mercoledì 30 ottobre 2019

Giovanni Arrighi, “Adam Smith a Pechino” - Alessandro Visalli

Da: https://tempofertile.blogspot.com/
AlessandroVisalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili. https://www.facebook.com/alessandro.visalli. 
Leggi anche: Samir Amin: “La crisi” - Alessandro Visalli  
                        Gli USA e il Pacifico - Dario Fabbri



 Questo testo chiude il percorso e la trilogia di studi sui “sistemi-mondo”, a pochi mesi dalla morte dell’autore, e ne è sia un seguito sia una rielaborazione. Il tema chiave è il tentativo, compiuto dall’amministrazione Bush, di reagire alla minaccia di declino che si era presentata sin dalla crisi sistemica degli anni settanta con una forte proiezione imperiale in grado di aprire un nuovo “secolo americano”, essenzialmente tramite il controllo diretto, manu militari, delle regioni chiave per le economie industrializzate. Come si dice sinteticamente, “guerre per il petrolio”, ma in realtà “guerre per il mondo”. 

 Il primo tema è dunque il lancio, prima, ed il fallimento, poi, di questo progetto di “dominio senza egemonia”. 

 Il secondo è l’affermazione, o meglio il ritorno, della Cina in posizione centrale nel mondo.

 Questo tema, la rinascita economica dell’oriente asiatico, è l’effetto di una serie ininterrotta di “miracoli” economici: il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Singapore, la Malaysia, la Thailandia, infine la Cina.

Ma l’oriente asiatico, in ombra nella prima parte del secolo scorso (anche se il Giappone già fa eccezione), non era sempre stato considerato una parte sottosviluppata del mondo. In effetti ancora Adam Smith, nel settecento, ne aveva un’immagine altamente positiva. In particolare della Cina come del centro sviluppato del mondo e del luogo di maggiore ricchezza, se pur connotato da una forte stabilità. Questa immagine degrada molto rapidamente durante l’ottocento, e alla fine della seconda guerra mondiale la Cina era arrivata ad essere ormai una delle nazioni più povere del mondo.
Una situazione che inizia a cambiare di nuovo quando negli anni sessanta in Vietnam gli Stati Uniti alla fine sono sconfitti e devono scendere a patti; è da allora che accelera e prende sempre più forza quello che alcuni hanno chiamato “l’arcipelago capitalista” nell’oriente asiatico.

Il libro di Arrighi, come lo stesso titolo mostra, utilizza una lettura non convenzionale del capolavoro di Adam Smith “La ricchezza delle nazioni” per interpretare il particolare tipo di mercato impiantato con enorme successo in Cina come “non capitalista” e continuo alla lunga tradizione del paese. Smith, del resto, sperava che potesse impiantarsi una società di mercato globale basata su una maggiore equità e rispetto per le diverse aree mondiali di civiltà; una società non fondata sulla forma a suo dire “innaturale” di sviluppo che il mercantilismo della sua epoca stava impiantando. Secondo il modo di leggere il filosofo morale (la sua prima specializzazione) scozzese che propone Arrighi questi non è stato affatto un teorico dello sviluppo capitalistico, o il suo difensore. Smith intendeva i mercati come strumento di controllo e di governo dell’avidità e ciò riveste importanza per comprendere le economie di mercato non capitaliste, come quella cinese prima che venissero incorporate in posizione subalterna nel sistema globalizzato di stati guidato dall’Europa.

Ma cosa è “un’economia di mercato socialista”, che si vorrebbe creare in Cina, e cosa, invece, la “economia di mercato elitaria” (secondo la denuncia di Liu Guoguang nel 2006) che si rischia di creare? Tra il “socialismo con elementi cinesi” dei discorsi ufficiali e la realtà di capitalismo selvaggio che si registra spesso c’è, per Arrighi, un vasto lavoro da fare, nelle lotte del popolo cinese e nella sistemazione delle idee. Questo secondo compito, ambizioso, è quello che si dà.


Adam Smith e la nuova era asiatica

Il libro prende le parti dunque di una sorta di “marxismo neosmithiano” che lavora entro la frattura, ben ricordata nelle prime pagine, tra il marxismo de “Il Capitale”, concentrato sullo sviluppo delle forze produttive nei centri più avanzati e che assegna ai relativi lavoratori il compito di guida in quanto testimoni della maggiore contraddizione, e quello delle periferie del mondo, concentrato sulla questione del potere e della lotta nazionale di liberazione.

Come scrive Arrighi: “Non ci sono dubbi sulla distanza che separa la teoria del sistema capitalistico di Marx dal marxismo di Castro, Amilcar Cabral, Ho Chi Min, o Mao Zedong, una distanza che si poteva superare solo con un atto di fede nell’unità storica del movimento marxista” (p.32). Un tema fondamentale, recentemente ripreso con grande energia da Domenico Losurdo.

Questa frattura, continua, Arrighi:

fra marxisti essenzialmente interessati all’emancipazione del Terzo Mondo dall’eredità dell’imperialismo neocoloniale e marxisti che si preoccupavano principalmente dell’emancipazione della classe operaia. Il problema era che se Il Capitale avesse rappresentato effettivamente un’adeguata chiave di lettura del conflitto di classe, i presupposti di Marx a proposito dello sviluppo capitalistico su scala mondiale non sarebbero sembrati reggere a un’analisi empirica. I presupposti di Marx richiamano molto più la tesi del ‘mondo piatto’ che Thomas Friedman è andato diffondendo negli ultimi anni.” (p.33)

lunedì 28 ottobre 2019

"Perché faccio filosofia" - Carlo Sini

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Carlo Sini è un filosofo italiano.- CarloSiniNoema 


                  "Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta"
                                (Platone, Apologia di Socrate)

                                                                              

