MOCARELLI LUCA | Università degli Studi di Milano-Bicocca - NEROZZI SEBASTIANO - Docente Università Cattolica del Sacro Cuore
Introduzione
Nel 2018 l’opera e la figura di Karl Marx sono tornate, ancora una volta, al centro dell’attenzione. Il bicentenario della sua nascita ha suscitato
un intrecciarsi di riflessioni intorno alla rilevanza, al significato e alla attualità del suo pensiero. Numerose conferenze internazionali sono state
organizzate già nel 2017 (per i 150 anni del primo libro del Capitale e i
100 anni della rivoluzione d’ottobre) e molte altre sono seguite nel 2018.
Marx è stato celebrato anche sulle pagine del «Financial Times»1
e dell’«Economist»2
, con articoli dai toni a volte paradossali, ma tutt’altro che
critici, in ogni caso concordi nel riconoscere la perdurante importanza
del suo pensiero nel mondo di oggi. A Marx sono state dedicate opere
cinematografiche di un certo pregio.
In questa temperie si sono rianimati alcuni dei filoni di ricerca che
avevano composto il dibattito intellettuale nel marxismo del secondo
dopoguerra: economisti, storici, filosofi sono tornati ad interrogarsi intorno al pensiero di Marx e ai suoi possibili sviluppi, offrendo nuove
prospettive o consolidando e sviluppando quelle esistenti. La stessa riedizione, ancora in corso, delle opere di Marx ed Engels, frutto di un
meticoloso lavoro di sistemazione editoriale e di ricostruzione filologica,
ha stimolato nuove letture del suo complesso pensiero e della sua tortuosa evoluzione. Il cantiere del pensiero marxiano è tornato, insomma, a
brulicare di nuova vita.
Un recente convegno, organizzato da alcune fra le maggiori università lombarde (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università di Milano-Bicocca; Università di Bergamo; Università di Pavia), ha contribuito a
questo rinnovato dibattito ospitando un ricco confronto fra studiosi di
diverse discipline e di diversi orientamenti teorici intorno alla complessa
eredità del pensatore di Treviri3
. Questo volume mira, appunto, a raccogliere alcune delle relazioni esposte in quella occasione e a presentare
nuovi spunti di ricerca e tentativi di sintesi che aiutino a fare un bilancio, inevitabilmente parziale e provvisorio, del pensiero di Marx e del
suo impatto sulla storia degli ultimi due secoli. Ma, prima di addentrarci
nelle tematiche affrontate dagli autori, ci sembra necessario chiederci:
perché questo ritorno di interesse per Marx? Perché continuare ancora,
dopo due secoli, a parlare di lui?
Non si tratta, a dire il vero, di domande dalla facile risposta. Certamente Karl Marx è stata una delle figure più rilevanti del pensiero filosofico e politico degli ultimi due secoli e ben pochi studiosi hanno avuto un
impatto paragonabile al suo. La storia del lungo XX secolo appare infatti
plasmata dal confronto fra i movimenti, i partiti, i paesi che hanno cercato di dare pratica attuazione alle idee di Marx e quelli che, invece, hanno
cercato di contrastarne l’avanzata. Una figura divisiva, dunque, tutt’altro
che facile da inserire nel pantheon della cultura politica democratica e,
tantomeno, in quello delle scienze economiche e sociali odierne. Una
figura che potrebbe apparire ormai irrimediabilmente invecchiata, logorata dal tempo, confinata in un passato che non esiste più e che poco ha
a che fare con il mondo di oggi. Per rispondere alla domanda sul perché
di tanto interesse, occorre dunque, a nostro avviso, riavvolgere il nastro
della storia e cogliere alcune tappe essenziali e alcune cesure che hanno
condizionato l’opera e la ricezione del pensiero di Marx, dalle origini fino
agli anni a noi più vicini.
