Devo scusarmi subito in apertura se arriverò a rispondere
alla questione solo dopo lunghi giri. Primo, [perché] mi sembra che la
questione in sé non sia stata finora sufficientemente chiarita. Secondo, e più
importante, perché scorgo nella situazione attuale problemi del tutto
particolari, che rinviano oltre una specificazione normale della questione
generale e la cui analisi soltanto consente teoricamente una risposta concreta.
I nostri ragionamenti devono dunque culminare nelle due
questioni seguenti, fra di loro strettamente connesse: esiste una
responsabilità specifica del filosofo, che va oltre la responsabilità normale
di ogni uomo per la propria vita, per quella dei suoi simili, per la società in
cui vive e il suo futuro? E inoltre: tale responsabilità nella nostra epoca ha
acquistato una forma particolare? Per la teoria dell’etica, entrambe le
questioni implicano il problema se la responsabilità contenga un momento
storico-sociale costitutivo. È un interrogativo che va posto subito all’inizio,
giacché proprio l’etica moderna, specialmente quella che si è sviluppata sotto
l’influenza di Schopenhauer prima e di Kierkegaard poi, pone l’accento sul
fatto che il comportamento etico dell’individuo «gettato» nella vita mira
proprio a tenersi lontano da tutto ciò che è storico-sociale per pervenire
all’essere ontologico, in contrapposizione netta a tutto l’essente. È
ovviamente impossibile trattare qui, sia pure per grandi linee, tutto questo complesso
di problemi. Possiamo occuparci solo di quegli aspetti che riguardano
oggettivamente il nostro problema.