giovedì 31 gennaio 2019

Rispecchiamento, dialettica e neo-positivismo - Stefano Garroni


Da: Stefano Garroni, Dialettica riproposta, a cura di Alessandra Ciattini, lacittadelsole.Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.




Nell’aggiunta 2 al § 19 della sua Enciclopedia1, Hegel descrive una rigida alternativa intorno al sapere, affrontando così un tema, di cui si discuteva non solo al suo tempo, perché al contrario proprio l’alternativa, di cui Hegel dice, è tornata d’attualità anche in epoca a noi contemporanea. Leggiamo, dunque, la pagina hegeliana.

“Due opposte opinioni che si hanno intorno al pensiero: «questo è solo un pensiero (Gedanke)!» lo si dice, per intendere che si tratta di qualcosa di soggettivo, arbitrario e casuale, che nulla ha a che vedere con la cosa stessa, con il vero e con il reale. Oppure, si può avere del pensiero un’opinione così diversa, da sostenere che solo mediante esso può conoscersi la natura di dio e non certo mediante i sensi.”

Come si vede, – una volta che si ricordi l’identificazione tra dio e logos o ragione, che Hegel eredita dalla tradizione classica – qui è perfettamente delineata l’alternativa fra una concezione del conoscere, fondata sulla mediazione del pensiero; ed un’altra concezione – che ad es. ritroviamo senz’altro in Schopenhauer e in Bergson (ma anche in tanti autori ad Hegel contemporanei), secondo cui la conoscenza effettiva, profonda, reale è resa im-possibile, proprio dalla presenza della mediazione del pensiero; nel proseguo della nostra analisi, vedremo che appunto questi due filosofi saranno oggetto privilegiato della critica neopositivista di Moritz Schlick.

Insomma, Hegel delinea l’opposizione fra una concezione scientifica e razionale del conoscere, ed un’altra, che punta piuttosto su cose come, il sentimento, l’intuizione, l’immedesimazione del soggetto con l’oggetto. In definitiva, il misticismo.

“Il sentimento in quanto tale – continua Hegel – è la forma della sensibilità, che ci accomuna all’animale; quella del sentimento è la forma più vile per il contenuto spirituale. Questo contenuto – cioè, dio stesso (ovvero, per chiarire ancora una volta, la razionalità, che si dispiega nel mondo, perché è la razionalità del mondo. Nota mia, S.G.) – è nella sua verità solo nel pensiero e in quanto pensiero. In questo senso, dunque, il pensiero non è solo pensiero, sì piuttosto il modo sommo e, se ben esaminato, l’unico, in cui l’Eterno, ciò-che-è-in-sé-e-per-sé può esser colto. La logica non serve solo a pensare – cosa che si presterebbe all’obiezione che gli uomini pensano normalmente, anche senza saper nulla di logica. Ma, da quando si è capito che del pensiero va fatta esperienza (erfahren) anche come il Sommo, il Vero, la logica non serve solo a questo: se la scienza della logica analizza il pensare nella sua attività e nella sua produzione (e il pensare non è un’attività priva di contenuto, poiché produce pensanti e pensati), allora il contenuto è il mondo soprasensibile (cioè quella dimensione, che non si riduce all’immediatezza del sentire, dell’esperire. Nota mia, S.G.) ed occuparsi di esso è mantenersi in tale mondo.

Raggiunta una prima chiarezza a proposito della pagina hegeliana, azzardiamo un accostamento, che ha effettivamente qualcosa di provocatorio.

martedì 29 gennaio 2019

La strana nascita dello spazio e del tempo - Guido Tonelli

Da: Festa Scienza Filosofia - Guido_Tonelli è un fisico del CERN, professore dell’Università degli Studi di Pisa e ricercatore associato dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs.

