giovedì 28 febbraio 2019

Egemonia come direzione o come dominio? - Tian Shigang

Da: https://medium.com/china-files - Traduzione per China files di Andrea Pira 

Leggi ancheI Quaderni del carcere Renato Caputo



Come rendere in cinese uno dei concetti fondamentali del pensiero di Gramsci? Per gli ottant’anni (82) dalla morte del leader comunista italiano, China Files traduce uno scritto del suo traduttore cinese, Tian Shigang. 


Per ricordarne il settantesimo anniversario dalla morte, la Casa editrice del popolo (Renmin chuban she) ha pubblicato le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, fondatore e segretario del Partito comunista d’Italia (PCd’I), uno tra i teorici marxisti più eclettici ed originali del XX secolo.
Le Lettere dal carcere (edizione integrale tradotta) raccolgono le 456 missive che, tra il novembre 1926 e il gennaio 1937, Gramsci inviò dai luoghi d’esilio e dalle carceri fasciste, ad amici e familiari. Le Lettere dal carcere sono un archivio del pensiero gramsciano, l’introduzione e la guida dei Quaderni del carcere. Le Lettere sono un “autoritratto” autentico e vivo, una “solenne sinfonia” che tocca le menti delle persone, uno “sfortunato” classico della moderna letteratura italiana, che Croce esalta perché appartenenti all’intera nazione italiana. Dopo la prima pubblicazione nel 1947, le Lettere dal carcere ebbero immediatamente una grande eco, dovuta al loro linguaggio vivo e semplice, alla capacità di toccare i reali sentimenti delle persone, alla ricchezza del contenuto ed alla profondità di pensiero, tanto da conquistare nel 1948 il più importante premio letterario italiano, il premio di Viareggio.
Per il sottoscritto, il percorso di traduzione delle Lettere dal carcere è stato allo stesso tempo un percorso di studio, che mi ha spinto ad approfondire maggiormente alcuni dei concetti peculiari di Gramsci, soprattutto quello di “egemonia”.

mercoledì 27 febbraio 2019

LIBERTA’ COME ILLUSIONE NELLA CULTURA DECADENTE - Paolo Massucci

Da: https://www.lacittafutura.it - Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2019/01/rispecchiamento-dialettica-e-neo.html
                      https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/09/il-dualismo-mente-corpo-un-dilemma.html




Sono cresciute negli ultimi anni tesi a sostegno del determinismo e dell’illusorietà del libero arbitrio, supportate da recenti scoperte delle neuroscienze. Vero avanzamento del pensiero scientifico e filosofico o ideologia funzionale al mantenimento dello status quo?




In un interessante testo del 2016 [1], Andrea Lavazza, studioso di filosofia morale e di filosofia delle neuroscienze, ci offre un quadro dell’attuale dibattito inerente ad uno degli argomenti da alcuni anni più discussi, che si candida ad essere tra gli snodi più importanti della riflessione filosofica, in virtù delle sue ricadute sull’esistenza. Si tratta dell’alternativa tra la nozione di determinismo, nelle sue diverse articolazioni, e quella di libertà umana (libero arbitrio)[2], questione che ha segnato la storia del pensiero sin dall’antichità, almeno a partire da Democrito. 

martedì 26 febbraio 2019

ROMA E ANNIBALE - Una storia in movimento

Luciano Canfora, Storico del mondo antico e Professore emerito di Filologia Greca e Latina all’Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Annalisa Lo Monaco, Ricercatore di Archeologia Classica alla Sapienza Università di Roma
Claudio Strinati, Storico dell'Arte.
Andrea Giardina, Professore di Storia Romana alla Scuola Normale Superiore di Pisa.

