lunedì 20 maggio 2024

Domenico Losurdo, Un mondo senza guerre: l’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente.

Da: https://www.dialetticaefilosofia.it - RECENSIONE COLLETTIVA  A CURA DI: Premessa/Capitolo 1/editing (William Cimino); Capitolo 2 (Enrico Luceri); Capitolo 3 (Caterina Rainò); Capitolo 4 (Agnese Biasco); Capitolo (Alberto Corvaglia); Capitolo 6 (Andrea Basile); Capitolo 7 (Francesca Gianfreda); Capitolo 8 (Sara Rovito); Capitolo 9 (Elisa Corvaglia); Capitolo 10 (Maria Chiara Ciullo); Capitolo 11 (Erika Borgia); Capitolo 12 e conclusione (Selene Ferilli). CLASSE 5° A Liceo Classico Casarano (LE) Rita Levi Montalcini. 


Domenico Losurdo, Un mondo senza guerre: l’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci, Roma 2016


PREMESSA Il sogno che si è presentato più volte nella nostra storia è quello di un mondo non più afflitto dal flagello delle guerre. In esso ci hanno creduto grandi intellettuali (Kant, Fichte, Constant, Marx) ed importanti uomini di stato (Washington, Robespierre, Wilson). Domenico Losurdo nell’indagare la storia dell’ideale di PAX PERPETUA distingue nel suo libro cinque momenti nei quali l’umanità intera si è illusa che la pace potesse realizzarsi. 

Il primo momento si apre nel 1789 con le promesse della Rivoluzione francese (in base alle quali il rovesciamento dell’Antico regime avrebbe posto fine non solo alle tradizionali guerre dinastiche e di gabinetto, ma al flagello della guerra in quanto tale), e termina con le incessanti guerre di conquista dell’età napoleonica. 

Il secondo momento si verifica quando la Santa Alleanza tenta di impadronirsi della bandiera della pace perpetua, al fine di legittimare le guerre da essa intraprese contro i paesi colpevoli di mettere in crisi la Restaurazione e l’ordine consacrato dal Congresso di Vienna. 

Il terzo momento vede lo sviluppo del commercio mondiale e della società industriale moderna andare di pari passo con l’illusione (espressa in modo classico da Benjamin Constant), in base alla quale la nuova realtà economica e sociale avrebbe comportato la scomparsa dello spirito di conquista mediante la guerra. 

Il quarto momento, inaugurato dalla rivoluzione bolscevica russa dell’ottobre 1917, scoppiata sull’onda della lotta contro la guerra, individua nel capitalismo-colonialismo-imperialismo il sistema da abbattere, al fine di spianare la strada alla realizzazione della pace perpetua, e si conclude con i conflitti sanguinosi e con le vere e proprie guerre che lacerano lo stesso «campo socialista». 

Infine il quinto momento inizia con l’intervento degli U.S.A. nella Prima guerra mondiale, deciso da Wilson in nome della pax definitiva e conosce il suo culmine con la vittoria dell’Occidente e del suo paese guida nella Guerra fredda (gli Stati Uniti appunto). 

Dunque cinque grandi momenti o fasi della storia dell’ideale di pax perpetua finiti non nel modo sperato. Losurdo si domanda se tutti e cinque sono completamente fallimentari. Rendendosi conto di no, inizia a fare una distinzione tra le cinque epoche, riportando il bilancio solamente alla fine dell’opera. Solo due aspetti sono anticipati. Nel primo Losurdo ci mostra che chi ha un ideale di un possibile mondo senza guerre farebbe bene a ricredersi subito, anche perché non esiste soltanto lo scontro bellico tra gli stati ma è possibile anche uno scontro di ideali, i quali non sono qualcosa di platonico, poiché hanno un supporto di massa alle spalle. Molto più inquietante è invece, secondo Losurdo, il secondo aspetto. L’autore sostiene che non è detto che chi sostiene la guerra sia in realtà un vero guerrafondaio e così anche chi sostiene la pace non vuol dire la voglia veramente, anzi è possibile che quest’ultimo sia più guerrafondaio di chi sostiene la guerra e potrebbe trarci in inganno. Per Losurdo pace e guerra dal punto di vista politico sono intercambiabili. 

CAPITOLO 1 Kant, la rivoluzione francese e la «pace perpetua» 

