martedì 5 aprile 2022

Sotto la bandiera altrui - Lenin (1915)

 Da: www.resistenze.org - LeninOpere complete, vol. 21, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 119-139. Pubblicato per la prima volta nella Raccolta, I, delle edizioni «Priliv», Mosca. Firmato: N. Konstantinov - Trascrizione per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare in occasione dell'anniversario della scomparsa di Lenin (22/01/1924)



Nel n.1 del Nasce Dielo (Pietrogrado, gennaio 1915) è stato pubblicato un articolo programmatico assai caratteristico del signor A. Potresov: Sul limitare di due epoche. Come già un precedente articolo dello stesso autore, pubblicato qualche tempo fa in una rivista, questo articolo espone le idee fondamentali di tutta una corrente borghese del pensiero sociale in Russia, la corrente liquidatrice, sulle questioni più importanti e scottanti del nostro tempo, A dire il vero, non si tratta di articoli, ma del manifesto di una determinata tendenza, e chiunque li leggerà attentamente e rifletterà sul loro contenuto vedrà che solo considerazioni casuali, cioè estranee agli interessi puramente pubblicistici, hanno impedito all'autore (e ai suoi amici, perché l'autore non è solo) di esprimere i suoi pensieri nella forma che sarebbe più appropriata, quella della dichiarazione o del «credo».
 
L'idea principale di A. Potresov è che la democrazia moderna si trova sul limitare di due epoche, e la differenza fondamentale fra la vecchia epoca e la nuova sta nel passaggio dalla limitatezza nazionale all'internazionalismo. Per democrazia moderna A. Potresov intende la democrazia propria della fine del XIX e dell'inizio del XX secolo, che differisce dalla vecchia democrazia borghese, propria della fine del XVIII secolo e dei primi due terzi del XIX.
 
A prima vista può sembrare che l'idea dell'autore sia assolutamente giusta; che ci troviamo di fronte a un avversario della tendenza nazional-liberale, oggi dominante nella democrazia moderna; che l'autore sia un «internazionalista», e non un nazional-liberale.
 
Infatti, la difesa dell'internazionalismo, il sostenere che la limitatezza nazionale e l'esclusivismo nazionale sono caratteristiche di un'epoca ormai passata, non vuol forse dire rompere decisamente con l'epidemia del nazional-liberalismo, questa piaga della democrazia moderna o, più esattamente, dei suoi rappresentanti ufficiali?
 
A prima vista è non solo possibile, ma quasi inevitabile, che si abbia questa impressione. E invece è un errore profondo. L'autore fa passare la sua merce sotto una bandiera altrui. Egli si è servito - consapevolmente o inconsapevolmente, questo poco importa nel nostro caso - di una piccola astuzia di guerra, ha innalzato la bandiera dell'«internazionalismo» per contrabbandare senza rischi, sotto questa bandiera, la merce nazional-liberale. Perché A. Potresov è indubbiamente un nazional-liberale.
 
Il nocciolo del suo articolo (e del suo programma, della sua piattaforma, del suo «credo») sta proprio nell'impiego di questa piccola furberia di guerra, ingenua, se volete, nel far passare l'opportunismo sotto la bandiera dell'internazionalismo. Bisogna soffermarsi a chiarire questo punto nodale in ogni particolare, perché si tratta di una questione d'importanza immensa, primaria. E l'utilizzazione di una bandiera altrui da parte di A. Potresov è tanto più pericolosa in quanto egli si nasconde non solo dietro al principio dell'«internazionalismo», ma anche dietro al titolo di sostenitore della «metodologia marxista».

In altre parole, A. Potresov vuole essere un autentico seguace e rappresentante del marxismo, mentre in realtà sostituisce al marxismo il nazional-liberalismo. A. Potresov vuole «correggere» Kautsky, accusandolo di fare l'«avvocato», cioè di difendere il liberalismo del colore ora dell'una ora dell'altra nazione, il liberalismo del colore di diverse nazioni. A. Potresov vuole contrapporre l'internazionalismo e il marxismo al nazional-liberalismo (perché è assolutamente indubbio e incontestabile che oggi Kautsky è diventato un nazional-liberale). Ma in effetti A. Potresov contrappone al nazional-liberalismo variopinto un nazional-liberalismo monocolore. E invece il marxismo è ostile - e, nell'attuale concreta situazione storica, è ostile sotto tutti i rapporti - a qualsiasi nazional-liberalismo.
 
Che sia proprio cosi, e perché sia cosi, lo diremo adesso.

domenica 3 aprile 2022

Come il neoliberismo arrivò in Italia - Intervista a Luciano Gallino (2015)

 Da: https://jacobinitalia.it - 

Dario Colombo, sociologo, si è occupato della neoliberalizzazione delle politiche sociali e lavora nel campo della microprogettazione sociale. 

Enrico Gargiulo, sociologo all’Università di Bologna, si occupa di trasformazioni della cittadinanza, integrazione dei migranti e sapere di polizia. 

Luciano Gallino (1927-2015), sociologo tra i più autorevoli della nostra epoca, ha insegnato all’Università di Torino. Si è occupato delle trasformazioni del lavoro e dei processi produttivi nell’epoca della globalizzazione.

 Leggi anche:

LA LOTTA DI CLASSE DOPO LA LOTTA DI CLASSE - Luciano Gallino 

La genealogia della catastrofe Italiana - Alessandra Ciattini

Vedi anche: Perché quella di classe è una lotta continua... - Luciano Gallino


Un’attualissima (e inedita) intervista ritrovata a Luciano Gallino: su come la sinistra postcomunista è divenuta neoliberista e sulla «lotta di classe dopo la lotta di classe»

Quest’intervista a Luciano Gallino, scomparso nel novembre del 2015, è stata condotta da Dario Colombo ed Enrico Gargiulo a inizio giugno dello stesso anno per essere inserita in un volume collettivo dedicato ai vari aspetti della penetrazione del neoliberismo in Italia. Il libro, purtroppo, non ha mai visto la luce. L’intervista qui pubblicata, inoltre, è stata creduta irrimediabilmente persa: il dispositivo usato per la registrazione è stato rubato durante un viaggio in treno e il disco rigido su cui era stata copiata, poco dopo, è rimasto danneggiato. A diversi tecnici è stato chiesto di recuperare il file, senza successo. Sette anni dopo, un vecchio pc, quasi per caso, è capitato nelle mani di una persona che, inaspettatamente e fortunatamente, è riuscita a recuperare il prezioso contenuto che, proprio nei giorni in cui cade il decimo anniversario dell’uscita del suo Lotta di classe dopo la lotta di classe, qui finalmente pubblichiamo. (Jacobin Italia)  


Caro professor Gallino, prima di tutto le chiediamo una definizione complessiva di neoliberismo: cosa si intende con questo termine? Cos’è il neoliberismo come fenomeno globale degli ultimi decenni e cosa, soprattutto, non è?

