pur inaugurando questa linea di pensiero, Arendt fa un discorso più problematico. Per un verso accenna, sia pure in modo assai sommario, ai «metodi totalitari» preannunciati dai campi di concentramento in cui l’Inghilterra liberale rinchiude i boeri ovvero agli elementi «totalitari» presenti nei campi di concentramento che la Francia della Terza Repubblica istituisce «dopo la guerra civile spagnola». Per un altro verso, nell’istituire il confronto tra Urss staliniana e Germania hitleriana, Arendt fa valere alcune importanti distinzioni: solo a proposito del secondo paese parla di «campi di sterminio».

C’è di più: «nell’Urss i sorveglianti non erano, come le SS, una speciale élite addestrata a commettere delitti». Com’è confermato dall’analisi di una testimone passata attraverso la tragica esperienza di entrambi gli universi concentrazionari: «I russi […] non manifestarono mai il sadismo dei nazisti […] Le nostre guardie russe erano persone per bene, e non dei sadici, ma osservavano scrupolosamente le regole dell’inumano sistema»[2]. Ai giorni nostri, invece, dileguati il sia pur sommario riferimento all’Occidente liberale e l’accenno alle diverse configurazioni dell’universo concentrazionario, tutto il discorso ruota attorno all’assimilazione di Gulag e Konzentrationslager.

Perché tale assimilazione sia persuasiva, in primo luogo si dilatano le cifre del terrore staliniano. Di recente, una studiosa statunitense ha calcolato che le esecuzioni realmente avvenute ammontano a «un decimo» delle stime correnti[3]. Resta fermo, ovviamente, l’orrore di questa repressione pur sempre su larga scala. E, tuttavia, è significativa la disinvoltura di certi storici e ideologi. Né essi si limitano a gonfiare i numeri. Nel vuoto della storia e della politica la costruzione del mito dei mostri gemelli può compiere un ulteriore passo avanti: all’olocausto consumato dalla Germania nazista a danno degli ebrei a partire soprattutto dall’impantanarsi della guerra ad Est corrisponderebbe l’olocausto già in precedenza (agli inizi degli anni ’30) inflitto dall’Urss staliniana agli ucraini (il cosiddetto «Holodomor»); in questo secondo caso si sarebbe trattato di una «carestia terroristica» e pianificata, alfine sfociata in un «immenso Bergen Belsen», e cioè in un immenso campo di sterminio[4].

mercoledì 25 maggio 2022

I confini della libertà - Luciano Canfora

Da: Fondazione Circolo dei lettori - Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni)

"La democrazia: da governo di tutti a governo dei meno"- Luciano Canfora

Critica della retorica democratica - L. Canfora, A. Burgio

Tucidide e la Storia - Luciano Canfora

                                                                             

lunedì 23 maggio 2022

DIFESA DELLA DEMOCRAZIA O DELLA "GRANDE DIVERGENZA"? - Emiliano Alessandroni

Da: https://www.facebook.com/emiliano.alessandroni - Emiliano Alessandroni, Università degli Studi di Urbino 'Carlo Bo', redattore della rivista scientifica "Materialismo storico" (materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com).

Leggi anche: Pace: una storia lunga e tormentata, tra idee e realtà*- Emiliano Alessandroni intervista Domenico Losurdo

Domenico Losurdo: Il fondamentalismo occidentale - Emiliano Alessandroni

Miseria del sovranismo. Smarrimento della dialettica e proliferazione dell'ideologia - Emiliano Alessandroni 


Gli Usa e il loro presidente Biden in questo conflitto "stanno agendo nel loro interesse, rischiando di danneggiare l'Europa e l'Italia" o "Stanno difendendo libertà e democrazia e anche il nostro interesse"? 

Naturalmente anche io, come la maggioranza degli italiani che non si lasciano abbagliare dall'ideologia della "Western Supremacy" e dalla narrazione che presenta gli Usa come i paladini della libertà, avrei optato per la prima risposta. 