L’esperienza è lo svilupparsi delle relazioni soggetto/oggetto. 
Questo sta a dire che, immediatamente, il reale è una gamma di possibilità, e che il passaggio da possibile a reale implica una ‘razionalizzazione’ del reale –la quale non ha una sola forma.
Questo pensare –o riplasmare l’esperienza- fa sì che il soggetto –ovvero, il pensante- si scopra nell’unità e nella differenza con tutta la realtà, che lo circonda.
Conoscere implica socializzare, cioè riconoscersi come un riannodo di rapporti con cose e persone. Ma significa, anche, che esistono forme di rapporti con l’uomo e la natura, che favoriscono oppure immiseriscono questo processo di socializzazione. 
Hegel ha chiaramente elaborato la struttura speculativa fondamentale della dialettica, ovvero l’unità delle differenze.
La dialettica va riconosciuta come essere, che è l’altro dallo spirito, in quanto realtà prodotta dallo spirito stesso.
La ragione è coscienza, che lo spirito ha di essere ogni realtà: è per questo che ogni problema immanente di questa costruzione dialettica giunge, alla fine, ad un felice compimento. Lo spirito muta mano a mano l’altro di se stesso nella realtà di se stesso. 
Ciò che, all’inizio della Fenomenologia dello Spirito è solo presupposto –lo spirito è la realtà-, alla fine del movimento del pensiero dialettico , si rivela come realtà pensata dello spirito, perché l’esistenza  dell’uomo, interamente esteriore e sviluppatasi storicamente nel pensiero, diviene la realtà autocosciente.
L’hegeliana Fenomenologia dello Spirito descrive il processo dell’esperienza, in cui il pensiero muta la realtà estranea nella realtà propria, spirituale. Il suo scopo è rendere la realtà trasparente allo spirito. 
Hegel sviluppa la verità del rapporto con la realtà con la sua rappresentazione pensante, che egli chiama esperienza e che si sviluppa sia storicamente che individualmente. 

mercoledì 23 ottobre 2019

Gli USA e il Pacifico - Dario Fabbri

Da: Sottosopra - https://ideesottosopra.com - dario fabbri è giornalista, consigliere scientifico e coordinatore America di Limes. Esperto di America e Medio Oriente. - 

                                                                             

lunedì 21 ottobre 2019

- Cause strutturali e congiunturali della stagnazione italiana - Marco Veronese Passarella

Da: Sottosopra - https://ideesottosopra.com -
Marco Veronese Passarella è docente di economia presso l’Economics Division della Business School dell’Università di Leeds.

                                                                              

sabato 19 ottobre 2019

Il linguaggio nel pensiero di Aristotele - Enrico Berti

Da: Romanae Disputationes - Enrico Berti è un filosofo italiano, Professore emerito di Storia della filosofia presso l'Università degli Studi di Padova. 
Vedi anche: Il linguaggio nel pensiero di Platone - Francesco Fronterotta
                     LA SCRITTURA - Carlo Sini
                                                                             

venerdì 18 ottobre 2019

I falsi presupposti del Parlamento europeo - Alessandra Ciattini


L’Europa è veramente antitotalitaria, pacifica e democratica tale da condannare i supposti totalitarismi?


Per svolgere una critica radicale alla recente risoluzione del Parlamento europeo che equipara nazismo e comunismo, seguendo un ineguagliabile esempio, cercherò di “cogliere le cose alla loro radice”, pur consapevole di non poter giungere al livello intellettuale raggiunto da chi indicava questo punto di vista.
La risoluzione del Parlamento europeo, votata dalla maggioranza dei deputati europei ed italiani (tutta la destra, il PD con qualche eccezione malamente giustificata e con l’astensione dei 5 stelle), è fondata su tre presupposti impliciti del tutto falsi: 1) in quanto liberale l’UE è antitotalitaria, come invece non lo furono il regime nazista e il sistema sovietico; 2) l’Europa costituisce un’istituzione pacifica e pacificatrice; 3) l’UE e i paesi occidentali a capitalismo avanzato si fondano su regimi democratici.
In questo breve scritto cercherò ovviamente in maniera schematica di demolire queste falsità e non sulla base delle mie personali opinioni, ma richiamando a dettagliati studi storici, di cui i deputati europei ignorano persino l’esistenza, non parliamo poi dei giornalisti. Di questi Karl Kraus diceva che sono persone che, pur non avendo idee, hanno il privilegio di esprimerle, come è facile constatare tutti i giorni.
In primo luogo, comincio col dire quali sono le ragioni che hanno spinto questi ben remunerati signori a prendere questa decisione illegittima: l’opportunismo (mettere in pratica quanto viene ordinato dai loro padroni che non gradiscono l’ascesa della Russia sul piano internazionale), la malafedel’ignoranza e la totale inesperienza della ricerca storica e sociale.

giovedì 17 ottobre 2019

- "CHE GUEVARA, UN ANTIDOGMATICO PER DISCUTERE ANCORA" - Aldo Garzia

Da:"Il Manifesto" (https://ilmanifesto.it/) - https://www.facebook.com/aldo.garzia. - Aldo Garzia è un giornalista e scrittore italiano.
Ascolta anche: Che-Guevara-raccontato-da-Aldo-Garzia-
Leggi anche: Il socialismo e l'uomo a Cuba - Ernesto Che Guevara (1965)


Dopo pochi giorni da quel maledetto 9 ottobre 1967 in cui fu assassinato in Bolivia, Ernesto Guevara era già riferimento ideale dei movimenti che scuotevano l’occidente e il terzo mondo. Il 1968 italiano, con la pubblicazione da parte dell’editore Feltrinelli in anteprima mondiale del "Diario del Che in Bolivia" e di una antologia di discorsi e scritti, consacrò Guevara in questo ruolo. In quegli anni non esistevano voli aerei low cost, Cuba e Vietnam sembravano lontanissimi, eppure il Che e Ho Chi Minh ci parlavano da vicino del risveglio del terzo mondo e di liberazione.