                             

lunedì 28 gennaio 2019

I concetti fondamentali della filosofia di Hegel (II parte) - Renato Caputo

Da: https://www.lacittafutura.it - Approfondimenti teorici (Unigramsci) - Renato Caputo insegna storia e filosofia. 
Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi

La filosofia come comprensione del proprio tempo con il pensiero
La verità, secondo Hegel, non è mai qualche cosa di dato, di finito, ma è il risultato di un processo e dei momenti necessari che sono stati superati dialetticamente – ovvero tolti in ciò che c’era di non più attuale e tesaurizzati per quanto c’era di ancora vitale – per raggiungere tale risultato. La filosofia hegeliana è filosofia reale e, perciò, segna una cesura con il pensiero utopistico, improntato non alla conoscenza scientifica della realtà storica, ma alla pura aspirazione del dover essereL’idea in effetti non è, sottolinea Hegel, così impotente da restare un mero dover essere, una pura aspirazione, un mero concetto astratto in quanto tale soggettivo.
Al contrario la filosofia ha come missione fondamentale quella di far comprendere la realtà nella sua razionalità, nella sua necessità, ovvero in modo scientifico. Deve dunque, innanzitutto, consentire di comprendere concettualmente la propria epoca storica – comprese le leggi, la morale e la religione di cui occorre intendere la razionalità-necessità – per consentire così all’uomo d’azione, al Politico di intervenire in modo razionale su di essa, con profitto, per razionalizzare ulteriormente l’esistente, realizzando nell’idea il concetto che ne costituiva, in modo generalmente non del tutto consapevole, il movente. Una volta ricompresa razionalmente la nuova realtà storica, diverrà la base per elaborare un nuovo concetto, che richiedere, per essere a sua volta realizzato, una nuova azione storica.
L’indissolubile nesso dialettico fra filosofia e storia, pensiero e azione, teoria e prassi
Hegel utilizza, per rappresentare la filosofia, la metafora della Nottola (la civetta) di Atena-Minerva, l’uccello notturno posto come simbolo della Dea della ragione, che indica la visione dall’alto che consente al filosofo di comprendere la realtà nella sua verità, ovvero nel suo insieme, nella sua totalità, levandosi in volo sul far della sera, ossia quando l’azione storica, che necessariamente la precede, si è compiuta. Più grande è l’azione storica più significativa sarà, dunque, la sua comprensione filosofica e, proprio per questo, secondo Hegel i grandi sistemi filosofici, che sintetizzano in sé tutti i precedenti sviluppi delle scienze filosofiche compendiandole, sono realizzabili solo quando un’intera epoca storica si è compiuta e si è così giunti nella notte che precede l’alba di un nuovo mondo. La grande azione storica su cui riflette la filosofia di Hegel è la Rivoluzione francese e la sua affermazione in Europa – prima con le imprese napoleoniche e poi con la lotta dei popoli nazionali contro l’impero bonapartista – e la coeva rivoluzione industriale che segnano il tramonto della grande epoca storica cristiano-medievale, dal cui compimento-superamento nascerà il mondo moderno capitalista-borghese. 

giovedì 24 gennaio 2019

Mia carissima Julca - Antonio Gramsci

Da: Antonio Gramsci, Lettere dal carcere - https://www.facebook.com/riccardo.bellofiore.3
Vedi anche: http://www.raiscuola.rai.it/articoli/luciano-canfora-la-lezione-di-libert%C3%A0-di-antonio-gramsci


Mia carissima Julca,

ti voglio descrivere la mia vita quotidiana nelle sue linee più essenziali, perché tu possa seguirla e coglierne di tanto in tanto qualche tratto. Come sai, perché deve avertelo già scritto Tania, io abito insieme ad altri quattro amici, fra i quali l’ingegnere Bordiga di Napoli, del quale forse conosci il nome. Gli altri tre sono: un ex deputato riformista di Perugia, l’avv. Sbaraglini e due amici abruzzesi. Adesso dormo in una stanza con uno di questi abruzzesi, Piero Ventura; prima dormivamo in tre, perché era insieme a noi l’ex deputato massimalista di Verona Paolo Conca, un simpatico tipo di operaio, che la notte non ci lasciava dormire perché assillato dal pensiero della moglie; sospirava, soffiava, poi accendeva il lume e fumava dei sigari pestilenziali. La moglie è finalmente venuta anche lei ad Ustica per raggiungere il marito e il Conca ci ha lasciato. Siamo dunque in cinque, divisi in tre camerette da letto (tutta la casa): abbiamo a nostra disposizione una bellissima terrazza, dalla quale ammiriamo lo sconfinato mare durante il giorno e il magnifico cielo durante la notte. Il cielo sgombro di ogni fumosità cittadina, permette di godersi queste meraviglie col massimo di intensità. I colori dell’acqua marina e del firmamento sono veramente straordinari per la varietà e la profondità: ho visto degli arcobaleni unici nel loro genere.