Nel primo capitolo Losurdo ci mostra come l’ideale di un mondo liberato dalla guerra non abbia radici molto lontane dai nostri tempi. Si può dire che esso data dalle lotte che anticipano e accompagnano la Rivoluzione Francese. In essa abbiamo un nuovo ideale di pace che abbraccia tutto il genere umano, per di più, da un aspirazione vaga, si passava ad un progetto politico che non rinviava più la sua realizzazione ad un futuro indeterminato ed utopico, ma intendeva affrontare in tempi ravvicinati il problema della trasformazione radicale dei rapporti politico-sociali esistenti, in modo da eliminare una volta per sempre le radici della guerra, individuate nell’Ancien Regime nel suo complesso, e l’unico modo per avere l’unione cosmopolita tra i diversi paesi e popoli era affidato alle rivoluzioni. La rivoluzione antifeudale e antiassolutistica, qui individuata come il vero antidoto della guerra scoppiava di lì a pochi anni. Da ciò non solo in Francia, ma anche al di fuori si diffondeva la speranza per cui l’abbattimento dell’Ancien Regime avrebbe finito con lo sradicare una volta per tutte il flagello della guerra. La nuova Costituzione dichiarava: «La nazione francese rinuncia ad intraprendere alcuna guerra al fine di fare conquista e non impiegherà mai la forza contro la libertà di alcun popolo». Se questo impegno si fosse generalizzato, si sarebbe distrutta la fonte di ogni guerra. Risulta dunque evidente la novità della prospettiva e della visione emerse a cavallo del rovesciamento dell’Ancien Regime in Francia. Sarebbe vano, aggiunge Losurdo, ricercarle in un periodo precedente a tale svolta epocale. Esse sono assenti anche in un autore quale Erasmo Da Rotterdam, la cui opera è pure attraversata da un appassionato appello alla pace. Leggendo il suo testo più significativo a tale proposito (“Il Lamento della Pace”) non tardiamo ad accorgerci che la condanna della guerra è pronunciata con lo sguardo rivolto soprattutto alla Res Publica Christiana, ovvero l’Europa considerata come unica e vera sede di civiltà superiore a tutte le altre ove solamente potrà realizzarsi l’ideale di pace universale. 

Losurdo poi ci presenta la figura dell’abate Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre, e del suo progetto mirante a sradicare la guerra una volta per sempre. Il suo progetto prevede una sorta di unione europea organizzata per risolvere le controversie internazionali, assicurare regole e garantire la pace. I sovrani e le repubbliche aderenti si impegnano a cedere una porzione della loro sovranità a beneficio della forza dell’Unione per reprimere le rivolte. Una sorta di mutua garanzia per garantire la stabilità del potere assolutistico. 

Il progetto dell’abate nonostante le sue idee molto vicine al potere assolutistico fu una di quelle opere che diede spunto all’opera “Per la pace perpetua” di Immanuel Kant, le cui idee Losurdo sostiene appieno. Kant presenta la sua opera come un ipotetico trattato di pace che dovrebbe impedire il verificarsi di qualsiasi altro conflitto futuro in tutto il mondo. Kant non spera che gli uomini possano diventare più buoni,ma ritiene possibile costruire un ordinamento giuridico tale da abolire la guerra ovunque. Kant prese ispirazione dalla pace di Basilea (5aprile 1795) con la quale la Francia rivoluzionaria stringeva un accordo segreto con la Prussia. La differenza ideologica tra i due stati rendeva chiaro che si trattasse di una tregua più che di una vera e propria pace. Kant pensò di scrivere l’opera politica affinché le sue idee potessero trasformare una tregua tra stati con regimi politici opposti in una pace più ampia e duratura. 

Quindi è solo con il grandioso progetto kantiano che la Pace Perpetua può essere assunta come orientamento normativo dell’umanità. Ed è solo in questo momento che avviene un deciso salto di qualità rispetto sia al pacifismo erasmiano che a quello dell’abate di Saint-Pierre, entrambi circoscritti all’orizzonte europeo della Pax Christiana. 

CAPITOLO 2 Fichte la pace e l’esportazione della rivoluzione 

Nel secondo capitolo Losurdo analizza l’idea di “Pace perpetua” sposata da un filosofo quale ad esempio il giovane Fichte. Egli identifica come principale ostacolo alla realizzazione di tale “pace” il dispotismo monarchico. Il filosofo ricorda che credere alla “pace perpetua” soltanto come un “sogno “ sia l’errore più grave che si possa commettere, specialmente dopo ciò che era avvenuto in Francia con la Rivoluzione del 1789. Un altro pensatore, citato da Losurdo, che abbraccia l’idea di Fichte, è Cloots per il quale la guerra è il peggiore dei mali e affonda le sue radici nell’Antico regime. Scorrendo nell’analisi del capitolo si può notare come per Fichte il sogno di “pace perpetua” sia fortemente compromesso dopo il colpo di Stato del 18 Brumaio (9 Novembre) 1799 avvenuto in Francia. Nonostante ciò però Fichte non cessa di credere nel proprio ideale e nel 1800 con la pubblicazione di ”Stato commerciale chiuso” offre una nuova chiave di lettura per l’ottenimento della pace. Secondo lui affinché due o più nazioni possano vivere in pace non devono prescindere dal rispetto comune e dall’uguaglianza, infatti nell’opera si mette in evidenza come soltanto l'identificazione dei confini reali con quelli geografici possa rendere stabile e duratura la pace tra le parti in causa. Il capitolo si conclude con l’affermazione di altre due cause che portarono la Francia in guerra, ovvero i processi storici di colonialismo e capitalismo appartenenti allora soprattutto alla Gran Bretagna. Per questo Fichte, ormai amareggiato, ci fa capire che se i problemi dell’Antico regime sono superati, la nascita di un nuovo sistema colonialista-imperialista, mina fortemente le speranze di una “Pace” stabile e duratura in Europa. 