                                                                          

Il Mediterraneo è un susseguirsi di mari, di paesaggi, di popoli, un crocevia antichissimo dove persone, merci, idee e diverse forme dell’estetica generarono la diffusione di civiltà, culti, costumi e leggende. A metà del II secolo a.C. la definitiva vittoria romana contro i cartaginesi, la presa di Corinto e l’eredità del regno di Pergamo, consegnarono alla Repubblica il dominio del Mediterraneo e tutti i territori di quest’area passarono sotto la sua autorità, favorendo l’assimilazione giuridica, linguistica e l’ellenizzazione della cultura romana. Ma quello dei romani è un popolo che ha le sue radici e le sue origini negli dèi, infatti dice Omero: “Dalla guerra di Troia Enea si salverà per volere degli dèi”; l’ultimo degli eroi greci diventa così il capostipite dei romani. 

lunedì 25 febbraio 2019

La scoperta del plusvalore relativo - Maria Turchetto

Da: http://www.consecutio.org - Maria Turchetto, Università Ca' Foscari (https://www.unive.it/data/persone/5591077/pubb_tipo)
Leggi anche: - Caduta tendenziale del saggio di profitto, fordismo, postfordismo. - Maria Turchetto
Vedi anche: L'evoluzione della donna - Maria Turchetto 
«il capitalismo non produce calze per regine».
(Schumpeter 1971)
   1. Tra la terza e la quarta sezione
 
Il cap. 10 del Libro I del Capitale definisce il concetto di «plusvalore relativo», ponendosi tra la terza sezione, dedicata a La produzione del plusvalore assoluto (capp. 5-9) e la quarta sezione, dedicata appunto a La produzione del plusvalore relativo (capp. 10-13). Queste sezioni rappresentano il cuore del Libro I, il nucleo essenziale della rivoluzione scientifica prodotta da Marx.

La terza sezione ci ha condotti «nel segreto laboratorio della produzione sulla cui soglia sta scritto No admittance except on business» (Marx 1975, 212), dove finalmente si svela l’arcano della produzione di plusvalore, rimasto inaccessibile all’analisi degli economisti classici. Com’è noto, la distinzione cruciale introdotta da Marx è quella tra forza-lavoro, oggetto di acquisto nella sfera della circolazione al suo valore di scambio, e lavoro, ossia uso della forza-lavoro nel «processo di produzione immediato». Il processo di produzione immediato, indagato cioè «allo stato puro […] facendo astrazione da tutti i fenomeni che nascondono il giuoco interno del suo meccanismo» e in particolare dal «movimento mediatore della circolazione» (Marx 1975, 694), oggetto dell’intero Libro I (cfr. Marx 1975, 7), rappresenta, come scrive Louis Althusser (2006, 21), l’«enorme svista» degli economisti classici, la zona d’ombra che impedisce loro di riconoscere lo sfruttamento capitalistico. Non si tratta, ovviamente, come Althusser (2006, 21) sottolinea con grande efficacia, di non cogliere un dato, qualcosa che «tuttavia era sotto gli occhi, […] a portata di mano». Si tratta di un più delicato problema di costruzione dell’oggetto scientifico o del campo di indagine. Per gli economisti classici il processo di produzione è meramente tecnico, storicamente e socialmente indifferente[1], mentre per Marx ciò che conta sono le peculiarità che esso mostra «nel suo svolgersi come processo di consumo della forza-lavoro da parte del capitalista» (Marx 1975, 224), analizzando le quali è possibile individuare l’appropriazione di plusvalore come lavoro altrui non pagato, in prima istanza come plusvalore assoluto, ossia come semplice prolungamento della giornata lavorativa oltre al tempo di lavoro necessario a riprodurre il valore della forza-lavoro (assumendo come date l’intensità e la forza produttiva del lavoro) .