Il fenomeno guevariano dura tuttora per le generazioni del duemila, pur se hanno letto poco i suoi scritti, conoscono altrettanto poco la sua biografia e lo riconoscono quasi solo nella famosa foto di Alberto Korda che lo ha immortalato con il basco e lo sguardo fisso nell’orizzonte. Il Che resta infatti sinonimo di ribellione e di indissolubile rapporto tra etica e politica. Una misteriosa alchimia ha infatti segnato il passaggio di testimone da una generazione all’altra. Del resto l’azione politica ha bisogno di immaginazione e di simboli in cui riconoscersi: Guevara è tra questi.

Come ha ricordato più volte lo scrittore Eduardo Galeano, lo scandalo del Che sta nell’aver fatto quello che andava dicendo non in ottusa coerenza ma cambiando posizioni quando la realtà lo imponeva. L’icona guevariana ha inoltre tutti gli ingredienti per resistere al logorio dei decenni: l’assassinio in Bolivia a soli 39 anni, l’abbandono dell’Avana quando era al culmine delle gratificazioni seppure con qualche ammaccatura politica dovuta al dibattito nel gruppo dirigente che guidava l’isola, la coerenza portata alle estreme conseguenze, il volto bello e giovane ritratto in centinaia di fotografie, l’impossibilità di invecchiare sia nel fisico sia nelle idee, un viaggio giovanile in alcuni paesi latinoamericani fatto a bordo di una moto, come farebbe un qualunque ragazzo di oggi, che si trasforma in apprendistato alla vita. Ecco così che a cinquantadue anni di distanza dal 1967 la discussione intorno a Guevara non muore. Anzi, è tra le poche immagini di rivoluzionario che non ha perso il suo smalto resistendo sia in Europa sia in America Latina, dove dell’iconografia comunista fanno fatica a sopravvivere Lenin e perfino Rosa Luxemburg che è personaggio poco letto e studiato.

martedì 15 ottobre 2019

Discorso sul debito di Thomas Sankara - Discours de Thomas Sankara sur la dette 29 juillet 1987

Da: sitethomassankaranet - https://www.africanews.it - Thomas Isidore Noël Sankara (Nascita: 21 dicembre 1949, Assassinio: 15 ottobre 1987) è stato un militare, politico e rivoluzionario burkinabé. Noto anche come Tom Sank, è stato un leader carismatico per tutta l'Africa occidentale sub-sahariana
Leggi anche: Discorso sulle donne - Thomas Sankara

Per non dimenticare, riprendiamo questo discorso che Thomas Sankara, ex presidente del Burkina Faso, ha pronunciato il 29 luglio 1987 durante la riunione dell’OUA (Organizzazione per l’unità africana) ad Addis Abeba. Con quest’intervento, Sankara ha spiegato ai suoi colleghi capi di stato e di governo perché gli stati africani non possono pagare il debito. Perché questo è ingiusto dal punto di vista morale, dal punto di vista economico, dal punto di vista politico e dal punto di vista storico.

                                                                          

Signor presidente, signori capi delle delegazioni,
vorrei che in questo istante potessimo parlare di quest’altra questione che ci preme : la questione del debito, la questione realtiva alla situazione economica dell’Africa. Poiché questa, tanto quanto la pace, è una condizione importante della nostra sopravvivenza. Ecco perché ho creduto di dovervi imporre alcuni minuti supplementari affinché ne parliamo.Il Burkina Faso vorrebbe esprimere innanzitutto il suo timore.

domenica 13 ottobre 2019

CLASSE (lotta di) - Emiliano Brancaccio

Da: l’Espresso, 7 ottobre 2018 - http://www.emilianobrancaccio.itEmiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio.
Leggi anche: Classe, lotta di classe e prostituzione - Gianfranco Pala


Credo che la cosiddetta sinistra abbia smesso di comprendere il capitalismo da quando si è lanciata in una frettolosa abiura di Marx. Un errore su cui tuttora persevera e che altri invece non commettono. Tra gli estimatori di Marx troviamo oggi, paradossalmente, le testate della grande finanza internazionale: dal Financial Times, secondo cui «Marx è più rilevante che mai», all’Economist, che si avventura a esortare «governanti di tutto il mondo: leggete Marx!».

L’interesse dei circoli finanziari per Marx riguarda soprattutto la sua “legge di tendenza” verso la centralizzazione dei capitali. La centralizzazione è l’esito di una incessante lotta tra capitali per la conquista dei mercati, che porta al fallimento dei più deboli o alla loro acquisizione da parte dei più forti, sfocia nella “espropriazione del capitalista da parte del capitalista” e alla fine determina una concentrazione del capitale in sempre meno mani. E’ il lato cannibalesco del capitalismo, che richiama l’opera bruegeliana “I pesci grandi mangiano i pesci piccoli” e che trova oggi importanti conferme empiriche. Si tratta di una tendenza cruciale, che aiuta ad afferrare i nodi politici di questa fase storica. L’orrido sovranismo piccolo-borghese non è altro, in fondo, che la reazione dei capitali nazionali in affanno contro una devastante centralizzazione trainata dai capitali più forti e ramificati a livello globale. E’ pura lotta di classe in senso marxiano ma è tutta interna alla classe capitalista, con il lavoro totalmente zittito.

La cosiddetta sinistra non capisce quasi nulla di tutto questo. Per anni si è crogiolata nella pia illusione di un capitalismo ormai pacificato, proiettato verso il sol dell’avvenire della democrazia azionaria. E oggi risulta spiazzata da una lotta tra capitali sempre più feroce, che diffonde nel resto della società i semi della barbarie. Una nuova sinistra dovrebbe in primo luogo comprendere che il silenzio a cui è stato ridotto il lavoro ha reso ingovernabile la bestia capitalista. Tra le tante minacce alla civiltà di cui si parla, questa è l’unica tangibile. 

sabato 12 ottobre 2019

- Gli affamatori accusano gli affamati di non essere capaci di sfamarsi - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.



