La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
mercoledì 11 settembre 2019
Ultimo discorso di Salvador Allende (1908-1973)
Questo ultimo discorso del Presidente Allende dal Palazzo della Moneda fu trasmesso da Radio Magallanes alle 9:10 del mattino dell'11 Settembre 1973. Poco dopo, l'emittente fu distrutta dai golpisti.
Amici miei,
Sicuramente questa sarà l'ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi. La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Portales e Radio Corporación.
Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno.
Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l'ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell'Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri. Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò! Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.
E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.
La storia è nostra e la fanno i popoli.
Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.
In questo momento conclusivo, l'ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l'imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i suoi profitti e i suoi privilegi.
Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.
Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all'allegria e allo spirito di lotta.
Mi rivolgo all'uomo del Cile, all'operaio, al contadino, all'intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l'obbligo di procedere. Erano d'accordo. La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi.
Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.
Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.
Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.
lunedì 9 settembre 2019
"Leopardi legge Kant" - Massimiliano Biscuso
Da: AccademiaIISF - Massimiliano Biscuso insegna Filosofia della medicina presso la facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma.
domenica 8 settembre 2019
L'arte di essere depressi - Yassemine Zitouni
Da: https://www.gazzettafilosofica.net - Della stessa autrice: La
potente e misera pubblicità - La
scuola della distruzione
In una società nichilista e secolarizzata come quella odierna, che non costituisce altro che la continuità di quella ottocentesca e novecentesca – nell’accezione in cui viene meno il tradizionale assetto veritativo, giungendo alla mancanza di valori e ad un qualcosa di trascendentale, ovverosia indipendente dalla realtà stessa –, ecco che il punto di riferimento di ogni analisi e indagine speculativa non diviene altro che l’uomo in se medesimo.
Già ai suoi tempi, Fichte, con grande lucidità e lungimiranza, scrisse: «[Questa è] l’età dell’assoluta indifferenza verso ogni verità e dell’assoluta sfrenatezza senza un concorde filo conduttore.» (J.G. Fichte, I tratti fondamentali dell’epoca moderna presente).
Da quando Nietzsche rese noto al mondo la morte di Dio – che già Immanuel Kant aveva espresso, seppur in modo implicito, con la negazione delle sue prove esistenziali –, avvenne una definitiva rottura col passato e trapelò il relativismo. La tirannia di questo ultimo si fa riconoscere nella depressione, nella quale è possibile notare la realizzazione di quella contraddizione coltivata e divenuta sempre più radicata nel corso dei secoli.
La definizione canonica di depressione solitamente è “disturbo psichico”, “deviazione del tono dell’umore in senso malinconico”: definizioni evidentemente vaghe, che potrebbero addirsi ad un coacervo di “malattie mentali”, dalla nevrosi alla paranoia, dall’angoscia alla schizofrenia. Eppure, perché mai questo termine possiede questa sorta di prerogativa? A questo interrogativo risponde Alain Ehrenberg, ne La fatica di essere se stessi. Depressione e società:
« La depressione si assicura il successo nel momento in cui il modello disciplinare di gestione dei comportamenti, ossia le regole d’autorità e di conformità ai divieti che finora hanno orientato la storia delle classi sociali così come quella dei due sessi, devono far posto a norme che stimolano ciascuno all’iniziativa individuale, sollecitandolo a diventare se stesso. Conseguenza di questa nuova normatività la intera responsabilità delle nostre vite si colloca non solo in ciascuno di noi, ma anche nello spazio collettivo: la depressione si presenta come una malattia della responsabilità in cui domina il sentimento di insufficienza. »
sabato 7 settembre 2019
Inefficienze e difetti dell’economia sovietica - Alexander Höbel
Da: https://www.academia.edu/612485/Il_crollo_dell_Unione_Sovietica._Fattori_di_crisi_e_interpretazioni -
Alexander Hobel è Dottore di ricerca in Storia, collabora con la Fondazione Gramsci e l’Università di Napoli Federico II. E' direttore di https://www.marxismo-oggi.it
Leggi anche: EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur
L’attenzione degli studiosi peraltro si è focalizzata sul funzionamento interno del sistema pianificato, nel quale – a partire dagli anni ’60 – emergono sempre di più frammentazione e forze centrifughe, interessi settoriali e aziendali: insomma il “dipartimentalismo” e i “localismi”. Di fatto, esistevano “conflittualità tra organi e incompatibilità tra obiettivi e strumenti di piano”: i “ministeri della produzione”, intermediari tra i settori produttivi e l’organo di pianificazione (Gosplan), agivano come “gruppi di interesse”, inducendo il Gosplan ad “apportare correzioni, cioè tagli alle forniture richieste”; queste infatti erano sempre in eccesso rispetto alle esigenze di imprese e settori produttivi, che le gonfiavano in modo da premunirsi da “irregolarità delle consegne, strozzature e tagli delle forniture”. Dunque le informazioni dal basso verso l’alto, essenziali per una corretta pianificazione, erano falsate, oltre che “imprecise, saltuarie e insufficienti”; gli organismi pianificatori, che conoscevano queste tendenze, a loro volta imponevano piani di produzione eccessivi rispetto a risorse e capacità produttive denunciate; e questo induceva i ministeri a sviluppare una rete di forniture parallela, al di fuori del piano e spesso della legge, basata su scambi, favori, corruzione, ecc.4. In sostanza, i “gruppi di interesse” agivano “contro gli interessi dello stesso piano generale”. Il discorso era analogo passando dai ministeri alle singole imprese: informazioni falsate per avere piani di produzione meno impegnativi, riserve nascoste, forniture extra-piano, costi gonfiati, ecc. Peraltro, “ogni realtà territoriale di una certa rilevanza” esprimeva “inevitabili spinte localistiche”. Ne derivava la “dispersione” e “l’indebolimento dei poteri di direzione”; “veniva ad indebolirsi fortemente lo stesso principio di responsabilità riguardo all’utilizzo economicamente e socialmente valido delle risorse”, e si moltiplicava la “appropriazione particolaristica delle risorse ‘pubbliche’”5. Come osserva Boffa, “quella che doveva essere l’economia più pianificata e controllata [...] per una parte considerevole e, comunque, crescente, sfuggiva a qualsiasi controllo [...]”6.