Se la terza sezione e il concetto di «plusvalore assoluto» rappresentano una solida acquisizione per tutto il marxismo successivo a Marx – si tratta del resto dell’esplicitazione dello sfruttamento e dell’insanabile conflitto che oppone classe capitalistica e classe operaia – non si può dire altrettanto per la quarta sezione introdotta dal cap. 10, che pure ha un ruolo essenziale nell’inquadrare la specificità del capitalismo come produzione di massa di tipo industriale. La riscoperta di questi capitoli del Libro I è tarda, databile agli anni ’60 e ’70 del secolo scorso[2]. La voce più autorevole è forse quella di Harry Braverman, che analizza taylorismo e fordismo con gli strumenti tratti dai capitoli marxiani su cooperazione, divisione del lavoro e grande industria, aprendo una nuova stagione di studi dell’organizzazione capitalistica del lavoro[3]. Il marxismo precedente – specie quello ortodosso delle accademie sovietiche – sembra invece riproporre l’«enorme svista» degli economisti classici, trattando la produzione in termini meramente tecnici: socialismo «in costruzione» e capitalismo «maturo» venivano infatti contrapposti sul piano della circolazione (la pianificazione contro l’anarchia del mercato) e della distribuzione (la «proprietà di tutto il popolo» e l’equità dei redditi contro la proprietà privata e l’ingiusta ricchezza di pochi), mentre sul piano della tecnica e dell’organizzazione del lavoro il capitalismo veniva emulato («taylorismo ed elettrificazione» fu lo slogan della NEP)[4].

C’è stata dunque, al volgere del secolo scorso, una certa messe di studi sull’organizzazione capitalistica del lavoro ispirati alla quarta sezione del Libro I del Capitale e soprattutto ai capp. 11-13: studi molto interessanti, pur con alcuni limiti (come a suo tempo ho sostenuto, un certo “automobilocentrismo”, ossia un’attenzione forse eccessiva alle novità introdotte nel vecchio settore trainante della meccanica leggera e, per contro, una scarsa capacità critica nel valutare le promesse millantate dalle nuove tecnologie basate sull’informatica e sull’elettronica)[5]. Dati questi limiti, non sarà forse inutile focalizzare l’attenzione proprio sul cap. 10, che dei capitoli successivi – davvero splendidi – costituisce la premessa teorica. 

domenica 24 febbraio 2019

VIANDANTI ​NEL NULLA - Marco Paciotti





Da: http://www.palermo-grad.com - marcopaciotti è redattore di lacittafutura.it


Leggi anche:
https://www.lacittafutura.it/dibattito/crisi-della-sinistra-ruolo-dei-comunisti-e-restaurazione-neo-liberale-intervista-a-stefano-g-azzara

Questione nazionale e «fronte unico» Zetkin, Radek e la lotta d’egemonia contro il fascismo in Germania - Stefano G. Azzarà 


Sul libro di Stefano G. Azzarà: Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d’egemonia? [Mimesis, Milano-Udine, 2018]

Nell’attuale dibattito politico capita sovente di imbattersi nell’etichetta di “rossobrunismo”, per la quale si intende, tra chi vi aderisce entusiasticamente e chi invece vi si richiama con intenti più polemici (talvolta con toni crassamente scandalistici), un’alleanza transpolitica – oltre destra e sinistra – tra marxisti e nazionalisti contro il nemico comune costituito dal capitalismo globale transnazionale, stigmatizzato variamente quale “apolide”, “turbomondialista”, “sradicante”, “cosmopolita” etc., nel nome della difesa della “sovranità” e delle piccole patrie. 

In un testo pubblicato lo scorso autunno presso Mimesis Stefano Azzarà, con scrupolo critico, polemizza con tale posizione, mostrandone l’inconsistenza sul piano storico-filosofico a partire dall’analisi del dibattito avvenuto nell’estate del 1923 tra alcuni esponenti della Kommunistische Partei Deutschland (tra cui spiccano le figure di Karl Radek e Paul Fröhlich) e i teorici del movimento völkisch Arthur Moeller van der Bruck[1] e Ernst Reventlow. Lo scambio, descritto dall’autore come un “dialogo tra sordi”, viene presentato in una nuova traduzione di Azzarà nella seconda parte del libro. 

sabato 23 febbraio 2019

"Rosa Luxeburg e Karl Liebknecht"

Da: Centro Studi Politici e Sociali Archivio 68 - Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova 
Leggi anche: Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg tra critica dell’economia politica e rivoluzione - Riccardo Bellofiore                           
                        Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi
                           Che cosa vuole la Lega Spartaco - Rosa Luxemburg (1918)
Vedi anche: ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986) (Film completo)


Convegno su "Rosa Luxeburg e Karl Liebknecht" 

Giordano Lovascio 
Vincenzo Miliucci 
Vito Nanni 
Giuseppe Gambino 
Pubblico  
(Per vedere i video relativi agli altri relatori basta "cliccare" sul nome di ognuno di loro.)