Si parla molto della mancanza dei beni essenziali in America Latina, ma le spiegazioni di questo fenomeno non colgono volutamente le sue vere ragioni.


Se qualcuno ha voglia di documentarsi sulla supposta “crisi umanitaria” in Venezuela, per alcuni scatenata dalle misure economiche prese dalla Rivoluzione Bolivariana, si troverà di fronte a informazioni e video profondamente contraddittori. Per esempio, secondo l’emittente pubblica tedesca DW, che adotta questa linea interpretativa, quasi 4 milioni di venezuelani (fenomeno mai verificatosi in America Latina) hanno abbandonato il loro paese a causa della carestia, dell’iperinflazione, della mancanza di un’alternativa politica. A partire dal 2017 i fuggitivi si sono recati soprattutto in Messico e negli Stati Uniti (in particolare Florida), dove costituiscono il terzo gruppo etnico per consistenza numerica dopo i cinesi e i messicani. Altri si sono diretti verso il Brasile e la Colombia, per poi raggiungere da lì altri paesi latinoamericani. Queste notizie sono ribadite da Vatican News, secondo cui più dell’80% della popolazione venezuelana è povera e generalmente si reca in luoghi in cui mangiare allestiti dal clero di quel paese, in mancanza dei quali morirebbe di fame.
Altre fonti, pur non negando le difficoltà in cui si trova a vivere da tempo la maggioranza della popolazione venezuelana, in gran parte certamente povera, che non ha a disposizione beni elementari, farmaci e che spesso si trova coinvolta in episodi di violenza, cercano di mostrare che sostanzialmente la vita quotidiana si svolge nella normalità. Queste stesse fonti hanno messo in risalto l’accordo recentemente raggiunto dal Presidente Maduro e da alcuni gruppi minoritari dell’opposizione, ritenuto inaccettabile dagli altri membri di quel tanto conflittuale settore, tra i quali spicca l’ineffabile ma fallimentare per gli Stati Uniti aspirante Presidente Juan Guaidó. L’accordo, sostenuto dall’onnipresente Vaticano [1], stabilisce che 50 deputati del PSUV torneranno al Parlamento, dopo averlo abbandonato tre anni fa per far parte dell’Assemblea costituente nazionale, che sarà istituito un nuovo Consiglio nazionale elettorale, saranno liberati alcuni “prigionieri politici”, si praticherà lo scambio tra petrolio, farmaci e servizi. Il primo ad essere stato liberato è Edgard Zambrano, mano destra di Guaidó, che era stato messo in carcere per aver appoggiato il fallito sollevamento militare contro la Rivoluzione bolivariana dello scorso mese di aprile.

mercoledì 9 ottobre 2019

Sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria - LENIN

(Approvata dal II Congresso della III Internazionale comunista, Mosca 29-30 luglio 1920) - http://www.homolaicus.com - 



Il proletariato mondiale è alla vigilia di lotte decisive. L'epoca nella quale viviamo è un'epoca di dirette guerre civili. L'ora decisiva si avvicina. In quasi tutti i paesi in cui esiste un importante movimento operaio, una serie di aspre lotte armate attende la classe operaia. Essa ha più che mai bisogno di una rigida e severa organizzazione. La classe operaia deve instancabilmente prepararsi a queste lotte senza perdere un'ora sola del tempo prezioso.



Se durante la Comune di Parigi (1871), la classe operaia avesse avuto un Partito comunista rigidamente organizzato, anche se piccolo, la prima eroica insurrezione del proletariato francese sarebbe stata molto più forte, e si sarebbero potuti evitare mille errori e debolezze. Le battaglie che attendono ora il proletariato, in una diversa situazione storica, saranno molto più gravide di conseguenze avvenire di quelle del 1871.



Il II congresso mondiale dell'Internazionale comunista richiama perciò l'attenzione degli operai rivoluzionari del mondo intero su quanto segue:

1) Il Partito comunista è una parte della classe operaia, e precisamente la sua parte più avanzata, dotata di maggior coscienza di classe e quindi più rivoluzionaria. Esso si forma attraverso la selezione spontanea dei lavoratori migliori, più coscienti, con maggior spirito di abnegazione, più perspicaci. Il Partito comunista non ha interessi divergenti da quelli dell'intera classe operaia. Esso si distingue dalla massa complessiva dei lavoratori per il fatto di possedere una visione generale dell'intero cammino storico della classe operaia e di sforzarsi di difendere, in tutti gli svolti di questo cammino, gli interessi non di singoli gruppi o categorie, ma della classe operaia nel suo insieme. Il Partito comunista è la leva organizzativo-politica, mediante la quale la parte più avanzata della classe operaia dirige sulla giusta via le masse proletarie e semi-proletarie.