Dagli anni Ottanta del secolo scorso, con l’avvento al potere di leader politici come Ronald Reagan negli Stati uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito, si usa designare come neoliberismo o neoliberalismo un’ideologia universale che afferma che qualunque settore della società, ciascun individuo in essa e, infine, la società intera in quanto somma dei due elementi precedenti, può funzionare meglio, costare meno, presentare minor problemi, essere più efficace ed efficiente qualora sia governata in ogni momento dai principi di una razionalità economica e strumentale. 

La razionalità strumentale ha a che fare soprattutto con il rapporto tra mezzi scarsi – rispetto all’attore che li vuole utilizzare – e fini alternativi – che possono dare esiti molto diversi. Qualunque altro ragionamento passa in secondo piano dinanzi a questo impegno e presupposto. Non solo l’economia, l’impresa o il commercio dovrebbero essere organizzati e gestiti secondo il principio della razionalità economica ma anche i servizi pubblici: scuola, sanità, ricerca, beni culturali. E così tutte le azioni degli individui, perché solo in questo modo la loro somma complessiva darebbe origine a una società migliore, nel senso di più efficiente e con costi minori.

Se poi mi chiede che cosa non è, si può dire una cosa precisa e piuttosto trascurata: il neoliberalismo non è una dottrina che vuole scoprire come funziona il mondo, spiegarlo agli altri e conformarlo in modo che sia più consono rispetto a leggi individuate e scoperte. Tra le grandi dottrine politiche questo approccio caratterizza ad esempio il marxismo. Marx voleva scoprire come funzionava davvero il mondo capitalistico e spiegarlo, per poi correggerlo, emendarlo e fondare un altro ordine sociale. Il neoliberalismo è una dottrina essenzialmente costruttivistica. Essa non dice, come dicevano i liberali classici, che l’essere umano è di per sé un homo oeconomicus, dice che l’essere umano anche se non lo è, può essere spinto in diversi modi ad agire come un uomo economico e questo ha i suoi vantaggi non solo in economia ma anche nella famiglia, nei rapporti sociali, in politica e in qualunque altro settore della società. Il neoliberalismo, tra tutte le grandi dottrine politiche, non è una teoria scientifica nel senso che vuole scoprire come funziona la realtà, vuole piuttosto costruire la realtà secondo i propri principi e i propri canoni, nella convinzione che tutto funzionerebbe meglio.

sabato 2 aprile 2022

La battaglia del gas. Con la mossa russa in gioco la nostra sopravvivenza - Alberto Negri

Da: https://ilmanifesto.it - https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq.

Leggi anche: Il nuovo, pericoloso, «arco della crisi» - Alberto Negri 

Le pipeline in Siria e Iraq: il vero motivo strategico della guerra* - Alberto Negri

Tra l’Ucraina e il Kazakistan: ipotesi di una guerra nel cuore dell’Europa? - Alessandra Ciattini 


Con la mossa russa in gioco la nostra sopravvivenza 

Il gas non è solo energia, è strategia, politica e diplomazia. È anche, nell’immediato, pura sopravvivenza della nostra economia. La guerra parallela a quella sul terreno. Ce ne accorgeremo sempre di più ora che la battaglia sul gas russo entra nel vivo mentre si interrompe la fornitura (fonte Reuters) del gasdotto Yamal (uno dei tre diretti in Europa), con un’allerta preventivo di Germania e Austria e il Cremlino che ha dilazionato, per ora, i pagamenti delle sue materie prime in rubli. 

Putin avanza e arretra nella campagna militare ma anche sul fronte del gas per testare la dipendenza degli europei. Le prospettive per europei e italiani sono comunque poco rassicuranti. Non è possibile sostituire dall’oggi al domani il gas russo che copre in totale il 38% di tutto l’import (circa 28-29 miliardi di metri cubi su 76 complessivi di consumi annuali). Secondo alcune stime (Nomisma Energia) - malgrado le contromosse e un po’ di gas liquido Usa - potrebbe mancare all’appello, già durante l’estate, una quota compresa tra 10 e 12 miliardi di metri cubi. Nel prossimo inverno, una volta bruciate le riserve, si profila il razionamento.

Si capisce bene, con queste cifre, quanto sia stata importante la telefonata di ieri tra Draghi e Putin. Strategica per noi ma anche per Mosca. 

Da quando Putin ha invaso l’Ucraina, l’Europa ha speso più di 17 miliardi di euro per acquistare gas, petrolio e carbone dalla Russia. La Germania e l’Italia sono particolarmente dipendenti dal gas russo e nel 2021 hanno speso rispettivamente 14 e 10 miliardi di euro. 

La battaglia del gas da noi si svolge su due fronti. Uno, in Ucraina, una tragedia, sotto gli occhi di tutti, cominciata, in maniera prima sotterranea poi sempre più aperta, lungo i tracciati dei gasdotti e accompagnata dall’espansione della Nato a Est. 
Un altro, in Libia - teatro che nessuno vuole nominare - ha un aspetto quasi da commedia, con una tragedia, reale, che si vuole tenere nascosta. 

Il lato libico della commedia è soprattutto italiano. Draghi ha incontrato alla Nato Erdogan e non è uscita una parola sulla Libia, dove si contendono il potere due premier Daibaba e Bashaga.
Nessuno osa neppure domandare: cosa succede in Libia? Come se questo non fosse il Paese del gasdotto Greenstream e dei pozzi dell’Eni. Eppure la Libia - dove i profughi della diaspora africana sono scomparsi dai media pur continuando a subire inaudite violenze nella più totale impunità - sarebbe la nostra pompa di benzina e di energia sotto casa. Il condizionale è d’obbligo: il Greenstream, in funzione dal 2004, ha una portata di 30 miliardi di metri cubi se messo a regime ma oggi ha un ruolo quasi insignificante nei nostri rifornimenti. 

