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giovedì 20 dicembre 2018

martedì 11 giugno 2019

Riflessioni profane (e stolte) su Marx - EDOARDA MASI

Da: Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova, "CONVERSAZIONI SU MARX". 
Edoarda Masi è stata una saggista e sinologa italiana, specializzata nella cultura della Cina e nella lingua cinese.
Leggi anche: Divagazioni intorno al 25° capitolo del I Libro del Capitale - Edoarda Masi 
                        Come usare il capitalismo nell'ottica del socialismo - Deng Xiaoping 
                        Questioni relative allo sviluppo e alla persistenza nel socialismo con caratteristiche cinesi - Xi Jinping 
                        Marx e Hegel. Contributi a una rilettura - Roberto Fineschi 

Nelle accese discussioni che nella Cina degli anni settanta contrapponevano le “due linee”, uno degli argomenti centrali nell’attacco alla “linea capitalistica” verteva sulla cosiddetta “teoria delle forze produttive” – cioè sulla teoria storicista-meccanicistica secondo cui all’evoluzione delle forze produttive (intese qui, in senso radicalmente deformato rispetto alla tradizione marxista se non alla vulgata del Soviet Marxism, come scienza e tecnologia applicate al processo produttivo) debbono adeguarsi i rapporti di produzione. Questo dibattito, come altri nella Cina di allora, non è mai stato preso sul serio in Europa, anche perché si presentava in forma ingenua e spesso teoricamente scorretta. In realtà non si faceva qui nessuno sforzo per comprendere su che cosa si dibattesse nella sostanza. Durava sotterraneo l’etnocentrismo, cieco sul fatto che quelle discussioni riguardavano l’avvenire economico-sociale-politico del paese destinato a divenire la seconda potenza mondiale. L’avvenire è stato, fino a questi giorni, la vittoria della cosiddetta “teoria delle forze produttive”: la vittoria del capitale.

Fra gli europei, molti marxisti inclusi, si è continuato a lungo, e si continua tuttora, a chiamare “rivoluzione industriale” l’introduzione di alcune importanti innovazioni tecniche nella produzione, che hanno favorito la nascita del capitalismo moderno. Scrivo “hanno favorito”; meglio avrei detto: “sono state utilizzate”; ma nella vulgata sono considerate ancora oggi una rivoluzione, cioè un fatto di per sé politicamente rilevante, e causa principale dell’evoluzione verso il capitalismo; le ulteriori innovazioni scientifico-tecniche-organizzative sarebbero poi causa principale delle evoluzioni successive del capitalismo; a fortiori, del passaggio al socialismo che avrà da scaturire dal seno del capitalismo. 

I cinesi oggetto di attacco negli anni settanta quali seguaci della “via capitalistica” erano in sostanza assai vicini a questi europei. E risultano assai vicini a Cavallaro e Fineschi [del quale ultimo non ho letto i testi, ma assumo l’interpretazione che ne fornisce Cavallaro sul Manifesto del 7 gennaio; e che appunto mi ha ricordato quell’importante episodio cinese (Hegel velato dall'occhio di Marx - Luigi Cavallaro)]. 

Che rapporto ha tutto ciò con la lettura del Capitale organizzata a Bergamo da Riccardo Bellofiore, e di cui questi appunti sono una ricaduta secondaria? 

sabato 9 agosto 2014

La questione di classe è una questione di genere - Giovanna Vertova

...il punto fondamentale è che quando si parla di attacco al mondo del lavoro e lo si vuol fare in un’ottica di genere non si può pensare solo al lavoro produttivo, ma bisogna guardare anche alla dimensione della riproduzione sociale della forza-lavoro. Questi due ambiti devono sempre essere considerati all’unisono. Solo così si potranno tenere in considerazione le condizioni delle lavoratrici. Purtroppo, anche nella sinistra radicale i due ambiti sono spesso considerati separatamente: da un lato c’è il mercato del lavoro, che subisce gli attacchi di cui sopra, dall’altro c’è il welfare, che è spesso considerato solo in termini di diritti (diritto alla salute, all’istruzione, alla pensione, etc.). Non è mai sufficientemente esplicitato il fatto che il welfare, le politiche fiscali e tutto quello che avviene nella sfera della riproduzione sociale della forza-lavoro hanno un impatto pesantissimo sulla possibilità per le lavoratrici di partecipare al mondo del lavoro. Fino a quando saranno sempre e solo le donne a dover conciliare tra il lavoro salariato e il lavoro domestico e di cura (e sarebbe anche il caso di mettere in discussione questo “modello” patriarcale), un welfare funzionante ed efficiente è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché le donne possano entrare nel mercato del lavoro e diventare economicamente indipendenti. Il welfare non può, quindi, essere considerato solo in termini di diritti ma anche come le necessarie infrastrutture sociali che permettono alle lavoratrici la via dell’indipendenza economica.
 