2) Finché il potere statale non sarà conquistato dal proletariato e questo non avrà per sempre consolidato il suo dominio salvaguardandolo da una restaurazione borghese, il Partito comunista non comprenderà nelle sue file organizzate che una minoranza degli operai. Fino alla conquista del potere e nel periodo di transizione, il Partito comunista può, in circostanze favorevoli, esercitare una influenza morale e politica incontrastata su tutti gli strati proletari e semiproletari della popolazione, ma non può riunirli organizzativamente nelle proprie file. Solo dopo che la dittatura proletaria avrà strappato dalle mani della borghesia potenti mezzi di influenza come la stampa, la scuola, il parlamento, la chiesa, l'apparato amministrativo ecc., solo dopo che il definitivo crollo del regime borghese sarà apparso chiaro a tutti; solo allora la totalità o la quasi totalità degli operai comincerà ad entrare nelle file del Partito comunista.

martedì 1 ottobre 2019

DEMOCRAZIA E RIVOLUZIONE - Bertrand Russel

Da: Bertrand Russel, Democrazia e Rivoluzione, L'Ordine Nuovo, 1920, N.15 / N.18 - http://www.centrogramsci.it/riviste/nuovo/ordine%20nuovo%20p5.pdf, - 
Vedi anche: La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora
Bertrand Russel è uno dei più grandi pensatori del mondo moderno. Professore di matematica e di logica all'Università di Cambridge, egli occupa uno dei primi posti nel mondo della scienza e della ricerca filosofica. Fu avversario coraggioso della guerra. Il suo pacifismo militante gli valse sei mesi di carcere e l'espulsione dall'insegnamento universitario. Quando gli studenti tornarono dal fronte, l'Università fu costretta a reintegrare il Russel nella sua funzione e a distruggere le carte che negli archivi universitari registravano l'espulsione del maestro.

Il Russel è un grande pacifista liberale, uno spirito libero e superiore come pochissimi ne possiede la classe borghese; egli ha compreso il senso profondo e la necessità storica della Rivoluzione proletaria, come non hanno compreso i socialdemocratici che continuano a esaltare la democrazia borghese e a vedere in essa l'ultimo termine dello sviluppo storico.

Non è diventato bolscevico, ma ha concluso uno studio critico sulla Repubblica dei Soviet, scritto dopo un viaggio in Russia, con l'affermazione: "se abitassi in Russia, mi metterei ai servizi dello Stato operaio".                  
                                                                                                            (Antonio Gramsci) 
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Prima di discutere il mio argomento intendo fare un rapidissimo esame del mondo dal punto di vista delle possibilità di libertà. Le ultime possibilità di libertà sono più grandi che mai, ma anche i pericoli sono grandi e molto difficile è l'avvenire immediato.
La guerra è stata una pietra di paragone che ha rivelato cosa vi era di forte e cosa di debole nelle pretese fedi degli uomini. Gran parte di ciò che apparteneva alla tradizione più a lungo ancora probabilmente avrebbe durato, senza le dure realtà che la guerra ha imposte all'attenzione del popolo. Molte cose furono spazzate via, di quelle che facevano parte di ciò che si può chiamare la urbanità; la loro esistenza dipendeva dal fatto che non si era capaci di ritornare alla culla e che non si agitavano le passioni primitive. Il mondo, dopo la guerra, è più franco, meno agile, più brutale. La separazione tra giovani e vecchi è più profonda che mai, perchè i vecchi riuscirono a idealizzare la guerra e per farlo dovettero staccarsi più del solito dalla realtà, mentre i giovani non mai come ora hanno avuto la realtà profondamente radicata entro di sè. In conseguenza di ciò la politica non è più attraente come una volta, e benchè i capi dei partiti politici ancora indulgano alla vecchia ciarlataneria, essa non fa più presa, e i motivi per cui gli uomini votano sono molto realistici.
Non solo il partito liberale ma lo stesso ideale liberale si è, in conseguenza della guerra, eclissato. Il suo fallimento fu reso manifesto dalla clamorosa sconfitta del presidente Wilson. Gli ideali liberali, dipendevano da un certo grado di tolleranza tra uomo e uomo, da una repugnanza a spingere le cose agli estremi. La tolleranza religiosa, la democrazia, la libertà di parola, la libertà di stampa e di commercio erano tutti principi i quali implicavano la non irreconciliabilità delle differenze tra i diversi gruppi. Io sono tra coloro che in conseguenza della guerra sono passati dal liberalismo al socialismo, e non perchè sia venuta meno in me l'ammirazione per molti degli ideali liberali, ma perchè non vedo per essi un avvenire prima di una completa trasformazione della struttura economica della società.
La guerra ha portato a una contrapposizione della plutocrazia e del lavoro, del capitalismo e del socialismo. Il socialismo è apparso infine come una forza quasi uguale al capitalismo per il suo potere. In Russia, esso è al potere e altrove ha la possibilità di giungervi. Che cosa possono offrire questi due opposti principi?
Il capitalismo fino a che ha lottato contro il feudalesimo ha favorito alcune idee liberali: libertà, democrazia e pace. Ha favorito pure l'aumento della produzione. La guerra ha spazzato via gli ultimi resti del feudalesimo: sono scomparsi i tre imperatori che dominavano l'Europa Orientale; nelle superstiti monarchie "i re", secondo le parole di Milton, "ancora seggono al trono, con gli occhi pieni di terrore". Ma ogni passo fatto sulla via della vitoria del capitalismo sul passato lo ha reso più ostile all'avvenire e meno liberale. Oggi mi hanno detto che in America vi è una prigione ai piedi della statua della libertà.
La maggior parte del mondo civile è soggetta al regno del terrore.

mercoledì 25 settembre 2019

Alexandre Kojève - Pensatore di confine - Remo BODEI, Marco FILONI

Da: roscio85 - Remo Bodei (Università della California, Los Angeles) è un filosofo italiano. - marco filoni (Giornalista e ricercatore) è dottore di ricerca in Storia della filosofia.
Vedi anche: Alexandre Kojéve, Introduzione alla lettura di Hegel (Fenomenologia dello Spirito) - Silvio Vitellaro

        Sul concetto di <AUTORITA'>
                                                                              

sabato 21 settembre 2019

L’ecomarxismo di James O’Connor - Riccardo Bellofiore

Da: “L’ecomarxismo di James O’Connor”, Marx 101 n.s., n. 1, pp. 177-180, 1990 - Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova -
Riccardo Bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo. - https://www.riccardobellofiore.info -

L'ultimo libro di James O'Connor (L'ecomarxismo. Introduzione ad una teoria, Datanews, Roma 1989, trad. dall'inglese di Giovanna Ricoveri, pp. 56, Lit. 10.000), autore largamente e tempestivamente tradotto in italiano, ha certamente almeno un merito: quello di proporre, controcorrente, una "conciliazione" tra marxismo e ambientalismo, due corpi teorici e due esperienze politiche che molti vedono invece fieramente contrapposti.