Riccardo Bellofiore:
                                       

venerdì 22 febbraio 2019

Il socialismo nel XXI secolo nello scenario del tentato golpe contro il Venezuela - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 

Leggi anche: 


Tatticamente occorre appoggiare i governi progressisti latino-americani, implementando 

però la strategia di radicalizzare i tentativi di cambiamento intrapresi, come negli anni ’60 fece Cuba.

Mi rendo conto che mi accingo a trattare una questione assai delicata, che presenta molteplici sfaccettature e che può dar luogo a incomprensioni, suscitando anche un immediato e irritato rigetto. Ma credo che per il fatto che oggi esistono nel mondo – in questo contesto dobbiamo ragionare – numerosi gruppuscoli che si autodefiniscono comunisti, ma che non hanno pressoché nessuna incidenza sulla realtà e per di più sono spesso in rapporti astiosi tra loro, questa questione debba essere affrontata di petto (questo vale per Europa, America e Oceania; in Africa e in Asia ci sono partiti comunisti più consistenti sia pure di diverse tendenze). In particolare, è indispensabile far riferimento all’innegabile crisi, anche fomentata dall’esterno, dei governi progressisti latinoamericani, perché potrebbe fornirci l’occasione – spero – di ricucire le antiche lacerazioni ancora doloranti.

giovedì 21 febbraio 2019

Fine di un’epoca - Vladimiro Giacché

Da:  Vladimiro Giacché, Rosa-Luxemburg-Konferenz, supplemento a “die junge Welt” del 30.1.2019, sezione “Capitale e lavoro
Traduzione di Francesco Spataro - http://contropiano.org - https://www.jungewelt.de/beilage/art/347610 -
Vladimiro Giacché, nato nel 1963, è economista e presidente del Centro Europa Ricerche a Roma. Dal 1995 al 2006 ha lavorato per Mediocredito Centrale, l’ex banca di sviluppo statale italiana. Dalla fine del 2007 è socio del gruppo finanziario Sator. 

La crisi del 2007 ha dimostrato che la crescita e i profitti nel capitalismo non possono più essere garantiti dalla speculazione finanziaria. È necessario un cambio di sistema.


Per capire la prossima crisi, dovremmo guardare alle origini e all’evoluzione della precedente: dal 2000 al 2005, a causa dei bassi tassi di interesse, negli Stati Uniti emerse una consistente bolla finanziaria. Sul mercato immobiliare locale, i prezzi e il numero di contratti di mutuo raddoppiarono. A partire dal 2006, i prezzi iniziarono a scendere. Iniziò a sussistere un problema di eccesso di offerta, ovvero un problema di sovrapproduzione nel settore delle costruzioni. Nel 2007 si evidenziarono i primi problemi con i prodotti finanziari, che avevano a che fare con alcuni prestiti ipotecari statunitensi rischiosi (i cosiddetti mutui subprime). 

Quello che segue è noto: massiccia insolvenza dei mutuatari, problemi nei mercati finanziari. Saltano alcuni fondi speculativi e banche specializzate. La crisi si diffonde in tutto il mondo, e sarà la peggiore dagli anni ’30. 