Della Libia si preferisce non parlare perché è stata persa due volte dai nostri strateghi. Una nel 2011 con i raid decisi da Francia, Gran Bretagna e Usa, cui l’Italia si è unita sotto bandiera della Nato. La seconda nel 2019 quando - con Tripoli sotto assedio di Haftar - la difesa del governo Sarraj, che ci aveva chiesto un modesto aiuto, è stata lasciata alla Turchia di Erdogan. Così nessuno ha più investito in Libia che ha molte più riserve di gas dell’Algeria, tanto per fare un esempio. 

L’altro fronte del gas è la scoperta dell’acqua calda. Ci voleva una guerra per sapere che l’Europa dipendeva da Mosca? La scelerata iniziativa di Putin ha sconvolto l’Ucraina ma ha messo al tappeto anche l’Europa che prende dalla Russia il 40-50% del suo gas. Ora sono gli Stati Uniti che ci venderanno il gas con prezzi superiori a quelli russi in media del 20%. 

Il caso Nord Stream 2 è emblematico di come confliggono interessi americani ed europei. Non si tratta soltanto di una questione economica ma strategica. Voluto fortemente dalla ex cancelliera Angela Merkel, il Nord Stream 2 era la vera leva politica ed economica che tratteneva Putin da azioni dissennate come la guerra. Molti non lo avevano capito perché attribuivano al gas russo una valenza soltanto economica: aveva invece un enorme valore politico per tenere agganciata Mosca all’Europa. 

Uscita di scena Merkel, gli Usa hanno avuto campo libero. La guardiana di Putin e del gas non c’era più e gli americani hanno capito che il presidente russo era diventato più pericoloso ma anche più vulnerabile. Per due mesi gli Usa hanno avvertito dell’invasione dell’Ucraina perché sapevano che contestando, come hanno fatto, il Nord Stream 2 si apriva una falla nel cuore del continente. I gasdotti sono stati il cordone ombelicale che ha legato Mosca all’Europa, la nostra dipendenza dava a Putin un senso di sicurezza, lo strumento per condizionare gli europei e renderli più flessibili e interessati alle sorti della Russia. 

Quando Mosca ha capito che con il debole cancelliere Scholz il Nord Stream 2 non sarebbe stato al sicuro ha cominciato le minacce all’Ucraina che in precedenza russi e tedeschi avevano pagato perché non protestasse troppo per la realizzazione del gasdotto, assai temuto dalla Polonia in quanto visto come uno strumento di espansione dell’influenza Putin. 
Gli americani per altro avevano già messo alle corde anche Merkel, obbligandola ad acquistare persino gas liquido americano di cui Berlino allora non aveva alcun bisogno, visto che non ha neppure rigassificatori. 

E così con la guerra si è alla resa dei conti. L’Europa dovrà pagare di più la quota Nato, comprando ovviamente più armi e aerei da caccia Usa, e anche più gas americano. Tutto a beneficio delle corporation e del complesso militar-industriale. È la ricetta di Biden, tentato di prolungare un conflitto che logora Putin e riempie le casse americane. Un mondo perfetto per “esportare” ancora una volta la democrazia. 

venerdì 1 aprile 2022

NOI COMPLESSISTI - Donatella Di Cesare

 Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - Donatella Di Cesare è una filosofa e editorialista italiana professore ordinario di filosofia teoretica alla Università "La Sapienza" di Roma. 

Vedi anche: https://www.la7.it/piazzapulita/video/ucraina-lo-storico-angelo-dorsi-sbagliato-dire-che-e-la-guerra-di-putin-questa-guerra-e-iniziata-nel-01-04-2014

Si dimentica spesso che la parola propaganda non vuol dire solo diffondere, ma anche consolidare, fissare. Tutto deve essere ricondotto a schieramenti e fronti, ridotto a principi e dogmi. Guai a farsi domande, esibire incertezze! Perché la propaganda perlustra, seleziona e discrimina. Tanto più se, come durante questa nuova guerra mondiale del XXI secolo, è intenzionalmente militarista. 

Non è un caso che ogni discorso debba iniziare – pena l’espulsione perpetua dallo spazio pubblico – con l’autodafé ormai celebre: “c’è un aggressore e un aggredito”. Questo è il fatto oggettivo, il “ragionamento basico”, che deve essere riconosciuto coram populo. L’autodafé, meglio se pronunciato con tono contrito, è il certificato temporaneo di anti-putinismo, il lasciapassare per potersi esprimere nel mondo della libertà di parola. Questo salvacondotto, tuttavia, dura poco e basta anche solo un “perché” o un “come mai” per finire di nuovo proscritti o diventare bersaglio in vario modo del furore bellicista. 

Il deteriorarsi del dibattito pubblico nelle democrazie occidentali non è un fenomeno di oggi. Lo aveva già scorto Leo Löwenthal, esponente della Scuola di Francoforte, che con acume analizzò l’America degli anni Cinquanta, dove disagio e disorientamento avrebbero aperto le porte non solo al maccartismo, ma anche all’ascesa di una destra autoritaria. Di recente questo fenomeno si è acuito al punto che si parla di “grande regressione” per indicare brutalità e rozzezza che imperversano nella sfera pubblica. La bolla di internet non ne è il motivo, ma contribuisce all’odio aperto, alle fantasie di violenza, agli insulti osceni. 

La guerra – si sa – è rivelatrice. Fra l’altro ha messo in luce, ancor più della pandemia, questa regressione che mina al fondo la democrazia rischiando di cancellarla. La violenza schematica sta già nel voler stabilire l’inizio, nel fissare il principio. Meglio, poi, se è tutt’uno con il Male impenetrabile. “La violenza putiniana che viene dal cielo…”. C’è uno fuori di testa, un matto, un folle oppure – e propagandisticamente è lo stesso – un tiranno, un dittatore, che ha deciso di dirottare il corso storia umana, le sue magnifiche sorti. Guai a interrogarsi su quel principio, ad andare oltre guardando al contesto, provando a esaminare le cause. È pericoloso, anzi ambiguo e infido, già quasi un cedimento al male, un compromesso con il nemico. Mica risaliamo a chissà quando! In tutta tranquillità si può ignorare il “resto”, perché quel che conta è solo sentirsi nel giusto. C’è il male e il bene, l’autocrate e le democrazie, la repressione e la libertà. Ringrazia piuttosto di essere da questa parte, perché dall’altra saresti già in galera. E dunque taci! Smetti di fare domande fastidiose e riconosci il fatto oggettivo che in sintesi è: A ha invaso B. Punto. Altrimenti detto: il grosso ha picchiato il piccolo. E tutti non potranno fare a meno di essere con quest’ultimo. 