Nato a Treviri il 5 maggio 1818 da una famiglia borghese di origini
ebraiche, Marx intraprese nel 1836 gli studi giuridici, prima a Bonn e
poi a Berlino, dedicandosi tuttavia, contro la volontà paterna, agli studi
filosofici, conclusi nel 1841 a Jena con una tesi dedicata alla filosofia della
natura di Democrito ed Epicuro. Collocandosi nel gruppo della cosiddetta sinistra hegeliana, guidata da Bruno Bauer e Ludwig Feuerbach, il
giovane Marx accettò il metodo dialettico di Hegel, rifiutandone tuttavia la metafisica e assumendo posizioni politiche democratico-radicali, che gli costarono l’accesso alla carriera accademica. Iniziata una brillante attività giornalistica, prima a Bonn e poi a Colonia, come direttore
della Gazzetta renana, Marx sempre più insofferente alla pressione della censura, decise di trasferirsi a Parigi insieme alla moglie Jenny von
Westphalen. Nella capitale francese Marx allacciò con Friedrich Engels,
figlio di un ricco imprenditore prestato alla causa socialista, un duraturo sodalizio intellettuale e una fraterna amicizia destinata a durare per
il resto della vita. Muovendosi con Engels, attraverso molte peripezie,
fra Parigi, Londra e Bruxelles per coordinare e sostenere i vari gruppi
del nascente movimento comunista, Marx iniziò lo studio dell’economia
politica inglese (Smith, Ricardo, Mill) e della letteratura socialista francese (Saint-Simon, Fourier, Proudhon). A questo periodo appartengono
i Manoscritti economico-filosofici (1844, pubblicati solo nel 1932), contenenti le prime riflessioni sul carattere alienato del lavoro nella società capitalista, L’ideologia tedesca (1845-46), con la prima formulazione
del materialismo storico; la Miseria della filosofia (1847), critica corrosiva all’idealismo anarchico tratteggiato nella Filosofia della miseria di
Proudhon.
Il 1848 rappresentò un anno cruciale: Marx aveva partecipato con
Engels alla fondazione della Lega dei comunisti scrivendo anche il celebre Manifesto, presto tradotto in molte lingue. I moti rivoluzionari che
da lì a poco scoppiarono in tutta Europa, videro il ritorno di Marx in
Germania, a Colonia, dove lanciò e diresse la Nuova gazzetta renana fino
alla soppressione ad opera della polizia prussiana nel maggio 1849. Ritornato in Francia, ma impossibilitato a riprendere ogni attività politica,
Marx decise di trasferirsi a Londra dove sarebbe rimasto fino al termine
dei suoi giorni. È qui, nel luogo simbolo della rivoluzione industriale
inglese, nella città dell’Esposizione universale del 1851, che egli iniziò, da
ospite assiduo nelle stanze del British Museum, quello studio sistematico
e approfondito dell’economia politica classica che doveva condurlo alla
stesura, con Engels, di Per la critica dell’economia politica (1859) e del primo libro de Il Capitale (1867), mentre il secondo e terzo libro, oggetto di
un lavorio ininterrotto ma mai portato a conclusione, furono pubblicati
postumi da Engels nel 1885 e nel 1894.
Allevato nella filosofia idealistica tedesca, nutrito dal socialismo politico francese e maturato nel confronto serrato con l’economia politica inglese, Marx seppe offrire una narrazione per molti convincente, in ogni
caso avvincente, del mondo uscito dalla prima rivoluzione industriale. Il continuo allargamento dei mercati, l’incalzare della tecnologia, il conflitto fra capitale e lavoro, le rivoluzioni sociali e politiche che infiammavano l’Europa, l’incipiente imperialismo delle grandi potenze sullo
scenario della prima grande globalizzazione, trovarono nelle pagine del
filosofo di Treviri chiavi di lettura attente al dettaglio tecnico, storico e
istituzionale e inserite nella grande narrazione di un mondo dominato
dalla logica del “capitale”.
Lungi dall’essere un fattore produttivo fra gli altri, il capitale era per
Marx il vero motore dell’impetuosa trasformazione tecnologica, sociale e
politica in corso, elemento “rivoluzionario” esso stesso, capace di piegare
non solo la vita di milioni di lavoratori alle esigenze di valorizzazione, di
accumulazione e di ampliamento del proprio dominio, ma di forgiare e
mutare a proprio vantaggio, anche trascendendo le motivazioni e le previsioni dei singoli capitalisti, i modi di produzione, l’organizzazione e gli
assetti delle imprese, nonché la forma delle istituzioni economiche, sociali e politiche. Superando una critica solo morale e civile delle singole
storture e ingiustizie insite nel capitalismo, Marx offrì, dunque, un’analisi
complessiva e volutamente complessa della logica profonda del sistema
capitalista e delle sue molteplici applicazioni e deviazioni.