Ma perché la crisi è stata così grave? 

lunedì 18 febbraio 2019

Divagazioni intorno al 25° capitolo del I Libro del Capitale - Edoarda Masi

Da: http://www.consecutio.org - Edoarda_Masi è stata una saggista e sinologa italiana, specializzata nella cultura della Cina e nella lingua cinese.
Questo testo riprende, anche nella forma, il testo presentato al Seminario Bergamasco sul Capitale coordinato da Riccardo Bellofiore il 3 maggio 2008. -

Leggi anche: "RICOLONIZZAZIONE", dall’esperienza storica del presente - Edoarda Masi 
     "        "    :  La colonizzazione globale: le false unità e le false identità nelle ideologie dell’impero*- Edoarda Masi**
     "        "    : Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi


1. Una lettura

Non riassumo il capitolo 25°, che è abbastanza breve e – mi sembra – di facile lettura. Marx è interessato a indagare come il capitale agisca sempre secondo la sua logica interna, e si propone qui di mostrare che nelle colonie si riproducono i suoi meccanismi fondamentali: specificamente, nella trasformazione di uomini liberi in salariati sfruttati. Per semplificare il discorso utilizza polemicamente un testo di E.G. Wakefield, un teorico della colonizzazione. Il discorso è chiaro e coerente, la sua logica incontestabile, una volta che si accettino i presupposti – per la verità non tutti accettabili (come quello che nelle terre da colonizzare il capitale trovi, all’inizio, liberi produttori).

Partire dal massimo livello di astrazione può valere contro la realtà storica? Al di là di questa logica, mi limiterò ad alcune osservazioni in certo senso fuori tema.

Quando Marx scrive queste righe, siamo in pieno Ottocento – il secolo nel corso del quale le terre emerse colonizzate degli europei passano dal 35% all’85%. È quanto meno singolare che un osservatore acuto (diciamo pure, un genio) come lui non si curi di questo evento macroscopico, una volta che abbia deciso di scrivere un capitolo sulla colonizzazione. Né si domandi per quali motivi tale fenomeno sia in corso, da dove parta e quali risultati produca nella madrepatria (cioè nel luogo centrale della sua indagine sul capitale).

Non solo. Come esempio di colonia sceglie gli Stati Uniti d’America, che da un pezzo hanno raggiunto l’indipendenza; anche se – come si precisa in nota – «economicamente parlando […] sono ancora terra coloniale dell’Europa». 

Ma chi sono quei liberi produttori che il capitale colonizzatore trasforma in salariati sfruttati? Non gli indigeni del continente colonizzato, bensì i liberi immigrati, originari e del presente. Sulle conseguenze della guerra civile, terminata da poco quando presumibilmente scrive queste righe, Marx osserva che questa ha prodotto «un debito nazionale colossale, accompagnato da una pressione fiscale, dalla nascita della più volgare aristocrazia finanziaria, dalla donazione di una parte enorme di terreni pubblici a società di speculatori al fine dello sfruttamento di ferrovie, miniere, ecc. in breve, ha avuto come conseguenza una rapidissima centralizzazione del capitale. Dunque la grande repubblica ha cessato di essere la terra promessa degli operai emigranti».

sabato 16 febbraio 2019

There is (no) alternative: pensare un’alternativa. Dibattito con Olivier Blanchard e Emiliano Brancaccio

Da: Emiliano Brancaccio - http://www.emilianobrancaccio.it/

Fondazione Feltrinelli, Milano, 19 dicembre 2018 - There is (no) alternative: pensare un'alternativa. Dibattito con Olivier Blanchard (Peterson Institute, già capo economista del Fondo Monetario Internazionale) ed Emiliano Brancaccio (Università del Sannio, autore del saggio "Anti-Blanchard"). Modera Pietro Raitano.
              
                                                 
Confronto interesante tra  Brancaccio e Blanchard che, però, prende realmente quota solo, a partire dalla parte finale dell'intervento di Blanchard (49,18) e dai secondi interventi dei due interlocutori  e, ancora, dalle domande intelligenti, del pubblico alle quali  però non ci sembra sia stata data una risposta esaustiva e convincente. (il collettivo) 

                          

venerdì 15 febbraio 2019

I concetti fondamentali della filosofia di Hegel (III parte) - Renato Caputo



Renato Caputo insegna storia e filosofia. 