CAPITOLO 3 Pax Napoleonica e guerre di liberazione Nazionale 

Losurdo nel terzo capitolo prosegue il discorso su Fichte spiegando perché quest'ultimo consideri il principale nemico della Pace il sistema capitalista-colonialista-imperialista e non più l'Antico Regime e l'Assolutismo monarchico. Questo avvenne poiché nei primi anni dell’Ottocento sembrava che tutti dovessero piegarsi sotto la Potenza militare e politica francese, e si iniziava a pensare così ad un Europa unificata sotto la guida del governo di Parigi. Questa politica espansionistica di Napoleone ricevette l'appoggio di molti filosofi che vedevano in lui un conquistatore che aveva come scopo la realizzazione di uno Stato Universale,dove tutte le contese interstatali sarebbero state appianare in modo da assicurare la Pace Perpetua. Tra gli oppositori di questa concezione vi era Fichte, il quale inizialmente aveva difeso la Rivoluzione Francese dalle accuse, e sviluppò poi una filosofia nazionalista. Fichte ripensa nei Lineamenti del tempo presente un modo per mettere fine alle guerre in corso in Europa, dato che non si può più credere che la Francia con le sue guerre voglia ottenere la Pace Perpetua. Per Fichte non c'è un paese che possa rappresentare il valore della Pace Perpetua poiché è a causa della cultura unilaterale dei diversi paesi se ogni stato riterrà la sua come la cultura più giusta e vorrà sottomettere gli altri popoli,che riterrà incivili. E’, secondo Fichte, il cristianesimo ad aver aperto una nuova epoca nella storia della libertà poiché ha reso l'uguaglianza il principio che deve regolare il rapporto tra gli uomini. Nei Lineamenti il discorso sulla pace e la guerra è fondato sulla contrapposizione tra gli Stati Cristiani e Territori Incivili poiché l'unica a poter esportare la rivoluzione è l'Europa civilizzata al cui interno non vivono comunità allo stato di natura e, nonostante sia divisa in vari stati, costituisce un'unità nei confronti della barbarie. Fichte arriva addirittura a giustificare sia il commercio diseguale che la schiavitù, visti come uno strumento per la diffusione della civiltà. Infatti quando si esprime contro la politica di Napoleone, affermando il diritto di ogni stato all'indipendenza, pensa solo all'Europa, condanna la sua politica solo per il fatto di scatenarsi contro i paesi europei facenti parte del regno civile. A questo punto Fichte non ha ancora abbandonato l'ideale della Pace Perpetua e decide di rivedere la storia sulla base di alcune riflessioni di Machiavelli. Per prima cosa bisogna smettere di credere ai nobili ideali che vengono usati per legittimare le guerre espansionistiche e interrogarsi sulle motivazioni a cui fanno ricorso gli Stati per definire i loro obiettivi e poi è necessario distinguere tra rapporti interstatali e rapporti interindividuali. Cosa che invece non era accaduta poiché nel 1800 la Missione dell'uomo aveva chiarito le modalità con cui poteva essere assicurata la Pace affermando che anche se dovesse scoppiare una guerra questa potrebbe essere risolta facilmente poiché, dato che si può giungere ad una contesa solo tramite il singolo cittadino di uno Stato con quello di un altro, basterà indennizzare sul posto il cittadino offeso per indennizzare anche lo Stato. Losurdo continua a parlare dell’ultimo Fichte pesantemente criticato dalla storia, poiché caduto nelle contraddizioni che accompagnano le sollevazioni antinapoleoniche, giudizio considerato profondamente sbagliato da Losurdo, che afferma di poter parlare di naufragio solo nel primo periodo della sua filosofia, poiché giunge alla questione nazionale solo con la battaglia di Jena, quando pronuncia il Discorso alla nazione tedesca, dove emerge il suo universalismo che coincide con la lotta conto il colonialismo e l'imperialismo. Viene anche accusato di sciovinismo poiché incita la Germania alla sollevazione contro l'occupazione francese, ma in realtà Fichte vuole solo evitare che con un'analisi critica della politica francese si possa giustificare l'operato di quest'ultima, avendo infatti invitato sempre a rispettare le caratteristiche degli altri popoli. Viene poi messo in evidenza da Losurdo come la riforma rivoluzionaria che più colpì Fichte messa in atto dalla Prussia per rendere possibile la liberazione nazionale, sia la milizia territoriale, poiché sperava di far prendere coscienza al popolo dei suoi reali diritti, in modo da avviare una guerra di popolo. Losurdo conclude chiarendo che nonostante questo Fichte continua a sperare nella pace perpetua, avendo ridimensionato il suo ideale poiché ha capito che nessuna conquista potrà placare l'espansionismo. 