In questa nuova concezione della storia che, alla faccia di Hegel, ben si adatta alla foga regressiva, non c’è assolutamente nulla da capire. C’è appunto solo da allinearsi nell’ordine bellico, favorito da schemi ideologici. Non vorremmo certo che la gente discuta le cause della guerra mondiale nel cuore dell’Europa, che le conosca davvero! Tutt’al più si possono buttare lì un paio di paragoni perché si senta sollevata: Putin = Hitler, combattenti ucraini = partigiani italiani, ecc. Non importa se la storia non sia quella novecentesca, se la potenza nucleare muti il significato stesso di guerra. Viva la pigrizia mentale condita di malafede. La semplificazione investe anche l’interlocutore che ha comunque torto e va perciò delegittimato a priori. Anche qui non c’è nulla da capire. Sarà tutt’al più un neneista di sinistra. Dice sciocchezze e amenità. Merita sarcasmo, scherno, se non disprezzo, astio, aggressività. Da tempo il livore anti-intellettuale non emergeva in forma così esasperata. Poi magari c’è chi rimpiange “gli intellettuali di una volta”, anche perché non sono qui a importunare.  

In tutto questo non stupisce che perfino la “complessità” sia stata presa di mira e sia, anzi, assurta a stigma. Come se si trattasse di un esercizio inutile o di una confusione pretestuosa. Eppure, sappiamo che uno dei grandi pericoli oggi è, al contrario, la semplificazione, la scorciatoia (come quella complottistica) per venire a capo di un mondo difficile da interpretare. Non è più la natura a essere impenetrabile, ma è ormai la storia umana a divenire per noi sempre più enigmatica. Si è spezzato il filo della narrazione. Di qui l’ansia per il futuro che non è mai stato così incerto. La reazione, però, non può essere quella dei nostalgici di una leggibilità del passato. Mai come ora è necessario quel che la tradizione occidentale ci ha insegnato: dalla domanda di Socrate, che proprio salvaguardando la democrazia metteva in forse le certezze dei suoi concittadini, fino al sospetto di Marx, di Nietzsche, di Freud, che vuol dire meno falsa coscienza, più avvedutezza. Studio, interpretazione, giudizio sono la base della democrazia. Non servono solo gli esperti, che peraltro non sono mai neutrali. Altrimenti tutti i cittadini sarebbero deresponsabilizzati nelle scelte politiche – come l’invio di armi – che li riguardano direttamente. Occorrono invece le domande, e tanto più se sono spiazzanti, perché ci aiutano a cambiare prospettiva, a vedere quel che accade sotto una nuova angolazione trovando magari la via d’uscita dalla trappola. 

Un computer è un meccanismo complicato; qualcuno l’ha progettato e aprendolo si può veder l’intreccio di parti. La storia umana è invece complessa, perché agiscono molte dimensioni. Applicare gli schemi A – B è grottesco. L’illeggibilità del mondo, di cui parlava Hans Blumenberg, è oggi sotto gli occhi di tutti. Gridare “all’armi” limitandosi a mettere l’elmetto sulla mente, come fanno alcuni, non serve davvero. Non abbiamo bisogno di paraocchi, ma di confronto aperto, dibattito critico, spazi interpretativi comuni. Questi sono i valori democratici occidentali. 

Noi complessisti cerchiamo di farcene carico in questo momento grave in cui vengono richieste solo adesioni empatiche alla guerra. La libertà di pensiero è il diritto alla complessità. Anche il diritto di comprendere il male, di decostruirlo, senza per questo giustificarlo. Certo, poi riconosciamo di essere pur sempre complessisti molto imperfetti, non abbastanza vigili, non sempre capaci di capire. Ma se ci fossero più complessisti a interrogarsi sui motivi, forse un po’ delle guerre in corso avrebbero potuto essere evitate. 

mercoledì 30 marzo 2022

Le relazioni Cina-Russia secondo gli Usa - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza. 
Cina: Wang Yi elabora posizione sull'Ucraina Le parole del ministro degli Esteri e consigliere di Stato -

Vedi anche: Il Patto Sino Russo: un nuovo bipolarismo? - Aldo Giannuli

Invitando la Cina a ostacolare la Russia, gli Stati Uniti sperano di incrinare la loro alleanza. 

Rifacendosi alle antiche tradizioni cinesi, Xi Jinping ha risposto agli americani, che lo sollecitavano a far pressioni sulla Russia per sospendere la loro azione in Ucraina, che spetta a chi ha messo un sonaglio al collo di una terribile tigre toglierlo. In altre parole, essendo responsabili gli Stati Uniti di aver provocato la legittima reazione russa, dopo molteplici tentativi di inutili mediazioni, espandendo sempre più a est le loro basi e i loro armamenti, essi stessi debbono farsi carico di risolvere questo grave conflitto nel cuore dell’Europa, che ha già assistito ahimè a quello relativo alla disgregazione della Jugoslavia.

E che sembra sia accompagnato da un altro, non meno pericoloso. Infatti, il presidente del Kosovo Vjosa Osmani e il primo ministro Albin Kurti hanno incontrato il 19 marzo a Pristina una delegazione dell’amministrazione Usa, alla quale è stato manifestato l’interesse del Kosovo a aderire al programma Nato di Partnership per la pace (quale?), primo passo verso la piena incorporazione nell’Alleanza atlantica. I due leader hanno sottolineato che il Kosovo si è associato alle sanzioni di Ue e Usa contro la Russia per l’intervento armato in Ucraina e che è disponibile ad accogliere fino a 5.000 profughi provenienti dal paese in guerra.

Di tutt’altro orientamento è la Republika Srpska (una delle due entità a maggioranza serba che costituiscono la Bosnia-Erzegovina), nella quale si sono svolte manifestazioni a sostegno di Mosca, che richiamavano lo stretto legame di fratellanza tra serbi e russi.

lunedì 28 marzo 2022

Quanti anni di vita abbiamo perso nel 2020 per il Covid?

 Da: https://www.unive.it - QUI il link all’articolo completo 


Come mostrato in uno studio dell'università di Padova e Ca' Foscari di Venezia e pubblicato sulla rivista internazionale Plos-one, - study by Stefano Mazzucco (University of Padova) and Stefano Campostrini (Ca’ Foscari) and published in the international journal PLOS-ONE (*) -, abbiamo perso in Italia 1,34 anni di aspettativa di vita: un risparmio di miliardi per L'INPS e un affare di miliardi per le Compagnie Assicurative. Ciononostante il governo ha eliminato quota 100 (portandola a 102, per poi toglierla del tutto dal 2023).