L'obiettivo del saggio è, mi pare, conseguentemente duplice. 
Ai marxisti, che spesso snobbano con sufficienza la "parzialità" della questione della natura o criticano il troppo tiepido anticapitalismo degli ecologisti, O'Connor vuole mostrare che la difesa della natura è parte integrante dell'apparato categoriale marxiano, e non qualcosa che le è                                                                                                                                                                                      estraneo. 
Ai "verdi", O'Connor vuole mostrare come un ecologismo coerente non possa che investire globalmente i processi economici e politici su scala planetaria, segnati irrimediabilmente dal dominio del capitale.

La tesi centrale è, molto in breve, che l'ecologismo (ma anche i "nuovi movimenti sociali", e perciò anche il femminismo) puntano l'attenzione su questioni che sono qualcosa di più, e non di meno, della lotta di classe.

Il tentativo di O'Connor si svolge in quattro mosse. 

venerdì 20 settembre 2019

Gli accordi di pace conducono sempre al loro obiettivo? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it -  Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.


Gli accordi di pace si prefiggono il raggiungimento degli obiettivi che proclamano. Vediamo il caso dell’accordo FARC-EP / Colombia.

Purtroppo, non se ne parla molto [1], ma gli accordi di pace tra il governo colombiano diretto allora da Juan Manuel Santos, alunno della Harvard Kennedy School ed insignito del Nobel della pace, e le FARC-EP firmati all’Avana nel 2016, sono stati un vero fracaso (come si dice in America Latina). Sulla scia delle riflessioni di James Petras, illustre sociologo statunitense di origini greche, questo evento ci consentirà di sviluppare alcune considerazioni sugli esiti degli accordi di pace siglati negli ultimi decenni.
In primo luogo, cominciamo con il rammentare che proprio in questi giorni la ONIC (Organizzazione nazionale indigena della Colombia) ha dichiarato pubblicamente che sono stati assassinati 167 leader indigeni dopo la firma degli accordi di pace, i quali avrebbero dovuto garantire la sicurezza della parte insorgente. Da questi eventi Luis Fernando Farias, consigliere maggiore dell’ONIC, ricava che siamo dinanzi ad un vero e proprio genocidio, tanto più che nei territori, dove si sono verificati i crimini, si è registrata la presenza di gruppi armati illegali, che attuano incontrastati.

mercoledì 18 settembre 2019

La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora

Da: Elisa - Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
Vedi anche: Cosa resta dell’Utopia col passaggio del secolo - Luciano Canfora 
                         Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo 
                             DEMOCRAZIA E RIVOLUZIONE - Bertrand Russel
 
   "... E quando parlo di socialismo, non penso ad un sistema all'acqua di rose, ma ad una trasformazione completa, da cima a fondo, quale Lenin ha tentato. Se la sua vittoria è necessaria alla pace, dobbiamo consentire ai mali provocati dalla lotta, nella misura in cui la lotta ci è imposta dal capitalismo. 
     ... Se io abitassi in Russia, mi metterei ai servizi dello Stato operaio."
(Bertrand Russel, Democrazia e Rivoluzione, L'Ordine Nuovo, N.15 / N.18 -http://www.centrogramsci.it/riviste/nuovo/ordine%20nuovo%20p5.pdf,) - (https://www.resistenze.org/sito/ma/di/ds/mdds-on215.pdf)

                                                                      

Di seguito, Rivoluzione Russa e decolonizzazione: https://www.youtube.com/watch?v=T5D1ZieJ0Kc
                     La non rivoluzione in occidente: https://www.youtube.com/watch?v=S5_9M6k4J4Q
                         Il populismo: https://www.youtube.com/watch?v=Z2alaz4VVdw

lunedì 16 settembre 2019

Aldo Natoli, comunista senza partito. Anni di ricerca tra Berlino e Urbino. - Peter Kammerer

Da: http://www.fondazionemicheletti.it  - peter-kammerer, ha insegnato Sociologia alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Urbino.
Leggi anche: Sul compromesso storico - Aldo Natoli 
                         Togliatti fra Stalin e Cavour - Aldo Natoli
                          http://fondazionepintor.net/anniversari/Natoli/bio_Rossanda/