CAPITOLO 4 La pace perpetua dalla rivoluzione alla Santa Alleanza 

Losurdo riprende ancora una volta la sua attenta analisi della Rivoluzione Francese e il suo ruolo centrale ai fini dell’indagine promossa nel corso del libro sull’effettiva realizzazione dell’ideale della pace perpetua, considerando questa volta il fenomeno dal punto di vista del filosofo idealista tedesco G. W. F. Hegel. Innanzitutto egli, pur non negando il grande impatto, positivo e negativo, che questa rivoluzione ha avuto nel corso della storia moderna, si propone di guardare al fenomeno con un approccio più analitico, realistico, in altre parole machiavellico, mettendo in luce soprattutto la vera logica rivoluzionaria, di stampo meramente borghese, legato cioè agli interessi generali circoscritti alla sola nazione francese. La logica borghese di accumulazione della ricchezza e di guadagno diviene ancor più evidente nel programma espansionistico perseguito da Napoleone Bonaparte, che si riproponeva di esportare quella stessa rivoluzione borghese, non di certo per spirito di solidarietà nei confronti di nazioni come la Germania, che agognavano ancora una simile svolta politica e sociale. Tuttavia si può comunque parlare di pax napoleonica all’interno dell’impero messo in atto da Bonaparte, ossia di una situazione di stabilità e di concordia formale. All’esterno, era invece ormai risaputa la rivalità tra la Francia imperiale e la Gran Bretagna, potenza economica e commerciale che dominava la scena europea. Paradossalmente, le due nazioni in rivalità e in lotta erano anche quelle più moderne e sviluppate del continente, ragion per cui è fuorviante definire la guerra come prodotto dell’arretratezza economica e politica [da La costituzione della Germania, 1799], ma anzi uno strumento del popolo, che ora ha acquisito coscienza del proprio ruolo sociale e politico. Hegel giunge inoltre a criticare la stessa pace e l’esasperato intento universalistico, utilizzati anche in epoca napoleonica come giustificazione dell’uso della forza e della violenza nella politica delle annessioni territoriali, nonché della conseguente soppressione delle individualità e delle singole particolarità presenti all’interno non solo dei popoli assoggettati, ma anche in quello francese stesso. Per il filosofo questa logica, oltre ad essere fondata sull’ipocrisia e sull’ostentazione di una tolleranza in realtà assai fragile e contraddittoria, sfocia nel suo esatto opposto. Diventa pertanto inammissibile per Hegel l’idea stessa di guerra di sterminio, intesa come l’imposizione violenta di un singolo modello di civiltà che va ad annientare i particolarismi e a mettere a repentaglio l’esistenza stessa di un popolo. Neppure la politica promossa dalla Santa Alleanza del 1815, stipulata tra Austria, Prussia e Russia e sostenuta da pensatori romantici che, come Novalis, si promettevano di ritornare al periodo prerivoluzionario, ad un’Europa unita sotto il segno della Cristianità, sfugge alla polemica hegeliana, ma risulta anzi ancor più subdola, in quanto ricerca la giustificazione a tutti gli atti di violenza in un’entità superiore, Dio. A questo punto, scartate la Rivoluzione Francese e la Santa Alleanza dal ruolo di garanti della pace, Hegel non può proporre la rinuncia all’ideale di pace perpetua, in quanto contraddittorio, e dunque la rivendicazione delle proprie libertà ed individualità, perché anche questo percorso risulta fuorviante e non fa altro che abbandonare i singoli stati al proprio stato di natura. Semplicemente, suggerisce di non distogliere l’attenzione dal fine ultimo della pace, ossia l’eliminazione, o perlomeno la limitazione delle guerre, innanzitutto promuovendo lo spirito assoluto degli Stati, ossia quella sorta di background ideologico e culturale che non deve essere assolutamente presentato come motivo di guerra, ma come spirito oggettivo, proprio del mondo politico, che può sì portare ad uno scontro bellico, ma che, a seconda delle circostanze, si può anche rivelare positivo e necessario. 

CAPITOLO 5 Commercio, industria e pace? 

Nel quinto capitolo Losurdo parla della grande illusione della “pace perpetua” rafforzata anche dalla pace dei cento anni, periodo che va dalla sconfitta di Napoleone (1814) allo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914). A sostegno di un progetto di pace perpetua Losurdo espone punti di vista di alcuni dei più importanti personaggi dell’epoca. Il primo punto di vista che l’autore osserva è quello di George Washington, presidente dell’ “impero neonato” degli Stati Uniti, che considerava la pace perpetua e il mondo coloniale due aspetti estranei tra loro, inoltre considerava i nativi americani “bestie selvagge della foresta” che andavano civilizzati. Secondo Benjamin Constant lo sviluppo dei traffici e del commercio stavano rendendo obsoleti i tentavi di arricchirsi mediante la violenza e la guerra. Come per Washington anche per Constant l’istituto della schiavitù e le guerre coloniali non erano in contraddizione con la pace perpetua. Infatti quando Constant parlava di pace si riferiva esclusivamente all’Europa. La pace dei cento anni fu caratterizzata anche da un grande sviluppo industriale e commerciale, ciò rafforzava l’idea che questa epoca di commercio potesse essere anche l’epoca della pace. Auguste Comte sosteneva che la società industriale avesse soppiantato la società militare, e che lo spirito industriale avesse preso il posto dello spirito militare. Un altro fattore che indebolì lo spirito militare fu il processo che oggi definiremmo globalizzazione, infatti l’aumento di attività commerciale andava di pari passo con il rinvigorimento dei vincoli generati fra le nazioni, così facendo le ostilità trovavano maggiore resistenza. Ma tuttavia l’onestà intellettuale di Comte gli imponevano di prendere atto di un fenomeno che non favoriva il progetto di pace perpetua: l’espansionismo coloniale e le guerre a esso connesse. L’inquietudine si manifestava con maggiore forza in Spencer. Egli già nel 1840 protestava contro l’ideale secondo cui i più forti hanno un “diritto legittimo a tutti i territori che possono conquistare”. In quello stato di preparativi militari Spencer affermava che un incidente avrebbe potuto accendere guerre che sarebbero durate anni. Un altro punto di vista è quello di John Stuart Mill che guardava la Gran Bretagna come un modello di civilizzazione e di “pace universale” e non considerava le guerre coloniali nel progetto di pace perpetua. Questi onori riservati all’ Impero britannico erano dovuti al fatto che esso era l’esempio più compiuto di società industriale, dove lo spirito militare era largamente dileguato. Cecil Rhodes riteneva che bisognasse conferire una tale estensione e una tale forza all’impero britannico da rendere impossibili le guerre; acquisire tanta potenza da divenire inattaccabile e quindi da scoraggiare in anticipo le sfide dei rivali e da garantire l’ordine e la pace. Piuttosto che un’utopia da realizzare, la pace perpetua sembrava un’utopia già realizzata. Ma questa utopia finirà per essere un indiretta legittimazione delle violenze e delle guerre che continuavano a infuriare contro i popoli coloniali. 