http://www.dialetticaefilosofia.it/public/pdf/58vertova.pdf

sabato 3 settembre 2016

Simone Weil* - Riccardo Bellofiore

*in "Nuvole", n. 2, dicembre 1991-gennaio 1992)(seguita da breve antologia, stesso numero) 


La democrazia, il potere della maggioranza, non sono un bene. Sono mezzi in vista del bene, stimati a torto o a ragione efficaci. Se la repubblica di Weimar, invece che Hitler, avesse deciso per le vie più rigorosamente parlamentari e legali di mettere gli ebrei nei campi di concentramento e di torturarli raffinatamente fino alla morte, le torture non avrebbero per questo un atomo di legittimità in più di quanto non ne abbiano attualmente. E una cosa simile non è affatto inconcepibile.
(Simone Weil, Diario, n. 6, p.4, 1943)


Scrive di lei Georges Bataille in L'azzurro del cielo: "Sentivo che una simile esistenza non poteva avere senso se non per uomini e per un mondo votato alla sventura." E ancora: "Pensai: è macabra, ma è l'unica che capisca." Eccessiva e irritante. Ma anche: un'intelligenza affilata come una lama, un'inesausta volontà di capire e trasformare. La sua inquietudine, e in certo senso anche la sua autodistruttività, si accompagnano a quella domanda tutt'ora inevasa che ci viene da un'esperienza al tempo stesso radicale e razionale. Di chi non ha rimosso, né si è acquietata, nell'impotenza e nella sconfitta. Di chi ha lottato con il cuore caldo e la mente lucida. Di chi ha saputo tenere alti, insieme, i valori dell'individuo e quelli di una liberazione collettiva. Di chi ha saputo, insomma, essere di parte senza mai essere di partito - fosse una qualche Internazionale, o una qualche Chiesa. 

Nasce a Parigi nel 1909, da una famiglia ebraica ma non confessante. Si dichiara bolscevica a dieci anni: ma il suo sarà sempre un comunismo libertario, con tratti anarchici. Allieva al liceo di Alain, si laurea con una tesi su Descartes, autore che non cesserà di amare. Insegnante, sindacalista rivoluzionaria, va in Germania nell'agosto del 1932, e vi vede l'impotenza del proletariato tedesco e del movimento rivoluzionario, la competizione tra le burocrazie socialdemocratica e comunista, la divisione e la cecità della sinistra che preparano la disfatta. Ne cerca le cause dapprima in una analisi non compiacente della crisi sociale ed economica, e poi in un ripensamento radicale del marxismo, della forma e dell'origine dello sfruttamento. Consegnerà le sue tesi ad uno scritto pubblicato postumo, quelle Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale (1934) a cui premette una frase di Spinoza: "Riguardo alle cose umane non ridere, non piangere, non indignarsi, ma capire." Un atteggiamento stoico che la avvicina a Rosa Luxemburg, cui dedicherà una recensione breve ed appassionata. 

domenica 7 ottobre 2018

Qual’è la tua idea di comunismo? Riccardo Bellofiore risponde …

Da: https://lestradedibabele.wordpress.com - Trascrizione dell’intervento audio di Riccardo Bellofiore nella trasmissione radiofonica “Le strade di Babele” nella sezione “Quale è la tua idea di comunismo?” che potete trovare qui: http://www.lestradedibabele.it/ - riccardo.bellofiore è docente di "Analisi Economica", "Economia Monetaria" e "International Monetary Economics" e "Dimensione Storica in Economia: le Teorie" presso il Dipartimento di Scienze Economiche "Hyman P. Minsky" dell'Università di Bergamo. (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova




La verità è che io non ho un’idea di comunismo e credo che a questo punto della storia non ce l’abbia veramente nessuno e questo da un certo punto di vista è una fortuna perché le idee di comunismo quando si sono realizzate hanno prodotto disastri e macerie. Posso dire qual’è lo scritto sul comunismo che più mi ha colpito, che più incrocia la mia sensibilità, ed è uno scritto breve di Franco Fortini,  ne esiste una versione più lunga, ma la versione più breve e più folgorante è quella che uscì credo su un settimanale satirico, deve essere stato Cuore.

L’idea di Fortini era che il comunismo è la lotta per il comunismo ed è non la soluzione delle contraddizioni, non una società pacificata, ma il vivere in una diversa contraddizione, una diversa contraddizione nella quale sia possibile agli esseri umani una scelta, una scelta a partire da uno sviluppo diciamo così, non condizionato dall’alienazione del proprio potere e delle proprie capacità.

È evidente che questa è una risposta da un certo punto di vista evasiva dall’altra affascinante, è una risposta che secondo me ha una sua forza e ha un limite: la forza è che ci dice che il problema del comunismo, essendo la lotta per il comunismo, è oggi per noi qui ed ora la lotta contro il capitalismo.