Al mattino, di solito, io sono il primo a levarmi; l’ingegnere Bordiga afferma che in questo momento il mio passo ha caratteristiche speciali, è il passo dell’uomo che non ha ancora preso il caffè e lo attende con una certa impazienza. Io stesso faccio il caffè, se non sono riuscito a convincere il Bordiga a farlo, date le sue attitudini spiccate per la cucina. Incomincia quindi la nostra vita: si va a scuola, come insegnanti o come scolari. Se è giorno di posta, si va sulla marina ad attendere con ansia l’arrivo del vaporetto: se per il cattivo tempo la posta non giunge, la giornata è rovinata, perché una certa malinconia si diffonde su tutti i volti. A mezzogiorno si mangia: io partecipo ad una mensa comune e proprio oggi mi spetta fare da cameriere e da sguattero: non so ancora se dovrò sbucciare le patate, preparare le lenticchie o pulire l’insalata prima di servire in tavola. Il mio debutto è atteso con molta curiosità: parecchi amici volevano sostituirmi nel servizio, ma io sono stato incrollabile nel volere adempiere la mia parte. La sera dobbiamo rientrare nelle nostre abitazioni alle 8.

Talvolta vengono delle visite di sorveglianza per accertare se veramente siamo in casa. A differenza dei coatti comuni noi non siamo chiusi dal di fuori. Altra differenza consiste nel fatto che la nostra libera uscita dura fino alle 8 e non solamente fino alle 5; potremmo avere dei permessi serali se fossero necessari per qualche cosa. In casa, alla sera giuochiamo alle carte. Non avevo giocato mai finora; il Bordiga assicura che ho la stoffa per diventare un buon giocatore di scopone scientifico. Ho già ricostituito una certa bibliotechina e posso leggere e studiare. I libri e i giornali che mi arrivano hanno già determinato una certa lotta tra me e il Bordiga, il quale sostiene a torto che io sono molto disordinato; a tradimento egli mette il disordine tra le cose mie, con la scusa della simmetria e dell’architettura: ma in realtà io non riesco più a trovar nulla nel guazzabuglio simmetrico che mi trovo combinato.

Carissima Julca: scrivimi a lungo sulla vita tua e dei bambini. Appena è possibile, mandami la fotografia di Giuliano. Delka ha fatto ancora molti progressi? Gli sono cresciuti nuovamente i capelli? La malattia ha lasciato in lui qualche conseguenza? Scrivimi molto di Giuliano. E Genia è guarita?

Ti abbraccio stretta stretta ANTONIO 

15 1 1927

mercoledì 23 gennaio 2019

Riflessioni 17... - Stefano Garroni

Da: https://www.facebook.com/groupsStefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/10/riflessioni-16-stefano-garroni.html  


Per una pace perpetua (1775) è un’operetta scritta da Kant, quando ormai il suo pensiero fondamentale era stato fissato nelle sue grandi Opere.

Dal titolo si potrebbe ricavare che Kant riconosca quale aspirazione più profonda dei popoli, quella di vivere in pace; ma più volte su questo Kant esprime dubbi, considerando tale obiettivo utopico e fantastico; ma ciò non basta a far sì che Kant abbandoni tale obiettivo; si pensa forse che l’espressione di Moltke [Helmuth von Moltke the Elder], secondo cui “una pace perpetua è un sogno e in nessun caso un bel sogno”, oppure a Voltaire, il quale anche parla di un sogno, che può tradursi in realtà tanto poco, quanto poco vi può essere pace tra i regnanti, come tra gli elefanti e i rinoceronti, la volpe e il cane; o si pensa stupidamente che Kant nella sua introduzione comporti che, nell’epoca dell’armamento atomico, ogni sforzo per la pace tra i popoli è un cimitero (Kirchhof), in cui l’umanità si adagerà per un’eterna pace.