CAPITOLO 6 Come mettere fine alla guerra: Lenin e Wilson. 

L’ideale della pace perpetua affermatosi con la Rivoluzione Francese e con l’abbattimento dell’Assolutismo monarchico terrà occupati intellettuali e politologi del tempo e successivi. L’illusione di essere sulla via della pace perpetua pensata in termini universalistici verrà sconfessata da Marx ed Engels che compresero che il fenomeno della guerra era legato anche e soprattutto al colonialismo, all’imperialismo, allo schiavismo e al capitalismo (gli Stati Uniti non venivano dall’esperienza dell’ Ancien Regime). La guerra, dice Marx, è figlia del Capitalismo e della lotta tra le classi sociali che diventa lotta fra le nazioni. “Il Capitalismo porta in sé la guerra come la nube la tempesta”, sostiene Jean Jaurès del Partito Comunista Francese. Più o meno sulla stessa linea molti altri intellettuali. In questo contesto politico-ideologico occorre capire qual è il mezzo per avere un mondo senza guerre. La “formula eccellente” (Lenin) è ispirare un movimento di massa, “lotta per la pace” (Marx), “guerra alla guerra” (Liebknecht). L’ideale della pace perpetua tornerà attuale con la rivoluzione bolscevica. L’Internazionale Comunista promuoverà la lotta per porre fine alla guerra e al sistema sociale nel quale essa affonda le sue radici (non più i “baroni feudali” di Rousseau ma i capitalisti). 

CAPITOLO 7 1789 E 1917: due rivoluzioni a confronto 

Nel settimo capitolo del libro emerge l’ammirazione di Losurdo nei confronti della Rivoluzione Francese (1789) e d’Ottobre (1917). Partendo dal tema dell’anticolonialismo scaturito durante le rivoluzioni, ovviato dall’assente interesse economico dei borghesi per lo schiavismo, Losurdo si sofferma su determinate conseguenze dei due processi (opponendosi alla Arendt, che in On Revolution considera la rivoluzione francese un pieno fallimento): la rivoluzione degli schiavi ad Haiti e la rivoluzione anticoloniale mondiale. Un’ulteriore conferma del tentativo pratico di pace perpetua è l’applicazione del principio di limpidità kantiano (Lautarkeit) da parte di Lenin e Trozkij nel 1917, che rendono pubblici tutti i patti segreti stipulati con l’Intesa, affinché il popolo possa scegliere quando uscire dal conflitto mondiale, mettendo in luce il carattere illusorio di un pacifismo universale che avrebbe implicato la perdita di identità nazionale dei singoli stati. Grazie al parallelismo tra le due rivoluzioni Losurdo sottolinea che in entrambe è possibile individuare una dicotomia ideologica: l’ esportazione della rivoluzione sostenuta da Cloots e Trotzkij, di contro, la decisione di Robespierre e Stalin di non esportarla, poiché “nessuno stato amante della pace può sopportare forme di governo che incoraggiano e promuovono la guerra” (Fichte, Missione dell’uomo). Ma qual è il motivo di fondo che porta Robespierre e, analogamente, dopo più di cent’anni Stalin a rifiutare il compimento di questa << missione imperiale>> ? L’autore propone l’antinapoleonismo, sostenuto da Lenin, il quale, riprendendo Hegel, ritiene che l’universale debba essere in grado di abbracciare anche il particolare. Infatti, gli stati, come individui, all’interno di uno scacchiere internazionale, potrebbero in qualsiasi istante decidere di rivendicare la loro autonomia. E proprio per questo lo stesso Lenin, Stalin ed Engels mettono in guardia i rivoluzionari che l’esportazione della rivoluzione, percepita dagli altri paesi come un fastidio e non essendo legittimata, avrebbe potuto causare delle guerre difensive. Entrambi gli entusiasmi di massa del 1789 e del 1917 si concludono in modo fallimentare: nel primo caso con la guerra di liberazione nazionale contro la Francia napoleonica, nel secondo con la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1990-91), che erigendosi a guida indiscussa della pace universale, dimostra incapacità nel gestire il campo socialista. Alla luce di ciò risulta più opportuno credere nel chiliasmo filosofico proposto da Kant (La religione entro i limiti della semplice ragione, 1793 ) che prevede la realizzazione di una pace perpetua sotto forma di repubblica internazionale (Weltrepublik), e che assicuri a tutti gli uomini della terra l’uguaglianza, oppure considerare gli stati, da un punto di vista tipicamente hegeliano, in un campo di relazioni eternamente “hobbesiane”? 