Pochi sanno tuttavia che la legge Fornero, che già ha elevato l'età di pensionamento a un livello intollerabilmente alto (ancor più per le donne lavoratrici, le quali prima godevano di un giusto ricoscimento), nasconde una truffa. Esso presenta infatti un meccanismo, del quale, slealmente, si son ben guardati dal divulgarlo (giornali e sindacati, evidentemente, sempre al servizio del potere), che prevede l'adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita soltanto quando quest'ultima aumenta, ma non l'inverso,  allorché l'aspettativa di vita diminuisce. In quest'ultimo caso infatti l'età pensionabile non vi si adegua, non decresce a sua volta, bensì rimane ferma.

Poco si è parlato di questo raggiro, anche perché i governi, in malafede, hanno sempre dato per ovvia solo la crescita dell'aspettativa di vita, nascondendo l'idea di qualsiasi ipotetica riduzione della stessa, come se questa, peraltro, potesse accrescersi indefinitamente.

Certamente la pandemia di covid-19 ha causato tanti decessi e portato al collasso un sistema ospedaliero già deficitario, a seguito dei tagli richiesti dalle politiche economiche neoliberiste. Certo è che l'esperienza della pandemia, per nulla terminata, sebbene la fase più drammatica oggi sembrerebbe essere alle spalle, non è servita a far convergere maggiori risorse pubbliche al Sistema Sanitario Nazionale e in particolare agli ospedali.

La realtà è che i governi, e i poteri economici che li orientano e vi prendono parte, non hanno a cuore il sistema sanitario pubblico, vuoi perché costoso, vuoi perché un suo malfunzionamento sistematico indirettamente giova alla spesa pubblica, conseguendo da questo una prevedibile riduzione della vita media. Viene da pensare che, nella legge Fornero, la suddetta truffa della non simmetria sull'età pensionabile tra aumento e regresso dell'aspettativa di vita sia stata escogitata non casualmente insieme alla riduzione delle spese sanitarie, al fine di ottenere un vantaggio per profitti e rendite del capitale a danno della durata della vita dei lavoratori. D'altra parte è all'ordine del giorno un salto in avanti nella spesa militare che verrà sottratto a pensioni, Sistema Sanitario Nazionale, istruzione pubblica, spese sociali, investimenti in infrastrutture e incrementara' i prelievi fiscali.

Fa riflettere che i fautori del capitalismo sostengono che questo modello, in ultima istanza, tenda "naturalmente" ad allocare le risorse e produrre beni e servizi ove ve ne sia reale richiesta ed effettivo bisogno. Tuttavia, tanti sono i segnali e i casi evidenti che mostrano come invece l'economia capitalistica, nel gioco competitivo delle parti, possa trarre beneficio dagli squilibri, dalla crisi, dalla distruzione, dai bisogni, anche vitali, non soddisfatti e che pertanto il suo cammino storico non viaggi affatto a fianco al bene dell'umanità. (il collettivo)

-----------------------------

Quanti anni di vita abbiamo perso nel 2020 per il Covid?

domenica 27 marzo 2022

venerdì 25 marzo 2022

Cosa sono le scienze sociali (III parte) - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Approfondimenti teorici (Unigramsci) -
Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza. 

Vedi anche: "De Motu" - CARLO SINI 
"ANTROPOLOGIA E NATURA NELL’OPERA DI MARX" - Roberto Finelli

Leggi anche: Il radicamento del pensiero antropologico post-moderno nella società contemporanea*- Alessandra Ciattini 

Dal postmoderno all’ipermoderno - Roberto Finelli – Francesco Toto - 

Al di là del terrore. Per una nuova antropologia*- Roberto Finelli




Gli sviluppi delle scienze sociali mostrano il loro stretto legame con le trasformazioni del capitalismo.

Qui i video di tutti gli incontri: Teorie e metodi delle scienze sociali - Alessandra Ciattini 
                                           
Terzo incontro

Prosegue da Parte I - Cosa sono le scienze sociali? - Alessandra Ciattini  



Spesso l’espressione “scienze sociali” viene considerata analoga a quella “scienze umane”, mentre in realtà i due ambiti hanno un fondamento differente sia dal punto di vista epistemologico che ontologico. Tradizionalmente le scienze umane, a partire da Wilhelm Dilthey a Ernst Cassirer, tendono a ribadire la specificità dell’uomo rispetto alle altre specie animali; secondo quest’ultimo autore il carattere peculiare dell’essere umano consisterebbe nel suo essere un animale simbolico, aspetto da cui deriverebbe la sua inventività e superiorità.

Pertanto, chi preferisce dedicarsi allo studio delle scienze umane ritiene che ci sia una netta antitesi tra l’evoluzione biologica e quella culturale, la prima di esclusiva pertinenza degli animali. Invece, dopo aver concluso la prima fase, gli esseri umani avrebbero intrapreso il complesso percorso della seconda. Secondo questa prospettiva, che oppone evoluzione biologica ed evoluzione culturale, elementi quali la cultura, il linguaggio, l’attività simbolica nel suo complesso, acquisiti nella vita collettiva e contrapposti alla dimensione istintuale, sono considerati esclusivamente propri della specie umana. Invece, le ricerche sul mondo animale hanno mostrato che gli animali non sono governati solo dall’istinto, dato che sono anche capaci di imparare, di trasmettere con i loro mezzi le informazioni e di sviluppare attività simboliche, come per esempio i rituali di corteggiamento tipici di tante specie.

In conclusione, dal punto di vista dei cosiddetti umanisti, la natura ontologica dell’uomo sarebbe profondamente diversa da quella degli animali; di conseguenza, dal punto di vista epistemologico ciò significa che i procedimenti esplicativi propri delle scienze umane debbono essere profondamente differenti da quelli propri delle scienze naturali e fondati sulle modalità della comprensione piuttosto che su quelle della spiegazione.

Coloro che, invece, adottano la prospettiva sociologica in senso generale vedono una relazione di continuità tra l’evoluzione biologica e l’evoluzione culturale, rimarcando che anche alcune specie animali sono dotate di una vita collettiva assai sofisticata.

giovedì 24 marzo 2022

COME DISTRUGGERE UN PAESE: IL NOSTRO - Vincenzo Costa

Da: https://www.facebook.com/vincenzo.costa.79025 - Vincenzo Costa è professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia (triennale) e Fenomenologia dell'esperienza (biennio magistrale).