Ma il pensiero di Marx non si accontentava di “interpretare” il mondo: voleva “trasformarlo”. In un’epoca segnata da crescenti instabilità,
squilibri e incipienti tendenze stagnazioniste, non bastava denunciare
le ingiustizie o tratteggiare i lineamenti di una società più giusta. Occorreva fondare scientificamente la battaglia politica, svelando le “contraddizioni insite nel modo di produzione capitalista”, per mettere nelle
mani di una classe operaia, finalmente cosciente di sé stessa e del proprio
destino storico, la possibilità di volgere a proprio vantaggio i rapporti
sociali di produzione, e con essi l’enorme potenziale produttivo aperto
dalle nuove tecnologie e dalla divisione del lavoro.
Il pensiero del filosofo tedesco ha continuato a ispirare un ricchissimo
filone di studi marxiani, tesi ad approfondirne e svilupparne le categorie,
adattandole ai continui mutamenti del sistema capitalista. Basti qui ricordare le opere di Lenin e Rosa Luxemburg sull’imperialismo, quelle di
Rudolf Hilferding sul capitale finanziario; quelle di John A. Hobson sulla
tendenza del capitalismo al sottoconsumo e alla “crisi di realizzazione”;
quelle di Paul A. Baran e Paul M. Sweezy sul ruolo del grande capitale
monopolistico e sul crescente dominio delle multinazionali nello scenario globale. Ma le analisi di Marx hanno gettato semi ben oltre i confini politici e ideologici del marxismo intellettuale e militante. Gran parte del
pensiero economico, politico e filosofico moderno, nonché della ricerca
in ambito storico e sociale, sarebbe incomprensibile senza un riferimento alle sfide intellettuali e alle categorie interpretative poste dal filosofo
di Treviri.
Un pensiero potente dunque, capace di muovere, per ispirazione o per avversione, la riflessione, l’impegno e la lotta di centinaia
di milioni di uomini e donne, catturandone le passioni, l’intelligenza,
la volontà; un pensiero che ha costituito la principale linea di faglia del
mondo moderno, capace di segnare per molte generazioni identità, culture, appartenenze.
Un pensiero, tuttavia, che ad un certo momento è sembrato irrimediabilmente sconfitto dalla storia. Il mondo di Marx si è chiuso, infatti,
idealmente e materialmente, il 9 novembre 1989. Certo la fortuna e l’influenza di Marx non possono essere confuse e identificate con la storia
dei movimenti politici marxisti e dei paesi di “socialismo reale”. Tuttavia quando, nel volgere di pochi mesi, il sistema socialista sovietico si è
sgretolato (esso sì, sotto i colpi delle sue contraddizioni interne) anche il
pensiero di Marx è sembrato seguire lo stesso destino. Con il crollo del
sistema sovietico, il filosofo di Treviri ha cessato di essere un punto di
riferimento per la maggior parte dei partiti e dei movimenti di sinistra,
abbandonato dai partiti socialdemocratici o post-comunisti, ignorato
dai principali filoni dell’economia e della filosofia politica mainstream,
e, infine, snobbato anche nell’ambito degli approcci eterodossi e radicali,
tesi a battere nuove, e apparentemente più promettenti, piste di ricerca
nella loro critica al “neoliberismo”4.
Con l’inizio degli anni Ottanta si è andato sempre più affermando
nei governi e nelle maggiori istituzioni economiche internazionali il paradigma politico ed economico neoliberista che, con la sua incrollabile
fiducia nelle virtù del libero mercato, ha cancellato in molti ambienti accademici e politici un ragionamento economico più articolato, coprendo
con un mantello ideologico le forze reali al lavoro nel capitalismo moderno. Il compromesso sociale tra capitale e lavoro e le politiche keynesiane di sostegno al reddito e all’occupazione, che avevano assicurato la
composizione del conflitto di classe e la crescita della democrazia nella
cosiddetta “età dell’oro” dopo la Seconda guerra mondiale, sono state
progressivamente abbandonate. A poco sono serviti gli appelli che da più
parti venivano rivolti a non abbassare la guardia e a vigilare sui pericoli
di un sistema capitalista affidato acriticamente a se stesso5.