  1. Comunista senza partito
 La mia relazione (frutto di ampie discussioni con il circolo culturale del Montesacro) abbraccia l’ultimo periodo della vita di Aldo Natoli che dura ben 34 anni (dal 1976 al 2010), periodo nel quale si consumano le ultime speranze di un dirigente comunista e in cui la solitudine aumenta fino a diventare emarginazione e isolamento. Aldo vive questo destino „senza l’illusione di una alternativa, senza nostalgia, senza rimpiangere occasioni mancate“. Sono parole con le quali lui in una conferenza nel marzo 1979 aveva ricordato Pietro Secchia diventato - diceva Natoli - „un rivoluzionario impotente“. Era l’impotenza di chi continuava ad orientarsi a „una stella già spenta“, all’URSS. Secchia non ha nè potuto nè voluto uscire da questo condizionamento storico. Natoli invece è riuscito a romperlo in un lungo processo iniziato nel 1956 e compiutosi nel 1969. Il suo coraggio gli è costato la radiazione dal PCI, una separazione dolorosa, ma infine feconda. Commemorando Vittorio Vidali Natoli scrive nel 1983: „Quando fui escluso dal Pci, sembrò che la sua stima e il suo affetto per me aumentassero, anzichè diminuire“. (Ritengo straordinaria questa affermazione se si pensa che la maggior parte dei dirigenti comunisti di allora tolse il saluto ai radiati o troncava comunque ogni rapporto con loro). E Aldo continua: „Qualche volta mi chiesi se non mi invidias­se per la capacità di libero esame, di critica disinteressata che ave­vo acquistato; ma comprendevo che era una strada che tutta la sua storia (e quale storia!) gli pre­cludeva“. I comunisti che si credevano dalla parte della storia o addirittura i suoi esecutori erano diventati i suoi prigionieri. E sappiamo come qualche decennio dopo, l’azione che voleva essere liberatoria, non fu altro che una grande liquidazione. Commentandola nel 1995 Aldo afferma: „Per molti è stato possibile dire ‘in fondo non siamo più comunisti’. Ma per chi ha costruito la propria esistenza, le proprie scelte politiche culturali con questa idea della trasformazione, sul fatto che fosse possibile essere comunisti in un modo diverso da quello che l’Unione Sovietica prospettava, per queste persone accettare una formulazione del tipo ‘non sono più comunista’ è impossibile. Io che pure essendo un prodotto della società in cui vivo, se qualcuno mi domandasse ‘tu sei comunista’ io risponderei ‘sì, sono comunista’“. Lo aveva già affermato nella sua ultima dichiarazione davanti al Comitato Centrale il 26 novembre 1969: “Si è comunisti se e fino a quando ci si impegna ad essere espressione politica della classe, e può capitare di cessare di esserlo anche restando nelle fila di                                                                    un partito...“. Rossana Rossanda scriverà più tardi: „Non gli perdonarono che dicesse: ‘Non occorre una tessera per essere comunisti’“ (384).
Se questa frase fosse soltanto l’affermazione di un attaccamento ideologico coerente e orgoglioso, anche Natoli non sarebbe altro che un prigioniero della sua storia. Ma Natoli non è una figura amletica, come Heiner Müller ha chiamato gli intellettuali di una intera generazione comunista lacerata tra due epoche, coscienti e impotenti. Penso che lui abbia fatto uno sforzo immenso di vivere la rottura epocale e di scrutare senza paraocchi l’abisso che si era aperto. Già alla fine degli anni ‘70 lo sentivamo dire: „Ci vorranno 100 anni prima che si possa parlare di nuovo di comunismo“. Non era una battuta. E non era nemmeno il semplice rovescio della tesi della „maturità del comunismo“ (1970) da lui prudentemente criticata (Marx, 166 ss.). Annunciava la ricerca di un nuovo modo di essere comunisti (al di là della forma partito, superando l’eredità della bolscevizzazione). Senza rinunciare all’analisi del presente immediato Natoli ha tentato di collocare questa ricerca in una dimensione temporale di orizzonti epocali (del resto questo mi pare sia anche il significato del famoso „für ewig“ di Gramsci). Si capisce che una impostazione del genere risente di un pessimismo che può apparire perfino disfattista e che crea un vuoto intorno a chi lo professa. Infatti, la solitudine che a Natoli forse pesava di più è stata quella di essere rimasto senza interlocutori nella ricerca su „che cosa significa oggi essere comunisti“, domanda che ammette pure la possibilità di rinunciare a questo termine diventato anacronistico. Non si tratta solo tener fede all’imperativo categorico marxiano di „rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, asservito, abbandonato e spregevole…" (Introduzione alla Critica della Filosofia del diritto di Hegel), bensì di riempire queste parole che rischiano di diventare formule vuote, con pensiero e atti concreti. Il PCI questo a Natoli e ad altri non ha più consentito. Ma che cosa fa e può fare un comunista senza partito? 

  1. Il 1976 e l’autunno tedesco 1977

venerdì 13 settembre 2019

Intervista a Salvador Allende - Roberto Rossellini

Da: Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico - Scheda integrale: https://goo.gl/9I5Rvl Regia: Emidio Greco Anno: 1971

Roberto Rossellini, ospite in Cile con il figlio Renzo nel 1971, intervista Salvador Allende. 

Il Presidente cileno racconta la propria vita partendo dall'attività politica svolta dai propri familiari. Il padre e gli zii furono militanti del partito radicale quando i radicali erano membri di un partito d'avanguardia che lottava contro la reazione conservatrice. Il nonno era stato senatore e vice presidente del Senato. 

Allende racconta dei primi anni all'università di Santiago quando, studente di medicina, fu espulso dall'ateneo, arrestato per l'attività politica svolta e giudicato da tre corti marziali. Fondatore del Partito Socialista di Valparaiso e successivamente espulso, entrò nel Partito Comunista, all'epoca illegale. 

Dal racconto emerge la storia di una vita dedicata alla lotta per l'unità dei partiti della classe operaia. L'intervista, nella quale Allende non manca di sottolineare i grandi ostacoli frapposti dalla classe conservatrice cilena alla gestione della vita pubblica, prosegue con l'auspicio dell'integrazione dei paesi latino-americani. 


                                                                              

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giovedì 12 settembre 2019

IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX - CARLA MARIA FABIANI

Da: Carla Maria Fabiani: Il problema dello Stato in K. Marx © www.dialetticaefilosofia.it 2008 Dialettica e filosofia - ISSN 1974-417X [online] - https://www.facebook.com/dialettica.filosofia


INTRODUZIONE GENERALE

Il tema che il nostro lavoro si propone di prendere in esame è il problema dello Stato nell’opera di Karl Marx; ovvero se vi sia in Marx una più o meno compiuta teoria sullo Stato. 

L’impostazione teoretica che daremo a tutta quanta la ricerca è motivata innanzitutto da ragioni che riguardano il modo con cui abbiamo inizialmente preso in considerazione l’opera principale dell’autore - ossia il Capitale - individuando in essa precisi e numerosi riferimenti alla forma nazionale e al potere dello Stato moderno-borghese. 