Alexander Hobel è Dottore di ricerca in Storia, collabora con la Fondazione Gramsci e l’Università di Napoli Federico II. E' direttore di https://www.marxismo-oggi.it
Leggi anche: EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur
Vittoria
del capitalismo? - Hyman Minsky
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206)
Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206)
La crisi e il crollo dell’URSS sono
stati in buona misura la crisi e il crollo dell’economia sovietica.
I successi di quest’ultima erano stati notevoli: anche dopo il
“grande balzo” dell’industrializzazione staliniana (che portò
l’URSS a diventare già nel 1937 la seconda
potenza del mondo per
produzione industriale)1,
i progressi sono stati costanti, almeno fino agli anni ’602.
L’economia sovietica era caratterizzata dal predominio
dell’industria sull’agricoltura,
e dal predominio
dell’industria pesante,
produttrice di macchine, su quella leggera, produttrice di beni di
consumo. Questa “sproporzione” finì per costituire uno dei suoi
maggiori problemi3.
L’attenzione degli studiosi peraltro si è focalizzata sul funzionamento interno del sistema pianificato, nel quale – a partire dagli anni ’60 – emergono sempre di più frammentazione e forze centrifughe, interessi settoriali e aziendali: insomma il “dipartimentalismo” e i “localismi”. Di fatto, esistevano “conflittualità tra organi e incompatibilità tra obiettivi e strumenti di piano”: i “ministeri della produzione”, intermediari tra i settori produttivi e l’organo di pianificazione (Gosplan), agivano come “gruppi di interesse”, inducendo il Gosplan ad “apportare correzioni, cioè tagli alle forniture richieste”; queste infatti erano sempre in eccesso rispetto alle esigenze di imprese e settori produttivi, che le gonfiavano in modo da premunirsi da “irregolarità delle consegne, strozzature e tagli delle forniture”. Dunque le informazioni dal basso verso l’alto, essenziali per una corretta pianificazione, erano falsate, oltre che “imprecise, saltuarie e insufficienti”; gli organismi pianificatori, che conoscevano queste tendenze, a loro volta imponevano piani di produzione eccessivi rispetto a risorse e capacità produttive denunciate; e questo induceva i ministeri a sviluppare una rete di forniture parallela, al di fuori del piano e spesso della legge, basata su scambi, favori, corruzione, ecc.4. In sostanza, i “gruppi di interesse” agivano “contro gli interessi dello stesso piano generale”. Il discorso era analogo passando dai ministeri alle singole imprese: informazioni falsate per avere piani di produzione meno impegnativi, riserve nascoste, forniture extra-piano, costi gonfiati, ecc. Peraltro, “ogni realtà territoriale di una certa rilevanza” esprimeva “inevitabili spinte localistiche”. Ne derivava la “dispersione” e “l’indebolimento dei poteri di direzione”; “veniva ad indebolirsi fortemente lo stesso principio di responsabilità riguardo all’utilizzo economicamente e socialmente valido delle risorse”, e si moltiplicava la “appropriazione particolaristica delle risorse ‘pubbliche’”5. Come osserva Boffa, “quella che doveva essere l’economia più pianificata e controllata [...] per una parte considerevole e, comunque, crescente, sfuggiva a qualsiasi controllo [...]”6.
giovedì 5 settembre 2019
La guerra civile nello Yemen 2012-2019 - Orazio Di Mauro
Da: https://www.lacittafutura.it - Orazio Di Mauro insegna Storia e Filosofia.
Leggi anche: https://www.ilpost.it/2019/07/19/guerra-yemen-ritiro-emirati-arabi-uniti/
Leggi anche: https://www.ilpost.it/2019/07/19/guerra-yemen-ritiro-emirati-arabi-uniti/
"Una mappa aggiornata della situazione in Yemen: in rosso sono indicati i ribelli houthi, in viola le forze alleate all’Arabia Saudita, in verde i gruppi jihadisti Ansar al Sharia e Al Qaida nella Penisola Arabica (Liveuamap)"
Oggi le relazioni internazionali sono dominate dal caos, dato che le potenze regionali e locali non stanno più sotto il controllo delle superpotenze. Si veda il caso dello Yemen.