Leggi anche: Filosofia e scienza - Vincenzo Costa 

Fare la pace o fare la guerra? - Roberto Fineschi 

Le sanzioni logorano soprattutto chi le impone - Guglielmo Forges Davanzati

L’America sconfigge la Germania per la terza volta in un secolo - Michael Hudson 

Guerra in Ucraina, intervista a Emiliano Brancaccio - Daniele Nalbone

Vedi anche: Verità e punti di vista - Carlo Sini 


Le guerre servono a ridisegnare equilibri di potere. Non solo militare e non principalmente militare. L’aspetto militare è sempre subordinato a quello politico-economico. E di fatto la guerra in Ucraina sta ridisegnando gli equilibri, e ogni giorno ognuno dei duellanti (che sono tutti gli attori della politica internazionali, gli Stati Uniti, la russia, la Cina, la UE, l’India) giocano questa partita. L’aspetto spettacolare e di propaganda, i morti (che sono reali e tragici) fanno parte di questo gioco per ridisegnare, per negoziare gli equilibri economico-politici, oltre che ovviamente militari. 

In questo quadro ci sono i vasi di coccio, che sono paesi come il nostro, nei suoi rapporti con il resto del mondo. Che cosa sta cambiando nel mondo e per noi? La risposta è semplice: stiamo distruggendo il futuro del paese. 

1) Questa guerra ci lascerà più poveri, molto più poveri. L’inflazione è già altissima, e nei prossimi mesi crescerà, mentre i salari resteranno al palo. STANNO DISTRUGGENDO IL POTERE D’ACQUISTO DELLE CLASSI LAVORATRICI DEL PAESE, dei pensionati, dei giovani che già arrancano dietro a lavori precari. Stanno bombardando la nostra vita, e di questo le persone se ne accorgeranno a fine anno, man a mano che il processo si paleserà: sarà l’apparire della realtà. 

2) STANNO DISTRUGGENDO I NOSTRI RISPARMI. 
Con un’inflazione simile i nostri risparmi si stanno disintegrando, tra poco i pochi soldi che molti di noi sono riusciti a mettere da parte per il “non si sa mai” varranno poco, sempre meno. 
Si era gridato al pericolo quando i populisti stavano mettendo a rischio il risparmio degli italiani, ma adesso è il governo che, deliberatamente, seguendo i dettami della casa bianca, per dimostrare fedeltà, sta distruggendo i nostri risparmi. 

3) STANNO DISTRUGGENDO IL SISTEMA PRODUTTIVO DEL PAESE.
In primo luogo perché con costi dell’energia così alti non saremo competitivi, e quindi nel commercio internazionale altri prenderanno le nostre fette di mercato (e non saranno ovviamente i russi, ma americani, inglesi, francesi). Fette di mercato perse significa PERDITA DI POSTI DI LAVORO. 
In secondo luogo, ABBIAMO PERSO UN MERCATO, forse non decisivo, ma comunque importante e cospicuo, COME QUELLO RUSSO, in cui esportavamo di tutto, dai macchinari al vino alla moda. Quello che il ministero degli esteri Russo ha chiarito non è un minaccia da gangster: ha semplicemente detto che quel mercato non sarà recuperato in futuro, perché le espressioni di ostilità sono eccessive, l’odio che il nostro governo sta esprimendo è fuori misura. Questo danneggerà inevitabilmente il tessuto produttivo del paese. 

4) Esporteremo forse qualcosa di più negli USA, ma dipenderemo sempre più da essi, non solo militarmente. E di fatto, se l’intera Europa ha accettato, spesso cambiando posizione nel giro di poche ore (come Francia e Germania), è perché gli USA hanno minacciato sanzioni contro di noi se non li avessimo seguiti nell’applicazione delle sanzioni contro la Russia. 

Sanzioni che, tuttavia, danneggiano l’economia europea ma sono una boccata d’ossigeno per quella statunitense. Ma essendo noi a sovranità limitata, non solo militare ma anche economica, abbiamo come europei dovuto accettare il diktat. 

5) Se questo continua, se si blocca la “locomotiva tedesca”, o se rallenta, questo sarà un altro colpo durissimo per la nostra ripresa e per il nostro sistema produttivo, può provocare una spirale terribile che, un misto di inflazione e recessione: la tempesta perfetta. 

6) La UE ha cambiato natura: è diventata un’agenzia militare. Non solo la parte di PIL dei paesi membri è lievitata a dismisura, ma la UE ha oramai un bilancio militarizzato, peraltro inficiato da conflitti di interesse enormi (Si veda il rapporto ENAAT), dato che la grandi industrie degli armamenti è implicata. Industria che ovviamente non conosce crisi e che anzi sta già facendo lauti profitti, sulla pelle degli ucraini e nostra. 

7) Dombrovskis ci ha massacrati per uno 0,4% che servivano per il reddito di cittadinanza e per le pensioni. Sarebbe stato l’Armageddon. Invece aumentare a dismisura le spese militari è perfettamente compatibile. In fondo, per questi signori siamo solo carne da macello, le vite umane servono solo in quanto sono funzionali all’accumulazione del capitale, al profitto. 
Ovviamente, questo è debito buono, non è debito cattivo. Ora sappiamo che cosa è il debito buono. 

Qui non si tratta di fare i complottisti. Qui non indichiamo cause segrete. La differenza tra complottismo e analisi intellettuale è che l’analisi segue i fenomeni, cerca di mettere in luce che cosa un’azione produce, e questa guerra sta producendo questo, insieme ad altre trasformazioni più profonde, ma l’abbiamo già fatta troppo lunga. 

Queste sanzioni sono sanzioni contro di noi, sono sanzioni che pagheremo noi, e noi si intende la gente che lavora (lavoratori e imprenditori), mentre altri ne trarranno motivo di arricchimento. 

Da questa guerra uscirà una società più ingiusta, più crudele, più carica di odio. 

martedì 22 marzo 2022

Verità e punti di vista - Carlo Sini

Da: Dante Channel - Carlo Sini è un filosofo italiano. Inizia ad insegnare all'Università degli Studi dell'Aquila per poi ricoprire la cattedra di Filosofia teoretica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Milano, dove ha anche svolto per un triennio la funzione di Preside di facoltà. - CarloSiniNoema

                                                                              

lunedì 21 marzo 2022

Fare la pace o fare la guerra? - Roberto Fineschi

Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.