Bisogna da subito chiarire che, nell’ambito della critica dell’economia politica, non si parla di uno Stato ‘altro’ da quello capitalistico1 ; viceversa si prende a tema ‘questo’ Stato e l’essenziale funzione da esso ricoperta nel corso dell’accumulazione originaria, cioè durante l’atto di nascita del capitalismo. 

La nostra convinzione - che non vuole certamente essere definitiva, ma intende costituire un’indicazione per ulteriori approfondimenti - è che nell’opera maggiore di Marx vi sia esplicitata una teoria forte del nesso economico-politico fra il capitale e lo Stato modernoborghese. 

In quest’affermazione sono innanzitutto implicati due nodi teorici di grande rilievo. Il primo riguarda l’economia politica classica e come essa abbia trattato e spiegato lo Stato con categorie proprie, riprese, ma criticate, dallo stesso Marx nel Capitale. Il secondo nodo invece fa riferimento alla filosofia hegeliana del diritto pubblico, la quale venne attentamente studiata e criticata, nel 1843, dal giovane Marx2 

La predisposizione con la quale abbiamo letto il Capitale e poi la critica marxiana alla filosofia del diritto di Hegel, è stata inizialmente volta alla individuazione nelle due opere di un filo storico-logico che ricostruisse la genesi critica della forma moderna dello Stato. In questo, abbiamo volutamente tenuto separata la lettura del primo scritto da quella del secondo, poiché riteniamo che vi sia fra i due uno stacco filosofico tale da non permettere confronti ravvicinati3 . 

L’analisi dei testi ci ha portato a riconoscere nel Capitale un percorso teorico e un processo storico che Marx ha ritenuto di dover esplicitare a proposito della connessione essenziale e imprescindibile fra il rapporto di produzione capitalistico e il sistema dello Stato moderno; nel manoscritto del 1843 invece abbiamo riscontrato non solo il forte interesse del giovane Marx per la concezione organica e sistematica che dello Stato moderno aveva Hegel, ma anche il suo sforzo teorico di criticare la forma monarchico-costituzionale di Stato e, contemporaneamente, l’astratta forma politica che lo Stato moderno rappresenta nei confronti della società civile.

mercoledì 11 settembre 2019

Ultimo discorso di Salvador Allende (1908-1973)


Questo ultimo discorso del Presidente Allende dal Palazzo della Moneda fu trasmesso da Radio Magallanes alle 9:10 del mattino dell'11 Settembre 1973. Poco dopo, l'emittente fu distrutta dai golpisti.
                                                                     

Amici miei,

Sicuramente questa sarà l'ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi. La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Portales e Radio Corporación.

Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno.
Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l'ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell'Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri. Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò! Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.
E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.
La storia è nostra e la fanno i popoli.

Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.

In questo momento conclusivo, l'ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l'imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i suoi profitti e i suoi privilegi.

Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.

Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.

Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all'allegria e allo spirito di lotta.

Mi rivolgo all'uomo del Cile, all'operaio, al contadino, all'intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l'obbligo di procedere. Erano d'accordo. La storia li giudicherà.

Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi.
Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.

Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.
Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.
Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore.

Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!

Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento. 

lunedì 9 settembre 2019

"Leopardi legge Kant" - Massimiliano Biscuso

Da:   AccademiaIISF - Massimiliano Biscuso insegna Filosofia della medicina presso la facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma.

                                                                        

domenica 8 settembre 2019

L'arte di essere depressi - Yassemine Zitouni

Da: https://www.gazzettafilosofica.net - Della stessa autriceLa potente e misera pubblicità - La scuola della distruzione


In una società nichilista e secolarizzata come quella odierna, che non costituisce altro che la continuità di quella ottocentesca e novecentesca – nell’accezione in cui viene meno il tradizionale assetto veritativo, giungendo alla mancanza di valori e ad un qualcosa di trascendentale, ovverosia indipendente dalla realtà stessa –, ecco che il punto di riferimento di ogni analisi e indagine speculativa non diviene altro che l’uomo in se medesimo.

Già ai suoi tempi, Fichte, con grande lucidità e lungimiranza, scrisse: «[Questa è] l’età dell’assoluta indifferenza verso ogni verità e dell’assoluta sfrenatezza senza un concorde filo conduttore.» (J.G. Fichte, I tratti fondamentali dell’epoca moderna presente).

Da quando Nietzsche rese noto al mondo la morte di Dio – che già Immanuel Kant aveva espresso, seppur in modo implicito, con la negazione delle sue prove esistenziali –,  avvenne una definitiva rottura col passato e trapelò il relativismo. La tirannia di questo ultimo si fa riconoscere nella depressione, nella quale è possibile notare la realizzazione di quella contraddizione coltivata e divenuta sempre più radicata nel corso dei secoli.

La definizione canonica di depressione solitamente è “disturbo psichico”, “deviazione del tono dell’umore in senso malinconico”: definizioni evidentemente vaghe, che potrebbero addirsi ad un coacervo di “malattie mentali”, dalla nevrosi alla paranoia, dall’angoscia alla schizofrenia. Eppure, perché mai questo termine possiede questa sorta di prerogativa? A questo interrogativo risponde Alain Ehrenberg, ne La fatica di essere se stessi. Depressione e società:

« La depressione si assicura il successo nel momento in cui il modello disciplinare di gestione dei comportamenti, ossia le regole d’autorità e di conformità ai divieti che finora hanno orientato la storia delle classi sociali così come quella dei due sessi, devono far posto a norme che stimolano ciascuno all’iniziativa individuale, sollecitandolo a diventare se stesso. Conseguenza di questa nuova normatività la intera responsabilità delle nostre vite si colloca non solo in ciascuno di noi, ma anche nello spazio collettivo: la depressione si presenta come una malattia della responsabilità in cui domina il sentimento di insufficienza. »