Il tempo presente nelle relazioni internazionali si connota per il caos che da esse ne deriva e per gli esiti inaspettati che guerre locali e scontri militari hanno. Quello che fino al 2011 (distruzione dello stato libico) poteva capitare ad uno stato definito canaglia, non solo tarda ad avverarsi per altre compagini statali ma più spesso si rovescia nel suo opposto disorientando gli analisti più navigati nel settore. A dire il vero più in quelli del vecchio occidente che fra quelli del resto del mondo.
La risposta che spesso viene data, o almeno tentata, è la seguente: stiamo passando da una fase di unipolarismo USA ad una fase di multipolarismo in cui alcuni stati (Russia, Cina, ecc.) condividono progressivamente con gli Stati Uniti il governo del mondo. Ma in genere le spiegazioni si fermano lì e vanno poco oltre [1]. Il problema di cosa effettivamente sia il multipolarismo e in cosa consistano le sue reali conseguenze sulla vita degli abitanti degli stati o di intere regioni del mondo non viene spiegato e perciò tutto rimane confuso e poco chiaro. Tenterò di definire meglio cosa sia il multipolarismo e quali siano i suoi rischi e le sue possibilità di sviluppo. Per far questo mi servirò di una crisi regionale, la crisi yemenita, e attraverso la sua analisi proverò a decriptare l’esistente.
Chi volesse descrivere la situazione attuale deve partire dal concetto di Kaos. Il mondo contemporaneo è caotico e, pertanto, non se ne può tracciare una traiettoria coerente. Ritengo che un tentativo di rendere coerente l’esistente debba partire dal riconoscere che il peso delle decisioni delle élite degli stati definiti medie potenze, ma anche di quelli piccoli, è tutt’altro che irrilevante nella soluzione delle crisi regionali. Di converso il peso delle decisioni degli stati definiti potenze o superpotenze mondiali diminuisce con la necessità, che inevitabilmente si pone a loro nelle crisi, di impegnare masse di uomini nella risoluzione delle stesse. Cioè se una superpotenza o potenza mondiale vuole risolvere una crisi regionale a suo favore o impegna masse sempre crescenti di uomini, e neanche in questo caso la vittoria è certa, o l’uso che essa fa della potenza aeronavale e tecnologica produrrà solo effimeri successi e temporanee vittorie.
martedì 3 settembre 2019
"MA IL SUO LAVORO È VIVO" - Intervista su Marx a Riccardo Bellofiore
Da: http://www.palermo-grad.com - riccardo.bellofiore è professore
ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di
Bergamo.
Questa
intervista che ora pubblica PalermoGrad ha una breve storia che va
raccontata per comprenderne la genesi. Alla fine degli anni Novanta
la RAI intendeva preparare un ciclo di trasmissioni sulle grandi
figure del pensiero economico. Cristina Marcuzzo sfruttava le
occasioni convegnistiche per poter intervistare vari economisti,
italiani e stranieri. Le interviste duravano poco meno di un’ora,
se ricordo bene. Venni così intervistato a Firenze su Marx. Non
avevano ancora deciso come costruire effettivamente il programma. La
scelta finale, a mio parere felice, fu di mettere da parte le
interviste. La trasmissione che andò in onda si chiamò infine La
fabbrica degli spilli:
un titolo evidentemente smithiano. Ad essere interrogato era il solo
Alessandro Roncaglia che stava allora ultimando il suo La
ricchezza delle idee per
Laterza: lo interrogavano due giornalisti che si alternavano. Uno dei
due, ricordo, era Roberto Tesi: più noto come Galapagos, del
manifesto. In ogni trasmissione si aprivano due medaglioni con un
breve estratto dalle interviste. Nella trasmissione su Marx i
medaglioni erano costituiti da Ernesto Screpanti e dal sottoscritto:
infelicemente, il lavaggio di capelli la mattina in albergo mi fece
apparire con una capigliatura da fare invidia ad Angelo Branduardi o
alla primissima Nicole Kidman. Ovviamente, mi preparai. Avevo delle
scalette, ma dietro le scalette stavano delle domande (in numero di
10) che avevo buttato giù, corredate di risposte. C’era un ordine
imposto dalla produzione, che però col loro consenso sovvertii. La
prima domanda doveva essere sulla biografia, e così fu. La seconda
sul metodo, e così non fu: sono fermamente convinto che il metodo
dipenda dal contenuto dell’oggetto che si indaga, quindi collocai
quella domanda verso la fine. Ritenni opportuno integrare con due
domande di attualizzazione, in senso lato politiche. A quelle domande
non detti risposta nella mia bozza. Ho dunque integrato, riprendendo
delle frasi da scritti contemporanei. Ho apportato pochissimi
mutamenti alla intervista buttata giù a mano nella mia grafia poco
meno incomprensibile di quella di Marx. Per questo ringrazio con
molto calore Vincenzo Marineo che è riuscito a decifrarla alla
perfezione. Per chi volesse vedersela, la trasmissione su Marx è
reperibile a questo
link.