Io devo dire non ho molta simpatia per i ragionamenti sull’idea di comunismo perché sono ragionamenti idealistici, è come se si avesse una ricetta e la si volesse applicare alla realtà. Il problema è partire dalle contraddizioni che viviamo, dalle contraddizioni del capitalismo, allora qui di battaglie culturali in senso proprio ce ne sono molte da fare perché non è solo crollato il comunismo, sono crollati, anche in questo caso purtroppo, tutta una serie di riferimenti, come dire, della lotta per una società più vivibile, più decente, si è teso ad evadere il nodo del lavoro, quindi l’esperienza concreta dei lavoratori come nodo della contraddizione del rapporto di classe, del rapporto di potere in cui viviamo, collocandolo altrove.

giovedì 10 dicembre 2020

INTERVISTA A RICCARDO BELLOFIORE - Bollettino Culturale

 Da: https://bollettinoculturale.blogspot.com - Riccardo Bellofiore (https://www.riccardobellofiore.infoè docente di Economia politica all'Università di Bergamo dal 1977. Si interessa principalmente di teoria marxiana del valore e della crisi, di teoria monetaria "eretica" del Novecento, di filosofia dell'economia e delle tendenze del capitalismo contemporaneo. Con Giovanna Vertova cura la pagina Facebook "Economisti di classe"

Tra i suoi ultimi libri ricordiamo "Euro al capolinea? La vera natura della crisi europea"; "Le avventure della socializzazione. Dalla teoria monetaria del valore alla teoria macro-monetaria della produzione capitalistica"; "Smith Ricardo Marx Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica".


Parte 1

Parte 2

sabato 28 novembre 2015

L’Italia prima e dopo l’euro* - Augusto Graziani


LA MONETA AL GOVERNO 
Augusto Graziani , la rivista del manifesto, n. 30, luglio-agosto 2002 

Allorché si prospettava l’adozione dell’euro come moneta unica, gli esperti concordavano nel prevedere per la nuova valuta il destino di una valuta forte. Nel loro insieme, i paesi ammessi a far parte dell’Unione monetaria (undici, in seguito divenuti dodici) formavano un mercato finanziario maggiore di quello statunitense; per di più,alcune delle valute che venivano fuse nell’euro potevano vantare una tradizione consolidata di stabilità e solidità, mentre la struttura industriale che stava alle spalle della nuova moneta era fra le più avanzate del mondo. Tutte queste previsioni erano destinate a risultare fallaci. A partire dal 1° gennaio 1999 e fino ad oggi (giugno 2002) la moneta europea, nonostante la recente ripresa, si è svalutata di circa il 20 % rispetto al dollaro e di oltre il 10% rispetto allo yen giapponese (lo stesso yen si è svalutato del 10% sul dollaro).

Per l’Italia, l’adozione di una moneta comune, unita all’andamento declinante del corso dell’euro rispetto alle altre grandi valute mondiali, ha significato l’abbandono di quello che era stato in passato un carattere tipico della politica valutaria italiana. In anni precedenti, quando l’Italia poteva condurre una politica valutaria indipendente, le autorità monetarie (Banca d’Italia e Tesoro) avevano sempre tentato di realizzare una sorta di linea differenziata. Da un lato veniva perseguito, se non un lieve apprezzamento della lira, almeno un tasso di cambio stabile rispetto al dollaro; questa linea aveva lo scopo di evitare l’aumento dei prezzi in lire delle importazioni quotate in dollari (anzitutto il petrolio, ma anche macchinari ad alta tecnologia, brevetti, apparecchi elettronici). Dall’altro, veniva vista con favore una lieve svalutazione della lira rispetto al marco tedesco, in quanto poteva incoraggiare le esportazioni verso i mercati europei. 

mercoledì 9 gennaio 2019

Euro: dopo vent’anni, riforma cercasi disperatamente - Riccardo Bellofiore

Da: https://www.lindro.it - http://www.ilcorsaro.info - (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova
riccardo.bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo. 