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi


Segue da: I concetti fondamentali della filosofia di Hegel - Renato Caputo - 
     "          : I concetti fondamentali della filosofia di Hegel (II parte) - Renato Caputo - 




La struttura a spirale della verità

Lo sviluppo in tre momenti dell’assoluto – logica, filosofia della natura e dello spirito – non segue un ordine cronologico, ma un ordine logico. In effetti, dal punto di vista cronologico la logica – ossia la grammatica del reale – può essere estrapolata per astrazione sempre solo dopo che la lingua, la realtà si è sviluppata e consolidata.
Dal punto di vista cronologico avremo, quindi, prima lo sviluppo della natura, oggetto della filosofia della natura, poi lo sviluppo storico dello spirito umano, studiato dalla filosofia dello spirito e, solo infine, l’astrazione della logica in cui si articola inconsapevolmente l’evoluzione della natura e poi il suo divenire più o meno consapevole nella storia dello sviluppo dello spirito dell’umanità. Anche se, dal punto di vista sempre cronologico, si potrebbe meglio dire che viene sempre prima lo sviluppo fino al suo apice storico della filosofia dello spirito umano, che diviene così consapevole di ricostruire l’evoluzione della natura che è divenuta, consapevole di sé proprio nel genere umano e, infine, ricostruisce (estrapolandola) la logica seguita tanto dallo sviluppo naturale, che da quello storico e spirituale. Quindi, dal punto di vista temporale, è l’ultimo momento – ovvero lo spirito dell’umanità che, giunto al suo massimo sviluppo in un determinato momento storico – che, in quanto risultato, consente di porre, di ricostruire, i momenti precedenti, ovvero la natura e la logica. D’altra parte è quest’ultima a presiedere allo sviluppo tanto della storia della natura quanto di quella dello spirito umano, dal punto di vista logico ovviamente.
La verità, in effetti, ha per Hegel una struttura solo apparentemente circolare in quanto, con il compiersi della filosofia dello spirito, è possibile sì ricostruire la logica, ma si tratterà di una logica più evoluta e complessa della precedente. Dunque, il risultato solo apparentemente ritorna al suo inizio, compiendo il circolo, ma in realtà sviluppa la struttura circolare a un grado più elevato, come avviene nella spirale, che proprio per questo costituisce la migliore metafora in grado di spiegare l’articolarsi dei tre diversi momenti dell’assoluto. Del resto, anche quest’ultimo naturalmente tende a mutare essendo non qualcosa di morto, di dato una volta per tutte, ma qualcosa di vivente in un continuo sviluppo storico. Così, da un punto di vista storico più avanzato diviene, almeno possibile, sviluppare una nuova versione aggiornata e riveduta, più complessa dell’assoluto e del suo articolarsi e svilupparsi nella sua storia. Ossia saranno possibili, necessariamente, elaborare interpretazione sempre migliore, potendo prendere le mosse dalle precedenti e avendo in più una maggiore esperienza storica dell’assoluto, per cui la stessa storia della interpretazioni non può che esse anch’essa infinita.
Sottolineiamo ciò, in particolare, in polemica con i troppi che, persino oggi, continuano a equivocare, in modo più o meno consapevole, accusando a torto il sistema hegeliano di essere chiuso e di pretendere di voler dire l’ultima parola sullo sviluppo storico dell’assoluto o, addirittura, di avere l’assurda pretesa di porsi come fine della storia.

giovedì 14 febbraio 2019

mercoledì 13 febbraio 2019

La spirale della storia per Luciano Canfora - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Vedi anche: Il moto violento della storia - Luciano Canfora (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/12/il-moto-violento-della-storia-luciano.html)



Il moto della storia non è ciclico, né rettilineo, né ottimisticamente progressivo, si dispiega sinuosamente come una spirale.