Resta però un fatto che ho cercato di spiegare; sia nel mio libro "Dittature democratiche e democrazie dittatoriali - Problemi storici e filosofici" (Carocci 2021), sia nel video che carico qui sotto: secondo l'ideologia dell'"eccezionalismo americano" e del "Manifest Destiny" con cui gli Usa non hanno ancora mai realmente fatto i conti, fra le due risposte non esiste questa grande contraddizione: agli occhi dell'intellighenzia e dei politici statunitensi (Democratici o Repubblicani che siano) lo sviluppo della democrazia coincide esattamente con l'estensione delle sfere d'influenza americane, ovvero con la riduzione delle sovranità altrui (o delle sfere d'influenza altrui). 

Nei luoghi in cui i propri campi di dominio si riducono e presso i soggetti che si rendono promotori di questa riduzione, lì comincia per gli Usa lo spazio della barbarie, del dispotismo, della tirannia e lì come per missione, come se avvertissero sulle spalle "il fardello dell'uomo bianco", per dirla con Kipling, o "il fardello dell'uomo democratico", lì si sentono in diritto di intervenire, economicamente, ideologicamente, politicamente e all'occorrenza anche militarmente. 

Non può esistere secondo gli Usa una riduzione della propria supremazia che non sia un aumento della barbarie e del dispotismo. 

La tendenza verso un mondo multipolare, verso una parità di diritti e di doveri fra tutte le nazioni del mondo, costituisce già per l'ideologia dell'"eccezionalismo americano" e per i seguaci del "Project for the new american century" una forma di dispotismo che non può essere tollerata. 

La necessità storica di hegeliana memoria si muove tuttavia verso un superamento dello status quo e dei rapporti di dominio tradizionali: la necessità storica si muove verso una progressiva erosione di quella che importanti analisti hanno definito "la grande divergenza", ossia quel processo che ha visto l'Occidente a trazione sempre più americana sollevarsi e predominare sul resto del mondo. 

La necessità storica, la tendenza generale, preme ora verso un'inversione di rotta: al processo della "grande divergenza" dovrà seguire (e a ben vedere sta già seguendo, sia pure in maniera tortuosa e magmatica) il processo della "grande convergenza" (il processo che vede l'abisso fra l'Occidente a trazione americana e il resto del mondo progressivamente ridursi). 

Le forme di questo processo vanno tenute sotto sorveglianza perché possono essere brutali e mettere anche a rischio la stessa sopravvivenza dell'umanità, ma i grandi conflitti geopolitici, guerre incluse, andrebbero letti come parti di questo più ampio conflitto fra "grande divergenza" e "grande convergenza". 

È, a ben vedere, quella "Terza guerra mondiale a pezzi", di cui parlava Papa Francesco già nel 2014 e di cui la guerra in Ucraina costituisce un capitolo che potrebbe assumere le pieghe più pericolose. 

Soltanto questa lettura ci permette di comprendere perché l'aperta invasione militare di un paese sovrano e membro dell'Onu come l'Ucraina non ha ricevuto la condanna da parte della maggioranza dei paesi del Terzo Mondo, ovvero non ha ricevuto la deplorazione da parte della maggioranza del blocco extraoccidentale, il quale evidentemente non teme tanto un ipotetico progetto di espansionismo russo, ma, proprio per la storia di sottomissione e schiavizzazione da cui proviene, teme ancora le ingerenze, le guerre e il predominio dell'asse Usa-Israele, così come del suprematismo dell'Occidente nel suo complesso. 

E noi capiremmo ben poco di quanto sta accadendo se ci ostinassimo a guardare la guerra in Ucraina con uno sguardo rigidamente eurocentrico e non la collocassimo dentro un contesto sia temporale che spaziale ben più ampio, di dimensioni planetarie. 

Qui il video (l'inizio effettivo al min. 12,05) --> https://www.facebook.com/cgilpesarourbino/videos/1462396970886229


sabato 21 maggio 2022

Sanzionati e sanzionatori - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza. 