Vedi anche: "IL VALORE D'USO CONOSCITIVO E POLITICO DEL CAPITALE DI MARX OGGI" - Riccardo Bellofiore


Lo scorso primo gennaio sono trascorsi vent’anni dall’introduzione dell’euro come valuta: un anniversario che arriva in un anno cruciale per l’Unione europea, con le elezioni del prossimo maggio, e impone un bilancio complessivo di un processo di integrazione monetaria europea, delle sue contraddizioni e del suo futuro possibile. Punto di arrivo di un tortuoso processo di integrazione dei mercati nel Continente e, secondo i suoi fautori, primo passo di una sempre maggiore integrazione politica, la moneta unica dell’Europa dopo la crisi dei debiti sovrani si pone oggi come problema primario per la tenuta e legittimità dell’intero progetto europeo e degli stessi Stati membri. Le ferite ancora parte della crisi e l’erosione di una solidarietà europea sotto la scure dell’austerità e dei vincoli fiscali legano sempre di più il destino dell’euro a quello delle democrazie e dei diritti sociali, rendendo urgente e necessario interrogarsi sulle promesse tradite della moneta unica e su quelle irrealizzabili. Quali sono state le ragioni che hanno portato all’introduzione della moneta unica? Quali i suoi limiti e le prospettive di una riforma dell’eurozona? Ne abbiamo parlato con Riccardo Bellofiore, Professore di Economia Politica all’Università di Bergamo. 
  
Intervista a Riccardo Bellofiore, professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo

 A vent’anni dall’adozione dell’euro come valuta, quale l’origine e le ragioni storiche dell’adozione dell’euro? 

lunedì 14 gennaio 2019

L’Italia prima e dopo l’euro. LA MONETA AL GOVERNO. - Augusto Graziani

Da la rivista del manifesto, n.30, luglio-agosto 2002. - Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova
Augusto_Graziani è stato un economista e politico italiano.
Leggi anche: Euro: dopo vent’anni, riforma cercasi disperatamente - Riccardo Bellofiore 
Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  M. Donato  

Allorché si prospettava l’adozione dell’euro come moneta unica, gli esperti concordavano nel prevedere per la nuova valuta il destino di una valuta forte. Nel loro insieme, i paesi ammessi a far parte dell’Unione monetaria (undici, in seguito divenuti dodici) formavano un mercato finanziario maggiore di quello statunitense; per di più, alcune delle valute che venivano fuse nell’euro potevano vantare una tradizione consolidata di stabilità e solidità, mentre la struttura industriale che stava alle spalle della nuova moneta era fra le più avanzate del mondo. Tutte queste previsioni erano destinate a risultare fallaci. A partire dal 1° gennaio 1999 e fino ad oggi (giugno 2002) la moneta europea, nonostante la recente ripresa, si è svalutata di circa il 20 % rispetto al dollaro e di oltre il 10% rispetto allo yen giapponese (lo stesso yen si è svalutato del 10% sul dollaro).

Per l’Italia, l’adozione di una moneta comune, unita all’andamento declinante del corso dell’euro rispetto alle altre grandi valute mondiali, ha significato l’abbandono di quello che era stato in passato un carattere tipico della politica valutaria italiana. In anni precedenti, quando l’Italia poteva condurre una politica valutaria indipendente, le autorità monetarie (Banca d’Italia e Tesoro) avevano sempre tentato di realizzare una sorta di linea differenziata. Da un lato veniva perseguito, se non un lieve apprezzamento della lira, almeno un tasso di cambio stabile rispetto al dollaro; questa linea aveva lo scopo di evitare l’aumento dei prezzi in lire delle importazioni quotate in dollari (anzitutto il petrolio, ma anche macchinari ad alta tecnologia, brevetti, apparecchi elettronici). Dall’altro, veniva vista con favore una lieve svalutazione della lira rispetto al marco tedesco, in quanto poteva incoraggiare le esportazioni verso i mercati europei.

domenica 15 settembre 2013

Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione "civilizzatrice" del capitale*. - Riccardo Bellofiore -

*Da:  https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova-148198901904582/?fref=ts


"Può forse essere il caso di notare che è nello stato di prosperità, quando la società sta procedendo verso nuove acquisizioni, piuttosto che quando essa ha acquisito tutta la sua ricchezza, che la condizione del povero che lavora, cioè della grande massa del popolo, sembra essere più felice e confortevole. Essa è dura nello stato stazionario, e miserevole in quello di decadenza. Lo stato di progresso è in realtà lo stato felice e sano di tutti i diversi ordini della società."(Adam Smith, Ricchezza , p. 81)
                                                                                        
"Supponiamo d'aver prodotto in quanto uomini: ciascuno di noi avrebbe, nella sua produzione, affermato doppiamente se stesso e l'altro. Io avrei 1) oggettivato, nella mia produzione, la mia individualità e la sua peculiarità, ed avrei quindi goduto, nel corso dell'attività, una manifestazione individuale della vita, così come, contemplando l'oggetto, avrei goduto della gioia individuale di sapere la mia personalità come oggettuale, sensibilmente visibile  e quindi come una potenza elevata al di sopra di ogni incertezza. 2) Nel tuo godimento o uso del mio prodotto io avrei immediatamente il godimento consistente nella consapevolezza di aver soddisfatto col mio lavoro un bisogno umano, e dunque d'aver oggettualizzato l'essenza umana ed aver quindi procurato un oggetto atto a soddisfare il bisogno di un altro essere umano. 3) D'essere stato per te l'intermediario fra te ed il genere, e dunque di venir inteso e sentito da te stesso come un'integrazione del tuo proprio essere e come una parte indispensabile di te stesso, di sapermi dunque confermato tanto nel tuo pensiero quanto nel tuo amore. 4) D'aver posto immediatamente nella mia individuale manifestazione di vita la tua manifestazione di vita, e dunque d'aver confermato  e realizzato immediatamente nella mia attività la mia vera essenza, la mia essenza comune ed umana."(Marx, Opere , vol. III, 1843-1844, Editori Riuniti, Roma, p. 247. Corsivi nel testo) 
        