Il
sito www.conoscenza.rai.it dell’Enciclopedia
multimediale delle scienze filosofiche/Universo della conoscenza
raccoglie molte, anche se non tutte, le trasmissione della Fabbrica
degli spilli,
che infliggo ancor oggi ai miei studenti, sotto la dizione ahimé
scorretta “Storia dell’economia”. In questo caso il link
diretto è questo.
rb
1 – Quali sono le tappe più significative della vita di Marx, e quali le sue opere principali?
rb
1 – Quali sono le tappe più significative della vita di Marx, e quali le sue opere principali?
giovedì 29 agosto 2019
La crisi politica italiana e la fine della politica - Alessandra Ciattini
Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Leggi anche: (U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968)
La crisi italiana viene da lontano ed è provocata da numerosi fattori, tra cui l’imbarbarimento culturale e il dominio delle istituzioni UE, che riducono i politici a grossolani saltimbanchi.
Leggi anche: (U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968)
La crisi italiana viene da lontano ed è provocata da numerosi fattori, tra cui l’imbarbarimento culturale e il dominio delle istituzioni UE, che riducono i politici a grossolani saltimbanchi.
Se interpretiamo il problema da un certo punto di vista, la cosiddetta fine delle ideologie costituisce un fatto concreto e reale, la cui conseguenza è stata sostanzialmente il subdolo ritorno all’ideologia liberale naturalizzata, fondata sull’individualismo, sul particolarismo, sul pragmatismo, sull’abbandono delle grandi visioni onnicomprensive (le famose metanarrazioni). Tutti aspetti che purtroppo sono stati recepiti in maniera acritica ed inconsapevole anche dalla cosiddetta sinistra radicale, alcuni settori della quale li hanno rimessi insieme per dare vita all’ambiguo sovranismo e/o costituzionalismo, basato sulla convinzione che, partendo dal basso (quale?) e dalla Costituzione (mai realizzata ed ampiamente cambiata) si possa uscire dalla crisi, la cui natura internazionale nessuno può negare. Aprendo così il cammino a posizioni politiche ambigue e confuse, non so se per ignoranza o per opportunismo, da cui potrebbero derivare conseguenze devastanti per le classi popolari.
Sin dalla fine degli anni ‘60, in seguito alle grandi trasformazioni, da cui è scaturito il tardo capitalismo, Zbigniew Brzezinski descriveva il fenomeno della disgregazione delle grandi organizzazioni di massa come uno slittamento dall’utopismo idealistico, assai critico del presente e prefigurante un futuro assai diverso, verso una politica pragmatica volta a risolvere problemi sempre più circoscritti dominati da personalità competenti (o che si presentano tali), i cosiddetti tecnocrati.
Questo processo di sfaldamento è dimostrato dalla grande astensione dal voto (alle elezioni europee del 2019 in Italia il 43,7% della popolazione non ha votato), dalla volatilità delle opinioni politiche dei votanti [1], sempre più confusi e ammaliati dalle capacità mediatiche degli “imprenditori della politica”, dalla spoliticizzazione di ogni attività “culturale”. Si pensi per esempio ai tanto celebrati talk show, dove non si fa che parlare degli scontri personali tra i grandi capi, delle loro bizze strampalate, del loro sfrenato interesse per il potere, che viene paradossalmente negato nel momento stesso in cui è affermato.
mercoledì 28 agosto 2019
Stalin oltre la doxa - Domenico Losurdo
Da: Giovanni
Mannelli - Domenico Losurdo è stato un filosofo, saggista e storico italiano.
Leggi anche: IL PAESE DELLE LIBERTÀ: stermini, repressione e lager nella storia degli Usa. - Maurizio Brignoli
Analogia e/o comparazione - Aldo Giannuli
1/5 Stalin oltre la doxa (gli ammiratori di Stalin-il Rapporto Krusciov)
Leggi anche: IL PAESE DELLE LIBERTÀ: stermini, repressione e lager nella storia degli Usa. - Maurizio Brignoli
Analogia e/o comparazione - Aldo Giannuli
1/5 Stalin oltre la doxa (gli ammiratori di Stalin-il Rapporto Krusciov)
lunedì 26 agosto 2019
Analogia e/o comparazione - Aldo Giannuli
Da: http://www.aldogiannuli.it - Aldo_Giannuli è
uno storico e saggista italiano.
Nel mio articolo sul perché non ho firmato il manifesto di Camilleri, sottolineavo l’arretratezza metodologica della nostra storiografia, questo è particolarmente evidente a proposito dell’ossessione analogica che la caratterizza. Mi spiego meglio: mi è capitato di vedere, di recente, una trasmissione in cui si cercava una spiegazione del movimento dei gilet gialli sulla base di un’analogia con il sessantotto.