Leggi anche: Le sanzioni logorano soprattutto chi le impone - Guglielmo Forges Davanzati 

Sachs: «Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia» - Federico Fubini 

La conflittualità valutaria e l’enigma del gas valutato in rubli - Francesco Schettino 

La battaglia del gas. Con la mossa russa in gioco la nostra sopravvivenza - Alberto Negri 

COME DISTRUGGERE UN PAESE: IL NOSTRO - Vincenzo Costa 

Vedi anche: Geopolitica. Gli USA perderanno anche la leadership energetica - Demostenes Floros


L’UE e gli Stati Uniti, re delle sanzioni, hanno preso misure controproducenti per loro e non solo?



L’impiego delle sanzioni per colpire i propri nemici è una pratica antica, che può avere esiti imprevisti. Ricordo per esempio il Blocco continentale, cui aderirono la Russia e l’Austria, deciso nel 1806 a Berlino da Napoleone Bonaparte, con il quale proibiva l’approdo ai porti dei paesi occupati dai francesi alle navi britanniche in analogia al trattamento che ricevevano le imbarcazioni francesi quando si avvicinavano alle coste d'oltreManica. Dopo che la sua flotta congiunta a quella spagnola era stata sconfitta nella celebre battaglia di Trafalgar, nei pressi di Cadice, nel 1805 l’imperatore dei francesi ritenne che quello fosse l’unico mezzo per piegare i suoi più pericolosi nemici; mezzo che d’altra parte, anche se non sempre rispettato, avvantaggiò la Francia, consentendole di esportare i suoi prodotti in tutta Europa.

Anche l’Italia fu sanzionata dalla Società delle Nazioni in occasione della sua espansione coloniale in Etiopia nel 1935 e le fu proibito di importare armi, materiale militare etc., ma poté continuare a ricevere rifornimenti energetici.

Oggi, dal punto di vista del Diritto internazionale, le sanzioni debbono avere come unico obiettivo quello di far cessare “una condotta illecita” e non possono avere una funzione afflittiva e punitiva. Esse non possono comportare l’uso della forza, che può essere deciso solo dal Consiglio di sicurezza delle NU, evento assai improbabile dato il diritto di veto delle grandi potenze. Ne consegue che gli Stati possono applicare “contromisure a fini di autotutela”, ma queste debbono essere rispettose dei diritti umani e non contraddire altre norme sancite dal Diritto internazionale. È cosa dubbia se il diritto di autotutela sia riservato anche agli Stati diversi dallo Stato leso, per colpire chi avrebbe violato gli obblighi procedenti dal Diritto internazionale e che stabiliscono sostegni di tipo solidaristico. E ciò mette in questione la decisione del cosiddetto Occidente di sostenere l’Ucraina.

venerdì 20 maggio 2022

I salari nel Belpaese, più in basso di così si muore - Andrea Ciarini

Da: https://ilmanifesto.it - Andrea Ciarini è Professore associato di Sociologia dei processi economici, organizzativi e del lavoro presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Sapienza Università di Roma, dove insegna Sociologia Economica e Sociologia del Welfare. 

Leggi anche: Grosso guaio a Wall Street di Claudio Conti - https://contropiano.org/news/news-economia 

Vedi anche: Emiliano Brancaccio:DISATTENDERE LE 'IPOTESI' ANTI-SINDACALI DELLA BCE - https://www.youtube.com/watch?v=6W8lhNvj9q4


Mentre negli altri paesi, nonostante l’impatto della recessione, il lavoro qualificato cresceva, in Italia c’è stato un costante restringimento che ha avuto come effetto diretto il significativo aumento dell’emigrazione dei giovani qualificati, oppure, come unica alternativa, l’accettazione di lavori sottopagati. 



Basse retribuzioni, rimaste stagnanti dagli anni Novanta, a fronte di una crescita media europea del 30%, cattiva occupazione, con tanto lavoro precario e un part-time involontario femminile arrivato nel 2020 al 61,2% (contro una media europea del 21,6%).