"Compito della conoscenza è: non capitolare dinanzi alla realtà, che come una parete di pietra circonda gli uomini. E poiché la conoscenza rimette in vita i processi storici umani ormai spenti nei fatti compiuti, essa dimostra che la realtà è un prodotto degli uomini e perciò trasformabile: così il concetto più importante della conoscenza, la prassi, si rovescia nel concetto di azione politica"  
(Alfred Schmidt, Il concetto di natura in Marx , Laterza, Bari 1973, p. 189)




(pubblicato in due parti come: (a) Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione ‘civilizzatrice’ del capitale,  in “Teoria politica”, n. 2, 1991, pp. 69-96; (b) Cambiare la natura umana. Ancora su economia politica e filosofia della storia, “Teoria politica”, n. 3, 1991, pp. 63-98)

venerdì 22 luglio 2016

Critica della società e critica dell'economia. Domande e appunti su una assenza negli scritti sul "sessantotto", vent'anni dopo* - Riccardo Bellofiore

*scritto nel marzo 1989, e pubblicato nel 1990 in Il Sessantotto: l’evento, la storia (Annali della Fondazione Luigi Micheletti, vol. 4, a cura di Pier Paolo Poggio, Brescia, pp. 155-169)                 https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova-148198901904582/?fref=ts 

          "la lotta operaia è venuta assumendo caratteri tali per cui essa non è stata più né semplicemente redistributiva né semplicemente normativa, ma è diventata politica in un senso più stretto, in quanto cioè ha indebolito spesso profondamente, una delle condizioni necessarie alla realizzazione del rapporto capitalistico, ossia la subordinazione, la mancanza di autonomia, della classe operaia all'interno del processo produttivo [...] la crisi economica, e sociale, è dovuta essenzialmente a questa spinta operaia, nel senso che il processo accumulativo, già colpito dai successi ottenuti, al principio degli anni '60, sul terreno della distribuzione, è stato poi ancor più duramente colpito da quella conquista di autonomia operaia che ha fortemente limitato la possibilità di risposta del capitale in termini tradizionali, in termini cioè di aumento del grado di sfruttamento"  (Claudio Napoleoni)

"Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia". (da Lettera a una professoressa)


Un non protagonista  

Del "sessantotto" sono stato uno spettatore, e pure ha segnato in qualche misura quello che sono diventato. Ne sono stato uno spettatore, innanzitutto, per ragioni di spazio e di tempo. Tra la fine del sessantasette e l'estate del sessantotto - l'arco di tempo in cui il "sessantotto" più vero si sviluppa a Torino come a Trento, a Pisa come a Roma - ero difatti molto giovane, e vivevo altrove: del "sessantotto" mi giungeva un' eco un po' vaga, e ricordo che mi dava un certo fastidio, come di una moda tra le tante dei ruggenti anni sessanta. Ero piccolo, ma tremendamente moralista già allora.

sabato 6 febbraio 2021

H.G. Backhaus e la dialettica della forma di valore - Riccardo Bellofiore, Tommaso Redolfi Riva

Da: Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info -

Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo.

Tommaso Redolfi Riva ha studiato filosofia e storia del pensiero economico presso le università di Pisa e Firenze. Attualmente impegnato in una ricerca su marxismo ed economia politica in Italia negli anni Settanta, si occupa di temi afferenti al pensiero marxiano e alla teoria critica. Ha pubblicato saggi e articoli su riviste italiane e straniere. 


 1. L’opera di Backhaus rappresenta un indispensabile grimaldello per l’accesso ai temi fondamentali della critica dell’economia politica di Marx.Questo grimaldello può essere utilizzato efficacemente sia per comprendere il dibattito che ha caratterizzato la ricezione dell’opera di Marx a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, che per accedere direttamente ai problemi che caratterizzano l’esposizione marxiana e che rappresentano ancora oggi un terreno di vivace discussione tra gli studiosi.