Il lavoro era fatto bene e dimostrava buona conoscenza dei due fenomeni analizzati in breve ma con buon livello professionale. Ciò nonostante, la cosa non mi ha affatto convinto: un pezzo altamente suggestivo ma che, raschia raschia, si basava su una idea di fondo che non stava in piedi: che siamo di fronte ad un nuovo sessantotto. Il che non era certo colpa del giornalista, che ha indicato con sufficiente precisione sia le somiglianze che le dissomiglianze fra i due fenomeni (anche se di dissomiglianze potremmo aggiungerne parecchie altre). Il punto è che la nostra cultura storica vive nel culto dell’analogia che, invece è uno strumento di analisi molto ingannevole, per la semplice ragione che confrontando due cose qualsiasi (fosse anche l’impero dei Mogul ed il regno borbonico) qualche somiglianza c’è sempre, così come anche due cose sostanzialmente simili (il fascismo in Italia ed in Germania) spuntano delle inevitabili differenze: nulla è completamente diverso da qualsiasi altra cosa e nulla è identico a null’altro. Eppure, da sempre, gli storici sono affascinati da questo gioco intellettuale, ad esempio le “vite parallele” di Plutarco (che pure fu storico sui generis, più interessato a descrivere le caratteristiche del personaggio che non le vicende di cui fu protagonista) sono costruite su di esso. L’idea è che, attraverso l’analogia si possano stabilire leggi (o almeno regolarità) della storia, per cui i fenomeni hanno un numero limitato di varianti e tendono a seguire sequenze particolari. Ma possiamo anche accettare che la somiglianza fra Nicia e Crasso fosse la ricchezza dei due alla base della loro ascesa politica, ma i due hanno avuto, per ben altri aspetti, vite non molto simili ed anche caratterialmente, non ebbero tanto in comune, avidità a parte.
L’analogia è una suggestione cui è difficile sottrarsi e, in alcuni casi, può fornire allo storico utili elementi di riflessione: ad esempio, il confronto fra il passaggio dalla repubblica all’impero nell’antica Roma, quello dalla democrazia comunale alla signoria possono dare qualche spunto di riflessione sull’attuale autunno della democrazia e le nuove tendenze oligarchiche indotte dal neo liberismo. Ma, poi, occorre sviluppare una ricerca specifica o non si va molto avanti nella comprensione del fenomeno studiato. Ad esempio oggi si tende a spiegare l’ondata populista in termini di fascismo, magari sulla base delle idee personali o delle radici culturali di alcuni personaggi come Bolsonaro, Le Pen, Haider ecc. In realtà, anche se Bolsonaro, di suo, è certamente imbevuto di cultura fascista (assorbita per il tramite dell’esperienza della dittatura militare che, peraltro, era un fascismo molto sui generis), il suo movimento e la sua azione si svolgono in un contesto completamente diverso da quello degli anni trenta e non basta il richiamo ideologico. Il fascismo storico aveva alle spalle capitalismo molto diverso da quello attuale e fu strumento di esso, non dell’iper capitalismo finanziario dei nostri giorni.
Ma l’analogia ha una sua capacità di rassicurazione, autorizza a pensare di avere una bussola nel viaggio attraverso la storia. E questo spiega il suo fascino perdurante.
domenica 25 agosto 2019
Karl Marx fra storia, interpretazione e attualità (1818-2018) - Luca Mocarelli, Sebastiano Nerozzi
Da: https://www.nerbini.it - https://www.nerbini.it/wp-content/uploads/Indice-Marx.pdf
MOCARELLI LUCA | Università degli Studi di Milano-Bicocca - NEROZZI SEBASTIANO - Docente Università Cattolica del Sacro Cuore
Introduzione
MOCARELLI LUCA | Università degli Studi di Milano-Bicocca - NEROZZI SEBASTIANO - Docente Università Cattolica del Sacro Cuore
Introduzione
Nel 2018 l’opera e la figura di Karl Marx sono tornate, ancora una volta, al centro dell’attenzione. Il bicentenario della sua nascita ha suscitato
un intrecciarsi di riflessioni intorno alla rilevanza, al significato e alla attualità del suo pensiero. Numerose conferenze internazionali sono state
organizzate già nel 2017 (per i 150 anni del primo libro del Capitale e i
100 anni della rivoluzione d’ottobre) e molte altre sono seguite nel 2018.
Marx è stato celebrato anche sulle pagine del «Financial Times»1
e dell’«Economist»2
, con articoli dai toni a volte paradossali, ma tutt’altro che
critici, in ogni caso concordi nel riconoscere la perdurante importanza
del suo pensiero nel mondo di oggi. A Marx sono state dedicate opere
cinematografiche di un certo pregio.
In questa temperie si sono rianimati alcuni dei filoni di ricerca che
avevano composto il dibattito intellettuale nel marxismo del secondo
dopoguerra: economisti, storici, filosofi sono tornati ad interrogarsi intorno al pensiero di Marx e ai suoi possibili sviluppi, offrendo nuove
prospettive o consolidando e sviluppando quelle esistenti. La stessa riedizione, ancora in corso, delle opere di Marx ed Engels, frutto di un
meticoloso lavoro di sistemazione editoriale e di ricostruzione filologica,
ha stimolato nuove letture del suo complesso pensiero e della sua tortuosa evoluzione. Il cantiere del pensiero marxiano è tornato, insomma, a
brulicare di nuova vita.