Si è allora aperto un trentennio di grandissimi cambiamenti economici, politici e sociali: dalla transizione delle economie ex-socialiste
all’esplosione della globalizzazione, dall’inarrestabile finanziarizzazione
dell’economia, all’ascesa di nuove potenze economiche, all’esplosione del
terrorismo internazionale. Nuove linee di faglia si sono dunque aperte,
su basi economiche, etniche o religiose, creando un mondo sempre più
vicino e integrato e, allo stesso tempo, sempre più anonimo e frammentato. Il conflitto di classe, scomparso dal vocabolario comune e dalla cultura dei partiti e dei movimenti, ha lasciato il posto a una competizione
di tutti contro tutti, sospinta dal ritmo rivoluzionario e totalitario della
new economy: competizione per il lavoro e per la distribuzione di opportunità e risorse; per l’accesso a servizi di welfare sempre più limitati; per
il consumo e l’ostentazione di beni dalle valenze simboliche sempre più
pervasive e mistificanti.
In questo desolato panorama è giunta, inaspettata, la crisi del 2008.
La sua gravità e la sua durata hanno lasciato la maggioranza degli economisti tradizionali, spesso legati alla visione neoliberista, in un silenzioso imbarazzo. Dopo i primi balbettanti tentativi di spiegare l’innesco
della crisi con il lassismo della politica monetaria e con le asimmetrie
informative accumulate in mercati immobiliari e finanziari sempre più
opachi, è stato difficile non ammettere che essa aveva qualcosa a che fare
con la struttura stessa di un sistema economico sempre più diseguale e
centrato su una finanza tanto priva di regole quanto pervasiva e inafferrabile.
Per di più l’emergere della Cina come prima potenza economica globale ha scompaginato i tradizionali schemi di distinzione fra sistemi capitalisti e sistemi comunisti, portando alla ribalta un modello estremamente efficace e competitivo dal punto di vista strettamente economico,
ma decisamente “altro” rispetto al “classico” connubio fra capitalismo e
democrazia6.
A un decennio dal crollo di Lehman Brothers è chiaro come la crisi
abbia lasciato un mondo ancora più diseguale, frammentato e violento
di quello creato dal credo neoliberista post-1989. Le dinamiche allora
avviate sono divenute ancor più cruente e ingovernabili; i loro effetti non
possono essere più occultati o edulcorati dal richiamo ideologico alle
virtù del mercato e dell’integrazione. Le disuguaglianze di ricchezza e
di reddito si allargano vertiginosamente; il divario fra la crescita della
produttività e quella dei salari ingrossa la quota di reddito nazionale a
disposizione delle imprese e dei mercati finanziari; i salari reali ristagnano e, spesso, diminuiscono; nella maggior parte dei paesi avanzati
la mobilità sociale appare bloccata, quasi insensibile all’accumulazione
di “capitale umano” da parte di lavoratori sempre più sfiduciati sul loro
futuro; le prospettive di crescita, fiaccate dalla debole dinamica dei consumi e degli investimenti reali, risultano asfittiche; la vecchia guerra tra
i principali paesi industriali per ottenere il controllo delle risorse strategiche e dei mercati dispiega i suoi effetti in forme sempre nuove; la
grande trasformazione tecnologica che stiamo vivendo, da alcuni impropriamente definita “quarta rivoluzione industriale” rischia di distruggere più posti di lavoro di quanti ne crei; il destino (e il salario reale) di
milioni di lavoratori (soprattutto giovani) è inquadrato in un “esercito industriale di riserva” ingrossato dalla disoccupazione tecnologica e alimentato dai flussi migratori per motivi economici, politici e, sempre più,
anche ambientali. Vecchie e nuove forme di alienazione e sfruttamento
si diffondono sia nei paesi avanzati che in quelli emergenti, accompagnate da una mercificazione totalitaria del mondo umano e naturale.