E per ultimo, ma non meno importante, un numero di occupati più basso rispetto a quando è iniziata la pandemia, e una ripresa dell’inflazione che rischia di ridurre ulteriormente il potere d’acquisto di salari e pensioni.

L’ELENCO DELLE CRITICITÀ del mercato del lavoro italiano potrebbe continuare con il persistente dualismo tra Nord e Sud che non è solo produttivo ma anche relativo al rischio povertà e ai livelli retributivi. Se nelle regioni meridionali l’incidenza della povertà assoluta tra le persone è al 12,1% (control’8,2% del Nord) il divario nelle retribuzioni è ancora più macroscopico.
Come ha di recente sottolineato la Svimez al Sud i livelli retributivi sono più bassi del 75% rispetto al Nord.
Dietro questi dati si celano problemi di lungo periodo trasversali a tutti i segmenti del mercato del lavoro.

NON RIGUARDANO cioè, come è in genere per la gran parte dei Paesi europei, i settori meno qualificati o a bassa produttività. In Italia i salari bassi riguardano tanto le componenti più qualificate, quanto i segmenti meno qualificati del mercato del lavoro, specie nelle regioni meridionali, dove alla bassa crescita si associa una strutturale sotto-qualificazione della domanda di lavoro. In alto il problema ha a che fare con una struttura produttiva attardata su produzioni a basso valore aggiunto, un problema questo che riguarda soprattutto il terziario avanzato, in Italia non solo di piccole dimensioni rispetto alla media europea ma addirittura andato diminuendo a cavallo della crisi del 2008-2009.

Mentre negli altri paesi, nonostante l’impatto della recessione, il lavoro qualificato cresceva, in Italia c’è stato un costante restringimento che ha avuto come effetto diretto il significativo aumento dell’emigrazione dei giovani qualificati, oppure, come unica alternativa, l’accettazione di lavori sottopagati. In basso, prima della pandemia, il problema è stato la crescita enorme del lavoro poco qualificato nei settori ad alta intensità di lavoro e con un problema strutturale di bassi salari. I segnali di ripresa emersi nel 2021 avevano fatto sperare in una ripresa sostenuta. Ancora una volta, tuttavia, la crescita dell’occupazione (+ 0,8%) è stata trainata dai settori a bassa produttività, con un aumento significativo del lavoro a termine e del part-time.

LA LUNGA CRISI DEI salari italiani è prima di tutto il riflesso di un’endemica stagnazione della produttività, con punte drammatiche nel Mezzogiorno, che non ha eguali in Europa. Se questa è la diagnosi (e ormai c’è un consenso unanime sul punto) la ricerca di soluzioni ai bassi salari non va affidata a uno strumento soltanto. Abbiamo bisogno di politiche industriali per qualificare il tessuto produttivo verso l’alto e la crescita della produttività, così da assorbire l’eccesso di offerta di lavoro qualificata. Abbiamo bisogno però anche di sgravi contributivi per sostenere i redditi medi e medio bassi (che hanno perso potere d’acquisto) e non ultimo interventi pensati per intervenire su chi, per varie ragioni (strutturali e non), rischia di rimanere intrappolato in condizioni di lavoro pagato poco o a rischio povertà.

Qui come mostra l’esempio di altri paesi europei è il combinato disposto di salario minimo legale e in-work benefits per i lavoratori a basso reddito, cioè integrazioni che crescono al crescere del reddito fino ad annullarsi in prossimità dello stesso salario minimo, che può offrire una risposta al problema delle basse retribuzioni, facendo crescere il rendimento del lavoro attraverso l’integrazione salariale. Certo va evitato anche il rischio opposto, ovvero che livelli troppo generosi di queste integrazioni finiscano per incentivare i datori di lavoro a pagare poco il lavoro perché comunque integrato da un trasferimento pubblico. Non può essere tuttavia questo l’argomento per posticipare la ricerca di alternative che vanno trovate oggi, non domani.