Ma nello scritto non troviamo nulla di tutto questo; è vero piuttosto che Kant affronta il tema così come fa nel caso, in generale, dei concetti della ragione: l’idea della pace perpetua appartiene ai concetti che sono al di là delle possibilità dell’esperienza e che, dunque, non troveranno mai un oggetto ad essi pienamente corrispondente: ciò che solo è realistico è che l’esperienza umana si tenda verso il raggiungimento di un obiettivo in verità, irrealizzabile.

Non potremmo mai raggiungere, quell’obiettivo, perché infinitamente lontano. Piuttosto quello che ci poniamo è un compito del tutto reale ed alla cui realizzazione possiamo lavorare con successo, cioè a dire, ricercare la strada, che ci permetta di avvicinarci –solo avvicinarci- a quello scopo.

Questo tendere, destinato ad una insoddisfazione senza fine, appartiene agli imperativi morali, che ogni essere razionale approva e sul diritto che, in definitiva, deve valere per tutto il mondo umano.

Così gli argomenti di Kant circa la strada per la pace perpetua si basano sull’idea di libertà, sulla legge morale e sulla sua dottrina del diritto. Cosa significa per lui, in questo insieme, libertà? Come si pone, da politico, Kant nei suoi confronti?

Già nel 1781, dunque circa 50 anni prima dello scritto sulla “Pace perpetua”, espresse, nella Critica della ragion pura, la sua concezione della migliore costituzione possibile, nella lapidaria espressione: “Una Costituzione della massima libertà umana secondo leggi, la quale fa sì che la libertà di ognuno possa sussistere in connessione con quella degli altri (non una Costituzione della maggiore felicità, poiché quest’ultima ne deriverebbe di per sé) è dunque per lo meno un’idea necessaria, che non si debba disporre, solo, del primo schizzo di una Costituzione statale, ma sì di una Costituzione completa di tutte le leggi”. Una simile libertà è una condizione fondamentale per una pacifica vita sociale degli uomini. E questa resta una ferma componente della sua costruzione critica.

Nessuna meraviglia che Kant non si trovasse minimamente d’accordo con il modo, in cui, in Francia, si cercava di portare avanti l’idea di libertà. Ed e’ comprensibile anche come egli sicuramente preferisse la via legale e non quella violenta: Kant spiega, per fare un esempio, che non è giusto che se i sottomessi cacciano via un tiranno, che opprime la loro libertà, non gli riconoscano, una volta detronizzato, diritti e libertà.

Come l'idea di libertà, anche la dottrina del’imperativo categorico restò indiscussa nel sistema kantiano della ragione, e proprio nei termini in cui essa compare nello scritto, di cui ci stiamo occupando. L’imperativo categorico, secondo il quale è vero che il volere razionale vale per il singolo eticamente, così come è vero che esso vale nello stesso senso anche nel comportamento dei popoli l’un verso l’altro, in breve: “la volontà universale data a priori, la quale ha nella ragione la propria origine e la propria sede, è la sola, che può definire (bestimmen) che cosa sia giusto”. Questo pensiero ben presto si radicò nella dottrina morale kantiana ed anche nel presente scritto funge da idea cardine, intorno a cui gli altri pensieri a proposito della libertà del mondo umano si vanno ordinando.



martedì 22 gennaio 2019

La dura lotta intercapitalista - Paolo Massucci

Leggi anche: Conflittualità intercapitalistica (anarchia della produzione) - Gianfranco Pala (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/07/conflittualita-intercapitalistica.html)

Questo articolo preso dal Sole 24 Ore
(https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2019-01-15/recessione-porte-modello-solo-export-non-funziona-piu-071019.shtml?uuid=AEDbdlEHci)
ci permette di fare una breve anche se ovvia riflessione...

L'articolo in sintesi evidenzia come più o meno tutti i Paesi dell'Eurozona registrino forti avanzi delle partite correnti e mette ciò in relazione con il rallentamento economico prima, con la stagnazione e poi con la vera e propria recessione registrata in questi giorni nell'Eurozona.