La corrente interpretativa di cui Backhaus è l’iniziatore, ormai riconosciuta nella letteratura critica con il nome di «Neue Marx-Lektüre»1, ha trovato in Italia una diffusione quasi coeva alla pubblicazione delle opere in lingua originale, grazie alle tempestive traduzioni delle opere di Schmidt, Reichelt e Krahl. Questi autori avevano svolto il loro apprendistato teorico presso la Scuola di Francoforte e l’originalità dei loro lavori non risiedeva tanto nei temi trattati, in qualche modo già al centro della discussione nel dibattito marxista sia occidentale che orientale, quanto nella spregiudicatezza con cui questi temi erano trattati. Si cominciava a mettere in discussione, come sulla sponda francese aveva iniziato a fare la scuola di Althusser, la ricezione che il marxismo aveva sviluppato dell’opera di Marx nonché l’autocomprensione di Marx nei confronti della propria metodologia e delle proprie ascendenze rispetto alla filosofia hegeliana. Si cercava di ripensare la teoria del capitale al di fuori delle strette maglie che le interpretazioni economicistiche – soprattutto di matrice anglofona – l’avevano racchiusa, concentrate quasi esclusivamente sulla disputa relativa alla trasformazione. Non meraviglia di certo l’immediata traduzione, quando si pensa alla profondità teorica che in quegli anni caratterizzava il dibattito italiano su Marx: gli studi portati avanti dagli allievi di della Volpe e il dialogo che Luporini aveva intrapreso con Althusser mostravano la volontà di un ritorno a Marx che poteva attuarsi solo attraverso la messa in discussione della pesante tradizione ortodossa e storicista che caratterizzava il dibattito marxista. Ciò che invece può destare meraviglia è che tra le cose allora tradotte in italiano non apparisse alcun contributo di Backhaus, e che il fondamentale articolo La dialettica della forma di valore dovesse attendere il 1981 – quando ormai le mode accademiche avevano iniziato l’opportunistico e progressivo distacco da Marx – per vedere la luce sulle colonne della rivista militante Unità proletaria, grazie alla traduzione di Emilio Agazzi2. 

I temi sviluppati da Backhaus in questo primo contributo e negli altri che pubblichiamo di seguito, sono spesso catalogati col nome di analisi della forma di valore. In termini generali Backhaus intende mettere al centro del proprio discorso teorico la prima sezione del primo libro del Capitale e comprendere analiticamente il rapporto che si determina tra la trattazione della sostanza e della grandezza di valore, con la forma di valore e il carattere di feticcio delle merci. Per sviluppare questo percorso teorico l’autore tedesco si confronta, da un lato, con una sterminata letteratura secondaria che va dal marxismo ortodosso all’economia neoclassica e neoricardiana e, dall’altro, con la stratificazione delle diverse esposizioni marxiane della critica dell’economia politica. Lo stesso Backhaus rinviene l’inizio del suo sviluppo teorico nel ritrovamento di un esemplare del Capitale nell’edizione 1867. Questo ritrovamento gli permise di confrontare le differenti esposizioni marxiane del primo capitolo e metterle in relazione con i manoscritti marxiani del 1857-58 e con Per la critica dell’economia politica. Questo lavoro di comparazione gli consentì di comprendere storicamente il processo di costituzione della critica dell’economia politica, e nello stesso tempo di approfondire la comprensione della struttura logica della argomentazione marxiana che, nel corso delle diverse stesure sembrava essersi a tal punto nascosta da non rendere visibile, nella edizione del 1872, la specificità dialettica del suo procedere3.

La messa a tema del primo capitolo dell’edizione del 1867 permise a Backhaus di affrontare criticamente l’analisi della forma di valore, di comprenderne gli aspetti che rimandavano direttamente alla dialettica hegeliana e di strutturare il proprio progetto di ricostruzione della teoria marxiana del valore.

mercoledì 31 luglio 2013

Pensare il proprio tempo. Ateismo positivo e uscita dal capitalismo in Claudio Napoleoni e Franco Rodano. - Riccardo Bellofiore -

[pubblicato come Riccardo Bellofiore: Pensare il proprio tempo. Il dilemma della laicità in Claudio Napoleoni e Franco Rodano (in Per un nuovo dizionario della politica, Ed. Riuniti, Roma 1992, a cura di L. Capuccelli]                                                                                                                                                                                                         https://www.facebook.com/pages/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova/148198901904582?fref=ts                                                                                                                                 
                                                                                                                                                                               1. Introduzione
Nelle pagine che seguono si riandrà ad un episodio intellettuale tra i più significativi del secondo dopoguerra italiano. Si tratta di quel singolare confronto con il pensiero marxiano e con il pensiero cristiano che caratterizza la riflessione, prima solidale e poi separata, di Franco Rodano e Claudio Napoleoni. I due autori volevano andar oltre la mera ripresa o la pura critica dell'uno e dell'altro filone verso una sintesi che costituisse un loro effettivo "superamento": mantenendo però, in modo scientificamente rigoroso e filosoficamente fondato, l'istanza rivoluzionaria di Marx, ovvero il progetto di uscita dal capitalismo, ormai giunto alla fase dell'opulenza.