IN ULTIMO C’È BISOGNO di consistenti aumenti salariali, tanto più considerando quanto sta avvenendo in altri paesi europei, dalla Germania, alla Francia, all’Olanda, fino alla Spagna, dove non solo si iniziano a porre limiti più stringenti alle assunzioni a termine (in Spagna anche retroattivi), ma, pressati dall’inflazione, i governi aumentano i salari minimi e le parti sociali contrattano rinnovi su percentuali di incremento quasi sconosciute alle latitudini italiane.

In Italia circa la metà dei lavoratori è ancora in attesa di rinnovi. Ora se per le imprese è indubbio il vantaggio, non così è per chi attende adeguamenti non più rimandabili. Per quanto ancora è sostenibile una situazione di questo genere in Italia? 

mercoledì 18 maggio 2022

Geopolitica. Gli USA perderanno anche la leadership energetica - Demostenes Floros

Da: Il Vaso di Pandora - Demostenes Floros è un analista geopolitico ed economico. E’ docente a contratto presso il Master in Relazioni Internazionali d’Impresa Italia-Russia, dell’Università di Bologna Alma Mater, oltre ad essere responsabile e docente del IX corso di Geopolitica istituito presso l’Università Aperta di Imola (Bologna). 

Vedi anche: Il Patto Sino Russo: un nuovo bipolarismo? - Aldo Giannuli 


                                                                           

lunedì 16 maggio 2022

Le ragioni della Russia - Aristide Bellacicco

Da: https://www.lacittafutura.it - Aristide Bellacicco, "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni"

Leggi anche: La fabbrica della “russofobia” in Occidente - Sergio Cararo

Liquidare la Russia e isolare la Cina - Lucio Caracciolo (12.04.2021)

La conflittualità valutaria e l’enigma del gas valutato in rubli - Francesco Schettino

Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo"

Quale idea di Occidente? Un’analisi filosofica del conflitto - Vincenzo Costa



Un esame delle ragioni del conflitto alla luce non dello “scontro fra potenze” ma della volontà di potenza statunitense.

È necessario che nella questione Ucraina si operi una scelta di campo: non soltanto da parte marxista ma da parte di tutti coloro che sono ancora in grado di confrontarsi col mondo e con la situazione internazionale sulla base di un atteggiamento razionale che tenga conto della natura storica degli avvenimenti in atto.

La fine della seconda guerra mondiale ha decretato il ruolo egemonico degli Stati Uniti d’America e, insieme, un assetto geopolitico che è stato definito “guerra fredda” nei suoi effetti militari e politici e, sul piano ideologico, ha dato luogo alla contrapposizione fra “democrazie occidentali” e “totalitarismi”.

Paradossalmente, ma non tanto, questa visione ha legittimato nel secolo scorso, e segnatamente dopo la fine dell’Unione Sovietica –vale a dire del principale paese classificato come “totalitario”- la libertà degli Stati Uniti di proporsi e agire come poliziotto del “mondo libero” intervenendo militarmente ovunque l’abbiano ritenuto opportuno in base ai propri interessi: Jugoslavia, Iraq (due volte), Afghanistan ecc.

Ma ancor prima che l’URSS implodesse, l’azione dei servizi e dell’esercito nordamericano si era rivolta con estrema determinazione contro varie esperienze riconducibili a movimenti di indipendenza nazionale e di carattere antiimperialista: basti qui ricordare il Vietnam, Cuba e il Cile.

mercoledì 11 maggio 2022

La fabbrica della “russofobia” in Occidente - Sergio Cararo

Da: https://contropiano.org - Sergio Cararo, Rete dei Comunisti, Direttore di CONTROPIANO.

Leggi anche: Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo"


Il nostro paese e l’Occidente sono in preda ad una evidente sindrome di russofobia. Potrebbe apparire tale ma non è una novità. Non lo è sicuramente per le leadership e le società europee e, di conseguenza, neanche per quelle statunitensi.

Colpisce il fatto che la Russia possa essere zarista o socialista, capitalista o nazionalista, ma alla fine in Europa scatta comunque il demone russofobico. Da dove nasce questo pregiudizio che troppo spesso è diventato contrapposizione frontale o guerra?