Per fare la pace bisogna ovviamente volerlo; e lo devono volere tutti i soggetti in campo. La domanda è dunque se essi vogliano effettivamente fare la pace. A questo punto bisogna ulteriormente chiedersi chi sono gli attori in campo. 

Per rispondere è necessario da subito mettere da parte tutta la retorica diritto-umanista: parlare della questione accettando questo terreno di confronto significa da subito omettere le cause reali, gli obiettivi reali, le strategie reali. Del resto tutti i soggetti in causa hanno dato ampia dimostrazione in un passato recente e remoto di quanto stiano loro a cuore i diritti umani e l’autodeterminazione dei popoli: sono tutti delle belve sanguinarie. 

Ma chi sono? Stati Uniti da una parte, Russia dall’altra. Chi sono coinvolti? Cina e Stati Europei ricchi.
Qual è l’oggetto del contendere? Prima ancora della concretezza geopolitica, lo sfondo su cui tutto ciò accade è la difficile valorizzazione del capitale tipica del capitalismo crepuscolare. 

Grandi Stati Europei, Russia e soprattutto Cina stanno da anni sviluppando delle importanti convergenze di sviluppo economico. Il grande progetto della via della seta prospetta all’orizzonte un’integrazione di sistema che va dalla Spagna alla Cina e passa anche dall’Africa dove gli interessi cinesi sono crescenti. I cinesi non arrivano con i carri armati, ma con una montagna di investimenti, coi soldi, insomma: comprano per produrre ricchezza. La loro è un’egemonia strutturale che si insinua con una rete capillare possibile solo grazie al sistema di investimento che include la collaborazione tra grande capitale pubblico e privato che agiscono in maniera coordinata. Per questo riescono a mettere in piedi investimenti che il capitalismo “disordinato” occidentale non può realizzare. In questa lotta *l’oggetto del contendere è l’Europa occidentale*, sia come mercato di assorbimento, sia come sistema produttivo. 

Gli Stati europei, al di là dei loro timidi, miopi e maldestri tentativi di organizzarsi in proprio, sono stati vassalli degli US. Questa condizione di vassallaggio è stata garantita sia manu militari con la vittoria della II guerra mondiale e tutte le trame della guerra fredda, sia per via economica con ricchi investimenti, la linfa su cui si è costruito il loro benessere. Alcuni di questi stati ora mordono il freno, anche perché il benessere (ma in realtà il benessere è solo riflesso della valorizzazione del capitale) non pare più così garantito e si cercano nuove strade che includono vantaggiosi rapporti (già esistenti e in via di ulteriore sviluppo) con Cina e Russia. 

Gli Stati Uniti, con un’economia in difficoltà, non possono permettere che ciò accada, ma non riescono a vincere sul piano economico. La valorizzazione del grande capitale a stelle e strisce (non degli “americani”: molti “americani” sia negli Stati Uniti che nel resto del continente non hanno nulla da guadagnare dalla politica dei loro amministratori) è incline a percorrere vie non strettamente economiche. Per esempio, per far sì che si consumino i propri prodotti, si può agire in modo che i prodotti degli altri non riescano ad arrivare per la distruzione delle reti commerciali, oppure semplicemente per costrizione: dovete comprare i nostri anche se non vi converrebbe. D’altro canto si può creare consenso affinché avvenga un consumo forzoso di beni particolari (armamenti) comprati dallo Stato; creare dunque una domanda altrimenti inesistente e cospicua per uno dei settori trainanti dell’economia nazionale (la vecchia corsa agli armamenti). Questo anche a svantaggio dei ceti popolari nazionali di cui ovviamente all’amministrazione centrale interessa il giusto. 

Insomma, staccare l’Europa ricca dall’Asia e tenerla, a suo svantaggio, dentro il meccanismo di valorizzazione del capitale a stelle e strisce. Secondo me è questa la posta in gioco. Se è questa, si capisce bene la politica NATO (che significa classi dirigenti degli Stati Uniti) di allargamento a est sviluppata da decenni e la creazione della trappola ben congegnata che, tenendo conto delle mire di Putin, non poteva non scattare. L’obiettivo è insomma *tirare su un nuovo muro*, che divida l’Europa non solo dalla Russia, ma anche dalla Cina. 

Se tutto questo ha un senso, la guerra c’è perché fa parte di un piano strategico a stelle e strisce. Loro vorranno fare la pace (non certo Zelensky che è solo uno strumento; e per l’amministrazione a stelle e strisce gli ucraini solo carne da cannone) solo quando questo obiettivo sarà consolidato. Quindi vogliono che il pantano raggiunga un livello di fangosità a ciò idoneo e che, allo stesso tempo, le industrie militari e del gas lucrino abbastanza. Divide et impera. 

Il capitalismo crepuscolare mette in campo meccanismi di accumulazione “irrazionali” dal punto di vista del vantaggio economico, nel senso che certi capitali egemoni si valorizzano ponendo condizioni coercitive allo sviluppo del sistema di produzione e consumo affinché si valorizzino loro a discapito di altri che invece si valorizzerebbero senza quelle condizioni “artificiali”. È una sorta di neocolonialismo di rapina. Ci si può chiedere quanto possa stare in piedi nel lungo periodo, ma i fantomatici “decisori” ragionano in base alla possibilità di sopravvivenza di se stessi, non del sistema. Che loro non siano necessari al sistema (venir meno dopo un’eventuale sconfitta con i competitors) o che il sistema non esista (venir meno perché non si gioca più), messa in questi termini è per loro la stessa cosa: verrebbero meno. 

La speranza è che il buon senso, nel senso dello stabilire in maniera non violenta nuove regole globali del processo di valorizzazione, prevalga. A questo fine gli US devono accettare che non ci sono più solo loro e che sono in declino e gli altri devono accettare di pagare un bel dazio affinché stiano buoni. 

domenica 20 marzo 2022

Accattone - Pier Paolo Pasolini

Da: Film&Clips - Pier Paolo Pasolini è stato un poeta, sceneggiatore, attore, regista, scrittore e drammaturgo italiano. 

                                                                             

sabato 19 marzo 2022

Le sanzioni logorano soprattutto chi le impone - Guglielmo Forges Davanzati

 Da: "Nuovo Quotidiano di Puglia", 18 marzo 2022. - https://www.facebook.com/guglielmo.davanzati - Guglielmo Forges Davanzati, Università del Salento, è un economista italiano.