Ci resta di questa esperienza la prima serie della Rivista Trimestrale, dove i due pensatori forgiarono assieme le loro tesi in un modo così stretto da rendere disagevole il districare il contributo dell'uno e dell'altro. L'esperienza cessò nel 1971, in conseguenza di un ripensamento da parte di Napoleoni: ripensamento che egli stesso definì una vera e propria "autocritica", centrata su un mutato giudizio su Marx rispetto alla critica condotta dalla Trimestrale. Per molto tempo, e a parere di molti, si poté avere l'impressione che la storia finisse qui, con Rodano che proseguiva da solo un filo di riflessione che prima era stato comune, e con Napoleoni occupato dallo sviluppo di un diverso modo di ragionare. Non era così. Napoleoni non cessò mai di condurre un serrato confronto, critico ma non negativo, nei confronti tanto di Rodano come del seguito della riflessione della Trimestrale, che aveva intanto ripreso le pubblicazioni come Quaderni; al punto che Napoleoni divenne negli anni ottanta non soltanto interlocutore privilegiato ma anche collaboratore della nuova serie della Rivista Trimestrale. Di più, gli ultimi mesi della sua vita furono occupati da una ripresa dell'intero filo del pensiero di Rodano, in particolare nel suo aspetto di critica della teologia.

giovedì 4 marzo 2021

La lezione di De Cecco - Riccardo Bellofiore

 Da: https://sbilanciamoci.info - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info)

Leggi anche: 

Un economista ‘inattuale’: Augusto Graziani, o dell’economia critica come vera conoscenza. - Riccardo Bellofiore

L’economista in tuta da lavoro: Federico Caffè e il capitalismo in crisi - Riccardo Bellofiore

IL PROFETA DELLA CRISI. TRIBUTO A HYMAN MINSKY - intervento di Riccardo Bellofiore - 5 dicembre 2011

Pensare il proprio tempo. Ateismo positivo e uscita dal capitalismo in Claudio Napoleoni e Franco Rodano. - Riccardo Bellofiore -

Federico Caffè e l’«intelligente pragmatismo». (in appendice “Intervista a Federico Caffè” di «Sinistra 77») - Fernando Vianello

Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la teoria marxiana del valore - CLAUDIO NAPOLEONI - (Testo a cura di Riccardo Bellofiore)

Tra Schumpeter e Keynes: l’eterodossia di Paul Marlor Sweezy e l'ortodossia di Paul Mattick - Riccardo Bellofiore 

Quale attualità di Claudio Napoleoni: il contributo di Politica Economica

H.G. Backhaus e la dialettica della forma di valore - Riccardo Bellofiore, Tommaso Redolfi Riva

La socializzazione degli investimenti: contro e oltre Keynes - Riccardo Bellofiore -

La Grande Recessione e la Terza Crisi della Teoria Economica - Riccardo Bellofiore e Joseph Halevi -

Tra Schumpeter e Keynes: l’eterodossia di Paul Marlor Sweezy e l'ortodossia di Paul Mattick - Riccardo Bellofiore

Vedi anche: ECONOMIA PER I CITTADINI - RICCARDO BELLOFIORE

Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore

Augusto Graziani e la Teoria Monetaria della Produzione*- Giorgio Gattei 



“La lezione di un conservatore illuminato”

Un ricordo di Marcello de Cecco, economista sempre stato attento a non separare mai i suoi studi sul potere e sull’economia da un impegno civile e, in fondo, patriottico.


La notorietà internazionale venne a Marcello de Cecco dai suoi studi sul sistema monetario internazionale. Il libro più celebre è Moneta e impero. Il sistema finanziario internazionale dal 1890 al 1914 (Einaudi, Torino 1979). Il volume era in realtà già comparso in una prima versione dall’editore Laterza, nel 1971, con il titolo Economia e finanza internazionale dal 1890 al 1914. La ricerca risaliva al 1968, ed era stata stimolata dalla svalutazione della sterlina dell’anno precedente, come anche dalla impressione che l’autore sempre più nutriva che il sistema di Bretton Woods, fondato su ‘cambi fissi ma aggiustabili’, fosse sulla via del collasso. Grazie alla partecipazione ad un progetto di Robert Mundell sulle crisi per la National Science Foundation statunitense de Cecco potè studiare, a Chicago e a Londra, la presunta età dell’oro del gold standard, ma anche la sua interna e crescente fragilità. In un articolo del 1973 comparso, ancora in italiano, nella Rivista internazionale di storia della banca, de Cecco proseguì il discorso commentando la crisi bancaria del 1914, ed impiegando materiali che allora non erano ancora stati resi noti, in particolare le Crisis Conferences tenute da Lloyd George in occasione della crisi del luglio 1914, trascritte dalla moglie Julia Bamford (professoressa di lingua inglese all’Orientale di Napoli). Questo saggio divenne l’ultimo capitolo di una versione ampliata in lingua inglese: Money and Empire. The International Gold Standard, 1890-1914, pubblicata da Basil Blackwell nel 1974. Il volume fu riedito dieci anni dopo da Frances Pinter, con il titolo invertito (The International Gold Standard. Money and Empire), una nuova prefazione e la correzione di una serie di errori segnalati dai recensori della prima edizione.