Prima di arrivare all’isteria a cui stiamo assistendo in queste settimane c’è una lunga storia da conoscere, ragione per cui prendetevi il tempo necessario per conoscerla.


Le radici della russofobia in Europa

C’è un interessante libro di Guy Mettan edito dalla Teti “Russofobia. Mille anni di diffidenza”, che aiuta a capire molte cose.

Per molti aspetti la russofobia ha qualcosa in comune con l’antiebraismo ossia un antico “documento” – ritenuti quasi unanimemente dei falsi storici – che ne dimostrerebbe la intrinseca natura aggressiva e dominatrice. Nel caso delle comunità ebraiche sarebbe il “Protocollo dei Savi di Sion” (tra l’altro si dice elaborato proprio nella Russia zarista). Nel caso della Russia sarebbe addirittura il “Testamento di Pietro il Grande”, fatto arrivare in Europa, e poi pubblicato e utilizzato in Francia durante l’invasione napoleonica della Russia.

Il documento fu consegnato ai francesi da un generale polacco, tal Sokolnicki, già nel 1797, ma fu pubblicato più tardi in appendice al libello “Des progrès de la Puissance russe” di Charles Louis-Lesur, nel quale si asseriva che sin dal XVIII secolo i regnanti russi puntavano ad impadronirsi di Germania, Francia e persino della Spagna dei Borboni.

Delle pubblicazioni successive all’epoca napoleonica, curate da Dominique Georges-Frederic de Pradt, tornarono alla carica indicando l’Impero zarista come una potenza asiatica e dispotica dalla natura libido dominandi con l’ambizione intrinseca di “espandersi verso occidente con la violenza e con l’inganno”.

Contestualmente, un altro autore francese, Saint-Marc Girardin affermava che se la Russia zarista fosse riuscita a sottomettere tutti i popoli slavi, si sarebbe servita di loro per dominare l’Europa, la sua cultura e la sua anima.

Inutile dire che queste pubblicazioni aumentarono la loro fortuna e la loro influenza alla vigilia della “Guerra di Crimea” nel 1856, quando Gran Bretagna, Francia e Italia si schierarono al fianco della Turchia contro la Russia… e l’Italia mandò i bersaglieri.

Ma se la russofobia è stata un arma di combattimento nell’Ottocento nello scontro tra gli imperi in espansione (soprattutto quello britannico e quello zarista), il sentimento russofobo e slavofobo in Europa ha radici ancora più antiche ed ha origine in Germania.

domenica 8 maggio 2022

"Pace proibita"



𝐔𝐧𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐥’𝐞𝐬𝐚𝐥𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐫𝐦𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞. 

                                                                          


sabato 7 maggio 2022

l'Economia della Guerra - Marco Veronese Passarella

Da: OttolinaTV - Marco Veronese Passarella è docente di economia presso la Leeds University.

Dai mercantilisti fino a John Maynard Keynes, 
la ricerca del modo migliore per finanziare la guerra ha plasmato l'intera storia del Pensiero Economico 

                                                                           

giovedì 5 maggio 2022

Liquidare la Russia e isolare la Cina - Lucio Caracciolo (12.04.2021)

Da: https://www.facebook.com/francesco.syloslabini - Articolo uscito su https://www.azione.ch - Lucio Caracciolo è un giornalista italiano fondatore e direttore della rivista italiana di geopolitica Limes (https://www.limesonline.com). 

Vedi anche Carlo Rovelli: “Ucraini usati come pedina per far male https://www.youtube.com/watch?v=unbn8j3qxXA&t=915s


Anche questo articolo di Lucio Caracciolo, uscito nell'aprile 2021, dieci mesi prima delle vicende belliche in Ucraina, come anche aveva anticipato Manlio Dinucci nel suo Rand Corp: come abbattere la Russia - Manlio Dinucci, ci riporta a dover valutare bene le argomentazioni tanto care alla propaganda bellicista occidentale. 


