sabato 25 maggio 2024

Osservazioni in calce a dibattiti recenti su "eurocentrismo", "occidente globale", "giardini e giungle" - Roberto Fineschi

Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - Roberto Fineschi è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. (https://www.facebook.com - Laboratorio Critico


Osservazioni in calce a dibattiti recenti su eurocentrismo, "occidente globale", "giardini e giungle" (riprendendo alcuni passaggi da un articolo su
Orientamenti politici e materialismo storico). 

Eurocentrismo? Anticapitalismo? 

1.
Nel gran parlare che si fa sul cosiddetto eurocentrismo regna a mio parere una discreta confusione nelle definizioni. In particolare quando, poi, si riferisce la questione a Marx.
Se con tale termine si intende considerare la storia del mondo universo in funzione delle prospettive ed esigenze europee, va da sé che si tratta di un pregiudizio da estirpare. Se però si entra più nel dettaglio, la questione diventa molto più scivolosa e in certi casi decisamente reazionaria. 

La storia del mondo è diventata eurocentrica con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, nel senso che esso ha imposto dominio, regole, forme di sviluppo a una dinamica che prima aveva più elementi indipendenti non uniti a sistema se non per contatti marginali, mentre il capitalismo è diventata la variabile dominante che ha funzionalizzato a sé l’intero mondo. In questo senso eurocentrismo non è un mero pregiudizio intellettuale, è un processo reale di dominio e sfruttamento legato al modo di produzione capitalistico. 

Tuttavia, il modo di produzione capitalistico è stato sin dall’inizio un processo contraddittorio che ha prodotto allo stesso tempo contenuti potenzialmente positivi pervertiti in forma reazionaria per la sua stessa interna dialettica. Quindi, insieme allo sfruttamento, produce anche la libertà potenziale che include produttività del lavoro, sapere razionale e scientifico, dignità universale dell’essere umano, ecc. Essere contro questi aspetti non è semplicemente insensato, è reazionario. 

Ora, nel generico anti-eurocentrismo (e lo stesso nel generico anti-capitalismo) questo fondamentale distinguo tra contenuto materiale e forma sociale spesso non viene fatto e quindi si finisce per voler gettare il bambino con l’acqua sporca, ovvero non solo gli aspetti perversi della forma capitalistica, ma anche le potenzialità emancipative che il suo contenuto rende possibili. Si ricade, in breve, nel rozzo anticapitalismo romantico che pervade tante posizioni anche a sinistra in cui si invoca o il primitivismo, o un “altro” che non abbia niente a che fare con il capitalismo tout court (come se mai potesse esistere). 

Lo stesso genericismo si applica a diversi discorsi su Marx che non sarebbe eurocentrico. Dipende da che cosa si intende. Se si intende per es. che la cultura nata con l’illuminismo e fiorita con l’idealismo tedesco, ecc. è superiore alle altre culture esistite al momento nella geografia e nella storia umana (c’è quindi una scala di merito e di giudizio), non c’è alcun dubbio sull’eurocentrismo di Marx (in quanto favorevole a emancipazione e progresso). Se si intende che il mondo debba essere piegato alla valorizzazione del capitale occidentale, certo Marx non era eurocentrico. Se non si specifica che cosa si intende si fa un gran pasticcio sia con Marx che con la realtà. 

2. Questo è fondamentale nella prassi politica e nella sua interpretazione. Per es. valorizzare l’universalismo occidentale e le istituzioni rappresentative - che includono per es. la parità di diritti uomo-donna, le elezioni e le libertà borghesi in genere - in maniera strumentale per imporre in realtà il capitalismo, o meglio ancora il controllo imperiale è evidentemente un uso ideologico del progressismo illuminista che, ovviamente, non ha niente a che vedere con l’effettiva generalizzazione di quei diritti, ma viene semplicemente usato come scusa per imporre in maniera violenta la dipendenza da quel sistema economico che in occidente quei diritti ha prodotto; oppure il razzismo a livello locale facendo leva sulla “inciviltà” dei migranti. 

Qui però bisogna stare molto attenti a non far scattare il cortocircuito per cui non ci si oppone all’uso strumentale di quei valori, ma ai valori stessi. Ci si trova quindi a difendere comportamenti sociali tradizionalisti, in certi casi barbarici, che mai sarebbero tollerati qui in Europa se praticati da europei, in quanto immediatamente identificati con le forze più reazionarie; essi sarebbero tuttavia da accettare se compiuti da non europei perché considerati propri di altre culture. 