L’argomentazione di de Cecco era originale e in contrasto con le interpretazioni allora consuete.

martedì 17 novembre 2020

Crisi capitalistica, socializzazione degli investimenti e lotta all’impoverimento - Riccardo Bellofiore, Laura Pennacchi

 Da: Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova - https://sinistrainrete.info - Introduzione all’edizione italiana di Ending Poverty. Jobs not Welfare. In: Hyman P. Minsky, Combattere la povertà. Lavoro non assistenza, traduz. di Anna Maria Variato, Ediesse, Roma, 2014.

Laura Pennacchi è un'economista e politica italiana. - Riccardo Bellofiore, Università di Bergamo, Professore ordinario di Economia politica. -

Leggi anche: IL PROFETA DELLA CRISI. TRIBUTO A HYMAN MINSKY - intervento di Riccardo Bellofiore - 

Fine di un’epoca - Vladimiro Giacché

CATASTROFE O RIVOLUZIONE - Emiliano Brancaccio 


Il pensiero di Hyman P. Minsky è tornato d’attualità con l’approssimarsi e poi lo scoppio della crisi finanziaria dell’estate del 2007, la cosiddetta crisi dei subprime, sin dai primi mesi di quell’anno [1]. Era già capitato almeno un paio di volte nel decennio precedente: Paul McCulley di PIMCO aveva evocato un Minsky moment a proposito della crisi russa del 1998 e George Magnus di UBS aveva ripreso il termine nella prima metà del 2007. I più attenti erano stati i bloggisti e gli analisti finanziari. La crisi era giunta come una sorpresa per i più. In realtà, essa covava da tempo, e le sue ragioni tutto avrebbero dovuto apparire meno che misteriose.


La Grande Recessione

La sequenza degli avvenimenti è stata classica. Lo sgonfiamento della bolla immobiliare nel 2005 ha generato, prima, la crisi del mercato dei subprime, con annessi e connessi: fallimento di hedge fund, blocco di leveraged buy out, crisi di banche di investimento. Poi sono venuti i segnali di illiquidità e di stretta creditizia, che hanno fatto temere che l’illiquidità si mutasse in insolvenza. Il castello delle relazioni di debito-credito è andato in fibrillazione, le banche hanno cessato di farsi credito l’un l’altra e la preferenza per la liquidità e per i titoli di Stato si è innalzata drasticamente, così come il premio per il rischio. Il bisogno di un intervento delle banche centrali quali prestatori di ultima istanza è divenuto parossistico, e la spinta ad una riduzione dei tassi di interesse irresistibile. Una successione nota, ma che ha visto stavolta qualche novità nei protagonisti, gli strumenti finanziari che hanno costruito il castello della speculazione.

Questa volta, la crisi dei debitori ultimi, famiglie povere con lavori precari, ha avuto come anello di trasmissione il fatto che le proprietà pignorate perdevano di valore ormai da un po’ e sono iniziate le esplosioni nel campo minato della nuova finanza. Ormai anche l’uomo della strada sa cosa siano i «derivati», le «condotte», i titoli «cartolarizzati» appoggiati sulle ipoteche, le obbligazioni del debito «collateralizzate». Ciò che doveva rendere trasparente il mercato e minore il rischio ha fatto invece collassare le relazioni tra operatori per l’opacità dell’informazione, per la corruzione delle agenzie di rating, per l’impossibilità di sfuggire all’azzardo morale.

Come è noto, quella crisi si è poi sviluppata, almeno a partire dalla metà del 2008, in una Grande Recessione globale che si è estesa, con caratteristiche proprie, al vecchio continente europeo. Una «grande crisi» capitalistica paragonabile soltanto a quel Grande Crollo degli anni Trenta del Novecento (di cui aveva scritto magistralmente John Kenneth Galbraith) e che ha fatto impallidire il ricordo della Grande Stagflazione degli anni Settanta. Da quella crisi non siamo in realtà ancora usciti. Non a torto Paul Krugman e Brad DeLong sostengono che saremmo entrati in una Depressione Minore. Qualcosa che a nostro avviso male si farebbe a ridurre ai problemi, pur gravi e reali, di una distribuzione del reddito squilibrata a danno del lavoro o di semplice insufficienza di domanda aggregata.