CAPITOLO 8 Wilson e il passaggio dalla Pax Britannica alla Pax Americana 

Nell’Ottavo capitolo Losurdo analizza l’operato del presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson subito dopo la prima guerra mondiale, con l’inizio della cosiddetta pax americana e della sua battaglia ideologica, basata sulla convinzione che la democrazia sia l’unico mezzo disponibile per la realizzazione della pace universale, contro Lenin e il suo partito, che sostenevano che la pace perpetua fosse realizzabile solo con l’abbattimento del capitalismo. Una battaglia ideologica che si protrasse fino alla fine della guerra fredda, con lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la vittoria incontrastata degli USA. Una vittoria che ampliamente sostenuta dai più grandi pensatori dell’epoca, con l’ideologia Wilson che si diffuse a macchia d'olio in tutta Europa, Italia compresa, che da paese occidentale con la più forte componente comunista vide un passaggio di massa al partito di Wilson. Questi sostennero Wilson a spada tratta, in nome della realizzazione di una sorta di repubblica universale, un’utopia concretamente realizzata dove la pace sarebbe stata garantita da pacifici accordi tra nazioni democratiche. Eppure, come Losurdo vuol far notare, queste teorie a favore dell’ideale di DEMOCRAZIA=PACE erano quasi sempre superficiali e persino contraddittorie, e spesso furono un mero espediente per giustificare le azioni non propriamente “pacifiche” degli Stati Uniti guidati da Wilson, dapprima in nome della dottrina Monroe, in seguito per i progetti di abbattimento di tutti i nemici su scala mondiale. Losurdo quindi critica lo sciovinismo degli USA, la legittimazione di sanguinose guerre coloniali (come l’invasione di Granada sotto la presidenza di Reagan) e soprattutto il diffuso razzismo e la White Supremacy, che portò alla schiavitù dei neri e l’annientamento dei nativi americani: tutti fenomeni che negli anni a venire avrebbero contribuito alla formazione dell’ideologia nazista. 

CAPITOLO 9 Lo “sceriffo internazionale” e la pace 

L’inizio di questo capitolo è impostato in modo molto simile alla prima parte della prefazione, dove Losurdo introduce il discorso partendo dal crollo del muro di Berlino nel novembre del 1989, visto come l’evento della storia contemporanea che ripropone il sogno di un Nuovo ordine mondiale, che va verso la direzione che Kant delinea in Per la pace perpetua. Ma è veramente così? L’autore propone un confronto tra questo nuovo ideale, portato avanti prima dall’Inghilterra e poi nel mondo contemporaneo dagli Stati Uniti (siamo infatti nella quinta ed ultima sezione del libro, in cui questa è la nazione protagonista), e la realtà dei fatti, che come vedremo si dimostra incoerente con quelli che sono gli ideali del “mondo senza guerre” che si vuole raggiungere (parla infatti di guerre del Golfo e dell’invasione di Panama nel dicembre dell’ ’89) . Se da un lato viene presentata la realtà, la controparte viene invece delineata dalle parole di storici, politici, filosofi, o intellettuali, che nel corso del capitolo propongono la loro posizione riguardo l’operato degli Stati Uniti (il nuovo“sceriffo internazionale”), giustificandolo e spesso tacendone alcuni aspetti. 

Il primo di questi personaggi è il presidente americano George H. W. Bush (1989 – 1993), che il 29 gennaio 1991 (solo 12 giorni dopo aver mandato le sue truppe in Iraq, dove era in corso la Prima guerra del Golfo) parlava già di un “nuovo secolo americano” in cui la nazione di cui era a capo era protagonista indiscussa, perché da sempre paladina della libertà e della democrazia. Questo discorso dai toni imperiali si ritroverà poi perfettamente nelle teorie di Popper, Kagan, Kristol e Donnelly, i personaggi che poi più avanti presenta l’autore come alcuni tra quelli che si ergono a giustificazione e difesa degli Stati Uniti e del loro Nuovo ordine mondiale. Questi daranno infatti un nome e delineeranno le caratteristiche del comportamento della nazione americana, facendo risaltare però solo gli aspetti a loro favore, per costruirne una difesa. Il progetto statunitense prende infatti prima il nome di “rivoluzione neoconservatrice” con Popper, e con Kagan di “Internazionalismo liberale”, configurandosi quasi come un dovere, una responsabilità che il fato ha posto sulle spalle dello sceriffo internazionale, che deve assicurare che il Nuovo ordine mondiale venga rispettato così come la sovranità nazionale, senza che paesi in cui è stato instaurato un regime dispotico (una grande minaccia per la pace mondiale secondo questi teorici) creino scompiglio. Devono dunque necessariamente portare nel mondo il liberalismo e la democrazia, intervenendo in situazioni critiche senza dover tener conto dell’ONU, che invece, secondo i patti a cui si era giunti dopo la Seconda guerra mondiale, era l’Organismo che doveva garantire la sicurezza a livello internazionale, intervenendo quando necessario. Allora Losurdo lascia emergere il primo elemento contraddittorio delle teorie di Kagan, Popper ecc., perché gli Stati Uniti, che si pongono come garanti della sovranità nazionale, sono i primi a non rispettarla e a prevaricare le altre nazioni (viene così smentito il “primato morale” americano di cui parlano Kagan, Krsitol e Donnelly). 