Un recente convegno, organizzato da alcune fra le maggiori università lombarde (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università di Milano-Bicocca; Università di Bergamo; Università di Pavia), ha contribuito a
questo rinnovato dibattito ospitando un ricco confronto fra studiosi di
diverse discipline e di diversi orientamenti teorici intorno alla complessa
eredità del pensatore di Treviri3
. Questo volume mira, appunto, a raccogliere alcune delle relazioni esposte in quella occasione e a presentare
nuovi spunti di ricerca e tentativi di sintesi che aiutino a fare un bilancio, inevitabilmente parziale e provvisorio, del pensiero di Marx e del
suo impatto sulla storia degli ultimi due secoli. Ma, prima di addentrarci
nelle tematiche affrontate dagli autori, ci sembra necessario chiederci:
perché questo ritorno di interesse per Marx? Perché continuare ancora,
dopo due secoli, a parlare di lui?
venerdì 23 agosto 2019
Globalizzazione, postmoderno e “marxismo dell’astratto” - Roberto Finelli
Da: http://dialetticaefilosofia.it - Pubblicato in Cinzia Aruzza (a cura di), Pensare con Marx. Ripensare Marx, Edizioni Alegre,
Roma 2008, pp. 173-193. -
Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (http://www.consecutio.org)
1. L’«americanismo» come idealtipo della globalizzazione.
Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (http://www.consecutio.org)
1. L’«americanismo» come idealtipo della globalizzazione.
La riflessioni che seguono nascono da quella che a me sembra la caratteristica più paradossale
della realtà che stiamo vivendo: tanto caratterizzante l’intera realtà, storica e sociale contemporanea,
da configurarla appunto come null’altro che un unico grande paradosso. Il paradosso è quello della
contraddizione tra il piano dell’Essere e quello dell’Apparire, ossia tra il piano interiore e profondo
della struttura del reale e quello esteriore della forme della coscienza individuale e collettiva con
cui quella struttura viene appresa e conosciuta, anzi nel nostro caso bisogna dire viene distorta e
misconosciuta.
Con il crollo del comunismo cosiddetto reale il mondo conosce oggi solo l’«americanismo» come
forma unica di civiltà e di organizzazione sociale. E l’americanismo, per quello che dirò subito, vale
per me come la realizzazione, oggi, più completa e più avanzata del capitalismo, proprio come la
maturità dell’Inghilterra valeva per Marx come la forma canonica del capitalismo dell’800. E
americanismo senza America, americanismo oltre i confini d’America, può essere definita l’attuale
globalizzazione, se la si considera come generalizzazione a tutti i paesi del globo, con gradi diversi
ovviamente di sviluppo e di sottosviluppo, del medesimo modello di produzione, distribuzione e
consumo di merci, della medesima ricerca di profitto, della medesima invasività e diffusione del
mercato e della medesima attitudine a trasformare tutti i rapporti umani in rapporti quantificabili e
mediati dal denaro.
Per altro non v’è dubbio che la globalizzazione debba essere vista, ancora oggi, soprattutto come
maggiore velocità e ubiquità di spostamento del capitale finanziario e spesso solo speculativo, senza
cedere alla facile quanto superficiale rappresentazione che la prospetta come il darsi di un unico
mercato mondiale con un’unica concorrenza che genererebbe medesimi prezzi delle merci, del
lavoro del denaro1. Laddove la sua effettiva realtà si presenta come non solo profondamente
differenziata quanto asimmetrica, anzi tale che in essa polarità e distanze, differenze tra sviluppo e
sottosviluppo si acuiscono, almeno per chi ragioni in termini di statistiche comparate e relative e
non di dati assoluti di crescita e di progresso. Eppure la globalizzazione, pur sottratta al segno retorico di presunti universalismi e di omogenei sviluppi, può comunque essere considerata
unitariamente come «una immane raccolta di merci», nel senso dell’aumento sempre più ampio e
sempre più intenso della quota di popolazione mondiale che dipende per la propria riproduzione in
modo integrale dall’esposizione e dalla mediazione con il mercato.