La globalizzazione finanziaria, ben poco ridimensionata dalla crisi, si
accompagna ad una crescente “centralizzazione” dei capitali in poche,
ricchissime, mani. Molte delle dinamiche esplorate dal filosofo di Treviri
stanno, dunque, riemergendo, ovviamente in forme e contesti diversi, in
tutta la loro portata.
Dismettendo la retorica dell’“economia di mercato”, da più parti, si
è tornati a parlare con più precisione di “capitalismo”. Che cosa, infatti,
se non il “capitale”, denaro astratto, generico, fluido, destinato a creare
altro denaro, analizzato così chiaramente da Marx, può oggi identificare
il tratto essenziale di un sistema nel quale le decisioni economiche fondamentali sono assunte e testate sui mercati finanziari e tutte le attività
umane, non solo quelle strettamente economiche, vengono misurate e
valutate sulla base di parametri non banalmente monetari, ma più propriamente finanziari? Per molti versi il nostro mondo attuale assomiglia
sempre più – estremizzandone i tratti più marcati, come in una gigantesca caricatura – a quel mondo ottocentesco che Marx aveva così brillantemente descritto e criticato.
Ecco allora che dalla lettura di eventi e processi antichi e recenti del
capitalismo emerge chiaramente più di un motivo di interesse per la figura e il pensiero di Marx. Infatti, se di fronte alle trasformazioni economiche e politiche dell’ultimo trentennio il ritorno al passato – quello
segnato dal confronto fra partiti di massa riuniti intorno a grandi visioni
del mondo – non appare più possibile, le preoccupazioni del presente e
l’ansia del futuro suscitano nuovo interesse per figure come il filosofo di
Treviri, capaci di offrire una chiave di lettura sulle tendenze e le dinamiche profonde del capitalismo.
In questa prospettiva si colloca anche questo volume, che intende affrontare la figura e il pensiero di Marx a tutto tondo. Lo apre uno
stimolante intervento di Riccardo Bellofiore che la forma di intervista
rende più vivace, senza nulla togliere alla chiarezza del ragionamento
compiuto, teso a illustrare, non solo la ricchezza e la profondità dell’analisi marxiana del capitalismo, ma anche la sua persistente attualità. In un
susseguirsi di domande e risposte Bellofiore offre una piana e penetrante definizione delle principali categorie analitiche del filosofo di Treviri,
mostrandone poi la vitalità nel confronto con l’odierno capitalismo.
La lettura del pensiero di Marx è arricchita dal contributo di Roberto
Fineschi. Esso offre un saggio di come la grande quantità di manoscritti del pensatore tedesco in corso di pubblicazione nella nuova edizione
della Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2
), consenta di rileggere, con
esiti interpretativi anche molto diversi, alcuni temi cruciali dell’analisi
marxiana. In particolare, l’autore mostra come la vexata quaestio della
trasformazione dei valori in prezzi e del rapporto, dunque, fra teoria del
valore e teoria dello sfruttamento, possa oggi essere vista attraverso una
nuova prospettiva, riscattandola da schemi analitici imposti dalla vulgata ortodossa e dai suoi tentativi di confutazione.
La successiva sezione conferma la rilevanza del pensiero marxiano e
la ricchezza di interpretazioni e di stimoli a cui esso ha dato luogo nella
teoria economica del Novecento. I quattro interventi che la compongono
gettano luce su alcune delle tante interazioni verificatesi nel corso del
tempo tra il pensiero di Marx e quello di altri economisti.
La sezione è aperta dalla trascrizione dell’intervento di Luigi Pasinetti, da noi rivista con il consenso dell’autore, nel quale si evidenziano
alcuni dei meriti dell’analisi marxiana: l’aver sottolineato l’assoluta novità
del mondo aperto dalla rivoluzione industriale con il suo enorme potenziale produttivo; la sua attenzione all’interazione fra tecnologia, crescita
economica e distribuzione del reddito; la sua analisi delle dinamiche di
lungo periodo del sistema economico in linea con la tradizione classica. Allo stesso tempo Pasinetti registra come l’aver messo questo grande
potenziale analitico a servizio di un ideale politico apertamente rivoluzionario abbia non poco contribuito a indurre gli economisti del tempo
a rigettare non solo il pensiero di Marx ma la stessa economia politica
classica, con una svolta senza precedenti nella storia dell’analisi economica che, con la rivoluzione marginalista, avrebbe decisamente impoverito la capacità degli economisti di spiegare il mondo reale, soprattutto in
relazione ai problemi della crescita, del cambiamento strutturale e della
distribuzione del reddito.
