Da:
http://dialetticaefilosofia.it - Pubblicato in Cinzia Aruzza (a cura di),
Pensare con Marx. Ripensare Marx, Edizioni Alegre,
Roma 2008, pp. 173-193. -
Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (
http://www.consecutio.org)
1. L’«americanismo» come idealtipo della globalizzazione.
La riflessioni che seguono nascono da quella che a me sembra la caratteristica più paradossale
della realtà che stiamo vivendo: tanto caratterizzante l’intera realtà, storica e sociale contemporanea,
da configurarla appunto come null’altro che un unico grande paradosso. Il paradosso è quello della
contraddizione tra il piano dell’Essere e quello dell’Apparire, ossia tra il piano interiore e profondo
della struttura del reale e quello esteriore della forme della coscienza individuale e collettiva con
cui quella struttura viene appresa e conosciuta, anzi nel nostro caso bisogna dire viene distorta e
misconosciuta.
Con il crollo del comunismo cosiddetto reale il mondo conosce oggi solo l’«americanismo» come
forma unica di civiltà e di organizzazione sociale. E l’americanismo, per quello che dirò subito, vale
per me come la realizzazione, oggi, più completa e più avanzata del capitalismo, proprio come la
maturità dell’Inghilterra valeva per Marx come la forma canonica del capitalismo dell’800. E
americanismo senza America, americanismo oltre i confini d’America, può essere definita l’attuale
globalizzazione, se la si considera come generalizzazione a tutti i paesi del globo, con gradi diversi
ovviamente di sviluppo e di sottosviluppo, del medesimo modello di produzione, distribuzione e
consumo di merci, della medesima ricerca di profitto, della medesima invasività e diffusione del
mercato e della medesima attitudine a trasformare tutti i rapporti umani in rapporti quantificabili e
mediati dal denaro.
Per altro non v’è dubbio che la globalizzazione debba essere vista, ancora oggi, soprattutto come
maggiore velocità e ubiquità di spostamento del capitale finanziario e spesso solo speculativo, senza
cedere alla facile quanto superficiale rappresentazione che la prospetta come il darsi di un unico
mercato mondiale con un’unica concorrenza che genererebbe medesimi prezzi delle merci, del
lavoro del denaro1. Laddove la sua effettiva realtà si presenta come non solo profondamente
differenziata quanto asimmetrica, anzi tale che in essa polarità e distanze, differenze tra sviluppo e
sottosviluppo si acuiscono, almeno per chi ragioni in termini di statistiche comparate e relative e
non di dati assoluti di crescita e di progresso. Eppure la globalizzazione, pur sottratta al segno retorico di presunti universalismi e di omogenei sviluppi, può comunque essere considerata
unitariamente come «una immane raccolta di merci», nel senso dell’aumento sempre più ampio e
sempre più intenso della quota di popolazione mondiale che dipende per la propria riproduzione in
modo integrale dall’esposizione e dalla mediazione con il mercato.
Ora il paradosso di cui parlavo all’inizio consiste, a mio avviso, nel fatto che proprio quando, con
il venir meno del socialismo reale, si diffonde e s’impone, sia pure, torno a dire, con una
configurazione a macchie di leopardo, un unico modello di vita economica e sociale, capace di
stringere nella sua ricerca del profitto e della remunerazione monetaria qualsiasi tipologia, da quella
più avanzata a quella più arcaica, di lavoro, viceversa in termini culturali e simbolici, alla
consapevolezza e allo studio dell’uno e del modo in cui l’uno si articoli nella molteplicità delle
differenze, s’è venuta sostituendo una cultura del frammento, dell’informazione e dell’atto
linguistico-comunicativo da interpretare attraverso altre informazioni ed altri atti comunicativi,
ossia la prospettiva di un’ermeneutica infinita che considera come tramontati concetti come verità,
realtà, oggettività. S’è venuta facendo egemone insomma una cultura che rifiuta la prospettiva delle
cosiddette ideologie, delle concezioni unitarie del mondo. La sistematicità delle quali viene infatti
svalutata e degradata, quale grande favola narratrice o visione totalizzante e totalitaristica.