Come infatti spiega nell’ultima parte, il violare gli accordi da parte degli Stati Uniti con i membri degli Organismi internazionali (NATO, ONU, Società delle nazioni ecc), è un atteggiamento che deriva da un etnocentrismo esaltato della nazione, che annulla il principio base che permette l’associazione di più elementi, cioè la completa uguaglianza tra questi. Come infatti dicono John Wesley, Victor Schoelcher e George M. Fredrickson non bisogna dimenticare il trattamento che gli Stati Uniti riservarono ai neri e agli amerindi, al fine di mantenere la “purezza della razza” nel Sud dell’ America e quindi proprio per questo non meno crudele della persecuzione contro gli ebrei portata avanti dal regime nazista. Losurdo dunque conclude dicendo, sulla base proprio delle parole di questi ultimi tre personaggi, che, contrariamente a quanto affermato dal progetto statunitense, non c’è più spazio per il concetto di Pace perpetua di Kant, ma solo per l’esatto contrario, cioè quella che lui chiama “monarchia universale”. 

CAPITOLO 10 Democrazia universale e “pace definitiva”? 

Losurdo, nel capitolo X del suo libro, pone l'attenzione sul tema della guerra e della democrazia e su quanto abbiano influenzato i rapporti tra gli Stati in età moderna. Guerra che però ha portato ad alleanze tra gli Stati che, per loro natura, sono in contrapposizione (ad esempio la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, si ricorda la Guerra d’Indipendenza). L’idea dello Stato mondiale appare come una fantasticheria priva di appoggi nella realtà, ma non per questo ha perso di valore il “teorema di Wilson”. L’autore cita diverse interpretazioni date alla guerra, come quella di Ernst Junger che ricorda con tenerezza la sua esperienza al fronte in un periodo in cui ha perso per sempre la sensazione di tranquillità e sicurezza. L’idea della democrazia è stata poi ripresa nel corso della storia da vari personaggi che hanno fatto la storia stessa, come Benito Mussolini che considerava la democrazia “la più sublime delle stupidità umane” e, secondo lui, la guerra non poteva essere condotta con democrazia perché il successo di qualcuno porta comunque al prevaricare su qualcun altro. Una prima conclusione è data dal fatto che si può identificare la causa della democrazia con la causa della pace perpetua a condizione di escludere le guerre coloniali, e cioè proprio le guerre che si distinguono per la loro ferocia. Con le interpretazioni odierne, il teorema di Wilson finisce con l’assolvere le democrazie o meglio quelle che si autoproclamano democrazie, anche nei loro comportamenti più ripugnanti; di conseguenza si verifica un rovesciamento di posizioni rispetto a Kant. Il filosofo tedesco credeva che ricorrere a guerre coloniali e imperiali costituiva la dimostrazione che un paese, nonostante le sue apparenze costituzionali, non era realmente democratico; al contrario, secondo il teorema di Wilson, dire che un paese è democratico significa legittimare le sue guerre. In conclusione, a rendere più difficile lo sviluppo della democrazia sono proprio coloro che dicono di volerla promuovere e il teorema di Wilson è visto come una vera e propria ideologia della guerra che continua a godere di largo credito e ciò non promette nulla di buono. 

CAPITOLO 11 Una nuova grande guerra in nome della democrazia? 

Questo capitolo è suddiviso in otto sottocapitoli e in ognuno di questi vengono proposte delle diverse riflessioni. Nel primo si parla della figura dello sceriffo internazionale che col suo atteggiamento ha scatenato altre guerre e fatto bruciare le illusioni del 1999. Delle diverse forme di guerra, ne vengono individuate tre: quella economica, quella politica e quella di aggressione. Si parla anche dell’embargo considerato altresì una vera e propria forma di guerra. Nel secondo si parla degli Stati Uniti, del Giappone, dell’Iran e del pericolo che si possa scatenare una guerra su larga scala. Continuando si prova a dare un perché alle crescenti tensioni tra i paesi che sono stati analizzati nel sottocapitolo precedente e per fare ciò Losurdo ci riporta gli avvertimenti che Allison fonda sulla “Trappola di Tucidide” e anche qui troviamo l’esempio di paesi come India, Russia, Polonia, Germania, Francia, Giappone e Cina. Losurdo, per far capire meglio le contraddizioni e le tensioni che potrebbero provocare una guerra su larga scala, riporta la formula di Clausewitz secondo cui la guerra è “ la continuazione della politica con altri mezzi” e ci guida nella lettura e nella comprensione giusta di questa formula. Poi nel quinto si analizzano i conflitti del presente secondo il criterio di Clausewitz giungendo a paragonare gli Stati Uniti all’antico Impero Romano. Si parla di vassalli e di barbari quali sono Russia e Cina. Il sottocapitolo è dedicato esclusivamente al rapporto tra la Cina e gli Stati Uniti. Nel settimo sottocapitolo si discute di cosa dovrebbe fare l’Impero per ridurre alla ragione i barbari cioè Russia e Cina. Secondo Alexander J.Molt non è poi così difficile, basterebbe un tumulto, un assassinio, un colpo di stato o anche una guerra civile, insomma servirebbe uno choc relativamente modesto e tutto sarebbe risolto. O ancora, si potrebbe procedere con il sabotaggio delle installazioni petrolifere cinesi o collocare mine marine che colpirebbero le navi cinesi o sabotare i cavi sottomarini connessi con la Cina. Il tutto però senza apparire apertamente come aggressori. L’ultimo sottocapitolo offre un presagio alquanto terrificante per il XXI secolo e cioè quello della guerra nucleare. Infatti, se gli Stati Uniti dovessero mai pensare alle armi nucleari anche la Russia risponderebbe con le medesime armi e sarebbe una catastrofe. Losurdo termina il capitolo affermando che la più grande versione del sogno della “pace definitiva” si è rovesciata o rischia di rovesciarsi nel’incubo di un olocausto nucleare. 