Le spiegazioni si limitano al fatto, relativamente noto, che se troppi Paesi basano la propria economia sull'export anziché bilanciare le partite correnti con i consumi interni, allora nascono difficoltà, ovvie, di sbocco delle merci esportate: infatti se un paese è esportatore netto, un'altro necessariamente deve essere importatore netto. Ad esempio gli USA di Trump, ribaltando il modello precedente, con le loro politiche protezioniste e i dazi sulle importazioni stanno sostenendo investimenti produttivi e produzione interna e ostacolando le importazioni (dunque in sostanza si assiste ad un riorientamento a vantaggio dell'export contro l'import).

Quello che l'articolo omette di chiarire esplicitamente è che in Europa (ma anche nel mondo) le politiche neoliberiste (sono infatti le oligarchie capitalistico-finanziarie che orientano le politiche economiche dei governi) portano a ridurre le imposte sul capitale e ridurre il costo del lavoro: questo, a sentire i mass media, appare come qualcosa di ottimo e benefico per l'economia e per il Paese (come se fossimo tutti sulla stessa barca, senza classi sociali) ma in realtà è tutt'altro che indolore! Se si riducono le imposte sul capitale allora per garantire la parità di bilancio, o comunque per non incrementare il deficit pubblico, devono essere aumentate le imposte sul lavoro o le tasse sui consumi (IVA), e devono ridursi qualità, estensione ed efficacia dei servizi pubblici; se si riduce il costo del lavoro di converso si devono ridurre salari, salari differiti (pensioni) e salari indiretti (stato sociale).

Cosa comporta dunque tutto questo in un Paese, cioè la presenza di capitali produttivi ipertrofici e di consumi depressi ? Comporta che il Paese, per non bloccarsi, deve orientare la propria economia alle esportazioni. Ma l'intera Europa negli ultimi trent'anni si sta muovendo in questa direzione e ora i nodi arrivano al pettine, peraltro nel momento in cui anche gli USA di Trump stanno riorientando la propria economia verso l'export. La competizione tra gli Stati, sia in Europa sia in tutto il mondo, per gratificare e quindi conquistarsi i capitali globali, è all'origine di quelle politiche neoliberiste che aumentano in maniera drammatica la polarizzazione di redditi e ricchezze, restringono lo stato sociale (quei servizi universalistici la cui costituzione, pur mai completata, sanciva il progresso civile delle politiche socialdemocratiche), comportano sofferenza e insicurezza sociale e disgregazione sociale, con comportamenti -in assenza di alcuna consapevolezza e coscienza di classe- di estrema competizione tra individui e sentimenti di rabbia che sfociano persino nel razzismo.

Ora, a queste devastazioni nella sfera sociale prodotte dalle politiche neoliberiste, si aggiunge un inceppamento della circolazione del denaro, in quanto le merci prodotte dai capitali industriali non trovano più sufficienti sbocchi a seguito del prevalere, appunto, a livello mondiale, di un modello economico globale vocato sempre più alle esportazioni. Ma come risolvere questa crisi se gli stessi poteri capitalistici per aumentare i profitti spingono sempre più i governi ad adottare politiche sempre più neoliberiste? Non sembra in questo caso, almeno per ora, che "la mano invisibile del mercato" sia in grado di sanare questa crisi. 

Paolo Massucci (Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")

lunedì 21 gennaio 2019

"Pensiero in movimento" - Maurizio Ferraris

Da: Labont - Center for Ontology - Pensiero in Movimento, Resp. scientifico: Maurizio Ferraris, Pearson, forthcoming 2019
Maurizio_Ferraris è un filosofo e accademico italiano.



martedì 15 gennaio 2019

Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel"

Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco - [Die Fackel, nr. 546-550, luglio 1920, pp.6-9; e nr. 554-556, novembre 1920, pp. 6-12] -





Vedi anche:
ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986)

Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi



Leggi anche: 
https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/05/rosa-luxemburg-rivoluzionaria-donna.html



Dedico alla memoria della più nobile vittima la lettura della seguente lettera, che Rosa Luxemburg scrisse dal carcere femminile di Breslavia a Sonja Liebknecht a metà dicembre 1917.