E’ stato calcolato che, ad oggi e durante il pieno dispiegarsi dell’egemonia statunitense, un terzo della popolazione mondiale è soggetto a sanzioni e che, fra il 1990 e il 2000, le misure imposte dagli Stati Uniti sono quasi raddoppiate rispetto al periodo 1950-1985 (Greene, 2021). Occorre hiedersi se le sanzioni applicate alla Russia siano efficaci e se producano effetti collaterali per chi le impone, e per l’economia italiana. La risposta è che le sanzioni, salvo casi del tutto eccezionali, non funzionano e possono produrre effetti economici indesiderati. 

Swift è l’acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecomunication ed è una piattaforma di comunicazione, con sede legale in Belgio, istituita nel 1973, usata da banche e società di intermediazione per scambiare informazioni sui trasferimenti internazionali di denaro. Lo Swift è utilizzato per garantire la massima sicurezza su queste transazioni attraverso l’uso di codici standard. Si calcola che Swift consente pagamenti internazionali nell’ordine di cinque miliardi di dollari al giorno trasferiti da circa undicimila soggetti di oltre duecento Paesi (Maronta, 2022). 

Già a partire dai primi giorni della guerra, la Russia è stata esclusa dal circuito Switf e gli analisti si chiedono se ciò comporti effettivamente danni ingenti alla sua economia: quella che è stata definita la madre di tutte le sanzioni. Il più prossimo precedente di una sanzione del genere lo si ritrova ai danni delle banche iraniane nel 2012: ebbe successo, ma è da ricordare che l’Iran era stato di fatto isolato dalla comunità finanziaria internazionale. Oggi, per la Russia, alternative a Switf esistono e si chiamano in primo luogo Cips e criptovalute. Cips è un’istituzione, analoga a Switf, sviluppata in Cina a partire dal 2015, alla quale fanno capo diciannove grandi banche cinesi e altre di quarantasette Paesi. 

Le criptovalute, valute che circolano esclusivamente on-line ‘in parallelo’ rispetto a quelle ufficiali, potrebbero rappresentare un’ulteriore fonte di diversificazione del rischio per la finanza russa. 
In economie nelle quali la gran parte della moneta circolante è dematerializzata e nelle quali vi è forte e crescente interdipendenza fra i sistemi bancari, l’imposizione di sanzioni rischia di produrre un effetto boomerang articolato in questi passaggi. Le sanzioni riducono i trasferimenti di liquidità fra soggetti; si traducono, quindi, in un calo generalizzato di fiducia che si manifesta, anche nei Paesi che le hanno imposte, in restrizione del credito: dunque calo della produzione e dell’occupazione. 

Un secondo fronte sul quale si esercitano le sanzioni è quello dell’energia, con il blocco del gasdotto Nord Stream 2. 
Il Nord Stream 2, lungo 1.200 chilometri (745 miglia) sottomarino, che va dalla costa baltica russa alla Germania nord-orientale, è costato 12 miliardi di dollari e segue lo stesso percorso del Nord Stream 1, completato più di dieci anni fa. Come il suo gemello, Nord Stream 2 sarà in grado di portare 55 miliardi di metri cubi di gas all'anno dalla Russia all'Europa, aumentando le forniture di gas a un prezzo relativamente basso. 
Il gruppo russo Gazprom ha una partecipazione di maggioranza nel progetto da 10 miliardi di euro (12 miliardi di dollari). Nell'azionariato della società che lo gestisce ci sono anche le compagnie tedesche Uniper e Wintershall, la francese Engie, l'anglo-olandese Shell e l'austriaca Omv. 

Il 22 febbraio 2022 la Germania ha sospeso il processo di certificazione di Nord Stream 2, ritardandone ulteriormente l’entrata in servizio. Sull’efficacia di questo strumento sanzionatorio può essere utile rivolgersi al recente passato, attraverso uno studio del Kiel Institute sugli effetti delle sanzioni per la Crimea (Crozet and HIinz, 2016) dal quale si evidenzia che, nel periodo oggetto di esame, le sanzioni hanno danneggiato soprattutto, se non esclusivamente, i Paesi che le hanno imposte. Ciò a ragione dell’elevata dipendenza europea, e italiana in particolare, dal gas russo, accresciuta dall’assenza di una politica energetica comune europea. 

venerdì 18 marzo 2022

“Zelensky salito al potere con un colpo di Stato, guerra è tra Russia e Nato”, intervista a Luciano Canfora - Umberto De Giovannangeli

Da: https://www.ilriformista.it - Umberto-De-Giovannangeli Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.

Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni)




Una voce fuori dal coro. Per “vocazione”. Controcorrente, anche quando sa che le sue considerazioni si scontrano con una narrazione consolidata, mainstream. Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni), è così. Sempre stimolante, comunque la si pensi. E le sue riflessioni sulla guerra d’Ucraina ne sono una conferma.




Professor Canfora, in queste drammatiche settimane, in molti si sono cimentati nel definire ciò che sta avvenendo ad Est. Qual è la sua di definizione? 

Punto uno, è un conflitto tra potenze. È inutile cercare di inchiodare sull’ideologia i buoni e i cattivi, le democrazie e i regimi autocratici… Ciò che sfugge è che il vero conflitto è tra la Russia e la Nato. Per interposta Ucraina. Che si è resa pedina di un gioco più grande. Un gioco che non è iniziato avanti ieri ma è cominciato almeno dal 2014, dopo il colpo di Stato a Kiev che cacciò Yanukovich. È una guerra tra potenze. Quando i vari giornaletti e giornalistucoli dicono ecco gli ex comunisti che si schierano…Una delle solite idiozie della nostra stampa. Io rivendico il diritto di dire che le potenze in lotta sono entrambe lontane dalla mia posizione e dalle mie scelte, perché le potenze in lotta fanno ciascuna il loro mestiere. E né gli uni né gli altri sono apprezzabili. Nascondere le responsabilità degli uni a favore degli altri è un gesto, per essere un po’ generosi, perlomeno anti-scientifico.

C’è chi sostiene che per Putin la vera minaccia non era tanto l’ingresso dell’Ucraina nella Nato o la sua adesione all’Ue, quanto il sistema democratico che in quel Paese ai confini con la Russia si stava sperimentando. Lei come la pensa? 

Usiamo un verso del sommo Leopardi: “Non so se il riso o la pietà prevale” dinanzi a schemi di questo tipo…