Ora il paradosso di cui parlavo all’inizio consiste, a mio avviso, nel fatto che proprio quando, con
il venir meno del socialismo reale, si diffonde e s’impone, sia pure, torno a dire, con una
configurazione a macchie di leopardo, un unico modello di vita economica e sociale, capace di
stringere nella sua ricerca del profitto e della remunerazione monetaria qualsiasi tipologia, da quella
più avanzata a quella più arcaica, di lavoro, viceversa in termini culturali e simbolici, alla
consapevolezza e allo studio dell’uno e del modo in cui l’uno si articoli nella molteplicità delle
differenze, s’è venuta sostituendo una cultura del frammento, dell’informazione e dell’atto
linguistico-comunicativo da interpretare attraverso altre informazioni ed altri atti comunicativi,
ossia la prospettiva di un’ermeneutica infinita che considera come tramontati concetti come verità,
realtà, oggettività. S’è venuta facendo egemone insomma una cultura che rifiuta la prospettiva delle
cosiddette ideologie, delle concezioni unitarie del mondo. La sistematicità delle quali viene infatti
svalutata e degradata, quale grande favola narratrice o visione totalizzante e totalitaristica.
giovedì 22 agosto 2019
LA TRAGICITÀ DEL COMICO - CARLO SINI
Da: Dante
Channel - https://www.facebook.com/Dante.Channel.69/ - Carlo
Sini è
un filosofo italiano.- CarloSiniNoema - http://www.archiviocarlosini.it
IL PENSIERO QUALE RISPOSTA AL DRAMMA DELLA VITA.
UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL TRAGICO E IL COMICO.
IL PENSIERO QUALE RISPOSTA AL DRAMMA DELLA VITA.
UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL TRAGICO E IL COMICO.
lunedì 19 agosto 2019
All’Europa serve un “new deal” di classe - Riccardo Bellofiore
Da: La rotta d’Europa a cura di Rossana Rossanda e Mario Pianta, Sbilanciamoci/Manifesto - http://sbilanciamoci.info/la-rotta-d-europa-in-due-volumi-13127/ -
Riccardo Bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo.
Leggi anche: La
socializzazione degli investimenti: contro e oltre Keynes - Riccardo
Bellofiore -
La_Grande_Recessione_e_la_Terza_Crisi_della_Teoria_Economica
La crisi europea viene dagli Stati uniti, dal crollo del “keynesismo privatizzato”. Per uscirne, occorrono politiche opposte a quelle di Maastricht. Un new deal inedito, strumento di una “riforma”, non solo di una “ripresa”. E una sinistra di classe su scala continentale.
Riccardo Bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo.
La_Grande_Recessione_e_la_Terza_Crisi_della_Teoria_Economica
La crisi europea viene dagli Stati uniti, dal crollo del “keynesismo privatizzato”. Per uscirne, occorrono politiche opposte a quelle di Maastricht. Un new deal inedito, strumento di una “riforma”, non solo di una “ripresa”. E una sinistra di classe su scala continentale.
Dell’articolo di Rossanda una cosa mi ha conquistato: il titolo. Rótta può significare direzione; ma anche sconfitta, sbaragliamento. Di questo stiamo parlando, per quel che riguarda la sinistra. O si parte dalla coscienza che si è al capolinea – e dunque che è ormai condizione di vita o di morte un’altra analisi, un’altra pratica conflittuale, un’altra proposta – o siamo morti che camminano. La luce in fondo al tunnel è quella di un treno ad alta velocità che ci viene incontro.
Si chiede Rossanda: non c’è stato qualche errore nella costituzione della Ue? Come si ripara? L’unificazione monetaria in Europa non sarebbe che la figlia legittima della fiducia hayekiana nella mano invisibile del ‘liberismo’. È questo che avrebbe retto i decenni ingloriosi che ci separano dalla svolta monetarista. Le economie europee dovevano ‘allinearsi’ a medio termine, grazie alla politica deflazionistica della Bce. Il problema sarebbe la frattura con la linea continua Roosevelt-Keynes-Beveridge, che si sarebbe materializzata nei Trenta gloriosi in un ‘compromesso’ tra le parti sociali. È la vulgata ‘regolazionista’. Pace sociale e sviluppo trainato dai consumi salariali come perno dello sviluppo postbellico. In Europa, lo spartiacque sarebbe il crollo del Muro di Berlino. Di lì il Trattato di Maastricht, e poi l’istituzione dell’euro. Ne discendono: liberalizzazione dei movimenti dei capitali, primato della finanza, fuga dall’economia reale, delocalizzazioni, indebolimento del lavoro. La bolla finanziaria scoppiata nel 2008 viene in fondo di qui, dalla finanza perversa e tossica.
È un quadro non convincente in tutti i suoi snodi. Il keynesismo era stato abbattuto da Reagan e Thatcher, e prima ancora da Volcker. Ma cosa era stato davvero il ‘keynesismo’? Non un ‘compromesso’ tra capitale e lavoro. Tanto meno un’era di crescita capitalistica trainata dai consumi. Il salario non traina la domanda, lo fa la domanda ‘autonoma’ – anche se una migliore distribuzione del reddito può alzare il moltiplicatore. La Grande Crisi e la Seconda Guerra Mondiale avevano prodotto una gigantesca ‘svalorizzazione’ di capitale e una potente iniezione di domanda pubblica in disavanzo, grazie a quel deficit spending che Roosevelt ritenne di poter accettare solo con l’entrata in guerra: mentre lo aveva rifiutato nel new deal. C’era l’Unione sovietica, e la fresca memoria degli effetti della disoccupazione di massa. Conservatori e democratici non potevano che optare per la ‘piena occupazione’. Prevalentemente maschile, e orientata a una produzione accelerata di merci, distruttrice dunque della natura. Quando i diritti del lavoro e la crescita del salario reale (e in una certa fase, anche del salario relativo) vennero conquistati, furono strappati con la lotta. Presto – per questa contraddizione tra le altre, ma per questa in modo cruciale – l’eccezione keynesiana si inabissò.