«Ormai è un anno che Karl è in carcere a Luckau. In questo mese ci ho pensato spesso: proprio un anno fa Lei era a casa mia, qui a Wronke, e mi ha donato quel bell’albero di natale…Quest’anno me ne sono procurato uno,ma me lo hanno portato molto scadente e con qualche ramo mancante – non c’è confronto con quello dell’anno scorso. Non so come potrò appenderci le otto piccole luci che mi sono porcurata. E’ il mio terzo Natale in carcere , ma non la prenda sul tragico. Io sono tranquilla e serena come sempre. Ieri sono rimasta sveglia a lungo – ormai non riesco a prender sonno prima dell’una, ma devo coricarmi già alle dieci – e poi nel buio mi abbandono a tanti sogni dunque pensavo: è strano come io viva costantemente in una lieta ebrezza – e senza alcun motivo particolare. Così, per esempio, giaccio in questa cella buia su un materasso duro come la pietra, tutto intorno a me regna il solito silenzio di tomba, sembra di essere già morti: dalla finestra si staglia sulla coperta il riflesso di un lampione, che arde tutta la notte davanti al carcere. Di quanto in quanto si sente, smorzato, lo strepito lontano di un treno che passa o, vicinissimo sotto la finestra, il tossicchiare della sentinella che, per sgranchirsi le gambe irrigidite, fa due passi lentamente nei suoi pesanti stivali. Sotto questi passi la sabbia scricchiola così disperatamente, che tutto il vuoto e l’inesorabilità dell’esistenza risuonano nella notte umida e oscura. Ed io giaccio sola, avvolta nei molteplici panni neri delle tenebre, della noia, della prigionia dell’inverno – ma il mio cuore intanto batte di un’intima gioia sconosciuta, inconcepibile, come se camminassi su un prato fiorito nella chiara luce del sole. Nel buio io sorrido alla vita, come se fossi consapevole di un magico segreto, che annulla il male e la tristezza e li trasforma in pura luminosa felicità. Cerco un motivo per questa gioia, non lo trovo e sorrido di me stessa. Penso che il segreto non sia che la vita stessa; le profonde tenebre notturne sono belle e morbide come il velluto, basta saper guardare. Ed anche nello scricchiolio della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della sentinella, risuona un piccolo e dolce canto sulla vita – basta saper ascoltare. In questi momenti io penso a Lei, e vorrei comunicarLe la chiave magica, perché possa cogliere, sempre ed in ogni circostanza, la gioiosa bellezza della vita, perché anche Lei possa vivere in questa ebrezza e camminare come su un prato fiorito. Non voglio certo propinarLe ascetismo e gioie immaginarie: Le auguro tutte le reali gioie dei sensi. A queste vorrei solo aggiungere la mia inesauribile gioia interiore, per essere tranquilla sul Suo conto, per essere sicura che Lei affronti la vita avvolta in un mantello trapunto di stelle, che La protegga da ogni piccineria, volgarità angoscia. Nel parco di Steglitz Lei ha colto un bel mazzo di bacche nere e rosso-viola. Per quelle nere, si può trattare di sambuco – le sue bacche pendono in pesanti e fitti corimbi fra grandi foglie pennate, le conosce certamente – o di ligustro: piccole, esili pannocchie dritte, tra foglie sottili e lanceolate- Le bacche rosa-viola, nascoste tra le piccole foglie, potrebbero essere quelle del nespolo nano; in realtà sono rosse, ma in questa stagione avanzata sarebbero fin troppo mature, e un po’ marcite appaiono spesso di un rosa violetto; le foglioline sono simili a quelle del mirto, piccole e aguzze in cima, di un verde scuro, ruvide nella parte inferiore e simili al cuoio in quella superiore.

lunedì 14 gennaio 2019

L’Italia prima e dopo l’euro. LA MONETA AL GOVERNO. - Augusto Graziani

Da la rivista del manifesto, n.30, luglio-agosto 2002. - Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova
Augusto_Graziani è stato un economista e politico italiano.
Leggi anche: Euro: dopo vent’anni, riforma cercasi disperatamente - Riccardo Bellofiore 
Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  M. Donato  

Allorché si prospettava l’adozione dell’euro come moneta unica, gli esperti concordavano nel prevedere per la nuova valuta il destino di una valuta forte. Nel loro insieme, i paesi ammessi a far parte dell’Unione monetaria (undici, in seguito divenuti dodici) formavano un mercato finanziario maggiore di quello statunitense; per di più, alcune delle valute che venivano fuse nell’euro potevano vantare una tradizione consolidata di stabilità e solidità, mentre la struttura industriale che stava alle spalle della nuova moneta era fra le più avanzate del mondo. Tutte queste previsioni erano destinate a risultare fallaci. A partire dal 1° gennaio 1999 e fino ad oggi (giugno 2002) la moneta europea, nonostante la recente ripresa, si è svalutata di circa il 20 % rispetto al dollaro e di oltre il 10% rispetto allo yen giapponese (lo stesso yen si è svalutato del 10% sul dollaro).