Già negli anni immediatamente successivi alla morte di Marx, il suo
pensiero suscita interpretazioni molto diverse, sospese fra la tentazione
di omologare Marx alle dottrine più in voga nella sua epoca (economia
politica classica, evoluzionismo e positivismo) e di rileggerlo (e correggerlo), invece, con le categorie dell’emergente paradigma marginalista. Su questo terreno si muove il contributo di Rosario Patalano dedicato
alle interpretazioni di Marx proposte in Italia a cavallo fra Ottocento e
Novecento: da quella, rapidamente cangiante, di Benedetto Croce, alle
posizioni eclettiche di Filippo Turati, Francesco Saverio Merlino, ai tentativi di conciliazione con l’emergente paradigma marginalista da parte
di autori come Enrico Leone e Arturo Labriola, fino al contributo di Piero Sraffa, che, secondo l’autore, espellendo la teoria del valore dall’analisi
economica (anticipato in questo da Antonio Graziadei), liquida definitivamente il marxismo teorico.
Anche in seguito Marx ha continuato a rappresentare uno scomodo
convitato di pietra per la scienza economica e anche per chi non era su
posizioni rigidamente neoclassiche. Lo mostra bene il contributo di Andrea Boitani che mette a confronto le idee di Marx e Keynes su alcuni
problemi dell’economia politica e della politica economica che sono cruciali anche oggi, come la natura monetaria dell’economia capitalistica, le
trasformazioni del mercato del lavoro, la caduta del saggio di profitto e la
stagnazione dell’economia. Conclude questa sezione un agile contributo
di Daniela Parisi volto a evidenziare come lo studio del pensiero marxiano abbia avuto una notevole importanza anche nella formazione di
un’importante storica del pensiero economico di matrice cattolica come
Francesca Duchini.
Seguono poi quattro interventi che approfondiscono la dimensione
“politica” del pensiero di Marx. Da questo punto di vista un primo importante tema è quello delle relazioni tra l’elaborazione teorica di Marx
e la religione, a cui sono dedicati i primi due contributi. Il primo intervento, di Pietro Domenico Giovannoni, analizza l’impatto del pensiero
marxiano sulla cultura cattolica tra Ottocento e Novecento, prendendo
in considerazione l’interpretazione che ne dettero alcuni grandi pensatori cattolici da Giuseppe Toniolo a Emmanuel Mounier. Quello di Rony
Hamaui getta invece luce sul complesso e contradditorio rapporto di
Marx con l’ebraismo, la religione delle sue origini familiari, mettendo in
evidenza come la questione ebraica diventi un’occasione per discutere
dell’emancipazione dello Stato dalla religione e della natura dei diritti.
Il contributo di Cosma Orsi affronta, invece, l’analisi riservata da Marx
alla legislazione sociale inglese: il giudizio negativo delle poor laws, viste
come un palliativo che consentiva di mantenere bassi i salari trasferendo risorse a industriali e proprietari terrieri, avrebbe condizionato l’atteggiamento dei movimenti marxisti verso politiche di redistribuzione volte a garantire forme di reddito minimo ai ceti più poveri. L’ultimo
intervento, quello di Paolo Tedeschi, si sofferma invece sulla ricezione
del pensiero marxiano da parte dei lavoratori avendo come riferimento
la Lombardia orientale novecentesca ed evidenziando il grande scarto
esistente, almeno sino agli anni Settanta, tra l’importanza del pensiero
marxiano nel dibattito filosofico e politico e la scarsa conoscenza che
invece i lavoratori avevano delle idee del pensatore tedesco.
