«Si dissolvono tutti i rapporti stabili ed irrigiditi, con il loro
seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti
nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era
di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono
finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e
i propri reciproci rapporti».
(Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del
Partito comunista, p. 87)
LE CONDIZIONI DELLA
LIBERTÀ DINAMICA CAPITALISTICA E QUESTIONE DEL SOGGETTO NELL’EPOCA DELLA
“GLOBALIZZAZIONE”: UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO
COMUNISTA.
Introduzione.
«Lo spettro del
comunismo ha cessato di inquietare l’Europa, ma il Manifesto non ha cessato di
inquietare i rivoluzionari».
Wal Suchting, What is Living and What is Dead
in the Communist Manifesto?, p. 163.
Riprendere in mano, a centocinquant’anni dalla sua comparsa,
il Manifesto del partito comunista può essere fatto con metodi e obiettivi
diversi (1). E’ possibile, evidentemente, collocare l’opuscolo nella temperie
politica e culturale degli anni in cui vide la luce; come è possibile
soggiacere alla tentazione di un confronto immediato tra il testo e la realtà
che abbiamo di fronte. Un approccio “storico”, il primo; un approccio
“attualizzante”, il secondo.
Esemplare, in un certo senso, del primo è la riedizione
della Einaudi, con la lunga e utile postfazione di Bruno Bongiovanni, mentre
esemplare del secondo, è l’introduzione che Eric Hobsbawm ha premesso alla
ristampa inglese della Verso, uscita anch’essa quest’anno. Entrambe, però,
mettono bene in rilievo i rischi di operazioni del genere. Da una parte, la
riduzione del Manifesto a “classico”, quando non a documento di un’altra epoca,
con una nascosta, ma non meno efficace, sterilizzazione dell’impatto presente
di quelle pagine. Dall’altra parte, all’opposto, la rivendicazione al Manifesto
di una dimensione profetica, sia pure dimezzata: dove la profezia sta
nell’avere anticipato - con la sola colpa di averlo fatto con troppo grande
anticipo - i caratteri del capitalismo mondializzato dei nostri giorni; e il
suo essere dimezzata sta nella spiacevole circostanza che, giusto quando le
previsioni “analitiche” di Marx si sarebbero concretizzate, esse avrebbero al
contempo distrutto il soggetto sociale che doveva farsi messaggero di una
società futura, meno disumana e portatrice di una libertà più autentica
nell’eguaglianza2 . Vi è qui, a me pare, un difetto dovuto a un eccesso di
“empirismo”. Si ragiona quasi come se i “fatti” fossero lì, neutri, a
consentire di saggiare la validità del costrutto teorico; dal che consegue un
ammirato stupore nel verificare quanto lo sviluppo delle forze produttive
tratteggiato da Marx nel Manifesto assomigli al nostro presente. E’ evidente,
peraltro, che, visto che i fatti neutri non lo sono mai, in questo modo ci si
ritrova pressoché sempre a spacciare come non problematica la ricostruzione
dominante della realtà attuale, e ci si limita a rivestire l’interpretazione di
senso comune di una retorica radicale - tanto più radicale, in effetti, quanto
più la descrizione prevalente di come stanno le cose nega qualsiasi possibilità
di intervento alle classi dominate.