Per l’Italia, l’adozione di una moneta comune, unita all’andamento declinante del corso dell’euro rispetto alle altre grandi valute mondiali, ha significato l’abbandono di quello che era stato in passato un carattere tipico della politica valutaria italiana. In anni precedenti, quando l’Italia poteva condurre una politica valutaria indipendente, le autorità monetarie (Banca d’Italia e Tesoro) avevano sempre tentato di realizzare una sorta di linea differenziata. Da un lato veniva perseguito, se non un lieve apprezzamento della lira, almeno un tasso di cambio stabile rispetto al dollaro; questa linea aveva lo scopo di evitare l’aumento dei prezzi in lire delle importazioni quotate in dollari (anzitutto il petrolio, ma anche macchinari ad alta tecnologia, brevetti, apparecchi elettronici). Dall’altro, veniva vista con favore una lieve svalutazione della lira rispetto al marco tedesco, in quanto poteva incoraggiare le esportazioni verso i mercati europei.

domenica 13 gennaio 2019

Ninna Nanna - Bertolt Brecht (1932)


Da: “Bertolt Brecht. Poesie politiche”, a cura di Enrico Ganni, Einaudi 2006 (2014) - 
Versi di Bertolt Brecht. Musica di Hanns Eisler In “Historische Recordings 1931-1933”
https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=49123 
https://www.facebook.com/notes/244950772197993/ 


Ninna Nanna 

Quando ti portavo in seno 

eran tempi duri, lo sai bene,

“questo piccolo, mi dicevo sempre,

verrà al mondo in un mondo di pene” 

e ho giurato di fare di tutto

perchè almeno tu sapessi cosa fare,

perchè il mondo che ti accoglie così male,

tu lo possa almeno un po’ migliorare.

E vedevo montagne di carbone,

ben difese dalla polizia,

“quando avrà freddo mio figlio, mi dicevo,

penserà lui a portarle via”.

E vedevo nelle vetrine il pane,

vedevo gli occhi di chi pane non ha,

“quando avrà fame mio figlio, mi dicevo,

a spaccare quei vetri penserà”.

Quando ti portavo in seno,

mi dicevo “tra poco nascerai,

sarai bello giusto e forte

e nessuno fermarti potrà mai”.

Quando tu sei nato, i tuoi fratelli piangevano per la fame

e domandavano pane,

quando tu sei nato, non si avevano soldi per il gas

e sei venuto al mondo al buio,

quando ti aspettavo con tuo padre, ogni sera

parlavamo di te,

ma per il dottore soldi non ce n’erano

ci servivano per comprare il pane.

Quando ti abbiam fatto, proprio più non c’era

la speranza di trovare lavoro

e soltanto Marx e Lenin alla gente come noi

parlavano di un futuro.

O figlio, al mondo c’è gente che prepara,

per quando sarai grande, un bastone per te

perché tu sei di quelli nati per la catena

e per i quali al mondo altro posto non c’è.

Tu forse non sei il più bello e il più forte,

per te non ho soldi e non voglio preghiere,

ma tu sei mio figlio e non dovrai sprecare

il poco tempo che ti è dato sulla terra.

Di notte sento le tu manine strette a pugno accanto a me

e penso allora che qualcuno già

sta preparando l’arma destinata a te.

La tua mamma non ti ha mai detto

che sei il più forte, che sei il più bello,

ma neppure ti ha messo al mondo

perché tu sia fatto carne da macello.

Ricorda, figlio, che solo coi tuoi simili

i prepotenti vincere potrai.

E tu ed io e tutti quelli come noi

devono lottare.

Perché in questo mondo, in cui vivrai anche tu,

sfruttati e sfruttatori non ce ne siano più!