Una su tutte quella relativa alla causa scatenante e nello stesso tempo incontrovertibile che inchioda e zittisce brutalmente chiunque osi anche solo minimamente mettere in discussione la possibilità di una pace possibile: 

"c'è un aggressore e c'è un aggredito". 


Se anche  si accetti questa categorica affermazione, ma cercando di argomentare qualche distinguo valido e conseguente, si viene tacciati per "filorussi" anzi peggio "filoputin", in una logica intransigente giocata su "buoni e cattivi" a prescindere da tutto. 

Noi non sappiamo quale evoluzione prenderà la vicenda bellica ma non dobbiamo in nessun modo sottovalutare i rischi estremi che questa potrebbe avere in futuro per tutti noi. (il collettivo)

-----------------------------------------

Big Game - Gli Stati Uniti definiscono le priorità del decennio sullo scacchiere internazionale, rafforzando le alleanze nel Pacifico e in Europa per aver ragione delle due altre potenze mondiali - 

Gli Stati Uniti hanno deciso di buttare fuori pista la Cina entro questo decennio. La Cina ha giocato la carta russa per impedirlo, stringendo una quasi inedita intesa con la Russia. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale gli americani si trovano quindi a fronteggiare due grandi potenze, la seconda e la terza del pianeta, in una partita che segue ormai la logica di guerra. Somma zero.

In questo schema triangolare, Washington ha due opzioni per evitare il possibile scontro contemporaneo con entrambe le rivali. La prima, elementare secondo la grammatica della potenza, è di giocare la più debole contro la più forte: Mosca contro Pechino. La seconda, più rischiosa, sta nel liquidare prima la Russia per poi chiudere il match con la Cina ormai isolata. Soffocandola nel suo angolo di mondo dove, senza più il vincolo con i russi, Pechino sarebbe completamente circondata: lungo i mari dalla linea India-Australia-Giappone teleguidata da Washington. Per terra da quasi tutti i vicini, India e Russia in testa.

lunedì 2 maggio 2022

Sachs: «Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia» - Federico Fubini

Da: https://www.corriere.it/politica/22_maggio_01 - Federico Fubini è inviato e editorialista di economia del «Corriere della Sera», di cui è vicedirettore ad personam.

Jeffrey D Sachs, professore universitario presso la Columbia University, è Direttore del Center for Sustainable Development presso la Columbia University e Presidente del Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite. Ha servito come consigliere di tre Segretari generali delle Nazioni Unite e attualmente ricopre il ruolo di avvocato SDG sotto il Segretario generale António Guterres. 

Leggi anche: È ora di discutere i termini di pace con la Russia https://www.project-syndicate.org - 

Vedi anche: L'intervista a Sergio Romano sulla crisi Ucraina (2014) https://www.youtube.com/watch?v=6p22xDodVws 



L’economista della Columbia University: «Gli Stati Uniti sono più riluttanti della Russia nella ricerca di una pace negoziata. Negli anni Novanta l’America sbagliò a negare gli aiuti a Mosca, la responsabilità fu di Bush padre e di Clinton»

Jeffrey Sachs, direttore dello Earth Institute della Columbia University, nominato nel 2021 da papa Francesco all’Accademia Pontificia, risponde con questa intervista all’articolo del 23 aprile in cui il Corriere si chiede se gli errori dell’Occidente nei rapporto con la Russia post-sovietica, che negli anni ‘90 ha vissuto una drammatica crisi economica, hanno contribuito ad aprire la strada al nazionalismo revanscista di Vladimir Putin. Sachs fu consigliere economico del Cremlino fra il 1990 e il 1993. 


Imporre sanzioni sempre più dure sulla Russia è la linea giusta? 

«Accanto alle sanzioni abbiamo bisogno di una via diplomatica. Negoziare la pace è possibile, sulla base dell’indipendenza dell’Ucraina e escludendo che aderisca alla Nato. Il grande errore degli americani è credere che la Nato sconfiggerà la Russia: tipica arroganza e miopia americana. È difficile capire cosa significhi "sconfiggere la Russia", dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio paese. I leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Sarebbe molto meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della "sconfitta" di Putin».