Guardando al concreto senza farsi abbagliare dalle fraseologie astratte, purtroppo i begli ideali della “tolleranza”, una volta che si arriva a confrontarsi su scelte precise, non possono che lasciare il posto a decisioni autoescludentesi, come per es. essere favorevoli o meno ai pari diritti fra uomini e donne. Come si è lottato in passato per la fine del patriarcato maschilista di matrice cattolica e si è considerato un successo il suo (parziale ahimè) superamento, non si capisce perché si dovrebbe accettare ad es. quello di matrice islamica o di qualunque altra matrice. L’eguaglianza di diritti tra uomo e donne è un principio che nasce contraddittoriamente in seno al capitalismo con l’illuminismo, come la dignità universale dell’essere umano. Vogliamo essere contro? Nazisti e fascisti ci hanno già provato, ma non so se sono prospettive auspicabili. 

Insomma, questo tipo di multiculturalismo astratto rischia di diventare il cavallo di Troia di un regresso culturale che si accetta perché, di nuovo, lo si ritiene anticapitalista in quanto contrario allo “occidente imperialista”; si mescola nello stesso calderone - e quindi si fraintende - la giusta lotta contro lo sfruttamento capitalistico e quella assurda contro la cultura progressista che lo stesso capitalismo, contraddittoriamente, ha prodotto. Esso finisce per fare il paio con l’identitarismo locale che, di fronte alle tradizioni altrui, difende spada alla mano le proprie. Questo comune atteggiamento anti-universalista porta acqua al fascismo. 

3. Quello menzionato è uno dei tanti temi propri del multiculturalismo astratto, del relativismo assoluto di valori e via dicendo; questo atteggiamento, presentandosi apparentemente come progressista, o “di sinistra”, diventa in realtà un’ideologia reazionaria tutte le volte che *esclude a priori* la possibilità di cambiare tradizioni e orientamenti una volta che si portino buone e ragionevoli argomentazioni per farlo. Se, insomma, il multiculturalismo, che di per sé è ovviamente una cosa positiva, diventa la scusa per non cambiare in virtù della semplice appartenenza a una certa tradizione di un certo comportamento, perché “intrinsecamente” legato a un certo contesto culturale e storico, si cade nell’identitarismo a prescindere, che è di nuovo l’anticamera del fascismo. 

Le varie “identità” infatti, se si ritengono legittimate a pretendere di non cambiare in virtù di se stesse, non possono dialogare per trovare alcuna sintesi e il prevalere dell’una o dell’altra viene delegato, in ultima istanza, alla forza. In antitesi a ciò, contro il “relativismo etico” si genera consenso alla promozione della “nostra” tradizione che non avrebbe altra legittimità se non quella di essere storicamente vincente da questa parte del mondo. Il tentativo di far prevalere questa tradizione contro lo “attacco straniero” ovviamente è legittimato meramente in virtù della sua esistenza qui per molto tempo, non su argomentazioni razionali o convincimenti dimostrativi. È insomma l’imposizione di una di queste posizioni tradizionali in forza della sua, per adesso, posizione di dominio. Va da sé che il contenuto di questa tradizione “nostrana” rifiuta, guarda caso, l’universalismo razionalista e si rivolge in realtà a una “nostra” tradizione che è quella pre-borghese, vale a dire indirizzata contro gli aspetti sovrastrutturali progressisti del modo di produzione capitalistico, ma non contro il capitalismo stesso. È, di nuovo, il retroterra del fascismo. 

4. Per concludere, metafore di lotta come “occidente globale”, oppure il “giardino”, ecc. rischiano di prestare involontariamente il fianco proprio a questo sbagliatissimo modo di pensare. Spostando la contraddizione su di una dinamica interno/esterno c’è il rischio da una parte che si occulti il carattere della contraddizione anche all’interno dell’occidente e del giardino stessi; dall’altra, di conseguenza, di considerare questo “occidente” e questo “giardino” come un monolite coeso e individuarlo come il soggetto contro cui si deve lottare, mentre all’interno di esso ci sono non solo le suddette contraddizioni ma anche potenzialità trasformative positive cui non ha senso rinunciare. Insomma, c’è il rischio di farsi egemonizzare inconsapevolmente dall’ideologia del capitale. 

Il soggetto della devastazione mondiale non è l’occidente né il giardino, ma la dinamica di riproduzione in forma capitalistica; l’obiettivo è la trasformazione di quel sistema di riproduzione sociale e l’avversario di classe è chi gestisce quel processo e chi si oppone al suo cambiamento. 



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