domenica 18 agosto 2019
IL PAESE DELLE LIBERTÀ: stermini, repressione e lager nella storia degli Usa. - Maurizio Brignoli
La
bibliografia e la storiografia dell’articolo, indicati dall’autore,
sono disponibili al seguente indirizzo web: http://www.contraddizione.it/scritti.htm
Un
lungo processo di lotta ideologica, ben condotta da parte del
capitale, volto a identificare nazismo e comunismo ha fatto sì che
quando si parli di campi di concentramento, si faccia immediato
riferimento a due realtà storiche: lager
(per lo più nell’accezione ristretta di campo di sterminio sul
modello di Auschwitz, Sobibór, Treblinka, ecc.) e gulag
(Glavnoe upravlenie
lagerei, Direzione
generale dei campi). Un paese che invece, impropriamente, non è mai
associato all’“universo concentrazionario” sono gli Usa.
Gulag
e lager
vengono sempre uniti all’interno dell’indefinita categoria di
“totalitarismo” [cfr. la
Contraddizione, no.
112] volta ad assimilare due sistemi sociali ed economici antitetici,
a nascondere come le matrici del nazismo facciano parte della
“tradizione occidentale” (razzismo, eugenetica, guerra totale,
sterminio seriale, colonialismo) e a tentare di occultare come i
fascismi, insieme alle “democrazie occidentali”, si inseriscano a
pieno titolo nel sistema economico e politico imperialistico. Al di
là di questo fraintendimento creato ad arte, anche nel caso
specifico dei campi di concentramento vi sono radicali differenze che
dovrebbero essere note: i lager
sono suddivisibili sostanzialmente in tre principali categorie:
Konzentrationslager
(campi di concentramento), Arbeitslager
(campi di lavoro forzato), Vernichtungslager
(campi di sterminio), tre realtà differenti che nel caso esemplare
di Auschwitz venivano a coincidere; nel gulag l’eliminazione
del prigioniero non è l’obiettivo ultimo, il gulag è uno
strumento, un mezzo per imprigionare i cosiddetti “nemici del
popolo”, e non gli è costitutivamente estraneo il problema della
“rieducazione” del condannato (impossibile nel momento in cui il
discrimine sia costituito dall’immodificabile elemento razziale),
mentre nel caso nazista l’eliminazione delle razze inferiori e dei
comunisti è un fine; la pena nel gulag ha una durata temporalmente
definita; nelle tipologie dei gulag non è presente il campo di
sterminio e la mortalità è molto più bassa, mediamente meno del
10% (il 4,8% prima dell’assassinio di Kirov nel 1934 che porta a
intensificare la lotta di Stalin contro i suoi avversari), mentre
l’eccezione è costituita dal periodo 1941-43 quando le condizioni
determinate dalla guerra rendono più alto il numero dei morti e si
può arrivare nel 1942 a una percentuale del 25%; i tassi di
mortalità nei lager tedeschi superano il 40-50% e ancor più
significativo un confronto con un campo di sterminio come Auschwitz:
ebrei sopravvissuti 5,6%, zingari 6,5%, sovietici 0,8%.
Dopo
l’apertura degli archivi sovietici, tutte le più recenti ricerche,
peraltro condotte da storici non accusabili di simpatie comuniste,
hanno ridotto drasticamente il numero delle vittime del periodo
staliniano. Richard Overy stima che fra il 1930 e il 1953 fra
esecuzioni e morti nei campi si arrivi come cifra massima a 2.700.000
vittime. Nel 1993 la prestigiosa American
historical review
pubblica una ricerca di Arch Getty, Gábor. T. Rettersporn e Viktor
N. Zemskov, relativa esclusivamente alla contabilità dei campi e
giunge a una cifra di morti che supera di poco il milione nel periodo
1934-53. Ludo Martens, autore di un’opera simpatetica con Stalin,
fra collettivizzazione delle campagne e repressione in ogni sua forma
arriva a 1.300.000. È poi importante capire la realtà di un paese
circondato a lungo da potenze ostili che cercano in ogni modo di
rovesciarlo, dalle invasioni a partire dal 1918 a sostegno delle
armate bianche ai tentativi di accordo delle “democrazie
occidentali” coi nazisti per spingere Hitler contro il “comune
nemico” e all’interno caratterizzato da fenomeni di “guerra
civile” che si reinfiamma regolarmente. In un arco di tempo simile
pressoché sovrapponibile agli anni di governo di Stalin (1924-1953)
il capitale ha mietuto oltre 80 milioni di vittime con le due guerre
interimperialistiche, per non parlare degli stermini coloniali.
Mentre solo nei lager
nazifascisti fra il 1933 e il 1945 si contano 11 milioni di vittime.
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