CAPITOLO 12 Come lottare oggi per un mondo senza guerre 

Nel corso dei secoli vi sono stati numerosi simboli della pace (persone, popoli, ecc.) che poi ad un’analisi più approfondita hanno lasciato il campo ad un giudizio più complesso e pieno di contraddizioni. E’ il caso per esempio del Mahatma Gandhi, simbolo dell’indipendenza dell’India e immagine della non violenza: pochi sanno per esempio che fu lo stesso Gandhi a reclutare più di 500.000 indiani nell’esercito inglese durante la seconda guerra mondiale. Altro caso è quello della donna che incarnerebbe il rifiuto della cultura della morte in conseguenza del suo ruolo nella riproduzione della vita: al contrario oggi possiamo notare una presenza crescente delle donne nelle forze armate e talvolta persino nei corpi di élite ed anche in ruoli di comando. La ricerca di simboli della pace è andata di pari passo con la ricerca di come prevenire le guerre. A questo punto occorre fare una netta distinzione tra chi pensa che per contenere il pericolo delle guerre occorra limitare il potere dei singoli stati e chi invece invoca la concentrazione del potere in un singolo stato o gruppi di stati (quasi sempre l’occidente ed il suo paese guida l’USA). La recente esperienza ci insegna che obiettivo dell’Occidente è stato spesso quello di imporre con forza la democrazia o quantomeno la propria accezione di democrazia. Il risultato è stato che l’utopia della pace definitiva da imporre diffondendo la democrazia, grazie al potere assoluto esercitato dall’occidente si è rovesciato nel suo contrario, in una distopia. Ad aiutarci a raggiungere la pace può non essere nemmeno la c.d. “società civile” la quale può essere interessata a fare le guerre pur di sviluppare la sua ricchezza. Il presidente degli Stati Uniti d’America Eisenhower nel discorso alla nazione del 17 gennaio 1961 metteva in guardia dal pericolo che la pace faceva correre al “complesso militare - industriale “ statunitense. Ed ecco perché spesso la causa della pace risulta strettamente connessa con la lotta contro il capitalismoimperialismo. 

CONCLUSIONE 

Rivolgendo il nostro sguardo alla storia dell’umanità, la ricerca della “pace perpetua” non è stata né una marcia trionfale né il succedersi di fallimenti uno dopo l’altro. Certamente nel corso degli anni ci sono stati progetti che hanno fatto avanzare la causa dell’uguaglianza tra i popoli e progetti, di tipo colonialista e imperialista, che hanno ostacolato la ricerca della pace. All’interno di un’accurata ricerca storica possiamo focalizzare la nostra ricerca su 5 diversi progetti: 

1. La rivoluzione francese; 

2. La rivoluzione d’ottobre; 

3. La santa alleanza; 

4. Lo sviluppo commerciale e industriale (espansionismo coloniale); 

5. La diffusione della democrazia su scala planetaria (rivoluzione neoconservatrice). 

Nei primi due progetti l’idea della pace perpetua e il pathos universalistico sono strettamente connessi ed hanno, conseguentemente, messo in discussione il dominio coloniale e la schiavitù. Al contrario, gli altri tre progetti hanno in comune la negazione del principio di universalità. Ed è proprio l’affermarsi del principio di universalità, a parer di Marx ed Hegel, ad aver scandito il progresso storico . 

Venendo ai nostri giorni possiamo tranquillamente affermare che oggi l’universalismo, e quindi la ricerca della pace perpetua, è messo in crisi dalla pretesa dell’Occidente e del suo paese guida (gli USA) di avere il diritto esclusivo di scatenare guerre anche senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, insomma dalla pretesa di attribuirsi una c.d. “sovranità dilatata”: si è venuto a istituire un rapporto di netta diseguaglianza tra le nazioni, e di nuovo siamo ritornati agli antipodi dell’universalismo. 

In conclusione la storia dell’umanità è scandita dalla progressiva costruzione dell’universalità e dell’unità del genere umano, ed è in questo contesto che correttamente possiamo inserire la genesi, lo sviluppo storico, le avventure e le disavventure nonché le prospettive dell’ideale della pace perpetua. 

CONSIDERAZIONI e RIFLESSIONI 

In Un mondo senza guerre Losurdo presenta l'ideale di pace perpetua kantiano declinato in senso universalistico. L'autore fornisce un'accurata analisi storica, arricchita di passi storiografici, soffermandosi su 5 eventi in particolare, dalla rivoluzione francese fino al secondo conflitto mondiale e oltre. Eventi in cui, analogamente, i rivoluzionari si son sentiti "investiti di questa missione internazionale". Losurdo ripercorre le tappe servendosi di analogie, differenze e parallelismi tra gli eventi stessi, nonché del punto di vista critico di coloro che hanno vissuto in prima persona le rivoluzioni. Ciò che però ci sembra del tutto assente all'interno del libro è la dimostrazione del fallimento (parziale) della missione universalistica della pace perpetua da un punto di vista economico, che al contrario, a nostro avviso, potrebbe spiegare con maggior forza le contraddizioni insite in questo concetto chiave di stampo kantiano. 


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