L’ultima sezione del volume è più strettamente legata all’oggi. Essa
tende a evidenziare, con diverse prospettive, la persistente attualità delle
teorie marxiane dopo la grande crisi del 2008. La sezione è aperta da un
ricco contributo di Giulio Mellinato volto ad esaminare le diverse eredità
del pensiero marxiano e come queste abbiano contribuito ad analizzare
e interpretare un tema oggi al centro del dibattito politico ed economico
come quello della globalizzazione. Il breve ma denso saggio di Luca Michelini mette a fuoco l’importanza, per comprendere il mondo di oggi,
di due fondamentali categorie marxiane: il concetto di merce e quello, ad
esso intimamente legato, di sfruttamento del lavoro. Ma, come evidenzia
molto chiaramente Luca Michelini, questi due concetti non hanno incontrato particolare fortuna nel mondo degli studi economici. Chiudono
il volume due contributi che si concentrano su quella che probabilmente
è la più rilevante e dirompente trasformazione economica a cui stiamo
assistendo, vale a dire la crescente finanziarizzazione dell’economia. Così
se Gianni Vaggi dedica una analisi di lungo periodo alle trasformazioni
che hanno portato all’attuale epoca di mercantilismo finanziario, Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti fanno risaltare la grande valenza
euristica di una categoria marxiana a lungo poco considerata: la centralizzazione del capitale, che trova solidi riscontri nella realtà odierna e
illumina le cause profonde di alcuni processi politici in corso.
Molteplici e preziose letture, dunque, che riportano alla nostra mente le domande fondamentali sul corso della storia antica e recente e sui
conflitti sociali ed economici che abbiamo sotto gli occhi; letture che ci
restituiscono, non tanto analisi valide in assoluto, ma un metodo e uno
stile di pensiero, esigente nel confronto con la realtà, rigoroso nella costruzione logica, coraggioso nel guardare fino in fondo i problemi e le
sfide poste dal capitalismo di ieri e di oggi.
Note
1 Why Karl Marx is more relevant than ever?, (2018) «The Financial Times», 4 maggio;
What would Marx write today?, «The Financial Times», 9 marzo.
2 Labour is right – Karl Marx has a lot to teach today’s politicians, (2017) «The Economist»,
11maggio; Rulers of the World: Read Karl Marx!, (2018) «The Economist», 3 maggio.
3 Marx2Day, Bicentennial Conference, Milano, 2-4 maggio 2018.
4 In realtà, la rimozione del pensiero marxiano era iniziata già da qualche anno, come
ricordava nel 1996 Marco Guidi: «Forse il centenario della morte di Marx [nel 1983] è stato già
un’appendice postuma, un’enclave di pensiero collocata in una stagione che non era più la sua.
Tanto si è scritto e dibattuto in quel 1983. Ma qualcuno già parlava di bilancio. Qualcuno […]
lanciò l’idea che Marx andasse considerato come uno dei classici, una fonte di spunti e di prospettive teoriche cui tornare di tanto in tanto per attingere ispirazioni […]. Come gli altri classici del pensiero economico, come gli altri classici della filosofia», cfr. Guidi M.E.L. (1996), Introduzione, Il Terzo Libro del Capitale, in «Trimestre, Storia – Politica – Società», XXIX/1-2, 3.
5 Così si esprimeva già nel 1991 Giovanni Paolo II, certamente non sospettabile di nostalgie per quel sistema sovietico che aveva non poco contribuito ad abbattere: «Nonostante
i grandi mutamenti avvenuti nelle società più avanzate, le carenze umane del capitalismo, col
conseguente dominio delle cose sugli uomini, sono tutt’altro che scomparse; anzi, per i poveri
alla mancanza di beni materiali si è aggiunta quella del sapere e della conoscenza, che impedisce loro di uscire dallo stato di umiliante subordinazione» (Centesimus Annus, 33). «Si è
visto come è inaccettabile l’affermazione che la sconfitta del cosiddetto “socialismo reale” lasci
il capitalismo come unico modello di organizzazione economica. Occorre rompere le barriere
e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti – individui
e Nazioni – le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo. Tale obiettivo
richiede sforzi programmati e responsabili da parte di tutta la comunità internazionale» (Centesimus Annus, 35).
6 Non bisogna tuttavia dimenticare come forme più o meno avanzate di capitalismo si siano sovente abbinate, anche nel mondo occidentale e nei paesi post-coloniali, con sistemi politici
dittatoriali, autocratici e illiberali.
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