Luciano Canfora è un instancabile produttore di libri, con i quali analizza il passato e il presente, cercando anche di individuare i passi, i ritmi, i movimenti attraverso cui dal primo si passa tormentosamente e tortuosamente al secondo, nel quale persistono elementi antichi, ma senz’altro profondamente trasmutati e rielaborati secondo un modo di procedere che sembra accomunare fasi storiche assai diverse nel loro dipanarsi.
Nella sua più recente pubblicazione La scopa di Don Abbondio. Il moto violento della storia [1](Laterza 2018)richiamandosi a Guerra e pace di Lev Tolstoj, Canfora sottolinea che per il grande scrittore russo ogni divisione del corso storico in eventi discreti costituisce un’operazione arbitraria, giacché a suo parere quest’ultimo si caratterizza per “l’assoluta continuità del moto”, inconcepibile per la mente umana. Questa concezione della storia è radicata nella convinzione che essa sia un prodotto collettivo creato dall’azione delle grandi masse che si va a concretare in episodi o personaggi precisi, come la Grande Rivoluzione o Napoleone.
Questo flusso continuo non si dispiega in maniera rettilinea [2] né segue il monotono ritmo dell’eterno ritorno; assomiglia piuttosto ad una spirale, figura metaforica di sapore certamente hegeliano, che descrive un processo irreversibile che non ritorna mai su se stesso, ma che nell’avanzare si trasmuta senza liberarsi completamente delle scorie precedenti. 

martedì 12 febbraio 2019

Da Hegel a Marx: fenomenologia dello Stato moderno capitalistico - Carla Maria Fabiani

Da: http://www.consecutio.org - Carla_Maria_Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities - http://www.dialetticaefilosofia.it - https://www.facebook.com/dialettica.filosofia/




1. Definire lo Stato: prima Hegel e poi Marx


È bene soffermarsi su una definizione non marxiana del potere dello Stato, ma irrinunciabile ai fini dell’analisi che svolgerò nelle pagine successive, in merito a quanto Marx espone nel celebre capitolo su «La cosiddetta accumulazione originaria» (Marx, 2011, 787-839).

Mi riferisco alla definizione hegeliana presente nella Fenomenologia dello spirito, ancor prima che nei Lineamenti di filosofia del diritto, a proposito del potere dello Stato, come sostanza che permane di contro alla ricchezza definita invece come sostanza che si sacrifica[1]. Quei passi delineano il passaggio da una concezione premoderna dello Stato a una concezione pienamente moderna: dallo Stato teocratico/assolutistico allo Stato monarchico costituzionale, così come verrà poi più dettagliatamente configurato nei Lineamenti.

La struttura cetuale della società dell’Ançien Régime, sostenuta dalla stabilità del potere statale – l’Io voglio del sovrano assoluto –, si sacrifica allo spirito del tempo moderno, che afferma con Smith: «La ricchezza, come dice Hobbes, è potere.» (Smith, 1995, 83).

Tale sacrificio non elimina il potere dello Stato in sé; rende ambivalente la sua definizione e la sua cognizione, da parte dei soggetti agenti all’interno di quella che più tardi sarà chiamata società civile, stato esterno, sistema dell’atomistica.

Il potere statale è perciò sia la sostanza semplice (l’Io voglio), principio di spiegazione e fondamento del fare di tutti e di ciascuno (di tutti i ceti), dimensione autonoma e autosufficiente del politico (l’État c’est moi!); ma anche l’opera universale, cioè proprio il risultato effettuale del fare di tutti e di ciascuno, la dimensione propriamente economica, alla quale il politico sacrifica la sua autonomia e dalla quale riceve legittimità e sussistenza (il mondo liberale della ricchezza). La ricchezza è la sostanza statuale che si sacrifica: è il potere dello Stato che sacrifica la propria trascendenza ed autonomia a favore del ceto e del mondo borghese[2].

L’alterità è immediata: il potere è in sé immediatamente l’opposto di se stesso, è la ricchezza. Definire l’uno implica la definizione dell’altro. Il sussistere dell’uno implica il sussistere dell’altro.